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Decameron

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Arriguccio cominciò a dire: «Come, rea femina, non ci andammo noi a letto insieme? non ci tornai io, avendo corso dietro all’amante tuo? non ti diedi io dimolte busse e taglia’ti i capelli?»

La donna rispose: «In questa casa non ti coricasti tu iersera. Ma lasciamo stare di questo, ché non ne posso altra testimonianza fare che le mie vere parole, e vegniamo a quello che tu di’, che mi battesti e tagliasti i capelli. Me non battestù mai, e quanti n’ha qui e tu altressì mi ponete mente se io ho segno alcuno per tutta la persona di battitura: né ti consiglierei che tu fossi tanto ardito, che tu mano addosso mi ponessi, ché, alla croce di Dio, io ti sviserei. Né i capelli altressì mi tagliasti, che io sentissi o vedessi, ma forse il facesti che io non me ne avvidi: lasciami vedere se io gli ho tagliati o no.» E levatisi suoi veli di testa mostrò che tagliati non gli avea ma interi.

Le quali cose e vedendo e udendo i fratelli e la madre cominciarono verso d’Arriguccio a dire: «Che vuoi tu dire, Arriguccio? Questo non è già quello che tu ne venisti a dire che avevi fatto: e non sappiam noi come tu ti proverrai il rimanente.»

Arriguccio stava come trasognato e voleva pur dire: ma veggendo che quello che egli credeva poter mostrare non era così, non s’attentava di dir nulla.

La donna rivolta verso i fratelli disse: «Fratei miei, io veggio che egli è andato cercando che io faccia quello che io non volli mai fare, cioè che io vi racconti le miserie e le cattività sue: e io il farò. Io credo fermamente che ciò che egli v’ha detto gli sia intervenuto e abbial fatto, e udite come. Questo valente uomo, al qual voi nella mia mala ora per moglie mi deste, che si chiama mercatante e che vuole esser creduto e che dovrebbe esser più temperato che uno religioso e più onesto che una donzella, son poche sere che egli non si vada inebbriando per le taverne e or con questa cattiva femina e or con quella rimescolando; e a me si fa infino a mezzanotte e talora infino a matutino aspettare nella maniera che mi trovaste. Son certa che, essendo bene ebbro, si mise a giacere con alcuna sua trista e a lei, destandosi, trovò lo spago al piede e poi fece tutte quelle sue gagliardie che egli dice, e ultimamente tornò a lei e battella e tagliolle i capelli; e non essendo ancora ben tornato in sé, si credette, e son certa che egli crede ancora, queste cose aver fatte a me: e se voi il porrete ben mente nel viso, egli è ancora mezzo ebbro. Ma tuttavia, che che egli s’abbia di me detto, io non voglio che voi il vi rechiate se non come da uno ubriaco; e poscia che io gli perdono io, gli perdonate voi altressì.»

La madre di lei, udendo queste parole, cominciò a fare romore e a dire: «Alla croce di Dio, figliuola mia, cotesto non si vorrebbe fare, anzi si vorrebbe uccidere questo can fastidioso e sconoscente, ché egli non ne fu degno d’avere una figliuola fatta come se’ tu. Frate, bene sta! basterebbe se egli t’avesse ricolta del fango! Col malanno possa egli essere oggimai, se tu dei stare al fracidume delle parole d’un mercatantuzzo di feccia d’asino, che venutici di contado e usciti delle troiate vestiti di romagnuolo, con le calze a campanile e colla penna in culo, come egli hanno tre soldi, vogliono le figliuole de’ gentili uomini e delle buone donne per moglie, e fanno arme e dicono: «I’ son de’ cotali» e «Quei di casa mia fecer così». Ben vorrei che’ miei figliuoli n’avesser seguito il mio consiglio, che ti potevano così orrevolmente acconciare in casa i conti Guidi con un pezzo di pane, e essi vollon pur darti a questa bella gioia, che, dove tu se’ la miglior figliuola di Firenze e la più onesta, egli non s’è vergognato di mezzanotte di dir che tu sii puttana, quasi noi non ti conoscessimo. Ma alla fé di Dio, se me ne fosse creduto, e’ se ne gli darebbe sì fatta gastigatoia, che gli putirebbe.» E rivolta a’ figliuoli disse: «Figliuoli miei, io il vi dicea bene che questo non doveva potere essere. Avete voi udito come il buono vostro cognato tratta la sirocchia vostra, mercatantuolo di quatro denari che egli è? Ché, se io fossi come voi, avendo detto quello che egli ha di lei e faccendo quello che egli fa, io non mi terrei mai né contenta né appagata se io nol levassi di terra; e se io fossi uomo come io son femina, io non vorrei che altri ch’io se ne ’mpacciasse. Domine, fallo tristo, ubriaco doloroso che non si vergogna!»

