Kostenlos

Decameron

Text
iOSAndroidWindows Phone
Wohin soll der Link zur App geschickt werden?
Schließen Sie dieses Fenster erst, wenn Sie den Code auf Ihrem Mobilgerät eingegeben haben
Erneut versuchenLink gesendet

Auf Wunsch des Urheberrechtsinhabers steht dieses Buch nicht als Datei zum Download zur Verfügung.

Sie können es jedoch in unseren mobilen Anwendungen (auch ohne Verbindung zum Internet) und online auf der LitRes-Website lesen.

Als gelesen kennzeichnen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

A cui frate Rinaldo disse: «Fratel mio, tu hai buona lena e hai fatto bene. Io per me, quando mio compar venne, no’ n’aveva dette che due, ma Domenedio tra per la tua fatica e per la mia ci ha fatta grazia che il fanciullo è guerito.»

Il santoccio fece venire di buon vini e di confetti e fece onore al suo compare e al compagno di ciò che essi avevano maggior bisogno che d’altro; poi, con loro insieme uscito di casa, gli accomandò a Dio, e senza alcuno indugio fatta fare la imagine di cera, la mandò a appiccare coll’altre dinanzi alla figura di santo Ambmogio, ma non a quel di Melano.

NOVELLA QUARTA

Tofano chiude una notte fuor di casa la moglie, la quale, non potendo per prieghi rientrare, fa vista di gittarsi in un pozzo e gittavi una gran pietra; Tofano esce di casa e corre là, e ella in casa se n’entra e serra lui di fuori e sgridandolo il vitupera.

Il re, come la novella d’Elissa sentì aver fine, così senza indugio verso la Lauretta rivolto le dimostrò che gli piacea che ella dicesse, per che essa, senza stare, così cominciò.

O Amore, chenti e quali sono le tue forze, chenti i consigli e chenti gli avvedimenti! Qual filosofo, quale artista mai avrebbe potuto o potrebbe mostrare quegli accorgimenti, quegli avvedimenti, quegli dimostramenti che fai tu subitamente a chi seguita le tue orme? Certo la dottrina di qualunque altro è tarda a rispetto della tua, sì come assai bene comprender si può nelle cose davanti mostrate; alle quali, amorose donne, io una n’agiugnerò d’una semplicetta donna adoperata, tale che io non so chi altri se l’avesse potuta mostrare che Amore.

Fu adunque già in Arezzo un ricco uomo, il qual fu Tofano nominato. A costui fu data per moglie una bellissima donna, il cui nome fu monna Ghita, della quale egli senza saper perché prestamente divenne geloso, di che la donna avvedendosi prese sdegno; e più volte avendolo della cagione della sua gelosia addomandato né egli alcuna avendone saputa assegnare se non cotali generali e cattive, cadde nell’animo alla donna di farlo morire del male del quale senza cagione aveva paura. E essendosi avveduta che un giovane, secondo il suo giudicio molto da bene, la vagheggiava, discretamente con lui s’incominciò a intendere; e essendo già tra lui e lei tanto le cose innanzi, che altro che dare effetto con opera alle parole non vi mancava, pensò la donna di trovare similmente modo a questo. E avendo già tra’ costumi cattivi del suo marito conosciuto lui dilettarsi di bere, non solamente gliele cominciò a commendare ma artatamente a sollicitarlo a ciò molto spesso. E tanto ciò prese per uso, che quasi ogni volta che a grado l’era infino allo inebriarsi bevendo il conducea; e quando bene ebbro il vedea, messolo a dormire, primieramente col suo amante si ritrovò, e poi sicuramente più volte di ritrovarsi con lui continuò, e tanto di fidanza nella costui ebbrezza prese, che non solamente avea preso ardire di menarsi il suo amante in casa, ma ella talvolta gran parte della notte s’andava con lui a dimorare alla sua, la qual di quivi non era guari lontana.

