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Aveva il pellegrino le sue parole finite, quando la donna, che attentissimamente le raccoglieva per ciò che verissime le parevan le sue ragioni e sé per certo per quel peccato, a lui udendol dire, estimava tribolata, disse: «Amico di Dio, assai conosco vere le cose le quali ragionate e in gran parte per la vostra dimostrazione conosco chi sieno i frati, infino a ora da me tutti santi tenuti. E senza dubbio conosco il mio difetto essere stato grande in ciò che contro a Tedaldo adoperai e, se per me si potesse, volentieri l’amenderei nella maniera che detta avete. Ma questo come si può fare? Tedaldo non ci potrà mai tornare: egli è morto, e per ciò quello che non si dee poter fare non so perché bisogni che io il vi prometta.»

A cui il pellegrin disse: «Madonna, Tedaldo non è punto morto, per quello che Idio mi dimostri, ma è vivo e sano e in buono stato, se egli la vostra grazia avesse.»

Disse allora la donna: «Guardate che voi diciate; io il vidi morto davanti alla mia porta di più punte di coltello e ebbilo in queste braccia e di molte mie lagrime gli bagnai il morto viso, le quali forse furon cagione di farne parlare quello cotanto che parlato se n’è disonestamente.»

Allora disse il pellegrino: «Madonna, che che voi vi diciate, io v’acerto che Tedaldo è vivo; e dove voi quello prometter vogliate per doverlo attenere, io spero che voi il vedrete tosto.»

La donna allora disse: «Questo fo io e farò volentieri; né cosa potrebbe avvenire che simile letizia mi fosse, che sarebbe il vedere il mio marito libero senza danno e Tedaldo vivo.»

Parve allora a Tedaldo tempo di palesarsi e di confortar la donna con più certa speranza del suo marito, e disse: «Madonna, acciò che io vi consoli del vostro marito, un gran segreto mi vi convien di mostrare, il quale guarderete che per la vita vostra voi mai non manifestiate.»

Essi erano in parte assai rimota e soli, somma confidenzia avendo la donna presa della santità che nel pellegrino le pareva che fosse; per che Tedaldo, tratto fuori uno anello guardato da lui con somma diligenza, il quale la donna gli avea donato l’ultima notte che con lei era stato, e mostrandogliele, disse: «Madonna, conoscete voi questo?»

Come la donna il vide, così il riconobbe e disse: «Messer sì, io il donai già a Tedaldo.»

Il pellegrino allora, levatosi in piè e prestamente la schiavina gittatasi di dosso e di capo il cappello e fiorentin parlando, disse: «E me conoscete voi?»

Quando la donna il vide, conoscendo lui esser Tedaldo, tutta stordì, così di lui temendo come de’ morti corpi, se poi veduti andar come vivi, si teme; e non come Tedaldo venuto di Cipri a riceverlo gli si fece incontro, ma come Tedaldo dalla sepoltura quivi tornato fuggir si volle temendo.

A cui Tedaldo disse: «Madonna, non dubitate, io sono il vostro Tedaldo vivo e sano, e mai né mori’ né fui morto, che che voi e i miei fratelli si credano.»

La donna, rassicurata alquanto e temendo la sua boce e alquanto più riguardatolo e seco affermando che per certo egli era Tedaldo, piagnendo gli si gittò al collo e basciollo dicendo: «Tedaldo mio dolce, tu sii il ben tornato!»

Tedaldo, basciata e abbracciata lei, disse: «Madonna, egli non è or tempo da fare più strette accoglienze: io voglio andare a fare che Aldobrandino vi sia sano e salvo renduto, della qual cosa spero che avanti che doman sia sera voi udirete novelle che vi piaceranno; sì veramente, se io l’ho buone, come io credo, della sua salute, io voglio stanotte poter venire da voi e contarlevi per più agio che al presente non posso.»

