Vivere La Vita

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Non mi dispiaceva, ma rimpiangevo e piangevo forte per tutto quello che lasciavo.

Sono riuscito a fermarmi dal pianto, soltanto quando il mio nonno, mi ha detto di pensare a quanto sarà bello il prossimo anno, quando sarò più grande e potrò fare cose ancora più belle di quelle appena fatte e vissute.

Tornati a casa, quasi subito siamo andati tutti insieme a comprare quello che serviva al mio fratello per la scuola e quello che serviva a me per andare al' asilo.

Perché ero pronto!

L'immenso mondo fuori casa

Entravamo ed uscivamo tutti insieme in dei negozi dove non ero mai andato prima.

C'era tanta gente, tanta confusione e la cosa non mi piaceva.

Riuscivo a rimanere un po' contento soltanto perché erano tanti bambini e bambine di tutte le misure. Poi c'era un po', ma soltanto un po' di curiosità per quei vestiti che mi dovevano comprare per andare all'asilo.

La curiosità è stata quasi subito esaurita, e dopo che mi hanno fatto provare quella specie di vestito da donna chiamato grembiulino, che non vedevo l'ora di togliere, e quella specie di borsetta come quella del postino ma a mia misura, anche quella poca curiosità era scomparsa.

Non vedevo l'ora di tornare a casa.

Appena arrivati a casa, sono andato subito dalle mie macchinine, perché il discorso dell'asilo per me era già chiuso.

L'unica cosa buona in quel momento era l'entusiasmo di mio fratello per l'elegante vestito che doveva indossare a scuola e la montagna di quaderni, matite colorate, birro, pene stilografiche e tante altre cose nuove ed interessanti che riempivano il tavolo in quel momento.

Soltanto dopo qualche giorno, quando ero da solo con mia mamma, mi ha detto che dovevo indossare di nuovo il grembiulino, per vedere se andava tutto bene.

Dopo averlo fatto, mia mamma mi aveva chiesto di tenere i miei due indici tesi ed intorno, è passata più volte con una fascia rossa di seta larga quanto le mie dita, che ha fatto diventare all'improvviso, una bella farfallina.

Vestito e con la farfallina intorno al colo, mi sono visto per la prima volta allo specchio.

Sembrava tutto meno brutto di come pensavo.

Con il grembiulino celeste chiarissimo come il cielo di fine estate, il colletto bianco con una forma buffa ma divertente e d'avanti quella grande farfalla rossa di setta quasi trasparente, con appesa a tracollo quella borsetta marrone molto chiaro, ero pronto per cominciare l'asilo.

Ho capito che protestare non serviva.

Il secondo giorno, con mia mamma per mano, dopo aver indossato di nuovo tutto e dopo che nella borsetta mi aveva messo del cibo ed un bicchiere di plastica per poter bere, siamo usciti di casa e siamo andati in una direzione dove non ero mai stato prima.

Dopo aver fatto non tanta strada, siamo passati attraverso un grosso cancello di ferro, oltre una recinzione in cemento che non lasciava vedere nulla da l'altra parte.

Appena entrati, mi sono sentito investito in pieno dalla testa ai piedi da un forte boato.

Era come se mi avesse investito un muro fatto da voci di bambini.

Erano così tanti che mi stavo chiedendo se si erano radunati, i bambini di tutto il mondo.

Di tutte le misure.

I maschietti, quasi tutti, erano vestiti come mio fratello.

Le femminucce, erano ancora più belle di loro.

Ho visto subito che ero della misura più piccola.

In un attimo, siamo andati oltre quel grande gruppo di bambini, nel' angolo più lontano di quel grosso cortile. Li c'era un gruppo molto, molto più piccolo di quello dei bambini più grandi, ma immenso nei confronti di quello dei miei amici, in campagna dai nonni.

Quando le mamme erano ancora con noi, ci hanno divisi in gruppi più piccoli e poi hanno fatto entrare ogni gruppo con la sua maestra, nella sua aula.

