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Una vita

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– Lei la conoscevo. Avrei avuto la certezza che quand’anche le cose loro si fossero volte a male, lei avrebbe trovato sempre ancora la pazienza necessaria per trattare sua moglie con dolcezza. In due, così come me lo figuravo io, non si è mai del tutto infelici.

Alfonso non fu imbarazzato sul contegno da tenere. Più di una volta aveva sentito il desiderio, un desiderio molto platonico, di render felice quella povera vecchia e si credeva ora in diritto di simulare dispiacere di non poter più fare quello che non avrebbe fatto in nessun caso.

– Sarebbe stato un bel sogno, è vero, – disse Alfonso, – ma per ora non si poteva realizzarlo perché la mia posizione è anche più misera e malsicura di quella di Gralli. Saremmo morti di fame.

Quando fu solo ripensò commosso al tragico dolore della Lanucci. Quella povera donna in mezzo alle sue disgrazie aveva rivolte tutte le speranze all’avvenire della figliuola e perciò era stata sempre più rassegnata e più lieta che gli altri. Ora appena le sue speranze morivano. Sua figlia doveva subire il suo stesso destino. Sarebbe stata circondata da una famiglia di disgraziati per nulla migliore di quella da cui usciva.

– Signorina, – disse Alfonso alla sera seriamente a Lucia, – voglio essere il primo a farle le mie congratulazioni e perciò gliele faccio subito.

Lucia ringraziò cerimoniosamente.

– Non c’è ancora nulla da congratularsi perché Mario non fece ancora ufficialmente la domanda, – lo chiamava già confidenzialmente col nome di battesimo; – da lei però posso accettare delle congratulazioni in anticipazione.

Alla sera Alfonso s’addormentò insolitamente presto, dopo aver subito per due ore la noia mortale della compagnia dei Lanucci e di Gralli. Sofferse al vedere lo sposo privo di spirito e d’idee, ma come comprendeva che la vecchia ne soffriva, così anche capiva che Lucia non se ne avvedeva e che il suo sposo le piaceva così dignitosamente muto.

Alfonso si trasse le coperte fino al mento e a conclusione di una lunga riflessione sull’andamento delle cose umane mormorò:

– L’uomo dovrebbe poter vivere due vite: Una per sé e l’altra per gli altri.

Pensava che se avesse avuto due vite, ne avrebbe dedicata una alla felicità dei Lanucci.

XIV

Una sera Annetta annunziò ad Alfonso che pochi giorni appresso doveva arrivare suo fratello Federico. Gliene dava l’avviso acciocché si preparasse per contenersi con la massima prudenza. Federico l’amava molto e finché soggiornava in città sarebbe stato difficile che la lasciasse mai sola. Non commettesse dunque delle imprudenze, perché destando in Federico il più leggero sospetto avrebbero dovuto cessare di vedersi.

Alfonso le promise tutto ciò ch’ella gli chiese. Quella sera ella gli aveva molto permesso ed egli voleva contraccambiarla di eguale arrendevolezza; le chiese persino se ella desiderasse che per quel tempo sospendesse le sue visite e si dichiarò pronto di compiacerla. Tanto ella non volle, perché anche una tale improvvisa interruzione poteva destare sospetti. Non trovò necessario di dirgli che le sarebbe dispiaciuto di non vederlo per tanto tempo.

In certo modo le relazioni fra Alfonso e Annetta erano divenute meno affettuose. Ella non gli aveva detto giammai di amarlo. Se lo era lasciato dire, ma da qualche tempo neppure lui non provava più il bisogno di ripeterlo né essa s’accorgeva di tale mancanza. Pareva che perciò il loro contegno fosse divenuto più franco e che si trovassero in un accordo tacito che però realmente non sussisteva; perché Alfonso ancora sempre sperava qualche cosa d’altro e aveva riconosciuto, dolendosene, che la via sulla quale si trovava era quella che poteva condurlo alla conquista di una ganza ma non di un’amante o di una moglie.

