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NOVELLA TERZA

Mitridanes, invidioso della cortesia di Natan, andando per ucciderlo, senza conoscerlo capita a lui e, da lui stesso informato del modo, il truova in un boschetto come ordinato avea; il quale riconoscendolo si vergogna e suo amico diviene.

Simil cosa a miracolo per certo pareva a tutti avere udito, cioè che un cherico alcuna cosa magnificamente avesse operata; ma riposandosene già il ragionare delle donne, comandò il re a Filostrato che procedesse; il quale prestamente incominciò.

Nobili donne, grande fu la magnificenzia del re di Spagna e forse cosa più non udita già mai quella dell’abate di Clignì; ma forse non meno maravigliosa cosa vi parrà l’udire che uno, per liberalità usare a un altro che il suo sangue, anzi il suo spirito, disiderava, cautamente a dargliele si disponesse: e fatto l’avrebbe se colui prender l’avesse voluto, sì come io in una mia novelletta intendo di dimostrarvi.

Certissima cosa è, se fede si può dare alle parole d’alcuni genovesi e d’altri uomini che in quelle contrade stati sono, che nelle parti del Cattaio fu già uno uomo di legnaggio nobile e ricco senza comparazione, per nome chiamato Natan. Il quale, avendo ricetto vicino a una strada per la qual quasi di necissità passava ciascuno che di Ponente verso Levante andar voleva o di Levante in Ponente e avendo l’animo grande e liberale e disideroso che fosse per opera conosciuto, quivi avendo molti maestri fece in piccolo spazio di tempo fare un de’ più belli e de’ maggiori e de’ più ricchi palagi che mai fosse stato veduto, e quello di tutte quelle cose che oportune erano a dovere gentili uomini ricevere e onorare fece ottimamente fornire. E avendo grande e bella famiglia, con piacevolezza e con festa chiunque andava e veniva faceva ricevere e onorare; e in tanto perseverò in questo laudevol costume, che già non solamente il Levante ma quasi tutto il Ponente per fama il conoscea.

E essendo egli già d’anni pieno, né però del corteseggiar divenuto stanco, avvenne che la sua fama agli orecchi pervenne d’un giovane chiamato Mitridanes, di paese non guari al suo lontano; il quale, sentendosi non meno ricco che Natan fosse, divenuto della sua fama e della sua virtù invidioso, seco propose con maggior liberalità quella o annullare o offuscare. E fatto fare un palagio simile a quello di Natan, cominciò a fare le più smisurate cortesie che mai facesse alcuno altro a chi andava o veniva per quindi; e sanza dubbio in piccol tempo assai divenne famoso.

Ora avvenne un giorno che dimorando il giovane tutto solo nella corte del suo palagio, una feminella entrata dentro per una delle porti del palagio gli domandò limosina e ebbela; e ritornata per la seconda porta pure a lui, ancora l’ebbe e così successivamente insino alla duodecima; e la tredecima volta tornata, disse Mitridanes: «Buona femina, tu se’ assai sollicita a questo tuo dimandare» e nondimeno le fece limosina.

La vecchierella, udita questa parola, disse: «O liberalità di Natan, quanto se’ tu maravigliosa! ché per trentadue porti che ha il suo palagio, sì come questo, entrata e domandatagli limosina, mai da lui, che egli mostrasse, riconosciuta non fui e sempre l’ebbi: e qui non venuta ancora se non per tredici e riconosciuta e proverbiata sono stata»; e così dicendo senza più ritornarvi si dipartì.

Mitridanes, udite le parole della vecchia, come colui che ciò che della fama di Natan udiva diminuimento della sua estimava, in rabbiosa ira acceso cominciò a dire: «Ahi lasso a me! quando aggiugnerò io alla liberalità delle gran cose di Natan, non che io il trapassi come io cerco, quando nelle piccolissime io non gli posso avvicinare? Veramente io mi fatico invano, se io di terra nol tolgo: la qual cosa, poscia che la vecchiezza nol porta via, convien senza alcun indugio che io faccia con le mie mani.»

