Posseduta Dagli Alfa

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Capitolo tre

Bryce accarezzò il fianco dell’omega con le dita mentre la guardava dormire. Era circondato dal suo profumo allettante, che aveva impregnato ogni fessura dell’ufficio.

Non sarebbe mai riuscito a lavorare di nuovo lì dentro senza diventare duro, senza pensare al suo corpo, il suo sapore, il morso delle sue unghie mentre esigeva di più. Ogni sguardo alla scrivania, al divano, al muro – ogni cosa gli avrebbe riportato alla mente quella notte. L’avrebbe rivista davanti a sé, piegata sulla scrivania, i seni premuti contro la superficie. Avrebbe ricordato il suo aspetto, le cosce formose spalancate mentre Joshua immergeva il suo cazzo dentro di lei, la schiena contro il muro, le gambe avvinghiate intorno ai suoi fianchi. Erano immagini di cui non sarebbe riuscito a liberarsi.

Joshua era svenuto sul divano, il suo russare esausto una testimonianza di quanto duramente ognuno di loro si fosse impegnato per soddisfare la povera omega.

Nonostante fossero in tre a occuparsi di lei, il calore di un’omega non era una cosa adatta ai deboli. Il corpo della donna le aveva urlato contro e lei aveva usato denti e unghie per soddisfarlo. Avevano fatto a turno, lasciandole il tempo di riprendersi prima che il suo corpo si scaldasse di nuovo, che le sue cosce si bagnassero e iniziassero a sfregare l’una contro l’altra, segnalando l’insorgere di una nuova ondata di desiderio. Ogni volta, uno di loro si era fatto avanti, pronto a offrirle ciò di cui aveva bisogno. Entro mattina, sarebbero stati tutti doloranti.

Sebbene avessero già avuto delle omega in passato, non lo avevano mai fatto con una in calore. I rischi erano troppo alti.

Chi era?

Perché si era introdotta nel loro ufficio?

Perché diavolo avevano reagito a quel modo?

Certo, l’istinto aveva fatto la sua parte. Qualsiasi alfa avrebbe fatto fatica a respingere un’omega in calore. Provavano dolore quando non trovavano soddisfazione, quando nessun alfa usava il suo nodo su di loro e alcune potevano persino farsi del male o morire se rimandavano troppo a lungo. Anche se fosse stato in grado di resistere a quell’esigente istinto, Bryce non riusciva a immaginare di lasciare un’omega a soffrire.

A giudicare dal rossore sul suo viso e dalle ore che c’erano volute perché il calore iniziasse a scemare, l’omega aveva atteso fottutamente troppo.

Il solo pensiero gli fece serrare la mano sul suo fianco. Perché avvelenarsi con gli inibitori per così tanto tempo? Perché negare un bisogno primario fino a rischiare di mettere a repentaglio la salute e la sicurezza?

A volte le omega avevano bisogno degli inibitori, come quando erano ricoverate in ospedale, dove il calore poteva rivelarsi più pericoloso delle medicine, soprattutto se circondate da alfa. La presenza dei feromoni degli alfa poteva innescare il calore e, più a lungo l’omega lo aveva negato, maggiori erano le probabilità che accadesse. Era una questione di costi e benefici.

Tuttavia, non sarebbe mai riuscito a comprendere quelle omega che li prendevano in continuazione, che ingoiavano pillole tutti i giorni per tenere a bada qualcosa che era scritto nel loro DNA. Certo, il calore era sgradevole, estenuante e fastidioso. Eppure, era parte della loro natura. A Bryce non piaceva che l’odore dell’eccitazione di una donna gli facesse comparire un’erezione, ma era nella sua natura. Non avrebbe ingoiato del veleno per fermarlo.

Con lei, tuttavia, andava al di là del non comprendere. Si era trasformato in rabbia, in frustrazione. E se fosse andata in calore vicino ad alfa meno onesti? Vicino ad alfa che avrebbero abusato di lei? Che le avrebbero fatto del male? Che avrebbero approfittato della situazione?

Quando in calore, un‘mega non aveva alcuna difesa, alcun potere, niente. Diventavano schiave dei loro bisogni e del loro istinto.

Bryce scosse la testa e, quando l’omega emise un gemito sofferente nel sonno, allentò la presa.

La spossatezza iniziò a farsi sentire, ricordandogli che Kaidan e Joshua stavano già dormendo e che anche lui avrebbe dovuto fare lo stesso. Aveva aspettato, si era trattenuto finché gli era stato possibile farlo, i muscoli indolenziti e le palpebre rese pesanti dalla fatica.