In presenza di altra gente, egli aveva l’aspetto di corteggiatore, lanciava delle occhiate, faceva complimenti o chiedeva di essere per un solo istante solo con essa per poterle dire qualche cosa. Quando finalmente erano soli, con un sorriso in cui egli credette talvolta di scorgere l’ironia, ella gli diceva che poteva parlare. Senz’aprir bocca egli l’attirava a sé e furiosamente la baciava. A un dato punto ella si difendeva, ma con la calma energica della persona sicura di sé. Non avevano più dispute dacché Alfonso era divenuto più prudente dinanzi a coloro di cui Annetta temeva i sospetti. Sembrava proprio ch’ella stessa fosse disposta a divenire piuttosto sua ganza che sua moglie; si adirava per il suo contegno in pubblico, non per quello a quattr’occhi.

Lo si avvisò in ufficio ch’era arrivato Federico e ciò gli produsse una strana impressione di sgomento. A poco alla volta aveva conquistato l’amicizia di tutti coloro che frequentavano casa Maller. Era stata una conquista lenta e difficile che gli sembrava fosse riuscita per caso fortunato, per essere stata preparata prima dalla stima che gli aveva regalata Macario, poi dal rispetto che Annetta, un’ignorante, aveva credito di tributargli. Ora interveniva un nuova persona che sembrava usasse pensare con la propria mente e chissà con quali massime. Era da temerne, visto che Annetta ne temeva per lui. Federico era di certo un ambizioso che avrebbe cominciato col disprezzarlo.

Per quella sera non andò da Annetta; non voleva farsi vedere troppo presto. La sera appresso gli sembrava che fosse un secolo dacché non l’aveva veduta e andò in casa Maller ingenuamente credendo che così dovesse sembrare anche agli altri.

Trovò soltanto Francesca e fece il viso di chi soltanto dopo di aver ingoiato un liquore s’accorge ch’è amaro. Francesca comprese.

– Per una sera, – gli disse sorridendo, – si contenti di parlare con me di Annetta. Ella ha dovuto uscire col signor Federico. Dunque ascolto! Mi racconti qualche cosa dei suoi rapporti con Annetta. – Stette zitta, attendendo ch’egli parlasse, mentre egli rimaneva muto, sorpreso dallo strano esordio col quale Francesca sembrava di voler estorcergli delle confidenze. – Credevo le facesse piacere di parlare di Annetta e con me lo può, visto che, come avrà capito, lo spero, sono la sua confidente. – Volle dargli una prova ch’ella sapeva tutto: – Mai più sul pianerottolo! – gli disse con una risata e minacciò con la bianca mano, la parte più perfetta del suo corpo. Alludeva a quell’abbraccio che Alfonso tempo prima sul pianerottolo aveva rubato ad Annetta.

A lui bastava la prova ch’ella gli aveva data, specialmente perché sentiva forte il bisogno di parlare di Annetta e di lagnarsi di lei. Disse dunque che dei suoi rapporti con Annetta, come li chiamava Francesca, egli non era affatto affatto soddisfatto. Annetta non era quale egli l’avrebbe voluta.

– Lei non avrebbe veramente delle ragioni a lagnarsi, – osservò Francesca in un tono che a lui sembrò ironico. – Sembra ch’ella non apprezzi come dovrebbe la fortuna toccatale.

Egli apprezzava come doveva la sua fortuna, ma non gli sembrava che tale fortuna fosse molto grande. Chiese di udire da Francesca in quali termini letteralmente Annetta le avesse fatto le sue confidenze; voleva sentire se almeno in quell’occasione fosse stato parlato di amore. Francesca asserì di non rammentarsene e perciò di non poter compiacerlo.

– Sa, – chiese Alfonso serio, serio, – che non mi ha detto mai di amarmi? Di Annetta davvero non so se mi ami o mi derida.

Parve che Francesca stesse per ridere della confidenza di Alfonso, ma poi molto seria lasciò cadere la frase pensata ad alta voce:

– Sono tutti così i Maller. La freddezza è il carattere di famiglia.

