Il Giuramento

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Susan parlò per la prima volta. “È un pessimo momento perché se ne vada. Il tempismo non potrebbe essere peggiore. Il suo Paese ha bisogno di lei.”

La guardò. “La sa una cosa, Susan? Non è vero. Lo pensa perché sono quello che per caso ha visto in azione. Ci sono milioni di persone come me. Ci sono persone più capaci di me, con più esperienza, più quadrate. Lei pare non saperlo, ma alcuni pensano che io sia una testa calda.”

“Luke, non può lasciarmi così,” disse lei. “Barcolliamo sull’orlo di un disastro. Sono incastrata in un ruolo che non… non me lo aspettavo. Non so di chi fidarmi. Non so chi è buono e chi è cattivo. Quasi mi aspetto di girare l’angolo e beccarmi un proiettile in testa. Devo avere intorno la mia gente. Gente alla quale posso rimettere tutta la mia fiducia.”

“Io faccio parte di questa gente?”

Lo guardò direttamente negli occhi. “Lei mi ha salvato la vita.”

Richard Monk si intromise nella conversazione. “Stone, quello che non sa è che l’Ebola è replicabile. Alla riunione non se n’è parlato. Wesley Drinan ci ha detto in confidenza che è possibile che persone con le giuste attrezzature e conoscenze possano farne dell’altro. L’ultima cosa che ci serve è uno sconosciuto gruppo di persone che se ne va a spasso con il virus Ebola utilizzabile come arma, cercando di farne delle scorte.”

Luke guardò di nuovo Susan.

“Accetti il lavoro,” disse Susan. “Scopra cos’è accaduto alla donna scomparsa. Trovi l’Ebola. Quando torna, se vuole davvero ritirarsi, non le chiederò altro mai più. Qualche notte fa abbiamo cominciato qualcosa insieme. Faccia quest’ultima cosa per me e sono pronta a dire che il lavoro è terminato.”

I suoi occhi non lasciarono mai quelli di Luke. Era il tipico politico, per molti versi. Quando ti raggiungeva, ti aveva preso. Era difficile dirle di no.

Luke sospirò. “Posso partire in mattinata.”

Susan scosse la testa. “Abbiamo già un aereo che l’aspetta.”

Luke sgranò gli occhi, sorpreso. Fece un respiro profondo.

“Okay,” disse alla fine. “Ma prima devo mettere insieme delle persone dello Special Response Team. Sto pensando a Ed Newsam, Mark Swann e Trudy Wellington. Newsam è in malattia adesso, ma sono piuttosto sicuro che se glielo chiedo tornerà in servizio.”

Susan e Monk si scambiarono uno sguardo.

“Abbiamo già contattato Newsam e Swann,” disse Monk. “Hanno accettato entrambi, ed entrambi sono per strada diretti all’aeroporto. Temo che Trudy Wellington non potrà esserci.”

Luke si accigliò. “Non sarà nella squadra?”

Monk abbassò lo sguardo su un taccuino giallo che aveva in mano. Prese un breve appunto. Non si sprecò ad alzare lo sguardo. “Non lo sappiamo, perché con lei non ci siamo messi in contatto. Purtroppo usare la Wellington è fuori questione.”

Luke si voltò verso Susan.

“Susan?”

Adesso Monk alzò il capo. Lasciò passare lo sguardo avanti e indietro da Luke a Susan e viceversa. Parlò ancora, prima che Susan dicesse una parola.

“Wellington non è pulita. Era l’amante di Don Morris. Non è proprio possibile che possa partecipare a questo lavoro. Non verrà neanche impiegata nell’FBI per un mese a partire da adesso, e per allora potrebbe anche essere sotto accusa di tradimento.”

“Mi ha detto che non ne sapeva nulla,” disse Luke.

“E lei le crede?”

Luke non si degnò neanche di rispondere alla domanda. La risposta non la conosceva. “La voglio,” disse semplicemente.

“Oppure?”

“Stasera ho lasciato mio figlio a fissare un persico spigola sulla griglia, un pesce che abbiamo pescato insieme. Potrei ritirarmi subito. Mi piaceva essere un docente universitario. Sto pensando di ricominciare. E sto pensando di veder mio figlio crescere.”

Luke fissò Monk e Susan. Loro lo fissarono.

“Allora?” disse loro. “Che ne dite?”