Alla fine, si arrese. Si sistemò sul pavimento, il cuscino sotto la testa dell’omega, il suo braccio intorno a lei. Fece un ultimo profondo respiro, lasciando che il profumo della donna lo marchiasse più a fondo di quanto si sarebbe immaginato.

Doveva fare il pieno di energia perché, una volta svegli, avrebbero avuto un’omega con cui fare i conti e sospettava che si sarebbe rivelata piuttosto difficile da gestire.

* * * *

Non era stata la luce a svegliare Claire. Non era stata neanche la posizione scomoda in cui aveva dormito, o le cosce appiccicaticce, o il profumo di alfa, o il dolore in ogni suo muscolo.

No, a svegliarla era stato l’alzarsi e l’abbassarsi della sua testa. Ritmico. Regolare. Ininterrotto.

Socchiuse gli occhi, le sopracciglia aggrottate. Dove si trovava?

I ricordi della notte le tornarono alla mente quando capì che cosa avesse causato il movimento. La sua guancia riposava sul petto nudo di Bryce.

Sollevò la testa, muovendosi lentamente, terrorizzata dall’idea di svegliarlo. L’alfa aveva i capelli scuri rizzati dove si faceva da cuscino con il braccio. La peluria del viso, corta e curata, che ombreggiava la sua mascella spiccava sulla sua pelle abbronzata e le sue labbra piene erano premute fra loro, un aspetto duro persino nel sonno.

Da lì, le cose non facevano che peggiorare. Claire era sdraiata per terra e dietro di lei era sdraiato Kaidan. Joshua dormiva sul divano, anche se il suo braccio pendeva di lato, le dita sulla sua caviglia, come se non potesse dormire senza un qualche tipo di contatto. I suoi capelli biondi, più lunghi di quelli degli altri, erano tirati indietro dal viso. La linea dura della sua mascella era in bella mostra sulla sua faccia ben rasata. Nel sonno, la sua bellezza da playboy era priva di quel lato minaccioso che aveva prima. Dormiva sulla schiena, l’allettante restringersi dei suoi fianchi, dove i suoi addominali conducevano alla sottile scia di peli chiari che scendeva fino all’inguine, in bella vista. Nel momento in cui il suo sguardo cadde sul suo cazzo, Claire lo distolse velocemente.

Persino dopo essere stata con Kaidan, non era finita. Il ricordo di ognuno di loro le tornò alla mente, di come fosse passata dall’uno all’altro, così velocemente verso la fine da fare a malapena una pausa. Il successivo l’aveva toccata e baciata, eccitandola di nuovo, prima che avesse finito con il precedente.

I capelli scuri e rasati di Kaidan le ricordarono di come avesse fatto scorrere le mani sulla sua testa mentre lo baciava. Le cosce di Claire erano arrossate dove la sua corta barba aveva sfregato contro la sua pelle. L’alfa non indossava nulla, il che significava che le linee marcate del suo corpo erano bene in vista. Le sue spalle larghe mostravano degli avvallamenti dove i suoi muscoli si avvolgevano intorno al suo corpo e Claire ripensò a come avesse usato quei muscoli per tenerla sollevata.

Quanti giri aveva fatto? I ricordi della notte erano confusi, così come il tocco delle loro mani, le chiare differenze fra ogni uomo. Non ne aveva idea.

Quello che sapeva era che doveva andarsene da lì prima che uno di loro si svegliasse.

Gli alfa tendevano a tenersi strette le omega quando le trovavano, quando usavano il loro nodo. Claire non poteva permettere che la trattenessero, non poteva essere registrata. Aveva cose da fare, persone di cui occuparsi.

Si alzò lentamente, stando attenta a posare la mano sul pavimento nello spazio fra i loro corpi e a non muoversi troppo velocemente per non svegliarli.

Gli uomini avevano passato la notte a soddisfarla e, a giudicare dalla profondità del loro sonno, ne stavano pagando le conseguenze. Lei, invece, era piena di energia, grazie al calore. Più che altro, voleva del cibo. Molto cibo ricco di proteine per recuperare le forze.

Ma avrebbe dovuto aspettare. Prima di tutto, doveva lasciare quell’ufficio e correre il più lontano possibile.

Si liberò dalla sua posizione in mezzo a Bryce e Kaidan, ignorando i loro corpi ancora nudi e tutte le cose che avevano fatto con essi la notte precedente. Non poteva rischiare che un’altra ondata di feromoni li svegliasse.