I giovani, vedute e udite queste cose, rivoltisi a Arriguccio gli dissero la maggior villania che mai a niun cattivo uom si dicesse; e ultimamente dissero: «Noi ti perdoniam questa sì come a ebbro, ma guarda che per la vita tua da quinci innanzi simili novelle noi non sentiamo più, ché per certo, se più nulla ce ne viene agli orecchi, noi ti pagheremo di questa e di quella»; e così detto se n’andarono.

Arriguccio, rimaso come uno smemorato, seco stesso non sappiendo se quello che fatto avea era stato vero o se egli aveva sognato, senza più farne parola lasciò la moglie in pace; la qual non solamente con la sua sagacità fuggì il pericolo soprastante ma s’aperse la via a poter fare nel tempo avvenire ogni suo piacere, senza paura alcuna più aver del marito.

NOVELLA NONA

Lidia moglie di Nicostrato ama Pirro: il quale, acciò che credere il possa, le chiede tre cose le quali ella gli fa tutte; e oltre a questo in presenza di Nicostrato si sollazza con lui e a Nicostrato fa credere che non sia vero quello che ha veduto.

Tanto era piaciuta la novella di Neifile, che né di ridere né di ragionar di quella si potevano le donne tenere, quantunque il re più volte silenzio loro avesse imposto, avendo comandato a Panfilo che la sua dicesse: ma pur poi che tacquero, così Panfilo incominciò.

Io non credo, reverende donne, che niuna cosa sia, quantunque sia grave e dubbiosa, che a far non ardisca chi ferventemente ama; la qual cosa, quantunque in assai novelle sia stato dimostrato, nondimeno io il mi credo molto più con una che dirvi intendo mostrare, dove udirete d’una donna alla quale nelle sue opere fu troppo più favorevole la fortuna che la ragione avveduta. E per ciò non consiglierei io alcuna che dietro alle pedate di colei, di cui dire intendo, s’arrischiasse d’andare, per ciò che non sempre è la fortuna disposta, né sono al mondo tutti gli uomini abbagliati igualmente.

In Argo, antichissima città d’Acaia, per li suoi passati re molto più famosa che grande, fu già uno nobile uomo il quale appellato fu Nicostrato, a cui già vicino alla vecchiezza la fortuna concedette per moglie una gran donna non meno ardita che bella, detta per nome Lidia. Teneva costui, sì come nobile uomo e ricco, molta famiglia e cani e uccegli, e grandissimo diletto prendea nelle cacce; e aveva tra gli altri suoi famigliari un giovinetto leggiadro e addorno e bello della persona e destro a qualunque cosa avesse voluta fare, chiamato Pirro, il quale Nicostrato oltre a ogn’altro amava e più di lui si fidava. Di costui Lidia s’innamorò forte, tanto che né dì né notte che in altra parte che con lui aver poteva il pensiero: del quale amore o che Pirro non s’avvedesse o non volesse niente mostrava se ne curasse; di che la donna intollerabile noia portava all’animo.