E in questa maniera la innamorata donna continuando, avvenne che il doloroso marito si venne accorgendo che ella, nel confortare lui a bere, non beveva per ciò essa mai; di che egli prese sospetto non così fosse come era, cioè che la donna lui inebriasse per poter poi fare il piacer suo mentre egli adormentato fosse. E volendo di questo, se così fosse, far pruova, senza avere il dì bevuto, una sera mostrandosi il più ebbro uomo e nel parlare e ne’ modi, che fosse mai, il che la donna credendo né estimando che più bere gli bisognasse a ben dormire, il mise prestamente. E fatto ciò, secondo che alcuna volta era usata di fare, uscita di casa, alla casa del suo amante se n’andò e quivi infino alla mezzanotte dimorò.

Tofano, come la donna non vi sentì, così si levò e andatosene alla sua porta quella serrò dentro e posesi alle finestre, acciò che tornare vedesse la donna e le facesse manifesto che egli si fosse accorto delle maniere sue; e tanto stette che la donna tornò, la quale, tornando a casa e trovatasi serrata di fuori, fu oltre modo dolente e cominciò a tentare se per forza potesse l’uscio aprire. Il che poi che Tofano alquanto ebbe sofferto, disse: «Donna, tu ti fatichi invano, per ciò che qua entro non potrai tu tornare. Va’ tornati là dove infino a ora se’ stata: e abbi per certo che tu non ci tornerai mai infino a tanto che io di questa cosa, in presenza de’ parenti tuoi e de’ vicini, te n’avrò fatto quello onore che ti si conviene.»

La donna lo ’ncominciò a pregar per l’amor di Dio che piacer gli dovesse d’aprirle, per ciò che ella non veniva donde s’avvisava ma da vegghiare con una sua vicina, per ciò che le notti eran grandi e ella nolle poteva dormir tutte né sola in casa vegghiare. Li prieghi non giovavano alcuna cosa, per ciò che quella bestia era pur disposto a volere che tutti gli aretin sapessero la lor vergogna, là dove niun la sapeva.

La donna, veggendo che il pregar non le valeva, ricorse al minacciare e disse: «Se tu non m’apri, io ti farò il più tristo uom che viva.»

A cui Tofano rispose: «E che mi puoi tu fare?»

La donna, alla quale Amore aveva già aguzzato co’ suoi consigli lo ’ngegno, rispose: «Innanzi che io voglia sofferire la vergogna che tu mi vuoi fare ricevere a torto, io mi gitterò in questo pozzo che qui è vicino: nel quale poi essendo trovata morta, niuna persona sarà che creda che altri che tu per ebrezza mi v’abbia gittata; e così o ti converrà fuggire e perder ciò che tu hai e essere in bando, o converrà che ti sia tagliata la testa sì come a micidial di me che tu veramente sarai stato.»

Per queste parole niente si mosse Tofano dalla sua sciocca opinione; per la qual cosa la donna disse: «Or ecco, io non posso più sofferire questo tuo fastidio: Dio il ti perdoni! farai riporre questa mia rocca che io lascio qui»; e questo detto, essendo la notte tanto obscura, che appena si sarebbe potuto veder l’un l’altro per la via, se n’andò la donna verso il pozzo; e, presa una grandissima pietra che a piè del pozzo era, gridando «Idio, perdonami!» la lasciò cadere entro nel pozzo.

La pietra giugnendo nell’acqua fece un grandissimo romore, il quale come Tofano udì credette fermamente che essa gittata vi si fosse; per che, presa la secchia colla fune, subitamente si gittò di casa per aiutarla e corse al pozzo. La donna, che presso all’uscio della sua casa nascosa s’era, come vide correre al pozzo, così ricoverò in casa e serrossi dentro e andossene alle finestre e cominciò a dire: «Egli si vuole inacquare quando altri il bee, non poscia la notte.»

Tofano, udendo costei, si tenne scornato e tornossi all’uscio; e non potendovi entrare le cominciò a dire che gli aprisse.