Si mosse silenziosamente per la stanza sulla punta dei piedi. Non riusciva a trovare le mutande, ma non perse tempo con l’intimo. Trovare i pantaloni e la maglietta e indossarli nel minor tempo possibile, prima che si svegliassero, era molto più importante. Non poteva camminare fino a casa nuda e con dello sperma secco sulle gambe e in molti altri punti del suo corpo.

Claire fu presa dal desiderio di sollevare un braccio e leccarne via una macchia, e quasi lo fece, prima di scrollarsi il pensiero di dosso. No. Quella follia doveva finire.

Si tirò su i jeans e li abbottonò, prima di afferrare la maglietta. Senza il reggiseno e le mutande, il tessuto strofinava contro la sua pelle, irritandola. Ignorò la sensazione di disagio, perché preferiva un’irritazione all’idea di svegliare i tre alfa.

Un brontolio proveniente dal pavimento le fece ruotare di scatto la testa in quella direzione. Le sopracciglia di Bryce si unirono, mentre la sua mano tastava in giro, come se il suo corpo avesse percepito l’assenza di Claire persino nel sonno.

Doveva andarsene, subito. Se non lo avesse fatto, si sarebbero svegliati. Avrebbero potuto chiamare la polizia, avrebbero potuto farle domande sul perché si trovasse lì, avrebbero potuto semplicemente trattenerla e non lasciarla andare mai più.

 

Quindi, Claire abbandonò le scarpe, le calze e tutto il resto. Avrebbe camminato a piedi nudi. Meglio qualche taglio sui piedi che restare.

Qualsiasi cosa pur di non affrontare i tre alfa.

* * * *

Bryce camminava avanti e indietro, la sua rabbia un’ondata di fuoco che avrebbe fatto indietreggiare la maggior parte delle persone.

Kaidan si limitò a sbadigliare, mentre lo osservava dal suo posto sul divano. Il temperamento instabile di Bryce era normale quanto respirare. Infatti, se Bryce era calmo, allora c’era da preoccuparsi.

«Come ha potuto andarsene?» disse Bryce, passando vicino a dove sedeva Kaidan.

Joshua, seduto al computer e preso a scovare informazioni, rispose: «Era titubante. Lo hai visto. Credevi davvero che sarebbe rimasta qui?» Il suo sguardò non si alzò mai dallo schermo.

I due si erano svegliati e dei ringhi erano usciti a forza dal loro petto, quando si erano allungati verso un’omega che se ne era andata da tempo, abbastanza perché il suo posto diventasse freddo. Il fatto che avessero dormito mentre se ne andava dimostrava quanto li avesse sfiniti, o quanto fosse brava a sgattaiolare via. A giudicare dal modo in cui aveva fatto scattare ogni misura di sicurezza introducendosi nel loro ufficio, sospettava fosse la prima.

Eppure, Kaidan non riusciva a scuotersi il suo profumo dalle narici. Non riusciva a dimenticare quanto dolcemente si fosse concessa a lui, il modo in cui le sue cosce si erano spalancate in segno di resa.

Non fiducia, non ancora, ma non poteva certo biasimarla. Essere montata da degli estranei duranti il calore non era il genere di cosa che un’omega avrebbe desiderato.

Sta mangiando? Si sta prendendo cura di sé?

Kaidan si massaggiò il naso, mentre le domande frullavano nel suo cervello.

Un’omega era quasi più vulnerabile finito il calore. Una volta appagata, si sentiva stanca, debole, bisognosa di un po’ di riposo e del nutrimento adeguato. Si sarebbe dovuta raggomitolare in un nido, con l’alfa che l’aveva soddisfatta a prendersi cura di lei, non andarsene in giro tutta sola.

«Trovato qualcosa?» Bryce si fermò di fianco al divano, il suo sguardo puntato sull’oggetto d’arredo, come se stesse rivivendo tutto ciò che vi era accaduto la notte precedente. Allungò la mano con il palmo aperto e poi la chiuse a pugno, come a volerla afferrare e avvicinare a sé.

Una strana reazione.

Bryce, fra loro, era quello che sentiva meno la mancanza delle donne. A Kaidan mancavano quando le condividevano, come erano soliti fare di tanto in tanto, ma sapeva che il suo amico non desiderava niente di duraturo. Eppure, la verità era ben visibile sul suo volto.

L’omega gli mancava.