CAPITOLO SETTE

11 giugno

2:15

Ybor City, Tampa, Florida

Era un lavoro pericoloso.

Così pericoloso che andare al piano del laboratorio non gli piaceva proprio.

“Sì, sì,” disse al telefono. “Abbiamo quattro persone, al momento. Ne avremo sei finito il turno. Entro stanotte? È possibile. Non voglio promettere troppo. Chiamami verso le dieci, e avrò un’idea migliore.”

Rimase un attimo in ascolto. “Be’, direi che un furgone è abbastanza grande. Con quelle dimensioni può arrivare tranquillamente alla zona di carico. Questi cosi sono così piccoli che non si vedono a occhio nudo. Nemmeno un bilione di quei cosi prenderebbe troppo spazio. Se proprio dobbiamo, potremmo metterli tutti nel bagagliaio di una macchina. Ma in caso suggerirei due macchine. Una per andare in strada, e una per andare all’aeroporto.”

Riappese. Il nome in codice dell’uomo era Adam. Il primo uomo, perché era il primo uomo assunto per quel lavoro. Ne comprendeva appieno i rischi, anche se gli altri no. Lui solo conosceva l’intero scopo del progetto.

Osservò il pavimento del piccolo magazzino attraverso la grande finestra dell’ufficio. Lavoravano ventiquattr’ore su ventiquattro, su tre turni. Le persone che adesso erano lì, tre uomini e una donna, indossavano camici bianchi da laboratorio, occhialini, mascherine per l’aria, guanti di gomma e stivali ai piedi.

Gli operai erano stati selezionati per la loro abilità di fare semplice microbiologia. Il loro lavoro consisteva nel far crescere e moltiplicare un virus usando il campione fornito da Adam, per poi liofilizzare i campioni per il trasporto e la trasmissione via aerosol successivi. Era un lavoro noioso, ma non difficile. Qualsiasi assistente di laboratorio o studente di biochimica al secondo anno avrebbe potuto farlo.

Il programma di ventiquattr’ore faceva sì che le scorte dei virus liofilizzati crescessero molto velocemente. Adam faceva rapporto ai suoi datori di lavoro ogni sei o otto ore, e loro esprimevano sempre il loro piacere per il ritmo che tenevano. Nell’ultimo giorno il piacere aveva ceduto il posto alla gioia. Il lavoro sarebbe stato completato presto, forse addirittura oggi.

Adam sorrise al pensiero. I suoi datori di lavoro erano contenti, e lo ripagavano molto, molto bene.

Sorseggiò il caffè da una tazza termica e continuò a osservare i dipendenti. Aveva perso il conto della quantità di caffè che aveva consumato negli ultimi giorni. Tanto. I giorni stavano cominciando a mescolarsi. Quando era esausto si stendeva sulla branda dell’ufficio per dormire un pochino. Indossava la stessa tenuta protettiva degli operai nel laboratorio. Ormai non se la toglieva da due giorni e mezzo.

Adam aveva fatto del suo meglio per costruire un laboratorio di fortuna nel magazzino in affitto. Aveva fatto del suo meglio per proteggere gli operai e se stesso. Avevano degli indumenti protettivi da indossare. C’era una stanza in cui buttare via gli abiti dopo ogni turno, e c’erano delle docce perché dopo gli operai si lavassero via ogni residuo.

Ma c’erano anche i limiti temporali e dei fondi da prendere in considerazione. Il programma aveva tempi stretti, e ovviamente c’era la questione della segretezza. Sapeva che le protezioni non rispettavano gli standard dei centri americani per il controllo delle malattie – se avesse avuto un milione di dollari e sei mesi per costruire quel posto, ancora non sarebbe bastato.

Alla fine aveva costruito il laboratorio in meno di due settimane. Si trovava in una zona accidentata di vecchi e bassi magazzini, nei recessi di un quartiere che per molto tempo era stato un centro di immigrazione cubana e di altro genere negli Stati Uniti.

Nessuno gli avrebbe dato una seconda occhiata. Non c’era insegna sull’edificio, ed era fianco a fianco con un’altra dozzina di costruzioni simili. L’affitto era stato pagato per i sei mesi successivi, anche se ne avevano bisogno solo per un periodo di tempo brevissimo. Aveva il suo piccolo parcheggio, e gli operai andavano e venivano come fanno gli operai di ogni magazzino e fabbrica di ogni luogo – a intervalli di otto ore.