Ella, lasciato stare il parlar piano come infino allora aveva fatto, quasi gridando cominciò a dire: «Alla croce di Dio, ubriaco fastidioso, tu non c’enterai stanotte; io non posso più sofferire questi tuoi modi: egli convien che io faccia vedere a ogn’uomo chi tu se’ e a che ora tu torni la notte a casa.»

Tofano d’altra parte crucciato le ’ncominciò a dir villania e a gridare; di che i vicini sentendo il romore si levarono, e uomini e donne, e fecersi alle finestre e domandarono che ciò fosse.

La donna cominciò piangendo a dire: «Egli è questo reo uomo, il quale mi torna ebbro la sera a casa o s’adormenta per le taverne e poscia torna a questa otta; di che io avendo lungamente sofferto e non giovandomi, non potendo più sofferire ne gli ho voluta fare questa vergogna di serrarlo fuor di casa per vedere se egli se ne ammenderà.»

Tofano bestia, d’altra parte, diceva come il fatto era stato e minacciavala forte.

La donna co’ suoi vicini diceva: «Or vedete che uomo egli è! Che direste voi se io fossi nella via come è egli, e egli fosse in casa come sono io? In fé di Dio che io dubito che voi non credeste che egli dicesse il vero: ben potete a questo conoscere il senno suo! Egli dice a punto che io ho fatto ciò che io credo che egli abbia fatto egli. Egli mi credette spaventare col gittare non so che nel pozzo, ma or volesse Iddio che egli vi si fosse gittato da dovero e affogato, sì che egli il vino, il quale egli di soperchio ha bevuto, si fosse molto bene inacquato.»

I vicini, e gli uomini e le donne, cominciaro a riprendere tututti Tofano e a dar la colpa a lui e a dirgli villania di ciò che contro alla donna diceva: e in brieve tanto andò il romore di vicino in vicino, che egli pervenne infino a’ parenti della donna. Li quali venuti là, e udendo la cosa e da un vicino e da altro, presero Tofano e diedergli tante busse, che tutto il ruppono; poi, andati in casa, presero le cose della donna e con lei si ritornarono a casa loro minacciando Tofano di peggio. Tofano, veggendosi mal parato e che la sua gelosia l’aveva mal condotto, sì come quegli che tutto ’l suo bene voleva alla donna, ebbe alcuni amici mezzani; e tanto procacciò, che egli con buona pace riebbe la donna a casa sua, alla quale promise di mai più non esser geloso: e oltre a ciò le diè licenzia che ogni suo piacer facesse, ma sì saviamente, che egli non se ne avvedesse. E così, a modo del villan matto, dopo danno fé patto. E viva amore, e muoia soldo, e tutta la brigata.

NOVELLA QUINTA

Un geloso in forma di prete confessa la moglie, al quale ella dà a vedere che ama un prete che viene a lei ogni notte; di che mentre che il geloso nascosamente prende guardia all’uscio, la donna per lo tetto si fa venire un suo amante e con lui si dimora.

Posto aveva fine la Lauretta al suo ragionamento; e avendo già ciascun commendata la donna che ella bene avesse fatto e come a quel cattivo si conveniva, il re, per non perder tempo, verso la Fiammetta voltatosi, piacevolmente il carico le ’mpose del novellare; per la qual cosa ella così cominciò.