E rimessasi la schiavina e ’l cappello, basciata un’altra volta la donna e con buona speranza riconfortatala, da lei si partì e colà se ne andò dove Aldobrandino in prigione era, più di paura della soprastante morte pensoso che di speranza di futura salute; e quasi in guisa di confortatore, col piacere de’ pregionieri a lui se n’entrò e, postosi con lui a sedere, gli disse: «Aldobrandino, io sono un tuo amico a te mandato da Dio per la tua salute, al quale per la tua innocenzia è di te venuta pietà; e per ciò, se a reverenza di Lui un picciol dono che io ti domanderò conceder mi vuogli, senza alcun fallo avanti che doman sia sera, dove tu la sentenzia della morte attendi, quella della tua absoluzione udirai.»

A cui Aldobrandin rispose: «Valente uomo, poi che tu della mia salute se’ sollecito, come che io non ti conosca né mi ricordi di mai più averti veduto, amico dei essere come tu di’. E nel vero il peccato per lo quale uom dice che io debbo essere a morte giudicato, io nol commisi giammai; assai degli altri ho già fatti, li quali forse a questo condotto m’hanno. Ma così ti dico a reverenza di Dio: se Egli ha al presente misericordia di me, ogni gran cosa, non che una piccola, farei volentieri non che io promettessi; e però quello che ti piace adomanda, ché senza fallo, ov’egli avvenga che io scampi, io lo serverò fermamente.»

Il pellegrino allora disse: «Quello che io voglio niuna altra cosa è se non che tu perdoni a’ quatro fratelli di Tedaldo l’averti a questo punto condotto, te credendo nella morte del lor fratello esser colpevole, e abbigli per fratelli e per amici dove essi di questo ti dimandin perdono.»

A cui Aldobrandin rispose: «Non sa quanto dolce cosa si sia la vendetta né con quanto ardor si disideri se non chi riceve l’offese; ma tuttavia, acciò che Idio alla mia salute intenda, volentieri loro perdonerò e ora loro perdono; e se io quinci esco vivo e scampo, in ciò fare quella maniera terrò che a grado ti fia.»

Questo piacque al pellegrino, e senza volergli dire altro sommamente il pregò che di buon cuore stesse, ché per certo che avanti che il seguente giorno finisse egli udirebbe novella certissima della sua salute.

E da lui partitosi se n’andò alla Signoria e in segreto a un cavaliere, che quella tenea, disse così: «Signor mio, ciascun dee volentier faticarsi in fare che la verità delle cose si conosca, e massimamente coloro che tengono il luogo che voi tenete, acciò che coloro non portin le pene che non hanno il peccato commesso e i peccatori sien puniti; la qual cosa acciò che avvenga in onor di voi e in male di chi meritato l’ha, io sono qui venuto a voi. E come voi sapete, voi avete rigidamente contra Aldobrandin Palermini proceduto e parvi aver trovato per vero lui essere stato quello che Tedaldo Elisei uccise e siete per condannarlo; il che è certissimamente falso, sì come io credo avanti che mezzanotte sia, dandovi gli ucciditor di quel giovane nelle mani, avervi mostrato.»

Il valoroso uomo, al quale d’Aldobrandino increscea, volentier diede orecchi alle parole del pellegrino; e molte cose da lui sopra ciò ragionate, per sua introduzione in sul primo sonno i due fratelli albergatori e il lor fante a man salva prese; e loro volendo, per rinvenire come stata fosse la cosa, porre al martorio, nol soffersero ma ciascun per sé e poi tutti insieme apertamente confessarono sé essere stati coloro che Tedaldo Elisei ucciso aveano, non conoscendolo. Domandati della cagione, dissero per ciò che egli alla moglie dell’un di loro, non essendovi essi nell’albergo, aveva molta noia data e volutala sforzare a fare il voler suo.