E disposta del tutto di fargliele sentire, chiamò a sé una sua cameriera nomata Lusca, della quale ella si confidava molto, e sì le disse: «Lusca, li benifici li quali tu hai da me ricevuti ti debbono fare obediente e fedele: e per ciò guarda che quello che io al presente ti dirò niuna persona senta già mai se non colui al quale da me ti fia imposto. Come tu vedi, Lusca, io son giovane e fresca donna e piena e copiosa di tutte quelle cose che alcuna può disiderare, e brievemente fuor che d’una non mi posso ramaricare: e questa è che gli anni del mio marito son troppi se co’ miei si misurano, per la qual cosa di quello che le giovani donne prendono più piacere io vivo poco contenta. E pur come l’altre disiderandolo, è buona pezza che io diliberai meco di non volere, se la fortuna m’è stata poco amica in darmi così vecchio marito, essere io nimica di me medesima in non saper trovar modo a’ miei diletti e alla mia salute. E per avergli così compiuti in questo come nell’altre cose, ho per partito preso di volere, sì come di ciò più degno che alcun altro, che il nostro Pirro co’ suoi abbracciamenti gli supplisca, e ho tanto amore in lui posto, che io non sento mai bene se non tanto quanto io il veggio o di lui penso: e se io senza indugio non mi ritruovo seco per certo io me ne credo morire. E per ciò, se la mia vita t’è cara, per quel modo che miglior ti parrà, il mio amore gli significherai e sì pregherrai da mia parte che gli piaccia di venire a me quando tu per lui andrai.»

La cameriera disse che volentieri; e come prima tempo e luogo le parve, tratto Pirro da parte, quanto seppe il meglio l’ambasciata gli fece della sua donna. La qual cosa udendo Pirro si maravigliò forte, sì come colui che mai d’alcuna cosa avveduto non se n’era, e dubitò non la donna ciò facesse dirgli per tentarlo; per che subito e ruvidamente rispose: «Lusca, io non posso credere che queste parole vengano della mia donna, e per ciò guarda quel che tu parli; e se pure da lei venissero, non credo che con l’animo dir te le faccia; e se pur con l’animo dir le facesse, il mio signore mi fa più onore che io non vaglio, io non farei a lui sì fatto oltraggio per la vita mia; e però guarda che tu più di sì fatte cose non mi ragioni.»

La Lusca non sbigottita per lo suo rigido parlare gli disse: «Pirro, e di queste e d’ogn’altra cosa che la mia donna m’imporrà ti parlerò io quante volte ella il mi comanderà, o piacere o noia che egli ti debbia essere: ma tu se’ una bestia!»

E turbatetta con le parole di Pirro se ne tornò alla donna, la quale udendole disiderò di morire; e dopo alcun giorno riparlò alla cameriera e disse: «Lusca, tu sai che per lo primo colpo non cade la quercia; pel che a me pare che tu da capo ritorni a colui che in mio progiudicio nuovamente vuol divenir leale, e prendendo tempo convenevole gli mostra interamente il mio ardore e in tutto t’ingegna di far che la cosa abbia effetto; però che, se così s’intralasciasse, io ne morrei e egli si crederebbe essere stato beffato; e, dove il suo amor cerchiamo, ne seguirebbe odio.»

 