Nobilissime donne, la precedente novella mi tira a dovere similmente ragionar d’un geloso, estimando che ciò che si fa loro dalla lor donna, e massimamente quando senza cagione ingelosiscono, esser ben fatto. E se ogni cosa avessero i componitori delle leggi guardata, giudico che in questo essi dovessero alle donne non altra pena aver constituta che essi constituirono a colui che alcuno offende sé difendendo: per ciò che i gelosi sono insidiatori della vita delle giovani donne e diligentissimi cercatori della lor morte. Esse stanno tutta la settimana rinchiuse e attendono alle bisogne familiari e domestiche, disiderando, come ciascun fa, d’aver poi il dì delle feste alcuna consolazione, alcuna quiete, e di potere alcun diporto pigliare, sì come prendono i lavoratori de’ campi, gli artefici delle città e i reggitori delle corti, come fé Idio che il dì settimo da tutte le sue fatiche si riposò, e come vogliono le leggi sante e le civili, le quali, allo onor di Dio e al ben comune di ciascun riguardando, hanno i dì delle fatiche distinti da quegli del riposo. Alla qual cosa fare niente i gelosi consentono, anzi quegli dì che a tutte l’altre son lieti fanno a esse, più serrate e più rinchiuse tenendole, esser più miseri e più dolenti: il che quanto e qual consumamento sia delle cattivelle quelle sole il sanno che l’hanno provato. Per che conchiudendo, ciò che una donna fa a un marito geloso a torto, per certo non condannare ma commendare si dovrebbe.

 

Fu adunque in Arimino un mercatante ricco e di possessioni e di denari assai, il quale avendo una bellissima donna per moglie di lei divenne oltre misura geloso; né altra cagione a questo avea, se non che, come egli molto l’amava e molto bella la teneva e conosceva che ella con tutto il suo studio s’ingegnava di piacergli, così estimava che ogn’uomo l’amasse e che ella a tutti paresse bella e ancora che ella s’ingegnasse così di piacere altrui come a lui (argomento di cattivo uomo e con poco sentimento era). E così ingelosito tanta guardia ne prendeva e sì stretta la tenea, che forse assai son di quegli che a capital pena son dannati, che non sono da’ pregionieri con tanta guardia servati. La donna, lasciamo stare che a nozze o a festa o a chiesa andar potesse o il piè della casa trarre in alcun modo, ma ella non osava farsi a alcuna finestra né fuor della casa guardare per alcuna cagione; per la qual cosa la vita sua era pessima, e essa tanto più impazientemente sosteneva questa noia quanto meno si sentiva nocente.

Per che, veggendosi a torto fare ingiuria al marito, s’avvisò a consolazion di se medesima di trovar modo, se alcuno ne potesse trovare, di far sì che a ragione le fosse fatto. E per ciò che a finestra far non si potea, e così modo non avea di potersi mostrare contenta dello amore d’alcuno che atteso l’avesse per la sua contrada passando, sappiendo che nella casa la quale era allato alla sua aveva alcun giovane e bello e piacevole, si pensò, se pertugio alcun fosse nel muro che la sua casa divideva da quella, di dovere per quello tante volte guatare, che ella vedrebbe il giovane in atto da potergli parlare, e di donargli il suo amore, se egli il volesse ricevere; e, se modo vi si potesse vedere, di ritrovarsi con lui alcuna volta e in questa maniera trapassare la sua malvagia vita infino a tanto che il fistolo uscisse da dosso al suo marito.

E venendo ora in una parte e ora in una altra, quando il marito non v’era, il muro della casa guardando, vide per avventura in una parte assai segreta di quella il muro alquanto da una fessura essere aperto; per che, riguardando per quella, ancora che assai male discerner potesse dall’altra parte, pur s’avide che quivi era una camera dove capitava la fessura e seco disse: «Se questa fosse la camera di Filippo,» cioè del giovane suo vicino «io sarei mezza fornita.» E cautamente da una sua fante, a cui di lei incresceva, ne fece spiare, e trovò che veramente il giovane in quella dormiva tutto solo; per che, visitando la fessura spesso, e quando il giovane vi sentiva faccendo cader pietruzze e cotali fuscellini, tanto fece, che, per veder che ciò fosse, il giovane venne quivi. Il quale ella pianamente chiamò, e egli, che la sua voce conobbe, le rispose; e ella, avendo spazio, in brieve tutto l’animo suo gli aprì. Di che il giovane contento assai, sì fece, che dal suo lato il pertugio si fece maggiore, tuttavia in guisa faccendo che alcuno avvedere non se ne potesse: e quivi spesse volte insieme si favellavano e toccavansi la mano, ma più avanti per la solenne guardia del geloso non si poteva.