E con questo impeto levatosi, senza comunicare il suo consiglio a alcuno, con poca compagnia montato a cavallo dopo il terzo dì dove Natan dimorava pervenne; e a’ compagni imposto che sembianti facessero di non esser con lui né di conoscerlo e che di stanzia si procacciassero infino che da lui altro avessero, quivi in sul fare della sera pervenuto e solo rimase, non guari lontano al bel palagio trovò Natan tutto solo, il quale senza alcuno abito pomposo andava a suo diporto; cui egli, non conoscendolo, domandò se insegnar gli sapesse dove Natan dimorasse.

Natan lietamente rispose: «Figliuol mio, niuno è in questa contrada che meglio di me cotesto ti sappia mostrare: e per ciò, quando ti piaccia, io vi ti menerò.»

Il giovane disse che questo gli sarebbe a grado assai ma che, dove esser potesse, egli non voleva da Natan esser veduto né conosciuto: al qual Natan disse: «E cotesto ancora farò, poi che ti piace.»

Ismontato adunque Mitridanes con Natan, che in piacevolissimi ragionamenti assai tosto il mise, infino al suo bel palagio n’andò. Quivi Natan fece a un de’ suoi famigliari prendere il caval del giovane, e accostatoglisi agli orecchi gl’impose che egli prestamente con tutti quegli della casa facesse che niuno al giovane dicesse lui esser Natan: e così fu fatto. Ma poi che nel palagio furono, mise Mitridanes in una bellissima camera dove alcuno nol vedeva, se non quegli che egli al suo servigio diputati avea; e sommamente faccendolo onorare, esso stesso gli tenea compagnia.

Col quale dimorando Mitridanes, ancora che in reverenzia come padre l’avesse, pur lo domandò chi el fosse: al quale Natan rispose: «Io sono un picciol servidor di Natan, il quale dalla mia fanciullezza con lui mi sono invecchiato, né mai a altro che tu mi vegghi mi trasse; per che, come che ogn’altro uomo molto di lui si lodi, io me ne posso poco lodare io.»

Queste parole porsero alcuna speranza a Mitridanes di potere con più consiglio e con più salvezza dare effetto al suo perverso intendimento: il qual Natan assai cortesemente domandò chi egli fosse e qual bisogno per quindi il portasse, offerendo il suo consiglio e il suo aiuto in ciò che per lui si potesse. Mitridanes soprastette alquanto al rispondere, e ultimamente diliberando di fidarsi di lui, con una lunga circuizion di parole la sua fede richiese e appresso il consiglio e l’aiuto; e chi egli era e perché venuto e da che mosso interamente gli discoperse.

Natan, udendo il ragionare e il fiero proponimento di Mitridanes, in sé tutto si cambiò, ma senza troppo stare, con forte animo e con fermo viso gli rispose: «Mitridanes, nobile uomo fu il tuo padre, dal quale tu non vuogli degenerare, sì alta impresa avendo fatta come hai, cioè d’essere liberale a tutti; e molto la invidia che alla virtù di Natan porti commendo, per ciò che, se di così fatte fossero assai, il mondo, che è miserissimo, tosto buon diverrebbe. Il tuo proponimento mostratomi senza dubbio sarà occulto, al quale io più tosto util consiglio che grande aiuto posso donare: il quale è questo. Tu puoi di quinci vedere, forse un mezzo miglio vicin di qui, un boschetto, nel quale Natan quasi ogni mattina va tutto solo prendendo diporto per ben lungo spazio: quivi leggier cosa ti fia il trovarlo e farne il tuo piacere. Il quale se tu uccidi, acciò che tu possa senza impedimento a casa tua ritornare, non per quella via donde tu qui venisti ma per quella che tu vedi a sinistra uscir fuor del bosco n’andrai, per ciò che, ancora che un poco più salvatica sia, ella è più vicina a casa tua e per te più sicura.»

Mitridanes, ricevuta la informazione e Natan da lui essendo partito, cautamente a’ suoi compagni, che similmente là entro erano, fece sentire dove aspettare il dovessero il dì seguente. Ma poi che il nuovo dì fu venuto, Natan, non avendo animo vario al consiglio dato a Mitridanes né quello in parte alcuna mutato, solo se n’andò al boschetto a dover morire.

Mitridanes, levatosi e preso il suo arco e la sua spada, ché altra arme non avea, e montato a cavallo, n’andò al boschetto e di lontano vide Natan tutto soletto andar passeggiando per quello; e diliberato avanti che l’assalisse di volerlo vedere e d’udirlo parlare, corse verso lui e presolo per la benda, la quale in capo avea, disse: «Vegliardo, tu se’ morto!»