La cameriera confortò la donna, e cercato di Pirro il trovò lieto e ben disposto e sì gli disse: «Pirro, io ti mostrai pochi dì sono in quanto fuoco la tua donna e mia stea per l’amor che ella ti porta, e ora da capo te ne rifò certo, che, dove tu in su la durezza che l’altrieri dimostrasti dimori, vivi sicuro che ella viverà poco. Per che io ti priego che ti piaccia di consolarla del suo disiderio; e dove tu pure in su la tua obstinazione stessi duro, là dove io per molto savio t’aveva, io t’avrò per uno scioccone. Che gloria ti può egli essere che una così fatta donna, così bella, così gentile te sopra ogn’altra cosa ami! Appresso questo, quanto ti puo’ tu conoscere alla fortuna obligato, pensando che ella t’abbia parata dinanzi così fatta cosa e a’ disideri della tua giovanezza atta e ancora un così fatto rifugio a’ tuoi bisogni! Qual tuo pari conosci tu che per via di diletto meglio stea che starai tu, se tu sarai savio? quale altro troverrai tu che in arme, in cavalli, in robe e in denari possa star come tu starai, volendo il tuo amor concedere a costei? Apri adunque l’animo alle mie parole e in te ritorna: ricordati che una volta senza più suole avvenire che la fortuna si fa altrui incontro col viso lieto e col grembo aperto; la quale chi allora non sa ricevere, poi trovandosi povero e mendico, di sé e non di lei s’ha a ramaricare. E oltre a questo non si vuol quella lealtà tra servidori usare e signori, che tra gli amici e par si conviene; anzi gli deono così i servidori trattare, in quel che possono, come essi da loro trattati sono. Speri tu, se tu avessi o bella moglie o madre o figliuola o sorella che a Nicostrato piacesse, che egli andasse la lealtà ritrovando che tu servar vuoi a lui della sua donna? Sciocco se’ se tu ’l credi: abbi di certo, se le lusinghe e’ prieghi non bastassono, che che ne dovesse a te parere, e’ vi si adoperrebbe la forza. Trattiamo adunque loro e le lor cose come essi noi e le nostre trattano. Usa il benificio della fortuna: non la cacciare, falleti incontro e lei vegnente ricevi, ché per certo, se tu nol fai, lasciamo stare la morte la qual senza fallo alla tua donna ne seguirà, ma tu ancora te ne periterai tante volte, che tu ne vorrai morire.»

Pirro, il qual più fiate sopra le parole che la Lusca dette gli avea avea ripensato, per partito avea preso che, se ella a lui ritornasse, di fare altra risposta e del tutto recarsi a compiacere alla donna, dove certificar si potesse che tentato non fosse; e per ciò rispuose: «Vedi, Lusca, tutte le cose che tu mi di’ io le conosco vere: ma io conosco d’altra parte il mio signore molto savio e molto avveduto, e ponendomi tutti i suoi fatti in mano, io temo forte che Lidia con consiglio e voler di lui questo non faccia per dovermi tentare; e per ciò, dove tre cose che io domanderò voglia fare a chiarezza di me, per certo niuna cosa mi comanderà poi che io prestamente non faccia. E quelle tre cose che io voglio son queste: primieramente che in presenzia di Nicostrato ella uccida il suo buono sparviere, appresso che ella mi mandi una ciochetta della barba di Nicostrato, e ultimamente un dente di quegli di lui medesimo, de’ migliori.»

Queste cose parvono alla Lusca gravi e alla donna gravissime: ma pure Amore, che è buono confortatore e gran maestro di consigli, le fece diliberar di farlo, e per la sua cameriera gli mandò dicendo che quello che egli aveva addimandato pienamente farebbe, e tosto; e oltre a ciò, per ciò che egli così savio reputava Nicostrato, disse che in presenzia di lui con Pirro si sollazzerebbe e a Nicostrato farebbe credere che ciò non fosse vero.

Pirro adunque cominciò a aspettare quello che far dovesse la gentil donna: la quale, avendo ivi a pochi dì Nicostrato dato un gran desinare, sì come usava spesse volte di fare, a certi gentili uomini e essendo già levate le tavole, vestita d’uno sciamito verde e ornato molto e uscita della sua camera, in quella sala venne dove costoro erano; e veggente Pirro e ciascuno altro, se n’andò alla stanga sopra la quale lo sparviere era cotanto da Nicostrato tenuto caro, e scioltolo quasi in mano sel volesse levare e presolo per li geti al muro il percosse e ucciselo.

E gridando verso lei Nicostrato: «Oimè, donna, che, hai tu fatto?» niente a lui rispose, ma rivolta a’ gentili uomini che con lui avevan mangiato disse: «Signori, mal prenderei vendetta d’un re che mi facesse dispetto se d’uno sparviere non avessi ardir di pigliarla. Voi dovete sapere che questo uccello tutto il tempo da dovere esser prestato dagli uomini al piacer delle donne lungamente m’ha tolto; per ciò che, sì come l’aurora suole apparire, così Nicostrato s’è levato e salito a cavallo col suo sparviere in mano n’è andato alle pianure aperte a vederlo volare; e io, qual voi mi vedete, sola e malcontenta nel letto mi son rimasa; per la qual cosa ho più volte avuta voglia di far ciò che io ho ora fatto, né altra cagione m’ha di ciò ritenuta se non l’aspettar di farlo in presenzia d’uomini che giusti giudici sieno alla mia querela, sì come io credo che voi sarete.»