Le sedie ed i tavolini erano a nostra misura, come quelle in campagna nella grande casa. Poi, quando tutti insieme, prima le femminucce e poi i maschietti, siamo andati in bagno, ho visto che anche li, era tutto fatto a nostra misura.

Tutto molto bello.

Ho subito visto, fatto ed imparato cose nuove, ma erano tutte meno interessanti di quelle viste, fatte ed imparate a casa dei nonni.

Questo mi piaceva meno.

Tutte le mattine sarei rimasto a casa, perché dovevo andare e rimanere lì dentro per tanto tempo, troppo tempo. Fare tante volte gli stessi giochi che avevo imparato subito e che non mi divertivano più. Stare sempre nello stesso posto, con vicino a me sempre gli stessi due bambini, non potermi alzare ed andare da un amico, o un’amica per dire loro ciò che volevo, quando volevo, non mi piaceva.

Tutte quelle cose nuove, chiamate regole, mi facevano vivere in una sofferenza continua.

Come mai prima.

Stavo un po' meglio soltanto quando ci portavano nel cortile e ci lasciavano liberi, tutti insieme, con i nostri giochi, oppure quando dentro l'aula, ci dicevano che stavamo per fare del lavoro manovale ed ogni volta imparavo qualcosa di nuovo. Soprattutto, quando ci davano carta e matite per disegnare bastoncini, linee ed altre cose tutte in riga, una dietro l'altra sullo stesso foglio.

Stavo ancora meglio, quando mentre mangiavamo, scambiavo il mio cibo con quello del mio amico di fianco, oppure quando buttavo via qualcosa che non mi piaceva, senza che la maestra riusciva a vedere e capire nulla.

Era sempre una grande vittoria.

In tutto quel tempo, l'unico momento di vero sollievo è stato quando ho sentito che era arrivata la vacanza grande.

Quella estiva.

Mi sono sentito ancora più sollevato quando attorno a me, hanno cominciato a dire che dovevamo andare al negozio per comprarmi la roba per la scuola e poco tempo dopo, come l'anno prima, siamo entrati nello stesso cortile pieno di bambini.

Questa volta ci siamo fermati con quelli un pochino più grandi.

Era tutto bellissimo.

Il sole luminoso e caldo, le voci dei bambini, stare insieme a loro, i vestiti.

Tutto.

Poi, quando e venuta una bellissima maestra, con un bel vestito rosa a prendere il gruppo dove mi avevano messo, la prima cosa che ho sentito nel cuore è stata quella di mandare via mia mamma, perché stavo così bene, da sentirmi come a casa.

Entrati nella nostra classe ho visto che anche lì, i mobili erano della nostra misura, ma una misura più grande di quella dell'asilo.

Dopo averci fatto sedere in coppie nei banchi, la maestra ci ha spiegato che eravamo tutti lì per la prima volta.

Noi, perché al primo giorno di scuola nella vita.

Lei, al primo giorno di lavoro come maestra.

Avremmo imparato tutti insieme a camminare, ognuno per la sua strada, facendo tante cose nuove, belle ed interessanti nel viaggio lungo quattro anni, che avremo fatto insieme.

Dopo, ci ha spiegato che i due libri nuovi sul banco, d'avanti ad ognuno di noi, ci avrebbero aiutato in quel anno di scuola per imparare a leggere, scrivere e fare i primi conti. Poi, che la bellissima rosa bianca appoggiata con tanta cura sopra i due libri, era il benvenuto che la scuola, ormai nostra, dava ad ognuno di noi.

Pulcini del primo anno.

Dal primo attimo, mi sono innamorato di tutto, e qualsiasi cosa facevamo, mi piaceva come nessuna mai prima.

Ogni giorno quando andavo via da scuola, non vedevo l'ora di arrivare a casa per fare di nuovo scuola.

I compiti.

Appena finiti, sarei partito per ritornare a scuola e farli vedere alla mia maestra, con il desiderio di andare subito oltre ed imparare un'altra cosa nuova.