Alfonso non dimenticò questa frase che gli sembrò una conferma delle voci corse sul conto di Francesca e delle sue relazioni con Maller. Chi altri della famiglia poteva ella aver conosciuto freddo in amore?

– Però, e questo è certo, – continuò Francesca, – Annetta non la deride e posso dire di non averla mai vista come è ora. – Subito divagò e parve presa dal desiderio di esser creduta attenta invigilatrice di fanciulle anche da Alfonso. – Se non compio quello che sarebbe il mio dovere raccontando ogni cosa a Maller è perché mi affido alla sua onestà e nell’onestà del carattere di Annetta. – Ad ogni modo gli consigliava di non lusingarsi di troppo sull’amore di Annetta ch’ella supponeva dovesse improvvisamente morire. Era la prima avventura di tale specie che le toccava, ma si poteva predirne la conclusione, e di nuovo Alfonso volle scorgere qualche cosa di amaro nel suo sorriso.

– Non mi faccio più lusinghe, so ch’è uno scherzo, – faceva il forte ma parlava con fatica.

Con compassione materna Francesca esclamò:

– Non sarebbe questo per lei il momento di ritornare a casa sua? Non s’è ancora avvisto che questa città non fa per lei?

– Perché? – chiese Alfonso che si commoveva vedendosi compianto.

– Se non lo capisce, non glielo posso spiegare. Anch’io vivrei volentieri in campagna e darei molto ma molto per non aver lasciato il suo villaggio, il nostro n’è vero?

Si guardarono inteneriti. La loro sorte simile li riavvicinava e li commoveva.

Francesca volle dargli un consiglio e lo pregò di ascoltarlo e seguirlo come se gli pervenisse da una madre. La premessa fece sperare molto ad Alfonso di questo consiglio e fu grande la sua disillusione allorché ella gli disse semplicemente che non comprendeva perché egli continuasse ad agitarsi il sangue con Annetta, quando finalmente doveva aver riconosciuto che a portare vita e passione in quella statua ci voleva ben altra arte che la sua. Ella gli consigliava di contenersi precisamente come glielo domandava Annetta, freddamente.

Era questo il grande consiglio? Se anche non con le stesse parole, tale consiglio gli era stato dato già da Annetta stessa e suppose che per desiderio di costei gli venisse ripetuto. Forse anche Francesca prendeva il suo ufficio di custode più seriamente di quanto egli fino allora avesse creduto e gli parlava così per diminuire il pericolo che minacciava Annetta.

 

Ma al momento di congedarsi, il linguaggio di Francesca mutò e gli disse due o tre brevi frasi di cui egli non comprese subito tutta l’importanza.

– Non capisce che le carezze senza conseguenze tolgono ogni influenza su noi donne agli uomini che le fanno? Baciucchiare! Ma è proprio il modo per non arrivare a baciare mai!

Lo guardò indagando se venisse compresa e abbozzò un sorriso, strizzando d’occhio a spiegazione di quanto aveva detto: un perfetto sorriso da complice.

Questo era il consiglio! Non lo aveva ancora capito e già aveva compreso che le supposizioni ch’egli aveva fatte sulle intenzioni di Francesca erano erronee. Ne fu sbalordito! Era forse per spensieratezza che quelle ultime frasi erano state pronunziate, ma più verosimilmente tutte le altre erano state dette per mascherare queste ultime e darsi l’aspetto di persona di cui solo la lingua commette un errore. Quest’aspetto non era stato conservato perché quell’occhiata diffidente e indagatrice e quel sorriso furbesco lo avevano tradito. Gli era stato dato un consiglio e si capiva anche a quale scopo. Non per allontanarlo da Annetta. Gli veniva indicato un mezzo per trionfare di lei.