Ora, appressandosi la festa del Natale, la donna disse al marito che, se gli piacesse, ella voleva andar la mattina della pasqua alla chiesa e confessarsi e comunicarsi come fanno gli altri cristiani: alla quale il geloso disse: «E che peccati ha’ tu fatti, che tu ti vuoi confessare?»

Disse la donna: «Come? credi tu che io sia santa perché tu mi tenghi rinchiusa? ben sai che io fo de’ peccati come l’altre persone che ci vivono; ma io non gli vo’ dire a te, ché tu non se’ prete.»

Il geloso prese di queste parole sospetto e pensossi di voler saper che peccati costei avesse fatti e avvisossi del modo nel quale ciò gli verrebbe fatto; e rispose che era contento ma che non volea che ella andasse a altra chiesa che alla cappella loro, e quivi andasse la mattina per tempo e confessassesi o dal cappellan loro o da qualche prete che il cappellan le desse e non da altrui, e tornasse di presente a casa. Alla donna pareva mezzo avere inteso; ma senza altro dire rispose che sì farebbe.

Venuta la mattina della pasqua, la donna si levò in su l’aurora e acconciossi e andossene alla chiesa impostale dal marito. Il geloso, d’altra parte, levatosi se n’andò a quella medesima chiesa e fuvvi prima di lei; e avendo già col prete di là entro composto ciò che far voleva, messasi prestamente una delle robe del prete con un cappuccio grande a gote, come noi veggiamo che i preti portano, avendosel tirato un poco innanzi, si mise a sedere in coro. La donna venuta alla chiesa fece domandare il prete. Il prete venne, e udendo dalla donna che confessar si volea disse che non potea udirla ma che le manderebbe un suo compagno; e andatosene, mandò il geloso nella sua malora. Il quale molto contegnoso vegnendo, ancora che egli non fosse molto chiaro il dì e egli s’avesse molto messo il cappuccio innanzi agli occhi, non si seppe sì occultare, che egli non fosse prestamente conosciuto dalla donna; la quale, questo vedendo, disse seco medesimo: «Lodato sia Iddio che costui di geloso è divenuto prete; ma pure lascia fare, ché io gli darò quello che egli va cercando.» Fatto adunque sembiante di non conoscerlo, gli si pose a sedere a’ piedi. Messer lo geloso s’avea messe alcune petruzze in bocca, acciò che esse alquanto la favella gl’impedissero, sì che egli a quella dalla moglie riconosciuto non fosse, parendogli in ogn’altra cosa sì del tutto esser divisato, che esser da lei riconosciuto a niun partito credeva. Or venendo alla confessione, tra l’altre cose che la donna gli disse, avendogli prima detto come maritata era, si fu che ella era innamorata d’un prete il quale ogni notte con lei s’andava a giacere.

Quando il geloso udì questo, e’ gli parve che gli fosse dato d’un coltello nel cuore: e se non fosse che volontà lo strinse di saper più innanzi, egli avrebbe la confessione abbandonata e andatosene; stando adunque fermo domandò la donna: «E come? non giace vostro marito con voi?»

La donna rispose: «Messer sì.»

«Adunque,» disse ’l geloso «come vi puote anche il prete giacere?»

«Messere,» disse la donna «il prete con che arte il si faccia non so: ma egli non è in casa uscio sì serrato, che, come egli il tocca, non s’apra; e dicemi egli che, quando egli è venuto a quello della camera mia, anzi che egli l’apra, egli dice certe parole per le quali il mio marito incontanente s’adormenta, e come adormentato il sente, così apre l’uscio e viensene dentro e stassi con meco: e questo non falla mai.»