Giocavo anche fuori casa tutti i giorni con i miei amici di sempre, ma quelle cose nuove, mi piacevano molto di più.

Vedevo che anche i più grandi intorno a me, in casa erano molto sereni, contenti, e mi lasciavano fare da solo tutte quelle mie cose nuove.

Mi sentivo libero.

Per la prima volta sentivo che stavo facendo qualcosa di importante, e nello stesso momento, sentivo un piacere unico nel fare tutto quello che stavo facendo.

Un piacere mai provato prima.

Purtroppo, è passato tutto molto in fretta.

Mi è sembrato un attimo, dal primo giorno in qui ero entrato nel cortile della scuola, a quando la nostra maestra ci detto che eravamo arrivati all'ultimo giorno di scuola ed alle premiazioni.

Non sapevo cosa significava "le premiazioni", ma a casa, la sera prima, ho visto la mia mamma darsi un gran da fare a preparare la divisa del mio fratello e la mia in un modo più attento, con ancora più cura del solito.

La mattina dopo, siamo partiti tutti insieme e già quella, era una cosa nuova, perché non era mai accaduto di andare a scuola, insieme al mio fratello.

Noi piccoli andavamo a scuola al mattino e quelli più grandi di pomeriggio.

Più ci stavamo avvicinando alla scuola, più mi sembrava di vivere una giornata completamente diversa da tutte le altre.

Una giornata di grande festa.

Era un po' come nel primo giorno, soltanto che sembrava ancora più festa.

C'erano dei bambini, non tanti, che portavano dei mazzi di fiori, ed anch'io come loro, avevo in mano un bel mazzo di rose bianche.

In più, nessuno di noi, aveva la borsa che portava di solito con i libri, quaderni e tutte le altre cose che servivano tutti i giorni.

Arrivati nel grande cortile, si e aperto un altro mondo.

Per me tutto nuovo.

Tutti i bambini, dai più piccoli, ai più grandi erano radunati in un ordine molto bello da vedere.

 

Tutte le classi, una di fianco all'altra, quasi attaccate tra loro.

Quando sono arrivato, sono andato con la mia classe e più venivano i bambini, più prendeva forma una grande ed ampia lettera “U”, che facevamo tutti noi insieme ed alla fine, al centro del lato libero, c'era un palo di ferro altissimo.

All'interno di questa lettera, nello spazio libero, avremmo potuto benissimo giocare una partita di calcio.

Ogni classe, era messa su quattro fila e di fianco la propria maestra.

Sembrava un disegno perfetto.

D'avanti al grande palo, c'era un grosso tavolo addobbato a festa.

La grande lettera “U” era pronta, ed ero meravigliato di tutti noi bambini.

Non riuscivo quasi a credere quando dopo aver chiesto alla mia maestra in quanti eravamo, mi ha risposto: < Più di mille >.

Sul lato libero della lettera “U”, c'erano i genitori.

Molto meno bravi di noi.

Stavano tutti insieme in modo non ordinato.

All'improvviso, quel rumore di voci, immenso, ma non forte, si è fermato all'improvviso.

Se una mosca sarebbe volata vicino a me, l'avrei sentita benissimo.

In quel momento ho visto che soltanto noi, i pulcini del primo anno avevamo la divisa con quale andavamo a scuola tutti i giorni.

Gli altri, erano diversi.

I maschietti avevano i pantaloni blu scuro della divisa e le femminucce una gonna molto bella dello stesso colore. Nella parte alta, avevano tutti una camicia bianca. La cosa tutta nuova per me, era che intorno al colo, avevano una specie di fazzoletto rosso e su tutto il bordo del fazzoletto c'era il tricolore della bandiera nazionale. Tutti, avevano sul capo un basco bianco.

Non ho fatto in tempo ad aprire bocca per riempire di domande, come al solito, la mia maestra, perché il grande silenzio, è stato interrotto da un bel suono di trombe.