Al quale niun’altra cosa rispose Natan se non: «Dunque l’ho io meritato.»

Mitridanes, udita la voce e nel viso guardatolo, subitamente riconobbe lui esser colui che benignamente l’avea ricevuto e familiarmente accompagnato e fedelmente consigliato; per che di presente gli cadde il furore e la sua ira si convertì in vergogna; laonde egli, gittata via la spada, la qual già per ferirlo aveva tirata fuori, da caval dismontato piagnendo corse a’ piè di Natan e disse: «Manifestamente conosco, carissimo padre, la vostra liberalità, riguardando con quanta cautela venuto siate per darmi il vostro spirito, del quale io, niuna ragione avendo, a voi medesimo disideroso mostra’mi: ma Idio, più al mio dover sollicito che io stesso, a quel punto che maggior bisogno è stato gli occhi m’ha aperto dello ’ntelletto, li quali misera invidia m’avea serrati. E per ciò quanto voi più pronto stato siete a compiacermi, tanto più mi cognosco debito alla penitenzia del mio errore: prendete adunque di me quella vendetta che convenevole estimate al mio peccato.»

Natan fece levar Mitridanes in piede e teneramente l’abbracciò e basciò e gli disse: «Figliuol mio, alla tua impresa, chente che tu la vogli chiamare o malvagia o altrimenti, non bisogna di domandar né di dar perdono, per ciò che non per odio la seguivi ma per potere essere tenuto migliore. Vivi adunque di me sicuro, e abbi di certo che niuno altro uom vive il quale te quant’io ami, avendo riguardo all’altezza dello animo tuo, il quale non a amassar denari, come i miseri fanno, ma a ispender gli ammassati s’è dato. Né ti vergognare d’avermi voluto uccidere per divenir famoso, né credere che io me ne maravigli. I sommi imperadori e i grandissimi re non hanno quasi con altra arte che d’uccidere, non uno uomo come tu volevi fare ma infiniti, e ardere paesi e abbattere le città, li loro regni ampliati, e per conseguente la fama loro: per che, se tu per più farti famoso me solo uccider volevi, non maravigliosa cosa né nuova facevi ma molto usata.»

 

Mitridanes, non iscusando il suo desidero perverso ma commendando l’onesta scusa da Natan trovata a esso, ragionando pervenne a dire sé oltre modo maravigliarsi come a ciò fosse Natan potuto disporre e a ciò dargli modo e consiglio: al quale Natan disse: «Mitridanes, io non voglio che tu del mio consiglio e della mia disposizione ti maravigli, per ciò che, poi che io nel mio albitrio fui e disposto a fare quello medesimo che tu hai a fare impreso, niun fu che mai a casa mia capitasse, che io nol contentasse a mio potere di ciò che da lui mi fu domandato. Venistivi tu vago della mia vita, per che, sentendolati domandare, acciò che tu non fossi solo colui che sanza la sua dimanda di qui si partisse, prestamente diliberai di donarlati, e acciò che tu l’avessi quel consiglio ti diedi che io credetti che buon ti fossi a aver la mia e non perder la tua; e per ciò ancora ti dico e priego che, s’ella ti piace, che tu la prenda e te medesimo ne sodisfaccia: io non so come io la mi possa meglio spendere. Io l’ho adoperata già ottanta anni, e ne’ miei diletti e nelle mie consolazioni usata: e so che, seguendo il corso della natura, come gli altri uomini fanno e generalmente tutte le cose, ella mi può omai piccol tempo esser lasciata: per che io iudico molto meglio esser quella donare, come io ho sempre i miei tesori donati e spesi, che tanto volerla guardare, che ella mi sia contro a mia voglia tolta dalla natura. Piccol dono è donare cento anni: quanto adunque è minor donarne sei o otto che io a starci abbia? Prendila adunque, se ella t’agrada, io te ne priego; per ciò che, mentre vivuto ci sono, niuno ho ancor trovato che disiderata l’abbia né so quando trovar me ne possa veruno, se tu non la prendi che la dimandi. E se pure avvenisse che io ne dovessi alcun trovare, conosco che quanto più la guarderò di minor pregio sarà; e però, anzi che ella divenga più vile, prendila, io te ne priego.»