Non gli veniva consigliata cosa a lui del tutto nuova e si rammentava di un’affettazione di freddezza che Annetta aveva voluto dare all’eroe del loro romanzo, la quale essa diceva che doveva vincere le ritrosie della loro eroina; era precisamente quella la freddezza voluta da Francesca. Il consiglio era buono! Doveva essere piacevole seguirlo perché, se anche non lo avesse condotto a quella vittoria prevista da Francesca, sperava almeno di arrivare a quello ch’egli desiderava, conquistarsi l’affetto di Annetta. Immediatamente egli sperava di sentire dal contegno suggeritogli maggior soddisfazione che da quello aggressivo seguito fino allora. Il piacere di poter stringersi Annetta al petto o di baciarla, da lungo tempo non era più tale da pareggiare l’avvilimento che gli dava una sua parola brusca o una accoglienza fredda. Già dal solo proposito di assumere quel contegno sentiva cessare la tensione dei suoi nervi potendo finalmente uscire dalla lotta di ogni giorno nella quale si trovava da oltre un anno, lotta che aveva sempre il medesimo risultato, mai né una vittoria né una disfatta definitiva.

Per lungo tempo non poté mettere in atto il suo proposito.

Venne presentato a Federico Maller. Lo aveva già veduto altre volte e da lontano, sulla via, gli era sembrato un bel giovane elegante. Biondo, alto, slanciato, un volto meno che ovale, affilato, con occhi grandi intensamente azzurri e dolci, aveva un’apparenza aristocratica qualche poco effeminata. Da vicino invece l’occhio perdeva la sua dolcezza perché inquieto e inquadrato in certa pelle abbondante e oscura; sul volto giovanile sembrava andasse formandosi la ruga. Quel poco che alla sua fisonomia rimaneva di donna era da virago. Aveva capelli radi e disposti con arte per farli sembrate più numerosi.

Per Alfonso fu un disinganno che venne aumentato dai modi bruschi che Federico usò con lui. Dopo la presentazione Federico gli chiese se da suo padre si trovasse contento e la risposta balbettata di Alfonso non gli piacque troppo essendosi atteso un inno di lode alla banca Maller. Avvedutosi di aver errato una volta, Alfonso non seppe riacquistare la parola, e quella sera, per colpa di Federico, somigliò molto a quell’altra, la prima ch’egli aveva passata in casa Maller.

Uscendo s’imbatté sul corridoio in Annetta.

– Sono molto contenta di lei, – gli disse ella stringendogli con calore la mano. Voleva ricompensarlo del suo contegno prudente ch’ella credeva conseguenza delle sue raccomandazioni. Egli tentò di attirarla a sé, ma ella gli sfuggì con un grido di spavento e messasi al sicuro, minacciandolo con la mano, gli disse:

– Incorreggibile!

Così egli se ne andò addolorato di non aver avuto sufficiente disinvoltura con Federico e forza di volontà con Annetta. Ella aveva le sue ragioni di essere soddisfatta di lui e tali che le avevano impedito di avvedersi quanto a disagio egli si fosse sentito quella sera! In quanto all’errore ch’egli aveva commesso con Federico si tranquillò pensando che non gli doveva importare di troppo. Prima di averlo avvicinato, lungamente egli aveva pensato a quella figurina aristocratica e l’aveva sognata entrare decisivamente in azione in suo favore. Ora riconosceva che nessuno dei Maller avrebbe fatto volontariamente un passo per lui ed egli ritornava con maggior desiderio a pensare al piano di Francesca.

Era difficile mostrare più freddezza di quella che Annetta esigeva da lui durante il soggiorno di Federico in città. Quando si trovavano soli, il tempo era troppo breve perché Alfonso potesse trovare l’energia di costringersi alla freddezza, e uno sguardo o una parola dolce lo portavano immediatamente ad aggressioni delle quali poscia non sapeva pentirsi.

In compenso Alfonso non ebbe alcuna ragione di lagnarsi di Federico perché dopo quella prima sera venne trattato da lui con aristocratica freddezza, ma non bruscamente. Poco dopo l’arrivo del fratello, Annetta aveva pregato Alfonso di fargli credere che non lavoravano più al romanzo. A Federico ne era stato parlato e sembrava ch’egli non si fosse mostrato soddisfatto di tale collaborazione.

