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Decameron

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I gentili uomini si maravigliarono e apertamente conobber messer Torello niuna parte di cortesia voler lasciare a far loro, e dubitarono, veggendo la nobiltà delle robe non mercatantesche, di non essere da messer Torel conosciuti: ma pure alla donna rispose l’un di loro: «Queste son, madonna, grandissime cose e da non dover di leggier pigliare, se i vostri prieghi a ciò non ci strignessero, alli quali dir di no non si puote.»

Questo fatto, essendo già messer Torel ritornato, la donna, accomandatigli a Dio, da lor si partì, e di simili cose di ciò, quali a lor si convenieno, fece provedere a’ famigliari. Messer Torello con molti prieghi impetrò da loro che tutto quel dì dimorasson con lui; per che, poi che dormito ebbero, vestitesi le robe loro, con messer Torello alquanto cavalcar per la città, e l’ora della cena venuta con molti onorevoli compagni magnificamente cenarono.

E quando tempo fu, andatisi a riposare, come il giorno venne su si levarono e trovarono in luogo de’ loro ronzini stanchi tre grossi pallafreni e buoni, e similmente nuovi cavalli e forti alli lor famigliari; la qual cosa veggendo il Saladino, rivolto a’ suoi compagni disse: «Io giuro a Dio che più compiuto uomo né più cortese né più avveduto di costui non fu mai; e se li re cristiani son così fatti re verso di sé chente costui è cavaliere, al soldano di Babilonia non ha luogo l’aspettarne pure un, non che tanti, per addosso andargliene, veggiam che s’apparecchiano!»; ma sappiendo che il rinunziargli non avrebbe luogo, assai cortesemente ringraziandolne montarono a cavallo.

Messer Torello con molti compagni gran pezza di via gli accompagnarono fuori della città, e quantunque al Saladino il partirsi da messer Torello gravasse, tanto già innamorato se n’era, pure, strignendolo l’andata, il pregò che indietro se ne tornasse; il quale, quantunque duro gli fosse il partirsi da loro, disse: «Signori, io il farò poi che vi piace, ma così vi vo’ dire: io non so chi voi vi siete, né di saperlo più che vi piaccia addomando; ma chi che voi vi siate, che voi siate mercatanti non lascerete voi per credenza a me questa volta: e a Dio vi comando.»

Il Saladino, avendo già da tutti i compagni di messer Torello preso commiato, gli rispose dicendo: «Messere, egli potrà ancora avvenire che noi vi farem vedere di nostra mercatantia, per la quale noi la vostra credenza raffermeremo: e andatevi con Dio.»

Partissi adunque il Saladino e’ compagni con grandissimo animo, se vita gli durasse e la guerra la quale aspettava nol disfacesse, di fare ancora non minore a messer Torello che egli a lui fatto avesse; e molto e di lui e della sua donna e di tutte le sue cose e atti e fatti ragionò co’ compagni, ogni cosa più commendando. Ma poi che tutto il Ponente non senza gran fatica ebbe cercato, entrato in mare, co’ suoi compagni se ne tornò in Alessandra, e pienamente informato si dispose alla difesa. Messer Torello se ne tornò in Pavia, e in lungo pensier fu chi questi tre esser potessero, né mai al vero non aggiunse né s’apressò.

Venuto il tempo del passaggio e faccendosi l’apparecchiamento grande per tutto, messer Torello, non obstanti i prieghi della sua donna e le lagrime, si dispose a andarvi del tutto: e avendo ogni appresto fatto e essendo per cavalcare, disse alla sua donna, la quale egli sommamente amava: «Donna, come tu vedi, io vado in questo passaggio sì per onor del corpo e sì per salute dell’anima: io ti raccomando le nostre cose e ’l nostro onore; e per ciò che io sono dell’andar certo e del tornare, per mille casi che possan sopravenire, niuna certezza ho, voglio io che tu mi facci una grazia: che che di me s’avegna, ove tu non abbi certa novella della mia vita, che tu m’aspetti uno anno e un mese e un dì senza rimaritarti, incominciando da questo dì che io mi parto.»