Mitridanes, vergognandosi forte, disse: «Tolga Iddio che così cara cosa come la vostra vita è, non che io, da voi dividendola, la prenda, ma pur la disideri, come poco avanti faceva; alla quale non che io diminuissi gli anni suoi ma io l’agiugnerei volentier de’ miei.»

A cui prestamente Natan disse: «E se tu puoi, vuo’ nele tu aggiugnere? E farai a me fare verso di te quello che mai verso alcuno altro non feci, cioè delle tue cose pigliare, che mai dell’altrui non pigliai.»

«Sì» disse subitamente Mitridanes.

«Adunque» disse Natan «farai tu come io ti dirò. Tu rimarrai, giovane come tu se’, qui nella mia casa e avrai nome Natan, e io me n’andrò nella tua e farommi sempre chiamar Mitridanes.»

Allora Mitridanes rispose: «Se io sapessi così bene operare come voi sapete e avete saputo, io prenderei senza troppa diliberazione quello che m’offerete; ma per ciò che egli mi pare esser molto certo che le mie opere sarebbon diminuimento della fama di Natan, e io non intendo di guastare in altrui quello che in me io non so acconciare, nol prenderò.»

Questi e molti altri piacevoli ragionamenti stati tra Natan e Mitridanes, come a Natan piacque, insieme verso il palagio se ne tornarono, dove Natan più giorni sommamente onorò Mitridanes, e lui con ogni ingegno e saper confortò nel suo alto e grande proponimento. E volendosi Mitridanes con la sua compagnia ritornare a casa, avendogli Natan assai ben fatto conoscere che mai di liberalità nol potrebbe avanzare, il licenziò.

NOVELLA QUARTA

Messer Gentil de’ Carisendi, venuto da Modona, trae della sepoltura una donna amata da lui, sepellita per morta; la quale riconfortata partorisce un figliuol maschio, e messer Gentile lei e ’l figliuolo restituisce a Niccoluccio Caccianimico marito di lei.

Maravigliosa cosa parve a tutti che alcuno del propio sangue fosse liberale: e veramente affermaron Natan aver quella del re di Spagna e dello abate di Clignì trapassata. Ma poi che assai e una cosa e altra detta ne fu, il re, verso Lauretta riguardando, le dimostrò che egli desiderava che ella dicesse; per la qual cosa Lauretta prestamente incominciò.

Giovani donne, magnifice cose e belle sono state le raccontate, né mi pare che alcuna cosa restata sia a noi che abbiamo a dire, per la qual novellando vagar possiamo, sì son tutte dall’altezza delle magnificenzie raccontate occupate, se noi ne’ fatti d’amore già non mettessimo mano, li quali a ogni materia prestano abondantissima copia di ragionare. E per ciò, sì per questo e sì per quello a che la nostra età ci dee principalmente inducere, una magnificenzia da uno inamorato fatta mi piace di raccontarvi, la quale, ogni cosa considerata, non vi parrà per avventura minore che alcuna delle mostrate, se quello è vero che i tesori si donino, le inimicizie si dimentichino e pongasi la propia vita, l’onore e la fama, ch’è molto più, in mille pericoli per potere la cosa amata possedere.

Fu adunque in Bologna, nobilissima città di Lombardia, un cavaliere per virtù e per nobiltà di sangue raguardevole assai, il qual fu chiamato messer Gentil Carisendi, il qual giovane d’una gentil donna chiamata madonna Catalina, moglie d’un Niccoluccio Caccianemico, s’innamorò; e perché male dello amor della donna era, quasi disperatosene, podestà chiamato di Modona, v’andò.

In questo tempo, non essendo Niccoluccio a Bologna e la donna a una sua possessione forse tre miglia alla terra vicina essendosi, per ciò che gravida era, andata a stare, avvenne che subitamente un fiero accidente la sopraprese, il quale fu tale e di tanta forza, che in lei spense ogni segno di vita e per ciò eziandio da alcun medico morta giudicata fu; e per ciò che le sue più congiunte parenti dicevan sé avere avuto da lei non essere ancora di tanto tempo gravida, che perfetta potesse essere la creatura, senza altro impaccio darsi, quale ella era, in uno avello d’una chiesa ivi vicina dopo molto pianto la sepellirono.