I gentili uomini che l’udivano, credendo non altramenti esser fatta la sua affezione a Nicostrato che sonasser le parole, ridendo ciascuno e verso Nicostrato rivolti, che turbato era, cominciarono a dire: «Deh, come la donna ha ben fatto a vendicar la sua ingiuria con la morte dello sparviere!» e con diversi motti sopra così fatta materia, essendosi già la donna in camera ritornata, in riso rivolsero il cruccio di Nicostrato.

Pirro, veduto questo, seco medesimo disse: «Alti principii ha dati la donna a’ miei felici amori: faccia Idio che ella perseveri!»

Ucciso adunque da Lidia lo sparviere, non trapassar molti giorni che, essendo ella nella sua camera insieme con Nicostrato, faccendogli carezze con lui incominciò a cianciare, e egli per sollazzo alquanto tiratala per li capelli le diè cagione di mandare a effetto la seconda cosa a lei domandata da Pirro: e prestamente lui per un picciolo lucignoletto preso della sua barba e ridendo, sì forte il tirò, che tutto dal mento gliele divelse. Di che ramaricandosi Nicostrato, ella disse: «Or che avesti, che fai cotal viso per ciò che io t’ho tratti forse sei peli della barba? Tu non sentivi quel ch’io, quando tu mi tiravi testeso i capelli!» E così d’una parola in un’altra continuando il lor sollazzo, la donna cautamente guardò la ciocca della barba che tratta gli avea e il dì medesimo la mandò al suo caro amante.

Della terza cosa entrò la donna in più pensiero; ma pur, sì come quella che era d’alto ingegno e amor la faceva vie più, s’ebbe pensato che modo tener dovesse a darle compimento. E avendo Nicostrato due fanciulli datigli da’ padri loro acciò che in casa sua, però che gentili uomini erano, apparassono alcun costume, de’ quali quando Nicostrato mangiava l’uno gli tagliava innanzi e l’altro gli dava bere, fattigli chiamare ammenduni fece lor vedere che la bocca putiva loro e ammaestrogli che, quando a Nicostrato servissono, tirassono il capo indietro il più che potesseno né questo mai dicesseno a persona. I giovinetti, credendole, cominciarono a tenere quella maniera che la donna aveva lor mostrata; per che ella una volta domandò Nicostrato: «Se’ ti tu accorto di ciò che questi fanciulli fanno quando ti servono?»

Disse Nicostrato: «Mai sì, anzi gli ho io voluti domandare perché il facciano.»

A cui la donna disse: «Non fare, ché io il ti so dire io, e holti buona pezza taciuto per non fartene noia: ma ora che io m’accorgo che altri comincia a avvedersene, non è più da celarloti. Questo non t’avien per altro se non che la bocca ti pute fieramente, e non so qual si sia la cagione per ciò che ciò non soleva essere; e questa è bruttissima cosa avendo tu a usare co’ gentili uomini, e per ciò si vorrebe veder modo da curarla.»

Disse allora Nicostrato: «Che potrebbe ciò essere? avrei io in bocca dente niuno guasto?»

A cui Lidia disse: «Forse che sì»; e menatolo a una finestra, gli fece aprire la bocca, e poscia che ella ebbe d’una parte e d’altra riguardato disse: «O Nicostrato, e come il puoi tu tanto aver patito? Tu n’hai uno da questa parte il quale, per quello che mi paia, non solamente è magagnato ma egli è tutto fracido, e fermamente, se tu il terrai guari in bocca, egli guasterà quegli che son dallato: per che io ti consiglierei che tu il ne cacciassi fuori prima che l’opera andasse più innanzi.»

Disse allora Nicostrato: «Da poi che egli ti pare, e egli mi piace: mandisi senza più indugio per uno maestro il qual mel tragga.»