Il pellegrino, questo avendo saputo, con licenzia del gentile uomo si partì e occultamente alla casa di madonna Ermellina se ne venne; e lei sola, essendo ogni altro della casa andato a dormire, trovò che l’aspettava parimente disiderosa d’udire buone novelle del marito e di riconciliarsi pienamente col suo Tedaldo: alla qual venuto con lieto viso disse: «Carissima donna mia, rallegrati, ché per certo tu riavrai domane qui sano e salvo il tuo Aldobrandino», e per darle di ciò più intera credenza ciò che fatto aveva pienamente le raccontò.

La donna di due così fatti accidenti e così subiti, cioè di riaver Tedaldo vivo, il quale veramente credeva aver pianto morto, e di veder libero dal pericolo Aldobrandino, il quale fra pochi dì si credeva dover piagner morto, tanto lieta quanto altra ne fosse mai affettuosamente abbracciò e basciò il suo Tedaldo; e andatisene insieme a letto di buon volere fecero graziosa e lieta pace, l’un dell’altro prendendo dilettosa gioia. E come il giorno s’appressò, Tedaldo levatosi, avendo già alla donna mostrato ciò che fare intendeva e da capo pregatola che occultissimo fosse, pure in abito pellegrino s’uscì della casa della donna per dovere, quando ora fosse, attendere a’ fatti d’Aldobrandino.

La signoria, venuto il giorno e parendole piena informazione avere dell’opera, prestamente Aldobrandino liberò, e pochi dì appresso a’ mafattori dove commesso avevano l’omicidio fece tagliar la testa. Essendo adunque libero Aldobrandino, con gran letizia di lui e della sua donna e di tutti i suoi amici e parenti, e conoscendo manifestamente ciò essere per opera del pellegrino avvenuto, lui alla loro casa condussero per tanto quanto nella città gli piacesse di stare; e quivi di fargli onore e festa non si potevano veder sazii, e spezialmente la donna, che sapeva a cui farlosi.

Ma parendogli dopo alcun dì tempo di dovere i fratelli riducere a concordia con Aldobrandino, li quali esso sentiva non solamente per lo suo scampo scornati ma armati per tema, domandò a Aldobrandino la promessa. Aldobrandino liberamente rispose sé essere apparecchiato. A cui il pellegrino fece per lo seguente dì apprestare un bel convito, nel quale gli disse che voleva che egli co’ suoi parenti e con le sue donne ricevesse i quatro fratelli e le lor donne, aggiugnendo che esso medesimo andrebbe incontanente a invitargli alla sua pace e al suo convito da sua parte. E essendo Aldobrandino di quanto al pellegrino piaceva contento, il pellegrino tantosto n’andò a’ quatro fratelli e, con loro assai delle parole che intorno a tal materia si richiedeano usate, alfine con ragioni inrepugnabili assai agevolmente gli condusse a dovere, domandando perdono, l’amistà d’Aldobrandino racquistare: e questo fatto, loro e le lor donne a dover desinare la seguente mattina con Aldobrandino gl’invitò, e essi liberamente, dalla sua fé sicurati, tennero lo ’nvito.

 

La mattina adunque seguente, in su l’ora del mangiare, primieramente i quatro fratelli di Tedaldo, così vestiti di nero come erano, con alquanti loro amici vennero a casa Aldobrandino, che gli attendeva; e quivi, davanti a tutti coloro che a fare lor compagnia erano stati da Aldobrandino invitati, gittate l’armi in terra, nelle mani d’Aldobrandino si rimisero, perdonanza domandando di ciò che contro a lui avevano adoperato. Aldobrandino lagrimando pietosamente gli ricevette e tutti basciandogli in bocca, con poche parole spacciandosi, ogni ingiuria ricevuta rimise. Appresso costoro le sirocchie e le mogli loro tutte di bruno vestite vennero, e da madonna Ermellina e dall’altre donne graziosamente ricevute furono.

