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Decameron

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NOVELLA TERZA

Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone vanno cercando di trovar l’elitropia, e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia e egli turbato la batte, e a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.

Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevano tanto riso che ancora ridono, la reina a Elissa commise che seguitasse; la quale ancora ridendo incominciò.

Io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrà fatto di farvi con una mia novelletta non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua: ma io me ne ingegnerò.

Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata abondevole, fu, ancora non è gran tempo, un dipintore chiamato Calandrino, uom semplice e di nuovi costumi. Il quale il più del tempo con due altri dipintori usava, chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli molto ma per altro avveduti e sagaci, li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi suoi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano. Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in ciascuna cosa che far voleva, astuto e avvenevole, chiamato Maso del Saggio; il quale, udendo alcune cose della semplicità di Calandrino, propose di voler prender diletto de’ fatti suoi col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova cosa.

E per avventura trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni e vedendolo stare attento a riguardare le dipinture e gl’intagli del tabernaculo il quale è sopra l’altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi, pensò essergli dato luogo e tempo alla sua intenzione. E informato un suo compagno di ciò che fare intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e faccendo vista di non vederlo insieme incominciarono a ragionare delle virtù di diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente parlava come se stato fosse un solenne e gran lapidario. A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie, e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza, si congiunse con loro, il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole, fu da Calandrin domandato dove queste pietre così virtuose si trovassero. Maso rispose che le più si trovavano in Berlinzone, terra de’ baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce e avevavisi un’oca a denaio e un papero giunta; e eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva; e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua.

«Oh!» disse Calandrino «cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ capponi che cuocon coloro?»

Rispose Maso: «Mangiansegli i baschi tutti.»

Disse allora Calandrino: «Fostivi tu mai?»

A cui Maso rispose: «Di’ tu se io vi fu’ mai? Sì vi sono stato così una volta come mille.»

Disse allora Calandrino: «E quante miglia ci ha?»

Maso rispose: «Haccene più di millanta, che tutta notte canta.»

Disse Calandrino: «Dunque dee egli essere più là che Abruzzi.»

«Sì bene,» rispose Maso «sì è cavelle.»

Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità è più manifesta, e così l’aveva per vere; e disse: «Troppo ci è di lungi a’ fatti miei: ma se più presso ci fosse, ben ti dico che io vi verrei una volta con esso teco pur per veder fare il tomo a quei maccheroni e tormene una satolla. Ma dimmi, che lieto sie tu, in queste contrade non se ne truova niuna di queste pietre così virtuose?»

A cui Maso rispose: «Sì, due maniere di pietre ci si truovano di grandissima virtù. L’una sono i macigni da Settignano e da Montisci, per vertù de’ quali, quando son macine fatti, se ne fa la farina, e per ciò si dice egli in que’ paesi di là che da Dio vengon le grazie e da Montisci le macine; ma ècci di questi macigni sì gran quantità, che appo noi è poco prezzata, come appo loro gli smeraldi, de’ quali v’ha maggior montagne che Monte Morello, che rilucon di mezzanotte vatti con Dio; e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella prima che elle si forassero e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse. L’altra si è una pietra, la quale noi altri lapidarii appelliamo elitropia, pietra di troppo gran vertù, per ciò che qualunque persona la porta sopra di sé, mentre la tiene, non è da alcuna altra persona veduto dove non è.»

Allora Calandrin disse: «Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si truova?»

A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare.

Disse Calandrino: «Di che grossezza è questa pietra? o che colore è il suo?»

Rispose Maso: «Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è più, alcuna meno, ma tutte son di colore quasi come nero.»

Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate, fatto sembianti d’avere altro a fare, si partì da Maso e seco propose di volere cercare di questa pietra; ma diliberò di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffailmacco, li quali spezialissimamente amava. Diessi adunque a cercar di costoro, acciò che senza indugio e prima che alcuno altro n’andassero a cercare, e tutto il rimanente di quella mattina consumò in cercargli. Ultimamente, essendo già l’ora della nona passata, ricordandosi egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza, quantunque il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua faccenda, quasi correndo n’andò a costoro e chiamatigli così disse loro: «Compagni, quando voi vogliate credermi, noi possiamo divenire i più ricchi uomini di Firenze: per ciò che io ho inteso da uomo degno di fede che in Mugnone si truova una pietra, la qual chi la porta sopra non è veduto da niuna altra persona; per che a me parrebbe che noi senza alcuno indugio, prima che altra persona v’andasse, v’andassimo a cercar. Noi la troverem per certo, per ciò che io la conosco; e trovata che noi l’avremo, che avrem noi a fare altro se non mettercela nella scarsella e andare alle tavole de’ cambiatori, le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi e di fiorini, e torcene quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrà; e così potremo arricchire subitamente, senza avere tutto dì a schiccherare le mura a modo che fa la lumaca.»

Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra se medesimi cominciarono a ridere, e guatando l’un verso l’altro fecer sembianti di maravigliarsi forte e lodarono il consiglio di Calandrino; ma domandò Buffalmacco come questa pietra avesse nome.

A Calandrino, che era di grossa pasta, era già il nome uscito di mente; per che egli rispose: «Che abbiam noi a far del nome poi che noi sappiamo la vertù? A me parrebbe che noi andassomo a cercare senza star più.»

«Or ben» disse Bruno «come è ella fatta?»

Calandrin disse: «Egli ne son d’ogni fatta ma tutte son quasi nere; per che a me pare che noi abbiamo a ricogliere tutte quelle che noi vederem nere, tanto che noi ci abbattiamo a essa; e per ciò non perdiam tempo, andiamo.»

A cui Bruno disse: «Or t’aspetta»; e volto a Buffalmacco disse: «A me pare che Calandrino dica bene, ma non mi pare che questa sia ora da ciò, per ciò che il sole è alto e dà per lo Mugnone entro e ha tutte le pietre rasciutte, per che tali paion testé bianche, delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il sole l’abbia rasciutte, paion nere: e oltre a ciò molta gente per diverse cagioni è oggi, che è dì da lavorare, per lo Mugnone, li quali vedendoci si potrebbono indovinare quello che noi andassomo faccendo e forse farlo essi altressì; e potrebbe venire alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l’ambiadura. A me pare, se pare a voi, che questa sia opera da dover far da mattina, che si conoscon meglio le nere dalle bianche, e in dì di festa, che non vi sarà persona che ci vegga.»

Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s’accordò: e ordinarono che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar di questa pietra; ma sopra ogni altra cosa gli pregò Calandrino che essi non dovesser questa cosa con persona del mondo ragionare, per ciò che a lui era stata posta in credenza. E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della contrada di Bengodi, con saramenti affermando che così era. Partito Calandrino da loro, essi quello che intorno a questo avessero a fare ordinarono fra se medesimi.

Calandrino con disidero aspettò la domenica mattina: la qual venuta, in sul far del dì si levò. E chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel Mugnon discesi cominciarono a andare in giù della pietra cercando. Calandrino andava, e come più volenteroso, avanti e prestamente or qua e or là saltando, dovunque alcuna pietra nera vedeva si gittava e quella ricogliendo si metteva in seno. I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’altra ne ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n’ebbe pieno, per che, alzandosi i gheroni della gonnella, che alla analda non era, e faccendo di quegli ampio grembo, bene avendogli alla coreggia attaccati d’ogni parte, non dopo molto gli empiè, e similmente, dopo alquanto spazio, fatto del mantello grembo, quello di pietre empiè. Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del mangiare s’avicinava, secondo l’ordine da sé posto disse Bruno a Buffalmacco: «Calandrino dove è?»

Buffalmacco, che ivi presso sel vedea, volgendosi intorno e or qua e or là riguardando, rispose: «Io non so, ma egli era pur poco fa qui dinanzi da noi.»

Disse Bruno: «Ben che fa poco! a me par egli esser certo che egli è ora a casa a desinare e noi ha lasciati nel farnetico d’andar cercando le pietre nere giù per lo Mugnone.»

 

«Deh come egli ha ben fatto» disse allor Buffalmacco «d’averci beffati e lasciati qui, poscia che noi fummo sì sciocchi, che noi gli credemmo. Sappi! chi sarebbe stato sì stolto, che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una così virtuosa pietra, altri che noi?»

Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse venuta e che per la vertù d’essa coloro, ancor che loro fosse presente, nol vedessero. Lieto adunque oltre modo di tal ventura, senza dir loro alcuna cosa, pensò di tornarsi a casa; e volti i passi indietro se ne cominciò a venire.

Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: «Noi che faremo? ché non ce ne andiam noi?»

A cui Bruno rispose: «Andianne; ma io giuro a Dio che mai Calandrino non me ne farà più niuna; e se io gli fossi presso come stato sono tutta mattina, io gli darei tale di questo ciotto nelle calcagna, che egli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa»; e il dir le parole e l’aprirsi e dar del ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutto uno. Calandrino, sentendo il duolo, levò alto il piè e cominciò a soffiare ma pur si tacque e andò oltre.

Buffalmacco, recatosi in mano uno de’ codoli che raccolti avea, disse a Bruno: «Deh vedi bel codolo: così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino!» e lasciato andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal guisa, or con una parola e or con un’altra, su per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo il vennero lapidando. Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri si ristettero; le quali, prima da loro informate, faccendo vista di non vedere lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo. Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alla Macina; e in tanto fu la fortuna piacevole alla beffa, che, mentre Calandrino per lo fiume ne venne e poi per la città, niuna persona gli fece motto, come che pochi ne scontrasse per ciò che quasi a desinare era ciascuno.

Entrossene adunque Calandrino così carico in casa sua. Era per avventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e valente donna, in capo della scala: e alquanto turbata della sua lunga dimora, veggendol venire cominciò proverbiando a dire: «Mai, frate, il diavol ti ci reca! Ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare.»

Il che udendo Calandrino e veggendo che veduto era, pieno di cruccio e di dolore cominciò a gridare: «Oimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m’hai diserto, ma in fé di Dio io te ne pagherò!» e salito in una sua saletta e quivi scaricate le molte pietre che recate avea, niquitoso corse verso la moglie e presala per le trecce la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli poté menar le braccia e’ piedi, tanto le diè per tutta la persona: pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso adosso che macero non fosse le diede, niuna cosa valendole il chieder mercé con le mani in croce.

Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso, con lento passo cominciarono alquanto lontani a seguitar Calandrino; e giunti a piè dell’uscio di lui sentirono la fiera battitura la quale alla moglie dava, e faccendo vista di giugnere pure allora il chiamarono. Calandrino tutto sudato, rosso affannato si fece alla finestra e pregogli che suso a lui dovessero andare. Essi, mostrandosi alquanto turbati, andaron suso e videro la sala piena di pietre e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta nel viso, dolorosamente piagnere; e d’altra parte Calandrino, scinto e ansando a guisa d’uom lasso, sedersi.

Dove, come alquanto ebbero riguardato, dissero: «Che è questo, Calandrino? vuoi tu murare, ché noi veggiamo qui tante pietre?» e oltre a questo sugiunsero: «E monna Tessa che ha? E’ par che tu l’abbi battuta: che novelle son queste?» Calandrino, faticato dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la donna aveva battuta e del dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere, non poteva raccoglier lo spirito a formare intera la parola alla risposta; per che soprastando, Buffalmacco rincominciò: «Calandrino, se tu avevi altra ira, tu non ci dovevi per ciò straziare come fatto hai; ché, poi sedotti ci avesti a cercar teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo, a guisa di due becconi nel Mugnon ci lasciasti e venistitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai.»

A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: «Compagni, non vi turbate, l’opera sta altramenti che voi non pensate. Io, sventurato!, aveva quella pietra trovata; e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente di me domandaste l’un l’altro, io v’era presso a men di diece braccia e veggendo che voi ve ne venavate e non mi vedavate v’entrai innanzi, e continuamente poco innanzi a voi me ne son venuto.» E cominciandosi dall’un de’ capi infin la fine raccontò loro ciò che essi fatto e detto aveano e mostrò loro il dosso e le calcagna come i ciotti conci gliel’avessero; e poi seguitò: «E dicovi che, entrando alla porta con tutte queste pietre in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser sogliano spiacevoli e noiosi que’ guardiani a volere ogni cosa vedere; e oltre a questo ho trovati per la via più miei compari e amici, li quali sempre mi soglion far motto e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sì come quegli che non mi vedeano. Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa femina maladetta mi si parò dinanzi e ebbemi veduto, per ciò che, come voi sapete, le femine fanno perder la vertù a ogni cosa: di che io, che mi poteva dire il più avventurato uom di Firenze, sono rimaso il più sventurato; e per questo l’ho tanto battuta quanto io ho potuto menar le mani e non so a quello che io mi tengo che io non le sego le veni, che maladetta sia l’ora che io prima la vidi e quando ella mai venne in questa casa!» E raccesosi nell’ira si voleva levare per tornare a batterla da capo.

Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte e spesso affermavano quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di ridere, che quasi scoppiavano; ma vedendolo furioso levare per battere un’altra volta la moglie, levatiglisi alla ’ncontro il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la donna ma egli, che sapeva che le femine facevano perdere la vertù alle cose e non l’aveva detto che ella si guardasse d’apparirgli innanzi quel giorno: il quale avvedimento Idio gli aveva tolto o per ciò che la ventura non doveva esser sua o perché egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ quali, come s’avedeva averla trovata, il dovea palesare. E dopo molte parole, non senza gran fatica la dolente donna riconciliata con essolui e lasciandol malinconoso con la casa piena di pietre, si partirono.

NOVELLA QUARTA

Il proposto di Fiesole ama una donna vedova: non è amato da lei e, credendosi giacer con lei, giace con una sua fante, e i fratelli della donna vel fanno trovare al vescovo suo.

Venuta Elissa alla fine della sua novella non senza gran piacere di tutta la compagnia avendola raccontata, quando la reina a Emilia voltatasi le mostrò voler che ella appresso d’Elissa la sua raccontasse; la quale prestamente così cominciò.

Valorose donne, quando i preti e’ frati e ogni cherico sieno sollecitatori delle menti nostre in più novelle dette mi ricorda esser mostrato; ma per ciò che dire non se ne potrebbe tanto, che ancora più non ne fosse, io oltre a quelle intendo di dirvene una d’un proposto quale, malgrado di tutto il mondo, voleva che una gentil donna vedova gli volesse bene, o volesse ella o no: la quale, sì come molto savia, il trattò sì come egli era degno.

Come ciascuna di voi sa, Fiesole, il cui poggio noi possiamo di quinci vedere, fu già antichissima città e grande, come che oggi tutta disfatta sia, né per ciò è mai cessato che vescovo avuto non abbia, e ha ancora. Quivi vicino alla maggior chiesa ebbe già una gentil donna vedova, chiamata monna Piccarda, un suo podere con una casa non troppo grande; e per ciò che la più agiata donna del mondo non era, quivi la maggior parte dell’anno dimorava, e con lei due suoi fratelli, giovani assai da bene e cortesi. Ora avvenne che, usando questa donna alla chiesa maggiore e essendo ancora assai giovane e bella e piacevole, di lei s’innamorò sì forte il proposto della chiesa, che più qua né più là non vedea; e dopo alcun tempo fu di tanto ardire, che egli medesimo disse a questa donna il piacer suo, e pregolla che ella dovesse esser contenta del suo amore e d’amar lui come egli lei amava.

Era questo proposto d’anni già vecchio ma di senno giovanissimo, baldanzoso e altiero, e di sé ogni gran cosa presummeva, con suoi modi e costumi pien di scede e di spiacevolezze, e tanto sazievole e rincrescevole, che niuna persona era che ben gli volesse; e se alcuno ne gli voleva poco, questa donna era colei, ché non solamente non ne gli volea punto, ma ella l’aveva più in odio che il mal del capo; per che ella, sì come savia, gli rispose: «Messer, che voi m’amiate mi può esser molto caro, e io debbo amar voi e amerovvi volentieri; ma tra il vostro amore e ’l mio niuna cosa disonesta dee cader mai. Voi siete mio padre spirituale e siete prete, e già v’appressate molto bene alla vecchiezza, le quali cose vi debbono fare e onesto e casto; e d’altra parte io non son fanciulla, alla quale questi innamoramenti steano oggimai bene, e son vedova, che sapete quanta onestà nelle vedove si richiede; e per ciò abbiatemi per iscusata, che al modo che voi mi richiedete io non v’amere’ mai né così voglio essere amata da voi.»