La qual cosa subitamente da un suo amico fu significata a messer Gentile, il qual di ciò, ancora che della sua grazia fosse poverissimo, si dolfe molto, ultimamente seco dicendo: «Ecco, madonna Catalina, tu se’ morta: io mentre che vivesti, mai un solo sguardo da te aver non potei: per che, ora che difender non ti potrai, convien per certo che, così morta come tu se’, io alcun bascio ti tolga.»

E questo detto, essendo già notte, dato ordine come la sua andata occulta fosse, con un suo famigliare montato a cavallo, senza ristare colà pervenne dove sepellita era la donna; e aperta la sepoltura in quella diligentemente entrò, e postolesi a giacere allato il suo viso a quello della donna accostò, e più volte con molte lagrime piangendo il basciò. Ma sì come noi veggiamo l’appetito degl’uomini a niun termine star contento ma sempre più avanti desiderare, e spezialmente quello degli amanti, avendo costui seco diliberato di più non starvi, disse: «Deh! perché non le tocco io, poi che io son qui, un poco il petto? Io non la debbo mai più toccare né mai più la toccai.»

Vinto adunque da questo appetito le mise la mano in seno: e per alquanto spazio tenutalavi gli parve sentire alcuna cosa battere il cuore a costei. Il quale, poi che ogni paura ebbe cacciata da sé, con più sentimento cercando, trovò costei per certo non esser morta, quantunque poca e debole estimasse la vita: per che soavemente quanto più poté, dal suo famigliare aiutato, del monimento la trasse e, davanti al caval messalasi, segretamente in casa sua la condusse in Bologna.

Era quivi la madre di lui, valorosa e savia donna, la qual, poscia che dal figliuolo ebbe distesamente ogni cosa udita, da pietà mossa chetamente con grandissimi fuochi e con alcun bagno in costei rivocò la smarrita vita; la quale come rivenne, così gittò un gran sospiro e disse: «Oimè! ora ove sono io?»

A cui la valente donna rispose: «Confortati, tu se’ in buon luogo.»

Costei, in sé tornata e dintorno guardandosi, non bene conoscendo dove ella fosse e veggendosi davanti messer Gentile, piena di maraviglia la madre di lui pregò che le dicesse in che guisa ella quivi venuta fosse: alla quale messer Gentile ordinatamente contò ogni cosa. Di che ella dolendosi, dopo alquanto quelle grazie gli rendè che ella poté, e appresso il pregò, per quello amore il quale egli l’aveva già portato e per cortesia di lui, che in casa sua ella da lui non ricevesse cosa che fosse meno che onor di lei e del suo marito e, come il dì venuto fosse, alla sua propia casa la lasciasse tornare.

Alla quale messer Gentile rispose: «Madonna, chente che il mio disiderio si sia stato ne’ tempi passati, io non intendo al presente né mai per innanzi (poi che Idio m’ha questa grazia conceduta, che da morte a vita mi v’ha renduta, essendone cagione l’amore che io v’ho per adietro portato) di trattarvi né qui né altrove se non come cara sorella. Ma questo mio benificio operato in voi questa notte merita alcun guiderdone; e per ciò io voglio che voi non mi neghiate una grazia la quale io vi domanderò.»

Al quale la donna benignamente rispose sé essere apparecchiata, solo che ella potesse e onesta fosse: messer Gentile allora disse: «Madonna, ciascun vostro parente e ogni bolognese credono e hanno per certo voi esser morta, per che niuna persona è la quale più a casa v’aspetti; e per ciò io voglio di grazia da voi che vi debbia piacere di dimorarvi tacitamente qui con mia madre infino a tanto che io da Modona torni, che sarà tosto. E la cagione per che io questo vi cheggio è per ciò che io intendo di voi, in presenzia de’ migliori cittadini di questa terra, fare un caro e uno solenne dono al vostro marito.»

La donna, conoscendosi al cavaliere obligata e che la domanda era onesta, quantunque molto disiderasse di rallegrare della sua vita i suoi parenti, si dispuose a far quello che messer Gentile domandava; e così sopra la sua fede gli promise. E appena erano le parole della sua risposta finite, che ella sentì il tempo del partorire esser venuto: per che, teneramente dalla madre di messer Gentile aiutata, non molto stante partorì un bel figliuol maschio, la qual cosa in molti doppi multiplicò la letizia di messer Gentile e di lei. Messer Gentile ordinò che le cose oportune tutte vi fossero e che così fosse servita costei come se sua propia moglie fosse; e a Modona segretamente se ne tornò.