E essendo stati magnificamente serviti nel convito gli uomini parimente e le donne, né avendo avuto in quello cosa alcuna altro che laudevole, se non una, la taciturnità stata per lo fresco dolore rappresentato ne’ vestimenti obscuri de’ parenti di Tedaldo (per la qual cosa da alquanti il diviso e lo ’nvito del pellegrino era stato biasimato e egli se n’era accorto), ma, come seco disposto avea, venuto il tempo da torla via, si levò in piè, mangiando ancora gli altri le frutte, e disse: «Niuna cosa è mancata a questo convito, a doverlo far lieto, se non Tedaldo; il quale, poi ch’avendolo avuto continuamente con voi e non l’avete conosciuto, io il vi voglio mostrare.»

E di dosso gittatosi la schiavina e ogni abito pellegrino, in una giubba di zendado verde rimase, e non senza grandissima maraviglia da tutti guatato e riconosciuto fu lungamente, avanti che alcun s’arrischiasse a creder ch’ei fosse desso. Il che Tedaldo vedendo, assai de’ lor parentadi, delle cose tra loro avvenute, de’ suoi accidenti raccontò: per che i fratelli e gli altri uomini, tutti di lagrime d’allegrezza pieni, a abbracciare il corsero, e il simigliante appresso fecer le donne, così le non parenti come le parenti, fuor che monna Ermellina.

Il che Aldobrandin veggendo disse: «Che è questo, Ermellina? come non fai tu come l’altre donne festa a Tedaldo?»

A cui, udendo tutti, la donna rispose: «Niuna ce n’è che più volentieri gli abbia fatta festa o faccia, che fare’ io, sì come colei che più gli è tenuta che alcuna altra, considerato che per le sue opere io t’abbia riavuto; ma le disoneste parole dette ne’ dì che noi piagnemmo colui che noi credavam Tedaldo, me ne fanno stare.

A cui Aldobrandin disse: «Va’ via, credi tu che io creda agli abbaiatori? Esso, procacciando la mia salute, assai bene dimostrato ha quelle essere stato fallo, senza che io mai nol credetti; tosto leva su, va abbraccialo.»

La donna, che altro non disiderava, non fu lenta in questo a ubidire il marito; per che levatasi, come l’altre avevan fatto, così ella abbracciandolo gli fece lieta festa. Questa liberalità d’Aldobrandino piacque molto a’ fratelli di Tedaldo e a ciascuno uomo e donna che quivi era, e ogni rugginuzza, che fosse nata nelle menti d’alcuni dalle parole state, per questo si tolse via. Fatta adunque da ciascun festa a Tedaldo, esso medesimo stracciò li vestimenti neri indosso a’ fratelli e i bruni alle sirocchie e alle cognate e volle che quivi altri vestimenti si facessero venire; li quali poi che rivestiti furono, canti e balli con altri sollazzi vi si fecero assai: per la qual cosa il convito, che tacito principio avuto avea, ebbe sonoro fine. E con grandissima allegrezza, così come eran, tutti a casa di Tedaldo n’andarono, e quivi la sera cenarono; e più giorni appresso, questa maniera tegnendo, la festa continuarono.

Li fiorentini più giorni quasi come uno uomo risuscitato e maravigliosa cosa riguardaron Tedaldo; e a molti, e a’ fratelli ancora, n’era un cotal dubbio debole nell’animo se fosse desso o no, e non credevano ancor fermamente, né forse avrebber fatto a pezza, se un caso avvenuto non fosse che lor chiarò chi fosse stato l’ucciso: il qual fu questo.

Passavano un giorno fanti di Lunigiana davanti a casa loro, e vedendo Tedaldo gli si fecero incontro dicendo: «Ben possa star Faziuolo!»

A’ quali Tedaldo in presenzia de’ fratelli rispose: «Voi m’avete colto in iscambio.»