Disse allora il geloso: «Madonna, questo è mal fatto e del tutto egli ve ne conviene rimanere.»

A cui la donna disse: «Messere, questo non crederei io mai poter fare per ciò che io l’amo troppo.»

«Dunque» disse il geloso «non vi potrò io absolvere.»

A cui disse la donna: «Io ne son dolente: io non venni qui per dirvi le bugie; se io il credessi poter fare, io il vi direi.»

Disse allora il geloso: «In verità, madonna, di voi m’incresce, ché io vi veggio a questo partito perder l’anima; ma io in servigio di voi ci voglio durar fatica in far mie orazioni speziali a Dio in vostro nome, le quali forse sì vi gioveranno: e sì vi manderò alcuna volta un mio cherichetto a cui voi direte se elle vi saranno giovate o no; e se elle vi gioveranno, sì procederemo innanzi.»

A cui la donna disse: «Messer, cotesto non fate voi che voi mi mandiate persona a casa, ché, se il mio marito il risapesse, egli è sì forte geloso, che non gli trarrebbe del capo tutto il mondo che per altro che per male vi si venisse, e non avrei ben con lui di questo anno.»

A cui il geloso disse: «Madonna, non dubitate di questo, ché per certo io terrò sì fatto modo, che voi non ne sentirete mai parola da lui.»

Disse allora la donna: «Se questo vi dà il cuore di fare, io son contenta»; e fatta la confessione e presa la penitenzia e da’ piè levataglisi, se n’andò a udire la messa.

Il geloso con la sua mala ventura, soffiando, s’andò a spogliare i panni del prete e tornossi a casa, disideroso di trovar modo da dovere il prete e la moglie trovare insieme per fare un mal giuoco e all’uno e all’altro. La donna tornò dalla chiesa e vide bene nel viso al marito che ella gli aveva data la mala pasqua; ma egli quanto poteva s’ingegnava di nasconder ciò che fatto avea e che saper gli parea.

E avendo seco stesso diliberato di dovere la notte vegnente star presso all’uscio della via e aspettare se il prete venisse, disse alla donna: «A me conviene questa sera essere a cena e a albergo altrove, e per ciò serrerai ben l’uscio da via e quello da mezza scala e quello della camera, e quando ti parrà t’andrai a letto.»

La donna rispose: «In buona ora.»

E quando tempo ebbe se n’andò alla buca e fece il segno usato, il quale come Filippo sentì così di presente a quel venne; al quale la donna disse ciò che fatto avea la mattina e quello che il marito appresso mangiare l’aveva detto, e poi disse: «Io son certa che egli non uscirà di casa ma si metterà a guardia dell’uscio, e per ciò truova modo che su per lo tetto tu venghi stanotte di qua, sì che noi siamo insieme.»

Il giovane contento molto di questo fatto disse: «Madonna, lasciate far me.»

Venuta la notte, il geloso con sue armi tacitamente si nascose in una camera terrena. E la donna avendo fatti serrar tutti gli usci, e massimamente quello da mezza scala acciò che il geloso su non potesse venire, quando tempo le parve e il giovane per via assai cauta dal suo lato se ne venne; e andaronsi a letto, dandosi l’un dell’altro piacere e buon tempo; e venuto il dì, il giovane se ne tornò in casa sua.

Il geloso, dolente e senza cena, morendo di freddo, quasi tutta la notte stette con le sue armi allato all’uscio e aspettare se il prete venisse; e appressandosi il giorno, non potendo più vegghiare, nella camera terrena si mise a dormire. Quindi vicin di terza levatosi, essendo già l’uscio della casa aperto, faccendo sembiante di venire altronde, se ne salì in casa sua e desinò. E poco appresso mandato un garzonetto, a guisa che stato fosse il cherico del prete che confessata l’avea, la mandò dimandando se colui cui ella sapeva più venuto vi fosse. La donna, che molto bene conobbe il messo, rispose che venuto non v’era quella notte e che, se così facesse, che egli le potrebbe uscir di mente, quantunque ella non volesse che di mente l’uscisse.