La donna, che forte piagneva, rispose: «Messer Torello, io non so come io mi comporterò il dolore nel qual, partendovi, voi mi lasciate; ma dove la mia vita sia più forte di lui e altro di voi avvenisse, vivete e morite sicuro che io viverò e morrò moglie di messer Torello e della sua memoria.»

Alla qual messer Torel disse: «Donna, certissimo sono che, quanto in te sarà, che questo che tu mi prometti avverrà; ma tu se’ giovane donna e se’ bella e se’ di gran parentado, e la tua vertù è molta e è conosciuta per tutto. Per la qual cosa io non dubito punto che molti grandi e gentili uomini, se niente di me si suspicherà, non ti dimandino a’ tuoi fratelli e parenti, dagli stimoli de’ quali, quantunque tu vogli, non ti potrai difendere e per forza ti converrà compiacere a’ voler loro: e questa è la cagion per la quale io questo termine e non maggior ti domando.»

La donna disse: «Io farò ciò che io potrò di quello che detto v’ho; e quando pure altro far mi convenisse, io v’ubidirò di questo che m’imponete certamente. Priego io Idio che a così fatti termini né voi né me rechi a questi tempi!»

Finite le parole, la donna piagnendo abracciò messer Torello e trattosi di dito uno anello gliele diede dicendo: «Se egli avviene che io muoia prima che io vi rivega, ricordivi di me quando il vedrete.»

E egli presolo montò a cavallo e, detto a ogn’uomo adio, andò a suo viaggio: e pervenuto a Genova con sua compagnia, montato in galea andò via, e in poco tempo pervenne a Acri e con l’altro essercito di cristian si congiunse. Nel quale quasi a mano a man cominciò una grandissima infermeria e mortalità, la qual durante, qual che si fosse l’arte o la fortuna del Saladino, quasi tutto il rimaso degli scampati cristiani da lui a man salva fur presi, e per molte città divisi e impregionati. Fra’ quali presi messer Torello fu uno, e in Alessandria menato in prigione: dove non essendo conosciuto, e temendo esso di farsi conoscere, da necessità costretto si diede a conciare uccelli, di che egli era grandissimo maestro. E per questo a notizia venne del Saladino: laonde egli di prigione il trasse e ritennelo per suo falconiere. Messer Torello, che per altro nome che il cristiano del Saladino non era chiamato, il quale egli non riconosceva né il soldan lui, solamente in Pavia l’animo avea e più volte di fuggirsi aveva tentato né gli era venuto fatto; per che esso, venuti certi genovesi per ambasciadori al Saladino per la ricompera di certi lor cittadini e dovendosi partire, pensò di scrivere alla donna sua come egli era vivo e a lei come più tosto potesse tornerebbe e che ella l’attendesse, e così fece; e caramente pregò un degli ambasciadori, che conoscea, che facesse che quelle alle mani dell’abate di San Piero in Ciel d’oro, il quale suo zio era, pervenissero.

E in questi termini stando messer Torello, avvenne un giorno che, ragionando con lui il Saladino di suoi uccelli, messer Torello cominciò a sorridere e fece uno atto con la bocca il quale il Saladino, essendo a casa sua a Pavia, aveva molto notato; per lo quale atto al Saladino tornò alla mente messer Torello, e cominciò fiso a riguardallo e parvegli desso: per che, lasciato il primo ragionamento, disse: «Dimmi, cristiano, di che paese se’ tu di Ponente?»

«Signor mio,» disse messer Torello «io son lombardo, d’una città chiamata Pavia, povero uomo e di bassa condizione.»