Joshua non era da meno. Sebbene avesse ringhiato e imprecato meno, si era mosso con la determinazione di un uomo con una missione importante. Si era seduto alla scrivania, aveva acceso il computer e si era messo al lavoro nel momento stesso in cui si era reso conto che l’omega se ne era andata. Anche quando prendeva parte alla conversazione, anche quando rispondeva alle domande, la sua attenzione non si spostava mai dallo schermo.

«Forse dovremmo lasciarla andare.»

«Che cosa?» Entrambi gli uomini fecero la stessa domanda con lo stesso tono affilato.

Kaidan fece ruotare le spalle, indolenzite dai graffi profondi che l’omega gli aveva lasciato sulla schiena la notte precedente. «Siamo stati chiari nel dire che non volevamo niente di duraturo, giusto? Non ha trovato niente nei nostri sistemi, non ha trovato ciò che stava cercando, quindi perché rintracciarla?»

Gli occhi di Joshua si assottigliarono, ma non parlò.

Bryce si voltò e il suo labbro si sollevò come se non potesse farne a meno. «Si è introdotta nel nostro cazzo di ufficio, Kaidan. Vuoi davvero lasciar correre? E se stesse lavorando per qualcuno che ci vuole morti? Abbiamo già abbastanza nemici senza doverci preoccupare di una donna che esegue i loro ordini.»

«Se si fosse trattato di un nemico, sarebbe stata più preparata. Quella ragazza non aveva idea di quello che stava facendo. Darle della dilettante sarebbe farle un complimento. Se quello fosse il meglio che possono fare i nostri nemici, penso che ne sarei offeso.»

«Potrebbe trattarsi di un inganno, potrebbe essersi presa gioco di noi. O qualcuno la stava usando.»

«Mandando un’omega prossima al calore? Di nuovo, non avrebbe alcun senso e se anche fosse vero, lei sarebbe innocente. Smettila di piegare i fatti a tuo piacimento. Ammettilo, non ha niente a che vedere con il suo aver fatto irruzione qui.»

Bryce non rispose, non si calmò, non ammise nulla. No, non Bryce. Quell’uomo era ostinato come un mulo e due volte più ottuso. Tuttavia, quella riluttanza ad arrendersi lo rendeva un buon capo e un buon amico.

Joshua spezzò la situazione di stallo. «Potrebbe essere incinta.»

«Le probabilità—»

«Non importa. C’è una possibilità e, se lo è, potrebbe essere di uno qualunque fra noi. C’è una ragione se non abbiamo mai preso un’omega in calore prima d’ora e, ora che è successo, sei disposto a ignorare l’eventualità? Sei disposto a lasciare che se ne vada senza una parola, quando potrebbe avere il figlio di uno di noi in grembo?» La parola “figlio” uscì dalle labbra di Joshua pesante e impacciata. La perdita lascia delle brutte ferite.

Bryce emise un brusco respiro. «Vorresti dirmi che non vuoi trovarla? Pensavo che avresti colto al volo l’occasione.»

Kaidan si alzò dalla sedia. «Certo che sono interessato, ma l’ultima cosa che voglio è prendermi gioco di quella ragazza. Non ha bisogno di noi tre che facciamo irruzione nella sua vita, se poi voi due decidete di non volere qualcosa di più. Non è giusto nei suoi confronti.»

«E a te piace sempre essere giusto, vero?» scattò Bryce, cercando di aizzare Kaidan. Lottare era più facile che ammettere la verità.

Kaidan non gli diede nulla contro cui infuriarsi, lasciando invece che le sue parole ribollissero nella stanza.

Alla fine, le spalle di Bryce si abbassarono di un paio di centimetri. «Voglio trovarla, okay? Potrebbe essere nei guai, deve essere coinvolta in qualcosa di più grande di lei se è entrata qui. L’idea che possa essere in pericolo non mi piace.» Esitò, poi continuò, la sua voce bassa. «E l’idea di non vederla più è anche peggio, okay?»

Kaidan sorrise di fronte all’onestà petulante dell’altro uomo. «Non era così difficile, no? D’accordo, andiamo a cercarla.»

«Se riusciamo a capire chi è.»

Joshua si alzò in piedi, facendo scivolare il cellulare nella tasca. «So esattamente chi è, o chi finge di essere, perlomeno. Su, andiamo a trovare la nostra omega ribelle.»

* * * *

Tiffany, seduta su uno sgabello di fronte a Claire, sorrise, facendo oscillare le gambe. «Credo che mi piaccia.»