Venivano pagati bene e in contanti, e alcuni non parlavano inglese. Gli operai sapevano cosa fare con il virus, ma non sapevano esattamente di che virus si trattasse né perché. Un’incursione della polizia era improbabile.

Comunque lo rendeva nervoso trovarsi così vicino al virus. Sarebbe stato sollevato di terminare quella parte del lavoro, ricevere il pagamento finale e poi evacuare il posto come se mai fosse stato lì. Dopo, avrebbe preso un volo per la costa occidentale. Per Adam, in questo lavoro c’erano due parti. Una qui e una… da qualche altra parte.

E la prima parte presto sarebbe terminata.

Oggi? Sì, forse addirittura oggi.

Avrebbe lasciato il Paese per un po’, così aveva deciso. Una volta finito tutto avrebbe fatto una lunga e bella vacanza. La costa meridionale della Francia in quel momento gli sembrava invitante. Con i soldi che stava facendo sarebbe potuto andare ovunque avesse voluto.

Era facile. Un furgone, o una macchina, o forse due macchine sarebbero arrivate nel cortile. Adam avrebbe chiuso i cancelli in modo che dalla strada nessuno potesse vedere quel che stava accadendo. I suoi operai si sarebbero presi qualche momento per caricare il materiale sui veicoli. Lui si sarebbe assicurato che stessero attenti, così forse per tutto quanto ci sarebbero voluti venti minuti.

Adam sorrise tra sé e sé. Poco dopo che il materiale fosse stato caricato, lui si sarebbe trovato su un aereo per la costa occidentale. Poco dopo, l’incubo sarebbe cominciato. E non c’era nulla che qualcuno avrebbe potuto fare per fermarlo.

CAPITOLO OTTO

5:40

I cieli sopra la Virginia Occidentale

Il Learjet a sei posti urlava attraverso il cielo delle prime ore del mattino. Era blu scuro con il sigillo dei servizi segreti sul fianco. Dietro, un frammento del sole nascente faceva capolino al di sopra delle nuvole.

 

Luke e la sua squadra usavano i quattro posti davanti come zona di riunione. Avevano messo i bagagli e l’attrezzatura sui sedili posteriori.

Era riuscito a rimettere insieme la squadra. Sul sedile accanto a lui c’era il grosso Ed Newsam, con i pantaloni cargo kaki e una t-shirt con le maniche lunghe. Aveva un paio di stampelle appoggiate accanto al sedile, appena sotto al finestrino.

Davanti sulla sinistra di Luke c’era Mark Swann. Era alto e magro, con capelli biondi rossicci e gli occhiali. Aveva allungato le lunghe gambe sul corridoio di passaggio. Indossava un vecchio paio di jeans strappati e un paio di Chuck Taylor rosse. Era stato sollevato dal suo incarico di esca per pedofili, e sembrava che non potesse esserne più felice.

Direttamente davanti a Luke sedeva Trudy Wellington. Aveva i capelli mossi castani, era snella e attraente nel maglione verde e con i pantaloni eleganti. Indossava grandi occhiali rotondi sul viso. Era molto carina, ma gli occhiali la facevano quasi sembrare un gufo.

Luke si sentiva bene, non benissimo. Prima di partire aveva chiamato Becca. La conversazione non era andata bene. Anzi, era a malapena andata.

“Dove vai?” gli aveva detto.

“In Texas. A Galveston. C’è stata una violazione della sicurezza in un laboratorio.”

“Il laboratorio BSL-4?” aveva detto. Becca era una ricercatrice sul cancro. Aveva lavorato per anni a una cura per il melanoma. Faceva parte di una squadra, con base in diverse istituzioni di ricerca, che stava riscuotendo un certo successo uccidendo le cellule del melanoma iniettandovi il virus Herpes.

Luke aveva annuito. “Esatto. Il laboratorio BSL-4.”

“È pericoloso,” aveva detto. “Lo capisci, immagino.”

Lui aveva quasi riso. “Tesoro, non mi chiamano quando non c’è pericolo.”

La voce di lei era fredda. “Be’, fa’ attenzione, per piacere. Ti vogliamo bene, lo sai.”

Ti vogliamo bene.

Era un modo strano di dirlo, come se lei e Gunner fossero una squadra che gli voleva bene, ma non necessariamente individualmente.

“Lo so,” le aveva detto. “Vi voglio tantissimo bene.”