Quando è cominciato, i grandi vestiti di bianco, tutti insieme nello stesso momento, hanno alzato il braccio destro, mettendolo d'avanti alla fronte.

Sembrava un saluto come quello dei soldati nei film di guerra, ma era un po’ diverso.

Più il suono delle trombe si avvicinava, più si sentiva che l'emozione in tutti noi, stava crescendo.

Dopo pochi attimi, dal lato libero della lettera “U”, di fianco ai genitori, sono arrivati quattro ragazzi che suonavano le trombe.

Camminavano in due coppie, una dietro l'altra.

Subito dopo, c'erano altre due coppie.

Due ragazze d'avanti e due ragazzi dietro.

Tutti e quattro insieme, tenevano con una mano alta e bene in vista, la bandiera tricolore del paese.

Dietro a tutti loro, c'era il direttore della scuola ed altre due persone.

Appena arrivati vicini al grosso palo di ferro, le trombe si sono fermate e mentre i ragazzi con la bandiera, la legavano al filo steso su tutto il palo, i ragazzi più grandi, quelli vestiti di bianco, tutti insieme, hanno cominciato a cantare la stessa canzone.

Mentre loro cantavano, uno dei ragazzi con la bandiera, ha cominciato a girare una piccola manovella, facendo salire sul palo di ferro la bandiera.

Quando e arrivata in cima, si sono fermati tutti ed è ritornato il grande silenzio.

Era stata una cosa molto bella da vedere, molto emozionante.

Ho sentito un brivido freddo sulla schiena.

Noi non avevamo cantato e non sapevo bene cosa stava succedendo, ma sentivo che eravamo tutti uniti e che facevamo parte di quel grande gruppo.

Bello ed organizzato.

Eravamo tutti insieme.

Dopo pochi attimi di silenzio, il direttore ha proclamato aperta la festività di premiazione dei migliori allievi di quel anno scolastico.

Nell'attimo successivi, la nostra maestra, ancora più bella del solito, ci ha detto di restare lì cosi come eravamo. Non muoverci per nessun motivo e chi si sentiva chiamato per nome, doveva andare da lei.

Poi, è andata dietro al grosso tavolo addobbato.

Da quel momento, uno alla volta, partendo da noi piccoli, ogni maestro andava dietro, al centro del tavolo e chiamava alcuni allievi per nome. Vedevo che gli allievi chiamati si avvicinavano, davano alle maestre i bei mazzi di fiori, e le maestre, dopo averli baciati, davano loro qualcosa. Poi, ognuno tornava al posto suo, ma non prima di essere applaudito.

Tutto molto bello da vedere.

Quando però, al centro del tavolo è andata la nostra maestra e ho subito sentito il mio nome, è stato come se addosso mi era appena caduto il sasso più grande del mondo.

All'improvviso mi sembrava di non sentire più.

Mi sentivo molto piccolo.

Ero diventato così pesante che mentre camminavo, mi sembrava di farlo nello stesso posto.

Mentre mi avvicinavo al tavolo, le persone dietro, mi sembravano sempre più grandi ed il tavolo immenso. I bambini sempre più numerosi e mi sembrava di essere tutto sudato.

Il mio respiro, diventava sempre più affannato.

Appena sono arrivato, dopo un abbraccio ed una carezza sulla guancia, la mia bella maestra mi ha attaccato al suo fianco, alle sue gambe.

La pace è ritornata subito.

Ho visto in quel momento, quanto era bello il verde molto chiaro del suo vestito, quello chiaro, come il gelato.

Con me attaccato a lei, quando ha detto al microfono nell'altra mano, che in quel anno, ero stato il migliore nella nostra classe ed avevo preso il primo premio, mi è sembrato di sentire dentro un’esplosione di luce e di calore, da non poter descrivere con parole.

La pace si è subito trasformata in gioia.

La gioia, in una felicità senza limiti, forte da sentire che se non mi teneva lei, mi sarei alzato da terra.