Il proposto, per quella volta non potendo trarre da lei altro, non fece come sbigottito o vinto al primo colpo, ma usando la sua trascutata prontezza la sollecitò molte volte e con lettere e con ambasciate e ancora egli stesso quando nella chiesa la vedeva venire; per che, parendo questo stimolo troppo grave e troppo noioso alla donna, si pensò di volerlosi levar da dosso per quella maniera la quale egli meritava, poscia che altramenti non poteva; ma cosa alcuna far non volle, che prima co’ fratelli nol ragionasse. E detto loro ciò che il proposto verso lei operava e quello ancora che ella intendeva di fare e avendo in ciò piena licenzia da loro, ivi a pochi giorni andò alla chiesa come usata era; la quale come il proposto vide, così se ne venne verso lei e, come far soleva, per un modo parentevole seco entrò in parole.

La donna, vedendol venire e verso lui riguardando, gli fece lieto viso; e da una parte tiratisi, avendole il proposto molte parole dette al modo usato, la donna dopo un gran sospiro disse: «Messere, io ho udito assai volte che egli non è alcun castello sì forte, che, essendo ogni dì combattuto, non venga fatto d’esser preso una volta; il che io veggo molto bene in me essere avvenuto. Tanto ora con dolci parole e ora con una piacevolezza e ora con un’altra mi sete andato da torno, che voi m’avete fatto rompere il mio proponimento: e son disposta, poscia che io così vi piaccio, a volere esser vostra.»

Il proposto tutto lieto disse: «Madonna, gran mercé; e a dirvi il vero, io mi sono forte maravigliato come voi vi siete tanto tenuta, pensando che mai più di niuna non m’avenne: anzi ho io alcuna volta detto: «Se le femine fossero d’ariento, elle non varrebbon denaio, per ciò che niuna se ne terrebbe a martello’. Ma lasciamo andare ora questo: quando e dove potrem noi essere insieme?»

A cui la donna rispose: «Signor mio dolce, il quando potrebbe essere qualora più ci piacesse, per ciò che io non ho marito a cui mi convenga render ragione delle notti; ma io non so pensare il dove.»

Disse il proposto: «Come no? o in casa vostra?»

Rispose la donna: «Messer, voi sapete che io ho due fratelli giovani, li quali e di dì e di notte vengono in casa con lor brigate, e la casa mia non è troppo grande: e per ciò esser non vi si potrebbe, salvo chi non volesse starvi a modo di mutolo senza far motto o zitto alcuno e al buio a modo di ciechi: vogliendo far così, si potrebbe, per ciò che essi non s’impacciano nella camera mia, ma è la loro sì allato alla mia, che paroluzza sì cheta non si può dire, che non si senta.»

Disse allora il proposto: «Madonna, per questo non rimanga per una notte o per due, intanto che io pensi dove noi possiamo essere in altra parte con più agio.»

La donna disse: «Messere, questo stea pure a voi, ma d’una cosa vi priego: che questo stea segreto, che mai parola non se ne sappia.»

Il proposto disse allora: «Madonna, non dubitate di ciò, e, se esser puote, fate che istasera noi siamo insieme.»

 

La donna disse: «Piacemi», e datogli l’ordine come e quando venir dovesse, si partì e tornossi a casa.

Aveva questa donna una sua fante, la quale non era però troppo giovane, ma ella aveva il più brutto viso e il più contraffatto che si vedesse mai: ché ella aveva il naso schiacciato forte e la bocca torta e le labbra grosse e i denti mal composti e grandi, e sentiva del guercio, né mai era senza mal d’occhi, con un color verde e giallo che pareva che non a Fiesole ma a Sinagaglia avesse fatta la state, e oltre a tutto questo era sciancata e un poco monca dal lato destro; e il suo nome era Ciuta, e perché così cagnazzo viso aveva, da ogni uomo era chiamata Ciutazza; e benché ella fosse contraffatta della persona, ella era pure alquanto maliziosetta. La quale la donna chiamò a sé e dissele: «Ciutazza, se tu mi vuoi fare un servigio stanotte, io ti donerò una bella camiscia nuova.»