Ci fu silenzio sulla linea.

“Becca?”

“Luke, non posso garantirti che saremo qui quando tornerai.”

Adesso, a bordo dell’aereo, scosse la testa per schiarirsi le idee. Faceva parte del suo lavoro. Doveva compartimentalizzare. Aveva dei problemi in famiglia, sì. Non sapeva come sistemarli. Ma non poteva neanche portarseli dietro a Galveston. Lo avrebbero distratto da quello che stava facendo, e poteva essere pericoloso, per lui e per chiunque fosse coinvolto. La concentrazione sulla questione doveva essere assoluta.

Guardò fuori dal finestrino. Il jet spaccava in due il cielo, muovendosi veloce. Sotto di loro scivolavano via delle nuvole bianche. Fece un respiro profondo.

“Bene, Trudy,” disse. “Che cos’hai?”

Trudy sollevò il tablet perché lo vedessero tutti. Era raggiante. “Mi hanno ridato il mio vecchio tablet. Grazie, capo.”

Lui scosse la testa e sorrise appena. “Basta parlare di me. Adesso dicci tutto. Per favore.”

“Parto dal presupposto che non sappiate nulla.”

Luke annuì. “Okay.”

“Allora. Stiamo andando al Galveston National Laboratory, a Galveston, in Texas. È uno dei soli quattro edifici conosciuti con livello di biosicurezza 4 degli Stati Uniti. Sono gli edifici di ricerca in microbiologia con la maggior sicurezza, con i protocolli di sicurezza più estesi per i lavoratori. In questi posti vengono trattati alcuni dei più letali e infettivi virus e batteri noti alla scienza.”

Swann alzò una mano dal grembo. “Hai detto uno dei quattro edifici conosciuti. Ce ne sono di sconosciuti?”

Trudy si strinse nelle spalle. “Alcune società in scienze naturali, soprattutto quelle con un numero limitato di azionisti, potrebbero avere degli edifici BSL-4 senza che il governo lo sappia. Sì, è possibile.”

Swann annuì.

“Ciò che distingue quello di Galveston è che gli altri tre BSL-4 si trovano su installazioni governative altamente sicure. Galveston è l’unico che si trova su un campus accademico, fatto che è stato ripetutamente sollevato come preoccupazione per la sicurezza prima che l’edificio fosse aperto, nel 2006.”

“Che cosa hanno fatto, allora?” disse Ed Newsam.

Trudy sorrise di nuovo. “Hanno promesso di stare super-attenti.”

“Ottimo,” disse Ed.

“Andiamo al punto,” disse Luke.

Trudy annuì. “Okay. Tre notti fa è mancata la corrente.”

Luke si mosse appena mentre Trudy esponeva le informazioni che il direttore del laboratorio aveva condiviso con Susan e il suo staff la sera prima. L’addetto alla sicurezza notturna, la donna, la fiala di Ebola. Sentì tutto, ma ascoltava appena.

Un’immagine di Becca e Gunner sul patio mentre stava partendo gli passò per la mente. Cercò di scacciarla, ma lei restò lì. Per un lungo secondo tutto ciò che vide fu Gunner con lo sguardo basso e avvilito sul persico spigola sulla griglia.

“Pare proprio un sabotaggio,” disse Newsam.

“Con tutta  probabilità lo è,” disse Trudy. “Il sistema è stato costruito per ridondanza, e non solo la prima fonte di energia ha smesso di funzionare, ma non ha funzionato neanche la ridondanza. Una cosa del genere non succede spesso, a meno che qualcuno non la faccia succedere.”

“Che cosa sappiamo della donna che in quel momento si trovava nell’edificio?” disse Luke. “Come si chiama? Sappiamo qualcosa di nuovo su di lei?”

“Ho fatto qualche ricerca. Aabha Rushdie, ventinove anni. Ancora scomparsa. Ha un curriculum esemplare come junior scientist. Dottorato in microbiologia. Lode al King’s College di Londra. Addestramento avanzato nei protocolli BSL-3 e BSL-4, inclusa una certificazione per lavorare da sola in laboratorio, cosa che non tutti raggiungono.

“È stata a Galveston tre anni, e ha lavorato su molti programmi importanti, incluso il programma sulle armi di cui ci occupiamo noi.”

“Okay,” disse Swann. “Questo è un programma sulle armi?”