Come il Saladino udì questo, quasi certo di quel che dubitava, fra sé lieto disse: «Dato m’ha Idio tempo di mostrare a costui quanto mi fosse a grado la sua cortesia»: e senza altro dire, fattisi tutti i suoi vestimenti in una camera acconciare, nel menò dentro e disse: «Guarda, cristiano, se tra queste robe n’è alcuna che tu vedessi già mai.»

Messer Torello cominciò a guardare e vide quelle che al Saladino aveva la sua donna donate ma non estimò dover potere essere che desse fossero; ma tuttavia rispose: «Signor mio, niuna ce ne conosco: è ben vero che quelle due somiglian robe di che io già con tre mercatanti, che a casa mia capitorono, vestito ne fui.»

Allora il Saladino, più non potendo tenersi, teneramente l’abracciò dicendo: «Voi siete messer Torel di Stra e io son l’uno de’ tre mercatanti a’ quali la donna vostra donò queste robe; e ora è venuto il tempo di far certa la vostra credenza qual sia la mia mercatantia, come nel partirmi da voi dissi che potrebbe avvenire.»

Messer Torello, questo udendo, cominciò a esser lietissimo e a vergognarsi: a esser lieto d’avere avuto così fatto oste, a vergognarsi che poveramente gliele pareva aver ricevuto; a cui il Saladin disse: «Messer Torello, poi che Idio qui mandato mi v’ha, pensate che non io oramai, ma voi qui siate il signore.»

E fattasi la festa insieme grande, di reali vestimenti il fé vestire; e nel cospetto menatolo di tutti i suoi maggior baroni e molte cose in laude del suo valor dette, comandò che da ciascun, che la sua grazia avesse cara, così onorato fosse come la sua persona. Il che da quindi innanzi ciascun fece ma molto più che gli altri i due signori li quali compagni erano stati del Saladino in casa sua. L’altezza della subita gloria, nella quale messer Torel si vide, alquanto le cose di Lombardia gli trassero della mente e massimamente per ciò che sperava fermamente le sue lettere dovere essere al zio pervenute.

Era nel campo o vero essercito de’ cristiani, il dì che dal Saladin furon presi, morto e sepellito un cavalier provenzale di piccol valore, il cui nome era messer Torel di Dignes; per la qual cosa, essendo messer Torel di Stra per la sua nobiltà per lo essercito conosciuto, chiunque udì dire «Messer Torello è morto» credette di messer Torel di Stra e non di quel di Dignes; e il caso, che sopravenne, della presura non lasciò sgannar gl’ingannati; per che molti italici tornarono con questa novella, tra’ quali furon de’ sì presuntuosi che ardiron di dire sé averlo veduto morto e essere stati alla sepoltura. La qual cosa saputa dalla donna e da’ parenti di lui fu di grandissima e inestimabile doglia cagione non solamente a loro, ma a ciascuno che conosciuto l’avea.

Lungo sarebbe a mostrare qual fosse e quanto il dolore e la tristizia e ’l pianto della sua donna; la quale dopo alquanti mesi che con tribulazion continua doluta s’era e a men dolersi avea cominciato, essendo ella da’ maggiori uomini di Lombardia domandata, da’ fratelli e dagli altri suoi parenti fu cominciata a sollecitar di maritarsi. Il che ella molte volte e con grandissimo pianto avendo negato, costretta alla fine le convenne far quello che vollero i suoi parenti, con questa condizione, che ella dovesse stare senza a marito andarne tanto quanto ella aveva promesso a messer Torello.

 

Mentre in Pavia eran le cose della donna in questi termini e già forse otto dì al termine del doverne ella andare a marito eran vicini, avvenne che messer Torello in Alessandria vide un dì uno il quale veduto avea con gli ambasciador genovesi montar sopra la galea che a Genova ne venia; per che, fattolsi chiamare, il domandò che viaggio avuto avessero e quando a Genova fosser giunti. Al quale costui disse: «Signor mio, malvagio viaggio fece la galea, sì come in Creti senti’, là dove io rimasi; per ciò che, essendo ella vicina di Cicilia, si levò una tramontana pericolosa che nelle secche di Barbaria la percosse, né ne scampò testa, e intra gli altri due miei fratelli vi perirono.»