Al quale la donna disse: «Non piaccia a Dio che qui per questo venga maestro: e’ mi pare che egli stea in maniera che senza alcun maestro io medesima tel trarrò ottimamente. E d’altra parte questi maestri son sì crudeli a far questi servigi, che il cuore nol mi patirebbe per niuna maniera di vederti o di sentirti tralle mani a niuno; e per ciò del tutto io voglio fare io medesima, ché almeno, se egli ti dorrà troppo, ti lascerò io incontanente: quello che il maestro non farebbe.»

Fattisi adunque venire i ferri da tal servigio e mandato fuori della camera ogni persona, solamente seco la Lusca ritenne; e dentro serratesi, fecero distender Nicostrato sopra un desco, e messegli le tanaglie in bocca e preso uno de’ denti suoi, quantunque egli forte per dolor gridasse, tenuto fermamente dall’una, fu dall’altra per viva forza un dente tirato fuori; e quel serbatosi e presone un altro il quale sconciamente magagnato Lidia aveva in mano, a lui doloroso e quasi mezzo morto il mostrarono, dicendo: «Vedi quello che tu hai tenuto in bocca già è cotanto.» Egli credendoselo, quantunque gravissima pena sostenuta avesse e molto se ne ramaricasse, pur, poi che fuor n’era, gli parve esser guerito: e con una cosa e con altra riconfortato, essendo la pena alleviata, s’uscì della camera. La donna, preso il dente, tantosto al suo amante il mandò: il quale già certo del suo amore sé a ogni suo piacere offerse apparecchiato.

La donna, disiderosa di farlo più sicuro e parendole ancora ogni ora mille che con lui fosse, volendo quello che proferto gli avea attenergli, fatto sembiante d’essere inferma e essendo un dì appresso mangiare da Nicostrato visitata, non veggendo con lui altro che Pirro, il pregò per alleggiamento della sua noia che aiutar la dovessero a andare infino nel giardino. Per che Nicostrato dall’un de’ lati e Pirro dall’altro presala, nel giardin la portarono e in un pratello a piè d’un bel pero la posarono: dove stati alquanto sedendosi, disse la donna, che già avea fatto informar Pirro di ciò che avesse a fare: «Pirro, io ho gran disidero d’avere di quelle pere, e però montavi suso e gittane giù alquante.»

Pirro, prestamente salitovi, cominciò a gittar giù delle pere: e mentre le gittava cominciò a dire: «Eh, messere, che è ciò che voi fate? e voi, madonna, come non vi vergognate di sofferirlo in mia presenza? credete voi che io sia cieco? Voi eravate pur testé così forte malata: come siete voi sì tosto guerita, che voi facciate tai cose? le quali se pur far volete, voi avete tante belle camere: perché non in alcuna di quelle a far queste cose ve n’andate? e sarà più onesto che farlo in mia presenza!»

La donna rivolta al marito disse: «Che dice Pirro? farnetica egli?»

Disse allora Pirro: «Non farnetico no, madonna: non credete voi che io veggia?»

Nicostrato si maravigliava forte, e disse: «Pirro, veramente io credo che tu sogni.»

Al quale Pirro rispose: «Signor mio, non sogno né mica, né voi anche non sognate, anzi vi dimenate ben sì, che se così si dimenasse questo pero, egli non ce ne rimarrebbe su niuna.»

Disse la donna allora: «Che può questo essere? potrebbe egli esser vero che gli paresse vero ciò ch’è’ dice? Se Dio mi salvi, se io fossi sana come io fui già, che io vi sarrei suso per vedere che maraviglie sieno queste che costui dice che vede.»

Pirro di ’n sul pero pur diceva e continuava queste novelle; al quale Nicostrato disse: «Scendi giù», e egli scese; a cui egli disse: «Che di’ tu che vedi?»

Disse Pirro: «Io credo che voi m’abbiate per ismemorato o per trasognato: vedeva voi addosso alla donna vostra, poi pur dir mel conviene; e poi discendendo, io vi vidi levare e porvi costì dove voi siete a sedere.»

«Fermamente» disse Nicostrato «eri tu in questo smemorato, ché noi non ci siamo, poi che in sul pero salisti, punto mossi se non come tu vedi.»