Trudy alzò una mano. “Ci arrivo tra un minuto. Lasciami finire con Aabha. La cosa più interessante che la riguarda è che è morta nel 1990.”

Tutti fissarono Trudy.

“Aabha Rushdie è morta in un incidente d’auto a Delhi, India, quando aveva quattro anni. I genitori si sono trasferiti a Londra subito dopo. Poi hanno divorziato, e la madre di Aabha è tornata in India. Il padre è morto di attacco cardiaco sette anni fa. E cinque anni fa improvvisamente Aabha è tornata in vita, con un passato, certificazioni scolastiche, lavori e brillanti raccomandazioni da docenti universitari dell’India, tutto quanto giusto in tempo per fare il dottorato in Inghilterra.”

“È un fantasma,” disse Luke.

“Sembrerebbe di sì.”

“Ma perché è indiana?”

Trudy guardò i suoi appunti. “In India c’è circa un miliardo di persone, ma non si è certissimi della cifra totale. Quel Paese è molto indietro rispetto all’Occidente per quanto riguarda la registrazione elettronica delle nascite e dei decessi. C’è una corruzione diffusa nei servizi civili, perciò è piuttosto semplice comprare l’identità di un morto. L’India è la maggiore fonte mondiale di identità false.”

“Già,” disse Swann, “ma poi devi assumere un fantasma indiano.”

Trudy sollevò un dito. “Non necessariamente. Per gli occidentali c’è pochissima differenza nell’aspetto delle persone che vengono dal nord dell’India, dove si trova Delhi, e quelle del Pakistan, che è proprio lì vicino. Anzi, per gli indiani e i pachistani stessi la differenza è minima. Perciò qui mi sbilancio e dico che Aabha Rushdie in realtà è pachistana, e molto probabilmente musulmana. Potrebbe essere un’agente della loro intelligence – oppure peggio, un membro di una setta conservatrice sunnita o wahhabita.”

Ed Newsam grugnì sonoramente.

Il cuore di Luke fece una pigra capovolta da qualche parte nel petto. Di tutti gli analisti con cui aveva lavorato, Trudy era quella con le intuizioni migliori. La sua capacità di dipingere uno scenario poteva benissimo essere la migliore di tutte. Se in questo caso aveva ragione, una sunnita del Pakistan aveva appena rubato una fiala del virus Ebola.

Buongiorno. Alzati e splendi.

Fece scorrere lo sguardo sugli altri tre. I suoi occhi atterrarono su Trudy.

“Dicci tutto,” le disse.

“Okay, ecco la parte peggiore,” disse Trudy.

“Peggiora?” disse Swann. “Pensavo che la parte peggiore l’avessimo appena sentita. Come può essere peggio di così?”

“Innanzitutto, i capi dell’edificio di Galveston hanno trascorso le quarant’otto ore successive alla scoperta del furto coprendolo. Be’, non voglio dire che l’hanno coperto. Hanno fatto le loro indagini interne, che non hanno portato a niente. Hanno mandato delle persone in cerca di Aabha Rushdie, anche se probabilmente se n’era già andata da molto. All’inizio non riuscivano a credere che Aabha avesse rubato un virus. La gente con cui ho parlato ieri notte non ci credeva ancora. Tutti la adoravano lì, apparentemente, anche se nessuno sapeva granché su di lei.”

“Cioè non sapevano che è stata morta per venticinque anni?” disse Swann.

Trudy proseguì. “Quindi hanno interrogato tutti i tecnici di laboratorio, per vedere se qualcuno aveva preso la fiala per sbaglio. Non ha confessato nessuno, e non c’era ragione di sospettare nessuno. Hanno controllato i registri dell’inventario, e ovviamente la fiala era stata registrata come messa in sicurezza appena poche ore prima che andassero via le luci.”

“Perché secondo te hanno preso tempo?”

“Questa è la seconda cosa, e probabilmente la parte peggiore di tutto. La fiala che è stata portata via non è un semplice virus Ebola. È una versione a scopi militari del virus Ebola. Tre anni fa il laboratorio ha ricevuto un grande finanziamento dai centri di controllo per le malattie degli Stati Uniti, e un finanziamento analogo dalle istituzioni nazionali per la salute e dal dipartimento della difesa. Il finanziamento aveva come scopo quello di trovare il modo di modificare il virus per renderlo persino più virulento di quanto non fosse già – aumentandone la facilità con cui può trasmettersi da persona a persona, la velocità con cui la malattia inizia e la percentuale di persone infette che il virus può uccidere.”