Quivi fornito il tempo del suo uficio e a Bologna dovendosene tornare, ordinò, quella mattina che in Bologna entrar doveva, di molti e gentili uomini di Bologna, tra’ quali fu Niccoluccio Caccianimico, un grande e bel convito in casa sua; e tornato e ismontato e con lor trovatosi, avendo similmente la donna ritrovata più bella e più sana che mai e il suo figlioletto star bene, con allegrezza incomparabile i suoi forestieri mise a tavola e quegli fece di più vivande magnificamente servire.

E essendo già vicino alla sua fine il mangiare, avendo egli prima alla donna detto quello che di fare intendeva e con lei ordinato il modo che dovesse tenere, così cominciò a parlare: «Signori, io mi ricordo avere alcuna volta inteso in Persia essere, secondo il mio iudicio, una piacevole usanza, la quale è che, quando alcuno vuole sommamente onorare il suo amico, egli lo ’nvita a casa sua e quivi gli mostra quella cosa, o moglie o amica o figliuola o che che si sia, la quale egli ha più cara, affermando che, se egli potesse, così come questo gli mostra, molto più volentieri gli mosterria il cuor suo; la quale io intendo di volere observare in Bologna. Voi, la vostra mercé, avete onorato il mio convito, e io voglio onorar voi alla persesca, mostrandovi la più cara cosa che io abbia nel mondo o che io debbia aver mai. Ma prima che io faccia questo, vi priego mi diciate quello che sentite d’un dubbio il quale io vi moverò. Egli è alcuna persona la quale ha in casa un suo buono e fedelissimo servidore, il quale inferma gravemente; questo cotale, senza attendere il fine del servo infermo, il fa portare nel mezzo della strada né più ha cura di lui; viene uno strano e mosso a compassione dello ’nfermo e’ sel reca a casa e con gran sollicitudine e con ispesa il torna nella prima sanità. Vorrei io ora sapere se, tenendolsi e usando i suoi servigi, il suo signore si può a buona equità dolere o ramaricare del secondo, se egli raddomandandolo rendere nol volesse.»

I gentili uomini, fra sé avuti varii ragionamenti e tutti in una sentenzia concorrendo, a Niccoluccio Caccianimico, per ciò che bello e ornato favellatore era, commisero la risposta. Costui, commendata primieramente l’usanza di Persia, disse sé con gli altri insieme essere in questa opinione, che il primo signore niuna ragione avesse più nel suo servidore, poi che in sì fatto caso non solamente abandonato ma gittato l’avea, e che per li benifici del secondo usati giustamente parea di lui il servidore divenuto, per che, tenendolo, niuna noia, niuna forza, niuna ingiuria faceva al primiero; gli altri tutti che alle tavole erano, ché v’avea di valenti uomini, tutti insieme sé tener quello che da Niccoluccio era stato risposto.

 

Il cavaliere, contento di tal risposta e che Niccoluccio l’avesse fatta, affermò sé essere in quella opinione altressì, e appresso disse: «Tempo è omai che io secondo la promessa v’onori»; e chiamati due de’ suoi famigliari, gli mandò alla donna, la quale egli egregiamente avea fatta vestire e ornare, e mandolla pregando che le dovesse piacere di venire a far lieti i gentili uomini della sua presenzia.

La qual, preso in braccio il figliolin suo bellissimo, da’ due famigliari accompagnata nella sala venne, e come al cavalier piacque appresso a un valente uomo si pose a sedere; e egli disse: «Signori, questa è quella cosa che io ho più cara e intendo d’avere che alcun’altra: guardate se egli vi pare che io abbia ragione.»

I gentili uomini, onoratola e commendatala molto e al cavaliere affermato che cara la doveva avere, la cominciarono a riguardare; e assai ve n’eran che lei avrebbon detto colei chi ella era, se lei per morta non avessero avuta. Ma sopra tutti la riguardava Niccoluccio, il quale, essendosi alquanto partito il cavaliere, sì come colui che ardeva di sapere chi ella fosse, non potendosene tenere, la domandò se bolognese fosse o forestiera. La donna, sentendosi al suo marito domandare, con fatica di risponder si tenne: ma pur per servare l’ordine posto tacque. Alcun altro la domandò se suo era quel figlioletto, e alcuno se moglie fosse di messer Gentile o in altra maniera sua parente; a’ quali niuna risposta fece.