Una sera, con un sorriso che voleva essere amichevole, chiese ad Alfonso:

– E quel romanzo perché non venne terminato?

– Non per colpa mia. Un bel giorno alla signorina l’argomento spiacque e lo lasciò. Forse si riprenderà!

Federico parlò contro i lavori fatti in collaborazione. Un lavoro non poteva essere buono se fatto in due e, se risultava buono, era segno che ogni singolo dei due collaboratori sapeva fare di meglio.

Alfonso non si sentì il coraggio di sostenere una discussione:

– Secondo i casi e i temperamenti, credo, – disse modestamente.

A modi amichevoli fra’ due non si arrivò mai. Alfonso si sentiva specialmente seccato che Federico non sapesse ascoltare e non prendesse interesse che alle cose concernenti la propria personcina o che alla medesima potessero dare maggior risalto. Pensò che anche quella persona aristocratica doveva essere poco abituata a frequentare società e a subirne il peso, perché il primo risultato che si ha dall’abitudine di avvicinare i proprî simili, specie gl’intelligenti, è di saper sopportare la noia delle idee altrui. Bastava questo solo difetto di Federico per dividere definitivamente i due uomini, perché, dal canto suo, Alfonso, – era un frutto della sua ambizione letteraria, – esigeva talvolta di essere ascoltato attentamente. Sospettava che il contegno di Federico fosse tale soltanto in sua compagnia, per disprezzo.

Anche dopo di aver riconosciuto che non v’era la possibilità di amicarsi Federico, di tempo in tempo veniva trascinato a dei tentativi a questo scopo dei quali unico risultato era il suo avvilimento. L’ultima sera in cui Alfonso dovette trovarsi col fratello di Annetta, nella gioia di vederlo partire, volle usargli una grande cortesia e stringendogli la mano gli disse con dolcezza:

– A rivederci, signor Federico!

Federico lo guardò con sorpresa impertinente e poco lusingato della cortesia dell’impiegato di suo padre. Poi s’inchinò anche lui cortesemente, ma non rispose che con un «buona sera» ch’era troppo poco per non essere villano in risposta all’amichevole saluto di Alfonso.

Neppure dopo la partenza di Federico, Alfonso non seppe affettare con Annetta la freddezza che s’era proposta. Lasciato di nuovo libero, solo con lei, si sentiva troppo bene di poter ritornare ai rapporti di prima per rinunziare volontariamente a quella felicità. Non valse a fortificarlo nella sua risoluzione qualche ammonizione che gli fece Francesca velatamente. Doveva essere molto seccata di vederlo sempre uguale a se stesso. Un giorno ch’egli non seppe trovare la soluzione di un indovinello, ella gli disse:

– Ella è meno intelligente di quanto io avessi creduto.

Gli sorrideva per farsi perdonare l’insolenza, ma nella sua voce tremolava ira o impazienza, qualche cosa di violento, mal rattenuto, così ch’egli comprese trattarsi di tutt’altra cosa che dell’indovinello. Poco prima ella lo aveva sorpreso molto vicino ad Annetta, il volto infocato, mentre Annetta aveva la faccia rosea tranquilla, e nello stesso tempo si ricordò che a Francesca la sua attitudine doveva dispiacere. Arrossì e si vergognò.

L’insistenza di Francesca a rammentargli il suo consiglio finì col fargli temere di costei come se ella avesse avuto il diritto di fargli dei rimproveri. La evitava, e per debolezza, non per proposito, dinanzi a lei trattava Annetta con maggior freddezza come se avesse voluto farle credere di aver finalmente adottato il suo consiglio. Ma Francesca non mancava di spirito d’osservazione e il disdegno sul suo volto pallido non scomparve.

Quando però egli per caso fu indotto a adottare quel sistema, fu dessa la prima ad accorgersene, anche prima che Annetta stessa, e fece leggere ad Alfonso sul suo volto l’approvazione ch’egli ancora non sapeva di meritare.