Costoro, udendol parlare, si vergognarono e chiesongli perdono dicendo: «In verità che voi risomigliate, più che uomo che noi vedessimo mai risomigliare un altro, un nostro compagno il qual si chiama Faziuolo da Pontriemoli, che venne, forse quindici dì o poco più fa, qua, né mai potemmo poi sapere che di lui si fosse. Bene è vero che noi ci maravigliavamo dell’abito, per ciò che esso era, sì come noi siamo, masnadiere.»

Il maggior fratel di Tedaldo, udendo questo, si fece innanzi e domandò di che fosse stato vestito quel Faziuolo. Costoro il dissero, e trovossi appunto così essere stato come costoro dicevano; di che, tra per questo e per gli altri segni, riconosciuto fu colui che era stato ucciso essere stato Faziuolo e non Tedaldo, laonde il sospetto di lui uscì a’ fratelli e a ciascuno altro.

Tedaldo adunque, tornato ricchissimo, perseverò nel suo amare, e senza più turbarsi la donna, discretamente operando, lungamente goderon del loro amore. Dio faccia noi goder del nostro.

NOVELLA OTTAVA

Ferondo, mangiata certa polvere, è sotterrato per morto; e dall’abate, che la moglie di lui si gode, tratto della sepoltura è messo in prigione e fattogli credere che egli è in Purgatoro; e poi risuscitato, per suo nutrica un figliuol dell’abate nella moglie di lui generato.

Venuta la fine della lunga novella d’Emilia, non per ciò dispiaciuta a alcuno per la sua lunghezza, ma da tutti tenuto che brievemente narrata fosse stata avendo rispetto alla quantità e alla varietà de’ casi in essa raccontati, per che la reina, alla Lauretta con un sol cenno mostrato il suo disio, le diè cagione di così cominciare.

Carissime donne, a me si para davanti a doversi far raccontare una verità che ha, troppo più che di quello che ella fu, di menzogna sembianza; e quella nella mente m’ha ritornata l’avere udito un per un altro essere stato pianto e sepellito. Dirò adunque come un vivo per morto sepellito fosse, e come poi per risuscitato, e non per vivo, egli stesso e molti altri lui credessero essere della sepoltura uscito, colui di ciò essendo per santo adorato che come colpevole ne dovea più tosto essere condannato.

Fu adunque in Toscana una badia, e ancora è, posta, sì come noi ne veggiam molte, in luogo non troppo frequentato dagli uomini, nella quale fu fatto abbate un monaco, il quale in ogni cosa era santissimo fuori che nell’opera delle femine: e questo sapeva sì cautamente fare, che quasi niuno, non che il sapesse, ma né suspicava; per che santissimo e giusto era tenuto in ogni cosa. Ora avvenne che, essendosi molto con l’abate dimesticato un ricchissimo villano il quale avea nome Ferondo, uomo materiale e grosso senza modo (né per altro la sua dimestichezza piaceva all’abate, se non per alcune recreazioni le quali talvolta pigliava delle sue simplicità), e in questa dimestichezza s’accorse l’abate Ferondo avere una bellissima donna per moglie, della quale esso sì ferventemente s’innamorò, che a altro non pensava né dì né notte. Ma udendo che, quantunque Ferondo fosse in ogni altra cosa semplice e dissipato, in amare questa sua moglie e guardarla bene era savissimo, quasi se ne disperava. Ma pure, come molto avveduto, recò a tanto Ferondo, che egli insieme con la sua donna a prendere alcun diporto nel giardino della badia venivano alcuna volta: e quivi con loro della beatitudine di vita eterna e di santissime opere di molti uomini e donne passate ragionava modestissimamente loro, tanto che alla donna venne disidero di confessarsi da lui e chiesene la licenzia da Ferondo e ebbela.