Messer Torello, dando alle parole di costui fede, ch’eran verissime, e ricordandosi che il termine ivi a pochi dì finiva da lui domandato alla donna e avvisando niuna cosa di suo stato doversi sapere a Pavia, ebbe per constante la donna dovere essere rimaritata; di che egli in tanto dolor cadde, che, perdutone il mangiare e a giacer postosi, diliberò di morire. La qual cosa come il Saladin sentì, che sommamente l’amava, venne da lui. Dopo molti prieghi e grandi fattigli, saputa la cagion del suo dolore e della sua infermità, il biasimò molto che avanti non gliele aveva detto e appresso il pregò che si confortasse, affermandogli che, dove questo facesse, egli adopererebbe sì, che egli sarebbe in Pavia al termine dato; e dissegli come. Messer Torello, dando fede alle parole del Saladino e avendo molte volte udito dire che ciò era possibile e fatto s’era assai volte, s’incominciò a confortare e a sollecitare il Saladino che di ciò si diliberasse. Il Saladino a un suo nigromante, la cui arte già espermentata aveva, impose che egli vedesse via come messer Torello sopra un letto in una notte fosse portato a Pavia; a cui il nigromante rispose che ciò saria fatto, ma che egli per ben di lui il facesse dormire.

Ordinato questo, tornò il Saladino a messer Torello: e trovandol del tutto disposto a voler pure essere in Pavia al termine dato, se esser potesse, e se non potesse, a voler morire, gli disse così: «Messer Torello, se voi affettuosamente amate la donna vostra e che ella d’altrui non divegna dubitate, sallo Idio che io in parte alcuna non ve ne so riprendere, per ciò che di quante donne mi parve veder mai ella è colei li cui costumi, le cui maniere e il cui abito, lasciamo star la bellezza ch’è fior caduco, più mi paion da commendare e da aver care. Sarebbemi stato carissimo, poi che la fortuna qui v’aveva mandato, che quel tempo, che voi e io viver dobbiamo, nel governo del regno che io tengo parimente signori vivuti fossimo insieme: e se questo pur non mi dovea esser conceduto da Dio, dovendovi questo cader nell’animo o di morire o di ritrovarvi al termine posto in Pavia, sommamente avrei disiderato d’averlo saputo a tempo che io con quello onore, con quella grandezza, con quella compagnia che la vostra vertù merita v’avessi fatto porre a casa vostra; il che poi che conceduto non è e voi pur disiderate d’esser là di presente, come io posso, nella forma che detto v’ho, ve ne manderò.»

Al quale messer Torel disse: «Signor mio, senza le vostre parole m’hanno gli effetti assai dimostrata della vostra benivolenzia, la quale mai da me in sì suppremo grado non fu meritata, e di ciò che voi dite, eziandio non dicendolo, vivo e morrò certissimo; ma poi che così preso ho per partito, io vi priego che quello che mi dite di fare si faccia tosto, per ciò che domane è l’ultimo dì che io debbo essere aspettato.»