Alfonso aveva giurato, digrignando i denti dall’ira, di vendicarsi di Annetta per una parola offensiva ch’ella gli aveva detta. Una sera ella aveva avuto per lui maggior freddezza del solito. Aveva badato a Macario cui era riuscito di fare dello spirito con bastante fortuna e non s’era occupata niente di lui, ciò ch’era bastato a destare gelosia nell’animo dell’innamorato e come sempre a fargli perdere la parola dallo scoramento. Incorse poi in un errore grandissimo; con un pretesto nullo rimase anche quando Macario se ne andò, mentre Annetta aveva sempre voluto ch’egli usasse la massima prudenza dinanzi a Macario. Non appena si vide solo con essa, volle tirarla a sé, ma ella si difese risolutamente e gli disse con disprezzo:

– Questi baciucchiamenti mi seccano.

La frase era molto offensiva. Con essa Annetta metteva a nudo il ridicolo da lui già sentito nella loro relazione e di più ella vi si sottraeva lasciandone tutto il peso sulle sue spalle. Così sorgeva una persona che poteva deriderlo, Annetta stessa.

Fu allora ch’egli si propose di secondare il volere di Francesca, e per vendicarsi prima di tutto. Voleva ricacciare in gola ad Annetta quelle parole e dimostrarle che, se v’era del ridicolo nella loro relazione, non ne aveva la colpa soltanto lui. Oh! egli ne era convinto: ella aveva bisogno di lui, di quella relazione e precisamente nella forma ch’ella aveva voluto deridere. Anche Francesca era del suo parere, si capiva. Gli dava una grande fiducia l’opinione altrui; senza di questo consenso, anche avendo la convinzione di aver ragionato giustamente, non ne aveva mai tanta da dargli la risolutezza necessaria per agire.

Poi, messosi risolutamente alla sua parte, si sentì bene. L’ira era ben presto scomparsa in lui, ma egli continuò nel contegno che gli era stato dettato da lei. Avvistasi dell’effetto prodotto dalle sue parole, Annetta subito era divenuta gentile ed egli pensò che ella volesse fargliele dimenticare. Per la prima sera ella non ebbe sorprese. Egli era quale ella aveva voluto che fosse; soltanto sorrise ironicamente quando egli se ne andò stringendole la mano con freddezza. Ella non credeva che la lezione che gli aveva dato servisse per molto tempo, e voleva far credere o credeva che essa per la prima sarebbe stata lieta d’ingannarsi.

Era stato gentile ma con difficoltà, perché non era facile per lui di ritrovare con Annetta quel tono di amichevole cortesia da lungo tempo abbandonato per il tono di passione che fino ad allora, quando gli era mancato spontaneo, aveva imitato con sforzo.

Ben presto s’imbatté in altra difficoltà e maggiore. Per continuare la commedia era necessario di trovare un argomento per passare le serate con Annetta senza lasciare ch’ella provasse noia o che egli, pur provandone, – vi si rassegnava, – la lasciasse trasparire. Fino allora gli erano bastate quelle piccole insidie che tendeva ad Annetta per riempire tutto il tempo; gli davano una tensione di nervi che escludeva la noia. Da lungo tempo avevano cessato di lavorare al romanzo e restava bugia quanto avevano detto a Federico soltanto perché mai quando si ritrovavano soli Annetta aveva tralasciato di preparare l’occorrente per scrivere. Fra di loro avevano sempre continuato a manifestare l’intenzione di continuare nel lavoro.

– Ci mettiamo al lavoro? – chiese ad Annetta.