La Ciutazza, udendo ricordar la camiscia, disse: «Madonna, se voi mi date una camiscia, io mi gitterò nel fuoco, non che altro.»

«Or ben,» disse la donna «io voglio che tu giaccia stanotte con uno uomo entro il letto mio e che tu gli faccia carezze e guarditi ben di non far motto, sì che tu non fossi sentita da’ fratei miei, che sai che ti dormono allato; e poscia io ti darò la camiscia.»

La Ciutazza disse: «Sì, dormirò io con sei, non che con uno, se bisognerà.»

Venuta adunque la sera, messer lo ploposto venne come ordinato gli era stato, e i due giovani, come la donna composto avea, erano nella camera loro e facevansi ben sentire: per che il proposto, tacitamente e al buio nella camera della donna entratosene, se n’andò, come ella gli disse, al letto, e dall’altra parte la Ciutazza, ben dalla donna informata di ciò che a fare avesse. Messer lo ploposto, credendosi aver la donna sua allato, si recò in braccio la Ciutazza e cominciolla a basciare senza dir parola, e la Ciutazza lui; e cominciossi il proposto a sollazzar con lei, la possession pigliando de’ beni lungamente disiderati.

Quando la donna ebbe questo fatto, impose a’ fratelli che facessero il rimanente di ciò che ordinato era; li quali, chetamente della camera usciti, n’andarono verso la piazza, e fu lor la fortuna in quello che far voleano più favorevole che essi medesimi non dimandavano; per ciò che, essendo il caldo grande, aveva domandato il vescovo di questi due giovani, per andarsi infino a casa lor diportando e ber con loro. Ma come venir gli vide, così detto loro il suo disidero con loro si mise in via; e in una lor corticella fresca entrato, dove molti lumi accesi erano, con gran piacer bevve d’un lor buon vino.

E avendo bevuto, dissono i giovani: «Messer, poi che tanta di grazia n’avete fatta, che degnato siete di visitar questa nostra piccola casetta, alla quale noi venavamo a invitarvi, noi vogliam che vi piaccia di voler vedere una cosetta che noi vi vogliam mostrare.»

Il vescovo rispose che volentieri: per che l’un de’ giovani, preso un torchietto acceso in mano e messosi innanzi, seguitandolo il vescovo e tutti gli altri, si dirizzò verso la camera dove messer lo ploposto giaceva con la Ciutazza; il quale, per giugner tosto, s’era affrettato di cavalcare e era, avanti che costor quivi venissero, cavalcato già delle miglia più di tre, per che istanchetto, avendo non ostante il caldo la Ciutazza in braccio, si riposava. Entrato adunque con lume in mano il giovane nella camera, e il vescovo appresso e poi tutti gli altri, gli fu mostrato il proposto con la Ciutazza in braccio. In questo destatosi messer lo proposto e veduto il lume e questa gente da tornosi, vergognandosi forte e temendo, mise il capo sotto i panni; al quale il vescovo disse una gran villania e fecegli trarre il capo fuori e vedere con cui giaciuto era. Il proposto, conosciuto lo ’nganno della donna, sì per quello e sì per lo vituperio che aver gli parea, subito divenne il più doloroso uomo che fosse mai; e per comandamento del vescovo rivestitosi, a patire gran penitenza del peccato commesso con buona guardia ne fu mandato alla casa. Volle il vescovo appresso sapere come questo fosse avvenuto, che egli quivi con la Ciutazza fosse a giacere andato. I giovani gli dissero ordinatamente ogni cosa; il che il vescovo udito, commendò molto la donna e i giovani altressì, che, senza volersi del sangue de’ preti imbrattar le mani, lui sì come egli era degno avean trattato.

Questo peccato gli fece il vescovo piagnere quaranta dì ma amore e isdegno gliele fecero piagnere più di quarantanove; senza che, poi a un gran tempo, egli non poteva mai andar per via che egli non fosse da’ fanciulli mostrato a dito, li quali dicevano: «Vedi colui che giacque con la Ciutazza»; il che gli era sì gran noia, che egli ne fu quasi in su lo ’mpazzare. E in così fatta guisa la valente donna si tolse da dosso la noia dello impronto proposto, e la Ciutazza guadagnò la camiscia.