Claire stava lavorando sul registro che aveva di fronte, suddividendo gli ordini in sospeso in diversi gruppi, uno per quelli da richiamare, uno per quelli da mettere in attesa e uno per quelli da chiamare per dire loro che non sarebbe riuscita a recuperare l’articolo. «Stai attenta, Tiffany.»

La giovane ragazza era appoggiata con il gomito sul bancone, i suoi capelli raccolti in uno chignon spettinato. Non era poi così giovane, in realtà, a diciotto anni, ma le ricordava troppo se stessa a quell’età, la sua innocenza e la sua fede nella fondamentale bontà del mondo.

Claire aveva dovuto imparare la lezione da un alfa che aveva desiderato di possederla. Avrebbe fatto di tutto perché Tiffany non lo imparasse allo stesso modo.

Qualcuno si era fatto avanti per rimettere insieme i pezzi di Claire, per aiutarla a crescere e a ricostruire se stessa. Aveva avuto qualcuno che le aveva insegnato come nascondere ciò che era, come crearsi una vita e Claire si sforzava ogni giorno per fare altrettanto per altre omega.

«So di dover fare attenzione, ma non ci si può semplicemente nascondere.»

«Come farai a nascondergli i tuoi inibitori, se le cose dovessero diventare serie? Cosa farai se andrai in calore? E se dovessi andare parzialmente, se le medicine non dovessero funzionare? Non puoi nascondere una cosa del genere da qualcuno con cui sei molto intima.»

Tiffany fece scorrere le dita sui solchi del bancone della libreria di Claire. La sua voce suonò debole e insicura. «Hai mai pensato di trovare un alfa?»

Lo sguardo di Claire si alzò di scatto, le liste dimenticate. «Che cosa?»

Tiffany evitò di guardarla negli occhi. «Voglio dire, e se prima imparassi a conoscerlo, prima che scopra cosa sei? Potresti frequentarlo e, se ti piace, se ti fidi, potresti dirgli cosa sei. Non dovresti nasconderlo, a quel punto.»

Il cuore di Claire prese a battere contro le sue costole, mentre quella paura che non se ne andava mai via iniziava a crescere. Tiffany era giovane. Non aveva idea di quanto potessero essere pericolosi gli alfa, di cosa fossero in grado di fare. Fluttuava ancora fra i racconti romantici di alfa che reclamavano le loro omega e si prendevano cura di loro.

Non era che una fantasia, una fantasia molto pericolosa.

«Ti prego, dimmi che non ti stai vedendo con un alfa.» Quando la ragazza non rispose, Claire le afferrò la mano, desiderosa di essere ascoltata. «Stai giocando a un gioco pericoloso, Tiff. Fidati di me, so cosa può fare un alfa.»

Tiffany allontanò la mano, sul suo viso l’espressione da so-tutto-io tipica della gioventù. «Non lo conosci, come puoi dire una cosa del genere? Non tutti gli alfa sono uguali.»

«Lo sono, invece. Nel profondo, lo sono. E quando lo capisci, quando te lo rivelano, è troppo tardi ormai per fuggire.» Claire fece un respiro profondo e cercò di governare la propria rabbia, le proprie paure. Tiffany non le avrebbe mai prestato ascolto se non si fosse calmata e, se avesse insistito troppo, la ragazza sarebbe potuta fuggire dall’alfa e lontano da lei. «Promettimi solo di fare attenzione. Pensaci, okay?»

L’espressione dura sul viso di Tiffany si allentò. Annuì e i suoi lineamenti giovanili fecero stringere il cuore a Claire.

Quante omega aveva visto prendere quelle decisioni sbagliate? Quante si erano rifiutate di prestare ascolto ai consigli di Claire ed erano rimaste uccise o peggio? I corpi che aveva identificato, le tombe che aveva visitato, i visi contusi che non aveva più rivisto – la perseguitavano tutti. Non poteva vedere Tiffany tra loro, un’altra omega perduta per colpa dell’ego di un alfa.

Il campanello situato sulla porta ruppe il silenzio e Claire offrì un sorriso a Tiffany, per farle sapere che non era arrabbiata. Claire era sempre stata attenta a rassicurare tutte le omega che aveva aiutato, di cui si era presa cura, a cui aveva insegnato, che avevano un posto in cui stare. Non importava cosa avessero fatto, quanto si fossero allontanante dai consigli di Claire, avevano sempre una casa insieme a lei. Per un gruppo emarginato, perseguitato e abusato così spesso, un luogo sicuro era molto importante.

Claire si voltò verso il nuovo cliente, solo per trovarsi davanti i tre alfa di due giorni prima.

L’avevano trovata.