Ella approvò, ma poiché egli subito voleva mettersi a scrivere, dovette far cercare una penna. Per manifestare l’intenzione di continuare il lavoro bastava preparare carta e calamaio e non la penna. Con tutto zelo egli si gettò al romanzo perché sarebbe stato per lui una fortuna di poter distrarsi in altre idee e non avere a fare degli sforzi per essere indifferente. Del nuovo fecero poco perché per procedere oltre sarebbe loro bisognato di rileggere tutto il romanzo di cui qualche parte avevano dimenticata. Il fatto era tanto nuovo che trovandosi soli e così vicini Alfonso rimanesse tranquillo senza minacciare, che Annetta prese un movimento di Alfonso per un attacco e, avendo accennato a difendersi, arrossì accorgendosi che l’allarme era stato ingiustificato. Egli comprese il suo imbarazzo e fu quella la volta ch’egli dovette fare il maggior sforzo per non toglierla all’umiliazione ch’egli sentiva come propria. Ma resistette, e per quella sera Annetta rimase imbarazzata, meno disinvolta del solito, e Francesca, che poco dopo sedette al suo solito telaio, ebbe un lieve sorriso di soddisfazione fatto proprio acciocché venisse veduto da Alfonso.

 

In luogo di perdere tanto tempo inutilmente col rileggere il romanzo, Alfonso propose e Annetta accettò, di correggerlo insieme, esaminare frase per frase e poi appena terminarlo. Il lavoro era noioso, ma meno pericoloso per le relazioni letterarie fra’ due collaboratori perché nessuno dei due aveva gusti troppo raffinati in fatto di lingua, e Alfonso, per quel poco che l’avrebbe voluta più sobria, si adattava facilmente al gusto di Annetta avendole già fatto altre concessioni e comprendendo che, svolto a quel modo, il romanzo non poteva essere vestito che di panni dello stesso gusto, melodrammatici e chiassosi.

Annetta doveva aver riflettuto lungamente allo strano contegno di Alfonso perché la sera appresso egli la trovò tranquilla e serena, sempre amichevole, con una certa aria di superiorità sorridente che le stava bene. Al vederli ora insieme, sembrava che per un tacito accordo fossero ridivenuti buoni amici e null’altro, Alfonso persino timido. Ah! invece egli soffriva già disperando, e rimpiangeva quelle serate in cui non ancora gli era stato consigliato di essere astuto. Era molto male ch’ella non gli tenesse il broncio. Non aveva sperato di aver a udire delle parole di rimprovero, ma neppure pensato che così presto ella avrebbe saputo far mostra di tanta indifferenza. Poteva ancora far dubitare della sincerità di tale freddezza unicamente il fatto che Annetta non gli dava alcuna lode di aver finalmente assunto il contegno ch’ella aveva desiderato. La lode gli sarebbe spettata e in Annetta era una mancanza del suo preteso freddo raziocinio il non avergliela data. Della novità nel contegno di Alfonso ella non parlò mai; cercava mostrar di non essersene accorta e questo silenzio fu l’incoraggiamento che indusse Alfonso a perseverare.

Una sera, otto giorni dopo, ella lo accompagnò fino alla porta del tinello e si ritirò frettolosamente con un piccolo inchino cerimonioso. S’era contenuto male! Già stanco e freddo perché gli mancava ogni stimolo, non s’era curato di usare ad Annetta gli altri mille riguardi di cui aveva riconosciuto che specialmente allora c’era bisogno con essa per non alienarsela del tutto. Aveva omesso di dimostrarsene innamorato! La sua parte, da bel principio egli se lo era detto ed era stato per sciocca inerzia che della sua osservazione non aveva fatto miglior uso, la sua parte doveva essere sempre da innamorato ragionevole che si contenta di uno sguardo o di una stretta di mano, ma innamorato doveva apparire.

Ebbe, finché non la rivide, un’immensa inquietudine. Temeva che in una o altra forma ella gli desse quel congedo ch’egli già aveva temuto di ricevere per le sue arditezze; non avendolo ricevuto allora per quelle cause, era possibile che gli venisse dato ora per queste. Si vide ridotto a mal partito e se la prendeva nella sua mente con Francesca e il suo consiglio. Si propose di andare da Annetta a chiederle perdono raccontandole perché avesse assunto quel contegno. Non si sentiva colpevole e si riprometteva di convincerla che non lo era. Aveva voluto renderla più mite e più arrendevole e le avrebbe detto che non aveva fatto altro che imitare l’astuzia usata dal loro eroe stesso. La scusa era facile ed anzi dalla freddezza a cui s’era costretto in quei pochi giorni poteva forse già ritrarre qualche frutto.