Il Saladino disse che ciò senza fallo era fornito: e il seguente dì, attendendo di mandarlo via la vegnente notte, fece il Saladin fare in una gran sala un bellissimo e ricco letto di materassi tutti, secondo la loro usanza tutti di velluti e di drappi a oro, e fecevi por suso una coltre lavorata a certi compassi di perle grossissime e di carissime pietre preziose, la qual fu poi di qua stimata infinito tesoro, e due guanciali quali a così fatto letto si richiedeano; e questo fatto, comandò che a messer Torello, il quale era già forte, fosse messa indosso una roba alla guisa saracinesca, la più ricca e la più bella cosa che mai fosse stata veduta per alcuno, e in testa alla lor guisa una delle sue lunghissime bende ravolgere. E essendo già l’ora tarda, il Saladino con molti de’ suoi baroni nella camera là dove messer Torello era se n’andò, e postoglisi a sedere allato, quasi lagrimando a dir cominciò: «Messer Torello, l’ora che da voi divider mi dee s’appressa, e per ciò che io non posso né accompagnarvi né farvi accompagnare per la qualità del cammino che a fare avete, che nol sostiene, qui in camera da voi mi conviene prender commiato, al qual prendere venuto sono. E per ciò, prima che io a Dio vi comandi, vi priego per quello amore e per quella amistà la quale è tra noi, che di me vi ricordi; e, se possibile è, anzi che i nostri tempi finiscano, che voi, avendo in ordine poste le vostre cose di Lombardia, una volta almeno a veder mi vegniate, acciò che io possa in quella, essendomi d’avervi veduto rallegrato, quel diletto supplire che ora per la vostra fretta mi convien commettere; e infino che questo avvenga non vi sia grave visitarmi con lettere e di quelle cose che vi piaceranno richiedermi, ché più volentier per voi che per alcuno uom che viva le farò certamente.»

Messer Torello non poté le lagrime ritenere: e per ciò da quelle impedito con poche parole rispose impossibil che mai i suoi benefici e il suo valore di mente gli uscissero e che senza fallo quello che egli comandava farebbe, dove tempo gli fosse prestato. Per che il Saladino, teneramente abbracciatolo e basciatolo, con molte lagrime gli disse «Andate con Dio» e della camera s’uscì; e gli altri baroni appresso tutti da lui s’acommiatarono e col Saladino in quella sala ne vennero là dove egli aveva fatto il letto acconciare.

Ma essendo già tardi e il nigromante aspettando lo spaccio e affrettandolo, venne un medico con un beveraggio e, fattogli vedere che per fortificamento di lui gliele dava, gliel fece bere; né stette guari che adormentato fu. E così dormendo, fu portato per comandamento del Saladino in su il bel letto, sopra il quale esso una grande e bella corona pose di gran valore e sì la segnò, che apertamente fu poi compreso quella dal Saladino alla donna di messer Torello esser mandata. Appresso mise in dito a messer Torello uno anello nel quale era legato un carbuncolo tanto lucente, che un torchio acceso pareva, il valor del quale appena si poteva stimare; quindi gli fece una spada cignere il cui guernimento non si saria di leggieri apprezzato; e oltre a questo un fermaglio gli fé davanti appiccare nel quale erano perle mai simili non vedute con altre care pietre assai; e poi da ciascun de’ lati di lui due grandissimi bacin d’oro pieni di dobre fé porre, e molte reti di perle e anella e cinture e altre cose, le quali lungo sarebbe a raccontare, gli fece metter da torno. E questo fatto, da capo basciò messer Torello e al nigromante disse che si spedisse; per che incontanente in presenzia del Saladino il letto con tutto messer Torello fu tolto via, e il Saladino co’ suoi baroni di lui ragionando si rimase.

Era già nella chiesa di San Piero in Ciel d’oro di Pavia, sì come dimandato avea, stato posato messer Torello con tutti i sopradetti gioielli e ornamenti, e ancor si dormiva, quando sonato già il matutino il sagrestano nella chiesa entrò con un lume in mano, e occorsegli subitamente di vedere il ricco letto. Non solamente si maravigliò ma avuta grandissima paura indietro fuggendo si tornò. Il quale l’abate e’ monaci veggendo fuggire si maravigliarono e domandaron della cagione. Il monaco la disse.

«Oh!» disse l’abate «e sì non se’ tu oggimai fanciullo né se’ in questa chiesa nuovo, che tu così leggiermente spaventar ti debbi: ora andiam noi, veggiamo chi t’ha fatto baco.»