Avrei cominciato a volare.

Dentro il mio petto, c'era una forza immensa.

Il sole era di un giallo più bello e la luce più luminosa.

Quando tutti i grandi dietro al tavolo, mi hanno dato la mano e mi facevano le loro congratulazioni, erano tornati normali.

Non li vedevo più giganti.

Subito dopo, la mia bella maestra, mentre mi spiegava cosa stava per fare, mi ha dato il diploma per il primo premio e sopra, c'era scritto il mio nome. Insieme, mi ha dato un libro molto bello, molto colorato con una favola che a me piaceva tanto.

La mia preferita.

"Il gatto con gli stivali".

Mentre con le mani piene, provavo a darle il mazzo di rose con i gambi quasi spezzati per quanto li avevo stretti forte, mi sono sentito girato da lei su me stesso, in un modo molto deciso, ma con dolcezza.

Era per la prima volta che vedevo bene tutti i bambini, piccoli e grandi.

Tutti di fronte a me.

Erano tantissimi.

Anche loro sembravano ancora più belli di prima e quando tutti insieme, hanno cominciato ad applaudire, lei, all'orecchio mi ha detto:

< Lo fanno per te, perché sei stato bravo >.

Il Paradiso dei nonni in quel momento, era un ricordo molto bello, ma lontano, perché quella cosa che vivevo, era molto di più.

Per la prima volta ero fuori casa, da solo, d'avanti al mondo.

D'avanti a tutto il mio mondo.

Stavo raccogliendo i miei primi frutti.

I frutti del mio lavoro.

Per me era già il sogno più bello che avevo mai vissuto ad occhi aperti.

Poi, a cerimonia finita, mentre i miei amici mi facevano le congratulazioni e la maestra diceva loro di prendermi come esempio, mi sembrava che all'improvviso, ero diventato un po' più grande di quanto ero stato quella mattina mentre uscivo di casa.

Dentro sentivo una cosa mai sentita prima.

Molto bella, molto interessante, ma non più così semplice, come quando giocavo insieme agli amici, studiavo, o facevo qualsiasi altra cosa. Non sapevo che cos'era, ma una piccola vocina dentro me, sembrava che mi parlava.

Mi diceva che da quel momento, se qualcuno dei miei colleghi di scuola avrebbe avuto dei problemi, delle difficoltà, o qualche bisogno, dovevo aiutarlo.

Dovevo starli più vicino.

I giorni delle vacanze estive passavano uno dietro l'altro abbastanza veloci, ma molto più lenti di quello che volevo.

Non vedevo l'ora di tornare a scuola, anche se non pochi sono stati i problemi che ha avuto mia madre con me, per farmi fare i compiti di vacanza.

La scuola era la cosa che più mi piaceva in quel momento, ma non comprendevo ed ancora meno accettavo, perché dovevo fare dei compiti, mentre mi godevo la vacanza guadagnata con tanto lavoro, impegno e fatica.

Era un mio diritto.

Avevo già impegnato del mio tempo, tempo della mia vacanza, per andare insieme ai miei genitori e tanta altra gente, in un posto, abbastanza vicino a casa, dove si costruiva il nuovo stadio della squadra di calcio della nostra città, appena salita in serie C.

Li, dove tutti i cittadini dovevano fare delle ore di “lavoro volontario”.

Dopo tante contrattazioni tra me ed i miei genitori, non pochi sforzi per tutti e fatti i compiti delle vacanze, finalmente è arrivato un grande sollievo quando siamo andati a comprare ciò che serviva per la scuola.

Era il segnale che a poco si cominciava.

Una gioia immensa ho sentito dentro me, quando una sera, ho visto la mia divisa preparata con tanta cura sulla sedia.

Il giorno dopo, sarei andato a scuola.

La gioia e la felicità di ritrovarci tutti nella nostra classe, erano immense.

Tutti noi, eravamo un po' più grandi.

La nostra aula, sembrava più bella con il nuovo colore sulle pareti appena dipinte.