Comprese dai modi riservati ma gentili di Annetta che il pericolo temuto era più lontano di quanto egli avesse creduto e la riservatezza di Annetta lo fece suo malgrado, per timidezza, continuare nel contegno che aveva risoluto di lasciare. Passò la serata molto aggradevolmente. Come sempre, gli bastava di uscire da un’incertezza, da un timore, perché il rivedere Annetta fosse per lui un’immensa felicità. A passare gradevolmente il tempo provvide la sua agitazione, essendo sempre là pronto a gettare le braccia al collo ad Annetta e a ritornare a quella sua posizione soggetta che gli offriva tante gioie. Non ebbe bisogno di sforzo per ricordarsi che ad Annetta sempre bisognava fare la corte. Egli l’amava, l’amava almeno per quella sera, e così non l’aveva amata dal giorno in cui aveva osato di baciarla per la prima volta sulle labbra. Erano di nuovo di quelle trepidazioni che aumentano il desiderio. Egli parlò meglio del solito e azzardò delle allusioni al suo amore come se altre volte non avesse già fatta la sua dichiarazione ardita. Si ritrovò balzato di nuovo a quella freschezza d’impressione che dà la cosa del tutto nuova e Annetta ascoltava e sorrideva. Mai ella non gli era apparsa tanto arrendevole. Altre volte s’era lasciata abbracciare mentre ora non accordava che parole e sguardi, ma prima, concedendo, aveva sempre dimostrato il dispiacere di non saper resistere, mentre ora dava prontamente quello che le si domandava e più.

Naturalmente egli fu subito riconciliato col consiglio di Francesca e la sua energia fu di nuovo quale era stata in seguito all’offesa di Annetta. Monologando come sempre quando era agitato, egli andava dicendosi beato che Annetta nelle sue mani abili diveniva cera molle cui egli avrebbe dato la forma che avrebbe voluto. Pensandolo moveva le dita come se avesse avuto in mano quella cera.

Ad Annetta non rimaneva che l’aria di superiorità, la parola più franca quindi e che ancora talvolta sonava imperiosa. Realmente questa superiorità non sussisteva più e più visibile si manifestava la differenza nel suo contegno quando si trovavano dinanzi a terzi; fra tutti, egli restava sempre la persona di cui ella aveva maggior cura. Persino nelle discussioni che pur ancora avvenivano sul romanzo, egli, e per quanto poco gl’importasse, riportava sempre la vittoria.

Non sapeva se per questi mutamenti potesse nutrire grandi lusinghe, ma grande lusinga non gli sembrava sperare di portar la loro relazione al punto a cui già si era trovata, ma questa volta col consenso esplicito di Annetta. Egli rimandava da un giorno all’altro quel passo che prima o poi doveva fare e che gli avrebbe fatto conoscere con piena sicurezza i risultati ottenuti, ma otto giorni più tardi neppure pensava a fare tale passo perché troppo bene si sentiva come era. Egli aveva sperato di udire delle parole di amore, ma ora sarebbe stato poco abile a chiederle. Sarebbe equivaluto a retrocedere.

Erano stati per delle ore intere uno accanto all’altra non parlando mai di amore e sempre ambidue con la dolcezza nella voce e nel modo come se ne parlassero. Anch’ella interrompeva delle frasi incominciate perché poco le importava di compierle ed egli non aveva curiosità di udirle perché comprendeva ch’ella veramente nulla aveva da dirgli. Finalmente ella si trovava nella condizione d’animo in cui tante volte egli s’era trovato. Amava o almeno desiderava.

Di spesso, molto di spesso dacché era intervenuta quale consigliera, Francesca assisteva alle loro sedute ed era causa non piccola che i due amanti rimanessero stazionarii.