Ora che vi debbo dire? Il geloso stette molte notti per volere giugnere il prete all’entrata, e la donna continuamente col suo amante dandosi buon tempo. Alla fine il geloso, che più sofferir non poteva, con turbato viso domandò la moglie ciò che ella avesse al prete detto la mattina che confessata s’era. La donna rispose che non gliele voleva dire, per ciò che ella non era onesta cosa né convenevole.

A cui il geloso disse: «Malvagia femina, a dispetto di te io so ciò che tu gli dicesti, e convien del tutto che io sappia chi è il prete di cui tu tanto se’ innamorata e che teco per suoi incantesimi ogni notte si giace, o io ti segherò le veni.»

La donna disse che non era vero che ella fosse inamorata d’alcun prete.

«Come?» disse il geloso «non dicestù così e così al prete che ti confessò?»

La donna disse: «Non che egli te l’abbia ridetto ma egli basterebbe se tu fossi stato presente; mai sì che io gliele dissi.»

«Dunque» disse il geloso «dimmi chi è questo prete e tosto.»

 

La donna cominciò a sorridere e disse: «Egli mi giova molto quando un savio uomo è da una donna semplice menato come si mena un montone per le corna in becheria: benché tu non se’ savio, né fosti da quella ora in qua che tu ti lasciasti nel petto entrare il maligno spirito della gelosia senza saper perché: e tanto quanto tu se’ più sciocco e più bestiale, cotanto ne diviene la gloria mia minore. Credi tu, marito mio, che io sia cieca degli occhi della testa, come tu se’ cieco di quegli della mente? Certo no; e vedendo conobbi chi fu il prete che mi confessò, e so che tu fosti desso tu; ma io mi puosi in cuore di darti quello che tu andavi cercando, e dieditelo. Ma se tu fossi stato savio, come esser ti pare, non avresti per quel modo tentato di sapere i segreti della tua buona donna, e senza prender vana sospezion ti saresti avveduto di ciò che ella ti confessava così essere il vero, senza avere ella in cosa alcuna peccato. Io ti dissi che io amava un prete: e non eri tu, il quale io a gran torto amo, fatto prete? Dissiti che niuno uscio della mia casa gli si potea tener serrato quando meco giacer volea: e quale uscio ti fu mai in casa tua tenuto, quando tu colà dove io fossi se’ voluto venire? Dissiti che il prete si giaceva ogni notte con meco: e quando fu che tu meco non giacessi? E quante volte il tuo cherico a me mandasti, tante sai, quante tu meco non fosti, ti mandai a dire che il prete meco stato non era. Quale smemorato altri che tu, che alla gelosia tua t’hai lasciato accecare, non avrebbe queste cose intese? E se’ ti stato in casa a far la notte la guardia all’uscio e a me credi aver dato a vedere che tu altrove andato sii a cena e a albergo! Ravvediti oggimai e torna uomo come tu esser solevi e non far far beffe di te a chi conosce i modi tuoi come fo io e lascia star questo solenne guardar che tu fai; ché io giuro a Dio, se voglia me ne venisse di porti le corna, se tu avessi cento occhi come tu n’hai due, mi darebbe il cuore di fare i piacer miei in guisa che tu non te ne avvedresti.»

Il geloso cattivo, a cui molto avvedutamente pareva avere il segreto della donna sentito, udendo questo si tenne scornato; e senza altro rispondere, ebbe la donna per buona e per savia, e quando la gelosia gli bisognava del tutto se la spogliò, così come quando bisogno non gli era se l’aveva vestita. Per che la savia donna, quasi licenziata a’ suoi piaceri, senza far venire il suo amante su per lo tetto come vanno le gatte ma pur per l’uscio, discretamente operando poi più volte con lui buon tempo e lieta vita si diede.