Al quale Pirro disse: «Perché ne facciam noi quistione? Io vi pur vidi; e se io vi vidi, io vi vidi in sul vostro.»

Nicostrato più ognora si maravigliava, tanto che egli disse: «Ben vo’ vedere se questo pero è incantato e che chi v’è su vegga le maraviglie!» e montovvi su; sopra il quale come egli fu, la donna insieme con Pirro s’incominciarono a sollazzare; il che Nicostrato veggendo cominciò a gridare: «Ahi rea femina, che è quel che tu fai? e tu, Pirro, di cui io più mi fidava?» e così dicendo cominciò a scender del pero.

 

La donna e Pirro dicevan: «Noi ci seggiamo»; e lui veggendo discendere a seder si tornarono in quella guisa che lasciati gli avea. Come Nicostrato fu giù e vide costoro dove lasciati gli avea, così lor cominciò a dir villania.

Al quale Pirro disse: «Nicostrato, ora veramente confesso io che, come voi diciavate davanti, che io falsamente vedessi mentre fui sopra il pero; né a altro il conosco se non a questo, che io veggio e so che voi falsamente avete veduto. E che io dica il vero, niuna altra cosa vel mostri se non l’aver riguardo e pensare a che ora la vostra donna, la quale è onestissima e più savia che altra, volendo di tal cosa farvi oltraggio, si recherebbe a farlo davanti agli occhi vostri; di me non vo’ dire, che mi lascerei prima squartare che io il pur pensassi, non che io il venissi a fare in vostra presenzia. Per che di certo la magagna di questo trasvedere dee procedere del pero; per ciò che tutto il mondo non m’avrebbe fatto discredere che voi qui non foste con la vostra donna carnalmente giaciuto, se io non udissi dire a voi che egli vi fosse paruto che facessi quello che io so certissimamente che io non pensai, non che io facessi mai.»

La donna appresso, che quasi tutta turbata s’era levata in piè, cominciò a dire: «Sia con la mala ventura, se tu m’hai per sì poco sentita, che, se io volessi attendere a queste tristezze che tu di’ che vedevi, io le venissi a fare dinanzi agli occhi tuoi. Sii certo di questo, che, qualora volontà me ne venisse, io non verrei qui, anzi mi crederei sapere essere in una delle nostre camere in guisa e in maniera che gran cosa mi parrebbe che tu il risapessi già mai.»

Nicostrato, al quale vero parea ciò che dicea l’uno e l’altro, che essi quivi dinanzi a lui mai a tale atto non si dovessero esser condotti, lasciate stare le parole e le riprensioni di tal maniera, cominciò a ragionare della novità del fatto e del miracolo della vista che così si cambiava a chi su vi montava.

Ma la donna, che della opinione che Nicostrato mostrava d’avere avuta di lei si mostrava turbata, disse: «Veramente questo pero non ne farà mai più niuna, né a me né a altra donna, di queste vergogne, se io potrò; e per ciò, Pirro, corri e va’ e reca una scure e a un’ora te e me vendica tagliandolo, come che molto meglio sarebbe a dar con essa in capo a Nicostrato, il quale senza considerazione alcuna così tosto si lasciò abbagliar gli occhi dello ’ntelletto: ché, quantunque a quegli che tu hai in testa paresse ciò che tu di’, per niuna cosa dovevi nel giudicio della tua mente comprendere o consentir che ciò fosse.»

Pirro prestissimo andò per la scure e tagliò il pero: il quale come la donna vide caduto, disse verso Nicostrato: «Poscia che io veggio abbattuto il nemico della mia onestà, la mia ira è ita via»; e a Nicostrato, che di ciò la pregava, benignamente perdonò, imponendogli che più non gli avvenisse di presummere, di colei che più che sé l’amava, una così fatta cosa già mai.

Così il misero marito schernito con lei insieme e col suo amante nel palagio se ne tornarono, nel quale poi molte volte Pirro di Lidia e ella di lui con più agio presero piacere e diletto. Dio ce ne dea a noi.