Ma sopravvegnendo messer Gentile, disse alcun de’ suoi forestieri: «Messere, bella cosa è questa vostra, ma ella ne par mutola: è ella così?»

«Signori,» disse messer Gentile «il non avere ella al presente parlato è non piccolo argomento della sua virtù.»

«Diteci adunque voi» seguitò colui «chi ella è.»

Disse il cavaliere: «Questo farò io volentieri, sol che voi mi promettiate, per cosa che io dica, niuno doversi muovere del luogo suo fino a tanto che io non ho la mia novella finita.»

Al quale avendol promesso ciascuno e essendo già levate le tavole, messer Gentile, allato alla donna sedendo, disse: «Signori, questa donna è quello leale e fedel servo del quale io poco avanti vi fe’ la dimanda; la quale, da’ suoi poco avuta cara e così come vile e più non utile nel mezzo della strada gittata, da me fu ricolta e colla mia sollicitudine e opera delle mani la trassi alla morte: e Iddio, alla mia buona affezion riguardando, di corpo spaventevole così bella divenir me l’ha fatta. Ma acciò che voi più apertamente intendiate come questo avvenuto mi sia, brievemente vel farò chiaro.» E cominciatosi dal suo innamorarsi di lei, ciò che avvenuto era infino allora distintamente narrò con gran maraviglia degli ascoltanti: e poi soggiunse: «Per le quali cose, se mutata non avete sentenzia da poco in qua, e Niccoluccio spezialmente, questa donna meritamente è mia, né alcuno con giusto titolo me la può radomandare.»

A questo niun rispose, anzi tutti attendevan quello che egli più avanti dovesse dire. Niccoluccio e degli altri che v’erano e la donna di compassion lagrimavano; ma messer Gentile, levatosi in piè e preso nelle sue braccia il picciol fanciullino e la donna per la mano e andato verso Niccoluccio, disse: «Leva su, compare; io non ti rendo tua mogliere, la quale i tuoi e suoi parenti gittarono via, ma io ti voglio donare questa donna mia comare con questo suo figlioletto, il qual son certo che fu da te generato e il quale io a battesimo tenni e nomina’lo Gentile. E priegote che, perch’ella sia nella mia casa vicin di tre mesi stata, ella non ti sia men cara; ché io ti giuro per quello Iddio che forse già di lei innamorar mi fece acciò che il mio amore fosse, sì come stato è, cagion della sua salute, che ella mai o col padre o colla madre o con teco più onestamente non visse, che ella appresso di mia madre ha fatto nella mia casa.» E questo detto, si rivolse alla donna e disse: «Madonna, omai da ogni promessa fattami io v’assolvo e libera vi lascio di Niccoluccio»; e rimessa la donna e ’l fanciul nelle braccia di Niccoluccio si tornò a sedere.

Niccoluccio disiderosamente ricevette la sua donna e figliuolo, tanto più lieto quanto più n’era di speranza lontano, e come meglio poté e seppe ringraziò il cavaliere; e gli altri, che tutti di compassion lagrimavano, di questo il commendaron molto, e commendato fu da chiunque l’udì. La donna con maravigliosa festa fu in casa sua ricevuta e quasi risuscitata con ammirazione fu più tempo guatata da’ bolognesi; e messer Gentile sempre amico visse di Niccoluccio e de’ suoi parenti e di quei della donna.

Che adunque qui, benigne donne, direte? estimerete l’aver donato un re lo scettro e la corona, e uno abate senza suo costo avere rinconciliato un malfattore al Papa, o un vecchio porgere la sua gola al coltello del nimico, essere stato da aguagliare al fatto di messer Gentile? Il quale giovane e ardente, e giusto titolo parendogli avere in ciò che la tracutaggine altrui aveva gittato via e egli per la sua buona fortuna aveva ricolto, non solo temperò onestamente il suo fuoco, ma liberalmente quello che egli soleva con tutto il pensier disiderare e cercare di rubare, avendolo, restituì. Per certo niuna delle già dette a questa mi par simigliante.