Venuta adunque a confessarsi la donna all’abate con grandissimo piacere di lui e a’ piè postaglisi a sedere, anzi che a dire altro venisse, incominciò: «Messere, se Idio m’avesse dato marito o non me l’avesse dato, forse mi sarebbe agevole co’ vostri ammaestramenti d’entrare nel camino che ragionato n’avete che mena altrui a vita eterna; ma io, considerato chi è Ferondo e la sua stoltizia, mi posso dir vedova, e pur maritata sono, in quanto, vivendo esso, altro marito aver non posso; e egli, così matto come egli è, senza alcuna cagione è sì fuori d’ogni misura geloso di me, che io per questo altro che in tribulazione e in mala ventura con lui viver non posso. Per la qual cosa, prima che io a altra confession venga, quanto più posso umilmente vi priego che sopra questo vi piaccia darmi alcun consiglio, per ciò che, se quinci non comincia la cagione del mio bene potere adoperare, il confessarmi o altro ben fare poco mi gioverà.»

Questo ragionamento con gran piacere toccò l’animo dell’abate, e parvegli che la fortuna gli avesse al suo maggior disidero aperta la via, e disse: «Figliuola mia, io credo che gran noia sia a una bella e dilicata donna, come voi siete, aver per marito un mentecatto, ma molto maggior la credo essere l’avere un geloso: per che, avendo voi e l’uno e l’altro, agevolmente ciò che della vostra tribulazion dite vi credo. Ma a questo, brievemente parlando, niuno né consiglio né rimedio veggo fuor che uno, il quale è che Ferondo di questa gelosia si guerisca. La medicina da guerillo so io troppo ben fare, pur che a voi dea il cuore di segreto tenere ciò che io vi ragionerò.»

La donna disse: «Padre mio, di ciò non dubitate, per ciò che io mi lascerei innanzi morire che io cosa dicessi a altrui che voi mi diceste che io non dicessi: ma come si potrà far questo?»

Rispose l’abate: «Se noi vogliamo che egli guerisca, di necessità convien che egli vada in Purgatorio.»

«E come» disse la donna «vi potrà egli andar vivendo?»

Disse l’abate: «Egli convien ch’è’ muoia, e così v’andrà; e quando tanta pena avrà sofferta che egli di questa sua gelosia sarà gastigato, noi con certe orazioni pregheremo Idio che in questa vita il ritorni, e Egli il farà.»

«Adunque,» disse la donna «debbo io rimaner vedova?»

«Sì,» rispose l’abate «per un certo tempo, nel quale vi converrà molto ben guardare che voi a alcun non vi lasciate rimaritare, per ciò che Idio l’avrebbe per male, e tornandoci Ferondo vi converrebbe a lui tornare, e sarebbe più geloso che mai.»

La donna disse: «Pur che egli di questa mala ventura guerisca, ché egli non mi convenea sempre stare in prigione, io son contenta; fate come vi piace.»

Disse allora l’abate: «E io il farò; ma che guiderdone debbo io aver da voi di così fatto servigio?»

«Padre mio,» disse la donna «ciò che vi piace, pur che io possa: ma che puote una mia pari, che a un così fatto uomo, come voi siete, sia convenevole?»

A cui l’abate disse: «Madonna, voi potete non meno adoperar per me che sia quello che io mi metto a far per voi, per ciò che, sì come io mi dispongo a far quello che vostro bene e vostra consolazion dee essere, così voi potete far quello che fia salute e scampo della vita mia.»

Disse allora la donna: «Se così è, io sono apparecchiata.»

«Adunque» disse l’abate «mi donerete voi il vostro amore e faretemi contento di voi, per la quale io ardo tutto e mi consumo.»

La donna, udendo questo, tutta sbigottita rispose: «Oimè, padre mio, che è ciò che voi domandate? Io mi credeva che voi foste un santo: or conviensi egli a’ santi uomini di richieder le donne, che a lor vanno per consiglio, di così fatte cose?»