Accesi adunque più lumi, l’abate con tutti i suoi monaci nella chiesa entrati videro questo letto così maraviglioso e ricco e sopra quello il cavalier che dormiva; e mentre dubitosi e timidi, senza punto al letto accostarsi, le nobili gioie riguardavano, avvenne che, essendo la vertù del beveraggio consumata, che messer Torel destatosi gittò un gran sospiro. Li monaci come questo videro, e l’abate con loro, spaventati e gridando «Domine, aiutaci» tutti fuggirono. Messer Torello, aperti gli occhi e da torno guardatosi, conobbe manifestamente sé essere là dove al Saladino domandato avea, di che forte fu seco contento: per che, a seder levatosi e partitamente guardando ciò che da torno avea, quantunque prima avesse la magnificenzia del Saladin conosciuta, ora gli parve maggiore e più la conobbe. Non per tanto, senza altramenti mutarsi, sentendo i monaci fuggire e avvisatosi il perché, cominciò per nome a chiamar l’abate e a pregarlo che egli non dubitasse, per ciò che egli era Torel suo nepote. L’abate, udendo questo, divenne più pauroso, come colui che per morto l’avea dimolti mesi innanzi; ma dopo alquanto, da veri argomenti rassicurato, sentendosi pur chiamare, fattosi il segno della santa croce andò a lui.

Al qual messer Torel disse: «O padre mio, di che dubitate voi? Io son vivo, la Dio mercé, e qui d’oltremar ritornato.»

L’abate, con tutto che egli avesse la barba grande e in abito arabesco fosse, pur dopo alquanto il raffigurò: e rassicuratosi tutto il prese per la mano e disse: «Figliuol mio, tu sii il ben tornato» e seguitò: «Tu non ti dei maravigliare della nostra paura, per ciò che in questa terra non ha uomo che non credi fermamente che tu morto sii, tanto che io ti so dire che madonna Adalieta tua moglie, vinta da’ prieghi e dalle minacce de’ parenti suoi e contra suo volere, è rimaritata; e questa mattina ne dee ire al nuovo marito, e le nozze e ciò che a festa bisogno fa è apparecchiato.»

Messer Torello, levatosi di ’n su il ricco letto e fatta all’abate e a’ monaci maravigliosa festa, ognun pregò che di questa sua tornata con alcun non parlasse infino a tanto che egli non avesse una sua bisogna fornita. Appresso questo, fatte le ricche gioie porre in salvo, ciò che avvenuto gli fosse infino a quel punto raccontò all’abate. L’abate, lieto delle sue fortune, con lui insieme rendé grazie a Dio. Appresso questo domandò messer Torel l’abate chi fosse il nuovo marito della sua donna. L’abate gliele disse.

A cui messer Torel disse: «Avanti che di mia tornata si sappia, io intendo di veder che contenenza fia quella di mia mogliere in queste nozze; e per ciò, quantunque usanza non sia le persone religiose andare a così fatti conviti, io voglio che per amor di me voi ordiniate che noi v’andiamo.»

L’abate rispose che volentieri; e come giorno fu fatto mandò al nuovo sposo dicendo che con un compagno voleva essere alle sue nozze; a cui il gentile uom rispose che molto gli piacea. Venuta dunque l’ora del mangiare, messer Torello in quello abito che era con l’abate se n’andò alla casa del novello sposo, con maraviglia guatato da chiunque il vedeva ma riconosciuto da nullo; e l’abate a tutti diceva lui essere un saracino mandato dal soldano al re di Francia ambasciadore. Fu adunque messer Torello messo a una tavola appunto rimpetto alla donna sua, la quale egli con grandissimo piacer riguardava, e nel viso gli pareva turbata di queste nozze. Ella similmente alcuna volta guardava lui non già per riconoscenza alcuna che ella n’avesse, ché la barba grande e lo strano abito e la ferma credenza che aveva che egli fosse morto gliele toglievano.