“Perché diavolo hanno fatto una cosa del genere?” disse Swann.

“L’idea era rendere il virus un’arma prima che potessero farlo i terroristi, per poi studiarne le proprietà, identificarne i punti deboli e trovare un modo di curare le persone che un giorno avrebbero potuto esserne infettate. Gli scienziati del laboratorio hanno avuto successo nella prima parte del lavoro – rendere il virus un’arma – un successo che è andato oltre i sogni più arditi di chiunque. Usando una tecnica di una terapia genica conosciuta come inserzione, i ricercatori sono riusciti a creare un numero di mutazioni a partire dal virus Ebola originale.

“Il nuovo virus può essere introdotto in una popolazione attraverso uno spray aerosol. Una volta infettata, una persona diverrà contagiosa nel giro di un’ora, e mostrerà un principio di sintomi nel giro due o tre ore. In altre parole una persona infetta può cominciare a infettare gli altri prima che appaiano i sintomi della malattia.

“È importante. È un cambiamento radicale dal virus al suo stato naturale. La progressione dell’ebola nelle popolazioni umane normalmente viene fermata quando le vittime vengono messe in quarantena in ospedale prima, o pochissimo dopo, che siano diventate contagiose. Per fermare questo virus dovrebbe essere messa in quarantena un’intera area geografica, con malati e sani. Non si potrebbe sapere subito chi ha preso il virus e chi no. Ciò significa strade chiuse, posti di blocco e barricate.”

“Legge marziale,” disse Ed Newsam.

“Precisamente. E, anche peggio, questo virus può passare da persona a persona attraverso minuscole goccioline presenti nell’aria, e la malattia di solito si presenta con una violenta tosse. Quindi non è necessaria nessuna esposizione a sangue, vomito o escrementi – un altro cambiamento radicale rispetto alla malattia originale.”

“C’è dell’altro?” disse Luke. Gli pareva di aver già sentito abbastanza.

“Sì. La parte decisamente peggiore, per quanto mi riguarda. Il virus è altamente aggressivo e mortale. La letalità della malattia emorragica che porta con sé è stimata sul novantaquattro percento, senza intervento medico. Questo è l’indice al quale ha sterminato una colonia di trecento macachi in un edificio di sicurezza di San Antonio due mesi fa. Il virus è stato deliberatamente introdotto nella colonia, e in quarantotto ore duecentoottantadue scimmie erano morte. Più della metà sono morte nelle prime sei ore. Delle diciotto che sono sopravvissute, tre non hanno mai contratto la malattia e quindici sono guarite da sole nel corso delle settimane seguenti.

 

“La malattia presenta uno scenario da incubo nel quale gli organi cedono, i vasi sanguigni collassano e la vittima diventa del tutto debilitata e si dissangua, spesso in modo spettacolare. Stiamo parlando di sangue dalla bocca, dalle orecchie, dagli occhi, dall’ano e dalla vagina – praticamente da ogni orifizio del corpo, inclusi a volte i pori della pelle.”

Swann alzò le mani. “Okay. Hai detto novantaquattro percento di morti senza intervento medico. Quale sarebbe l’indice di mortalità se ci fosse un intervento?”

Trudy scosse la testa. “Non lo sa nessuno. Il virus è così contagioso, agisce così velocemente ed è così letale che l’intervento medico potrebbe non essere possibile. Per quanto ne sappiamo finora quasi qualsiasi persona non protetta che entri in contatto con il virus si ammala. L’unico modo efficace di fermare un’epidemia sarebbe mettere in quarantena la popolazione finché la malattia non ha fatto il suo corso.”

“Con le persone intrappolate all’interno della zona di quarantena lasciate a morire?” disse Ed Newsam.

“Sì, nella maggior parte dei casi. Ed è una morte orribile.”

Trascorse un lungo momento. Luke scosse la testa. Era un altro paio di maniche rispetto al tono che il direttore del laboratorio aveva usato con la presidente la sera precedente. Quello aveva cercato chiaramente di minimizzare la gravità della violazione alla sicurezza, persino trovandosi nella stessa stanza con la presidente degli Stati Uniti.

Luke si distolse dai suoi pensieri. Sull’aereo lo fissavano tutti.

“Dobbiamo riprenderci quella fiala,” disse.

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