A cui l’abate disse: «Anima mia bella, non vi maravigliate, ché per questo la santità non diventa minore, per ciò che ella dimora nell’anima e quello che io vi domando è peccato del corpo. Ma che che si sia, tanta forza ha avuta la vostra vaga bellezza, che amore mi costrigne a così fare; e dicovi che voi della vostra bellezza più che altra donna gloriar vi potete, pensando che ella piaccia a’ santi, che sono usi di vedere quelle del cielo. E oltre a questo, come che io sia abate, io sono uomo come gli altri e, come voi vedete, io non sono ancor vecchio. E non vi dee questo esser grave a dover fare, anzi il dovete disiderare, per ciò che, mentre che Ferondo starà in Purgatoro, io vi darò, faccendovi la notte compagnia, quella consolazione che vi dovrebbe dare egli; né mai di questo persona alcuna s’accorgerà, credendo ciascun di me quello, e più, che voi poco avante ne credavate. Non rifiutate la grazia che Dio vi manda, ché assai sono di quelle che quello disiderano che voi potete avere e avrete, se savia crederete al mio consiglio. Oltre a questo, io ho di belli gioielli e di cari, li quali io non intendo che d’altra persona sieno che vostra. Fate adunque, dolce speranza mia, per me quello che io fo per voi volentieri.»

La donna teneva il viso basso, né sapeva come negarlo, e il concedergliele non le pareva far bene: per che l’abate, veggendola averlo ascoltato e dare indugio alla risposta, parendogliele avere già mezza convertita, con molte altre parole alle prime continuandosi, avanti che egli ristesse, l’ebbe nel capo messo che questo fosse ben fatto: per che essa vergognosamente disse sé essere apparecchiata a ogni suo comando, ma prima non poter che Ferondo andato fosse in Purgatoro. A cui l’abate contentissimo disse: «E noi faremo che egli v’andrà incontanente; farete pure che domane o l’altro dì egli qua con meco se ne venga a dimorare»; e detto questo, postole celatamente in mano un bellissimo anello, la licenziò. La donna, lieta del dono e attendendo d’aver degli altri, alle compagne tornata maravigliose cose cominciò a raccontare della santità dell’abate e con loro a casa se ne tornò.

 

Ivi a pochi dì Ferondo se n’andò alla badia; il quale come l’abate vide, così s’avisò di mandarlo in Purgatoro. E ritrovata una polvere di maravigliosa vertù, la quale nelle parti di Levante avuta avea da un gran prencipe (il quale affermava quella solersi usare per lo Veglio della Montagna quando alcun voleva dormendo mandare nel suo Paradiso o trarlone, e che ella, più e men data, senza alcuna lesione faceva per sì fatta maniera più e men dormire colui che la prendeva, che, mentre la sua vertù durava, non avrebbe mai detto colui in sé aver vita) e di questa tanta presane che a far dormir tre giorni sufficiente fosse, e in un bicchier di vino non ben chiaro ancora nella sua cella, senza avvedersene Ferondo, gliele diè bere: e lui appresso menò nel chiostro e con più altri de’ suoi monaci di lui cominciarono e delle sue sciocchezze a pigliar diletto. Il quale non durò guari che, lavorando la polvere, a costui venne un sonno subito e fiero nella testa, tale che stando ancora in piè s’adormentò e adormentato cadde. L’abate mostrando di turbarsi dell’accidente, fattolo scignere e fatta recare acqua fredda e gittargliele nel viso e molti suoi altri argomenti fatti fare, quasi da alcuna fumosità di stomaco o d’altro che occupato l’avesse gli volesse la smarrita vita e ’l sentimento rivocare, veggendo l’abate e’ monaci che per tutto questo egli non si risentiva, toccandogli il polso e niun sentimento trovandogli, tutti per constante ebbero ch’è’ fosse morto: per che, mandatolo a dire alla moglie e a’ parenti di lui, tutti quivi prestamente vennero; e avendolo la moglie con le sue parenti alquanto pianto, così vestito come era il fece l’abate mettere in uno avello.