Ma poi che tempo parve a messer Torello di volerla tentare se di lui si ricordasse, recatosi in mano l’anello che dalla donna nella sua partita gli era stato donato, si fece chiamare un giovinetto che davanti a lei serviva e dissegli: «Di’ da mia parte alla nuova sposa che nelle mie contrade s’usa, quando alcun forestier, come io son qui, mangia al convito d’alcuna sposa nuova, come ella è, in segno d’aver caro che egli venuto vi sia a mangiare ella la coppa con la qual bee gli manda piena di vino; con la qual poi che il forestiere ha bevuto quello che gli piace, ricoperchiata la coppa, la sposa bee il rimanente.»

Il giovinetto fé l’ambasciata alla donna, la quale, sì come costumata e savia, credendo costui essere un gran barbassoro, per mostrare d’avere a grado la sua venuta, una gran coppa dorata la qual davanti avea comandò che lavata fosse e empiuta di vino e portata al gentile uomo; e così fu fatto. Messer Torello, avendosi l’anello di lei messo in bocca, sì fece che bevendo il lasciò cader nella coppa, senza avvedersene alcuno, e poco vino lasciatovi quella ricoperchiò e mandò alla donna. La quale presala, acciò che l’usanza da lui compiesse, scoperchiatala, se la mise a bocca e vide l’anello e senza dire alcuna cosa alquanto il riguardò: e riconosciuto che egli era quello che dato avea nel suo partire a messer Torello, presolo e fiso guardato colui il qual forestier credeva e già conoscendolo, quasi furiosa divenuta fosse gittata in terra la tavola che davanti aveva, gridò: «Questi è il mio signore, questi veramente è messer Torello!» E corsa alla tavola alla quale esso sedeva, senza avere riguardo a’ suoi drappi o a cosa che sopra la tavola fosse, gittatasi oltre quanto poté, l’abracciò strettamente, né mai dal suo collo fu potuta, per detto o per fatto d’alcuno che quivi fosse, levare infino a tanto che per messer Torello non le fu detto che alquanto sopra sé stesse, per ciò che tempo da abracciarlo le sarebbe ancora prestato assai.

 

Allora ella drizzatasi, essendo già le nozze tutte turbate e in parte più liete che mai per lo racquisto d’un così fatto cavaliere, pregandone egli, ogn’uomo stette cheto; per che messer Torello dal dì della sua partita infino a quel punto ciò che avvenuto gli era a tutti narrò, conchiudendo che al gentile uomo, il quale, lui morto credendo, aveva la sua donna per moglie presa, se egli essendo vivo la si ritoglieva, non doveva spiacere. Il nuovo sposo, quantunque alquanto scornato fosse, liberamente e come amico rispose che delle sue cose era nel suo volere quel farne che più le piacesse. La donna e l’anella e la corona avute dal nuovo sposo quivi lasciò e quello che della coppa aveva tratto si mise e similmente la corona mandatale dal soldano: e usciti della casa dove erano, con tutta la pompa delle nozze infino alla casa di messer Torel se n’andarono; e quivi gli sconsolati amici e parenti e tutti i citadini, che quasi per un miracolo il riguardavano, con lunga e lieta festa racconsolarono.

Messer Torello, fatta delle sue care gioie parte e a colui che avute aveva le spese delle nozze e all’abate e a molti altri, e per più d’un messo significata la sua felice repatriazione al Saladino, suo amico e suo servidor ritenendosi, più anni con la sua valente donna poi visse, più cortesia usando che mai.

Cotale adunque fu il fine delle noie di messer Torello e di quelle della sua cara donna e il guiderdone delle lor liete e preste cortesie; le quali molti si sforzan di fare che, benché abbian di che, sì mal far le sanno, che prima le fanno assai più comperar che non vagliono, che fatte l’abbiano: per che, se loro merito non ne segue, né essi né altri maravigliar se ne dee.