Sul banco, d'avanti a noi, i libri nuovi che ci aspettavano, non erano più soltanto due.

Erano diventati quattro.

Poi, quando la porta si è aperta ed è entrata una donna molto giovane, la nostra maestra ci ha spiegato che nell'anno appena cominciato, sarebbero successe due cose molto importanti per noi.

La prima, che avremo cominciato a studiare la lingua tedesca e la donna appena entrata era la nostra professoressa di tedesco.

La seconda e più importante, che saremo diventati tutti "pionieri".

Dopo pochi giorni tranquilli all'inizio, giorni in quali ci siamo di nuovo abituati con la scuola, abbiamo cominciato ad imparare tante cose nuove tutti i giorni. Una più bella dell'altra, una più interessante dell'altra.

Tutto bellissimo, non mi annoiavo mai.

Poi, un giorno, la maestra ci ha detto che dovevamo cominciare i preparativi per diventare pionieri.

La prima cosa, ci ha dato su un foglio di carta, una poesia da imparare a memoria ed ogni giorno, dopo le ore in qui si studiava, restavamo tutti insieme a scuola, nella nostra aula, ancora per un’ora.

Dovevamo prepararci bene.

Abbiamo imparato anche la musica di quella poesia.

Era l’inno nazionale del paese.

Abbiamo imparato tanti altri movimenti da fare tutti all'interno della nostra aula. Uscire dai banchi ed andare d'avanti alla lavagna uno per volta, dove poi in gruppo, c'erano da fare altre cose tutti insieme ed alla fine, quel saluto che avevo già visto alla cerimonia di premiazione.

Tutto, per far vedere quanto eravamo bravi, alla compagna comandante istruttrice dei pionieri che veniva ospite nella nostra classe.

Dopo qualche settimana di preparativi, la nostra maestra ci ha detto che il giorno dopo, sarebbero stati fatti pionieri la metà di noi, scegliendo quelli con i risultati migliori nel anno scolastico passato. Ci ha spiegando che doveva fare cosi, perché alla cerimonia dovevano venire anche i genitori e non c'era posto per tutti insieme nella nostra aula.

Era per la prima volta che dentro sentivo nello stesso momento gioia, ma anche qualcos'altro.

Una cosa mai sentita prima.

Una cosa che toglieva un po' di quella gioia e mi faceva fare tante domande parlando me con me. Tra tutte queste domande, c'era una più forte che non si fermava mai, mi girava in continuazione nella testa.

Avevo anche due risposte, ma non sapevo quale era quella buona.

< Andava bene fare come ha detto la maestra, oppure sarebbe stato meglio senza i genitori, ma tutti noi colleghi insieme, nello stesso giorno? >

Senza sapere quale era la risposta giusta, è arrivato il giorno in qui, sono andato a scuola, vestito con i pantaloni della divisa ed intorno una cintura abbastanza larga fatta per quei momenti, la camicia bianca ed il basco bianco sul capo.

 

Appena arrivato, nella nostra classe, c'era aria di grande festa.

Tutti i genitori, uno per ogni bambino, si sono seduti in fondo al' aula e noi, i primi diciotto della classe, nei banchi d'avanti.

Ognuno aveva d'avanti a sé, un bel garofano rosso per la compagna comandante istruttrice.

Era tutto molto bello, ma non sentivo la stessa gioia, la stessa serenità, la stessa leggerezza, come alla cerimonia di premiazione dell'anno passato. Forse era perché avevamo dovuto preparare tutto molto bene, in tanti giorni di lavoro. Forse perché, non eravamo tutti noi colleghi insieme. Forse perché la mia bella maestra mi sembrava meno bella e più preoccupata. Forse perché anche i genitori sembravano meno sorridenti.

Forse tutto insieme.

All'improvviso, ho cominciato a chiedermi, se quella sarebbe stata la giornata delle tante domande senza risposta, perché mentre mi stavo dando un bel d'affare a trovarle, ho sentito dal corridoio il suono delle trombe, come quello della premiazione.

La cosa nuova, ma anche molto curiosa, era che tutti i grandi, sembravano diventati in quel momento, meno sereni.

Forse più rigidi.

Non avevo più tempo per fare domande.

La porta della classe si è aperta e sono entrati i due ragazzi che suonavano le trombe.

Dietro a loro, un ragazzo ed una ragazza che portavano: uno, la bandiera tricolore del paese e l'altra, la bandiera rossa dei pionieri. Dietro a loro, uno di fianco all'altra, due ragazze ed un ragazzo.

Tutti erano vestiti da pionieri, ma gli ultimi tre, avevano un filo blu, mai visto prima.

Partiva dalla spala sinistra e dopo che scendeva quasi fino alla cintura, faceva una curva molto ampia e molto bella, salendo fino al bottone del taschino sinistro, sul petto della camicia. Quello della ragazza in centro era più scuro e quelli della ragazza e del ragazzo ai suoi fianchi, erano più chiari.

Sembravano i grandi comandanti nei film di guerra.

Alla fine è entrata nella classe una donna quasi anziana e non bella.

L'avevo vista una sola volta, dietro al grande tavolo alla cerimonia di premiazione dell'anno passato. In mano aveva una cosa, come un grande vassoio, su quale erano messi con tanta cura, quei fazzoletti rossi con il bordo tricolore.

Le nostre cravatte da pionieri.

Quando la compagna comandante istruttrice ha posato sulla cattedra il suo vassoio, le trombe si sono fermate.

Lei ha salutato tutti e subito dopo, ha cominciato a parlare, dicendoci che i tre con il filo blu, erano: il comandante ed i due vice comandanti dei pionieri per la nostra unità, cioè, la nostra scuola. Spiegandoci poi, che in quel giorno, anche noi diventavamo pionieri.

Pionieri, che sono la forza e l'orgoglio per il futuro del paese.

Da quel giorno diventavamo più grandi e dovevamo essere ancora più bravi nello studio e più responsabili in tutto quello che facevamo. Dovevamo cominciare a servire il nostro paese come pionieri, in tutte le nostre attività.

Poi ha dichiarato aperta la cerimonia del nostro ingresso nelle fila dei pionieri.

Mentre uno dopo l'altro, in ordine alfabetico, siamo andati d'avanti alla lavagna e la compagna comandante istruttrice metteva ad ognuno la cravatta intorno al colo, anche se ero molto attento e presente in tutto quello che succedeva, il mio cassetto dei pensieri e domande, senza chiedermi il permesso si è aperto di nuovo.

Da una parte c'era molta emozione, perché, entravo nelle fila dei pionieri della nostra scuola ed ero molto contento.

Da l'altra parte, mi sembrava di vivere un qualcos'altro che non mi lasciava ad essere contento del tutto.

Non sapevo bene cosa, ma forse era quella comandante istruttrice che in tutto quello che faceva e diceva, era molto seria e molto decisa.

Forse anche troppo.

Fredda.

Rigida.

Quasi aggressiva.

Mentre ero in mezzo a tutto questo, ho sentito il mio nome.

Sono saltato in piedi ed i miei pensieri sono finiti non lo so dove.

Con decisione e sicurezza, così come ci aveva insegnato la nostra maestra, ho fatto i pochi passi e quando la maestra compagna comandante si è piegata per mettermi intorno al colo la mia cravatta, ho visto che oltre ad essere anziana, era anche non bella. Non mi piaceva.

Mi chiedevo perché il suo viso era cosi dipinto.

Le sopracciglia, le palpebre, le guance ed anche le labbra.

In quel momento ero fiero di diventare pioniere, ma non vedevo l'ora di andare subito vicino ai miei colleghi, allontanarmi da lai e di tutte le cose che mi ha detto, ho capito soltanto che dovevo essere "degno".

Mentre facevo attenzione per rispettare tutti i movimenti da fare d'avanti a lei: dal saluto da pioniere, a darle la mano e ringraziarla promettendo di essere sempre pronto per servire quando mi veniva chiesto, darle il garofano, fare dietro front ed andare al mio posto nella nuova formazione, mi sentivo come spinto da un qualcosa per fuggire via da lei.

Prima possibile.

Pochi momenti dopo aver messo intorno al collo, la cravatta all'ultimo bambino, aver consegnato alla nostra classe la bandiera tricolore del paese e quella rossa dei pionieri, con la scritta gialla < Sempre Avanti > che era il saluto dei pionieri, per la prima volta, tutti insieme, abbiamo cantato l'inno nazionale. Subito dopo, la maestra compagna comandante ha dichiarato chiusa la cerimonia, andando via nello stesso modo come era venuta.

Quando la porta della classe si e chiusa, è cominciata la festa.

La nostra maestra ha cominciato a baciarci uno ad uno.

La formazione ordinata non c'era più.

Tutto era più tranquillo ed anche i genitori che fino in quel momento sembrava che stavano lì senza muoversi e neanche respirare, li vedevo di nuovo come li ho sempre visti.

Come li conoscevo.

Si sono avvicinati a noi, per abbracciarci e baciarci ed in quel momento si sentiva forte la festa.

I dubbi che mi erano venuti prima, se mi piaceva ancora diventare pioniere, erano svaniti tutti, perché in quel momento ero felice di esserlo. Poi, quando tutti insieme, uno ad uno, con i genitori, da soli, con e senza la maestra, abbiamo fatto le foto, ho anche visto che eravamo tutti molto beli vestiti da pionieri.

Più luminosi.

La festa si sentiva ancora di più.

Andando verso casa, insieme ad altri colleghi che vivevano vicino ed i loro genitori, ci siamo fermati alla confetteria, per concludere la festa con dei bei dolci e succhi di frutta, fatti lì, nel loro laboratorio.

A poche settimane distanza, dopo che tutti i bambini della classe erano diventati pionieri, la maestra ci ha detto che un giorno dovevamo fermarci dopo scuola, al meno per un’ora.

Per fare le elezioni nella nostra classe.

In quel periodo, ci sono state così tante cose nuove, così tanti comportamenti nuovi belli e meno belli e così tante parole sentite per la prima volta e tutto in così poco tempo, che ho deciso di smettere a fare domande ai grandi su ogni cosa e scoprire tutto al modo mio.

Nel giorno in qui la maestra ci ha detto di andare a scuola vestiti da pionieri il giorno dopo, perché c'erano le elezioni, ho soltanto obbedito, aspettando con curiosità, ma senza entusiasmo di vedere cosa doveva succedere.

Dopo scuola, nella nostra aula, ci siamo preparati e stavamo aspettando gli ospiti.

Dovevano venire ragazzi delle medie insieme alla loro dirigente della classe. Mentre li stavamo aspettando, la maestra ha messo bene in vista, d'avanti alla lavagna, le due bandiere della nostra classe.

Quando la porta si è aperta, in modo molto ordinato, sono entrati i due porta bandiera con le due bandiere della loro classe, tre ragazze, due ragazzi e dietro a loro, la dirigente della loro classe.

Dopo che la loro dirigente ha posato sulla cattedra il grande vassoio che aveva in mano ed i ragazzi si sono sistemati d'avanti alla lavagna in una specie di formazione, tutti insieme abbiamo cantato l'inno nazionale, poi, la dirigente ha dato loro il commando di riposo. In quel momento ho visto che tutti, avevano un filo che scendeva dalla spala sinistra al taschino della camicia, uguale come forma ai tre visti, quando siamo stati fatti pionieri, ma di colori diversi.

Uno, era giallo e quattro erano rossi.

I ragazzi venuti, hanno cominciato a spiegarci che la nostra classe si doveva organizzare ancora di più per poter dare risultati sempre migliori nello studio e nel lavoro.