La donna si tornò a casa, e da un piccol fanciullin che di lui aveva disse che non intendeva partirsi giammai; e così rimasasi nella casa il figliuolo e la ricchezza che stata era di Ferondo cominciò a governare.

L’abate con un monaco bolognese, di cui egli molto si confidava e che quel dì quivi da Bologna era venuto, levatosi la notte, tacitamente Ferondo trassero della sepoltura e lui in una tomba, nella quale alcun lume non si vedea e che per prigione de’ monaci che fallissero era stata fatta, nel portarono; e trattigli i suoi vestimenti, a guisa di monaco vestitolo sopra un fascio di paglia il posero e lasciaronlo stare tanto che egli si risentisse. In questo mezzo il monaco bolognese, dallo abate informato di quello che avesse a fare, senza saperne alcuna altra persona niuna cosa, cominciò a attender che Ferondo si risentisse.

L’abate il dì seguente con alcun de’ suoi monaci per modo di visitazione se n’andò a casa della donna, la quale di nero vestita e tribolata trovò: e confortatala alquanto pianamente la richiese della promessa. La donna, veggendosi libera e senza lo ’mpaccio di Ferondo o d’altrui, avendogli veduto in dito un altro bello anello, disse che era apparecchiata, e con lui compose che la seguente notte v’andasse. Per che, venuta la notte, l’abate, travestito de’ panni di Ferondo e dal suo monaco accompagnato, v’andò e con lei infino al matutino con grandissimo diletto e piacere si giacque e poi si ritornò alla badia, quel cammino per così fatto servigio faccendo assai sovente. E da alcuni e nell’andate e nel tornare alcuna volta essendo scontrato, fu creduto ch’e’ fosse Ferondo che andasse per quella contrada penitenza faccendo, e poi molte novelle tralla gente grossa della villa contatone, e alla moglie ancora, che ben sapeva ciò che era, più volte fu detto.

Il monaco bolognese, risentito Ferondo e quivi trovandosi senza sapere dove si fosse, entrato dentro con una voce orribile, con certe verghe in mano, presolo, gli diede una gran battitura.

Ferondo, piangendo e gridando, non faceva altro che domandare: «Dove sono io?»

A cui il monaco rispose: «Tu se’ in Purgatoro.»

«Come?» disse Ferondo «Dunque son io morto?»

Disse il monaco: «Mai sì »; per che Ferondo se stesso e la sua donna e suo figliuolo cominciò a piagnere, le più nuove cose del mondo dicendo.

Al quale il monaco portò alquanto da mangiare e da bere; il che veggendo Ferondo disse: «O mangiano i morti?»

Disse il monaco: «Sì, e questo che io ti reco è ciò che la donna che fu tua mandò stamane alla chiesa a far dir messe per l’anima tua, il che Domenedio vuole che qui rappresentato ti sia.»

Disse allora Ferondo: «Domine, dalle il buono anno! Io le voleva ben gran bene anzi che io morissi, tanto che io me la teneva tutta notte in braccio e non faceva altro che basciarla e anche faceva altro quando voglia me ne veniva»; e poi, gran voglia avendone, cominciò a mangiare e a bere, e non parendogli il vino troppo buono, disse: «Domine falla trista! ché ella non diede al prete del vino della botte di lungo il muro.»

Ma poi che mangiato ebbe, il monaco da capo il riprese e con quelle medesime verghe gli diede una gran battitura.

A cui Ferondo, avendo gridato assai, disse: «Deh, questo perché mi fai tu?»

Disse il monaco: «Per ciò che così ha comandato Domenedio che ogni dì due volte ti sia fatto.»

«E per che cagione?» disse Ferondo.

Disse il monaco: «Perché tu fosti geloso, avendo la miglior donna che fosse nelle tue contrade per moglie.»

«Oimè» disse Ferondo «tu di’ vero, e la più dolce: ella era più melata che ’l confetto, ma io non sapeva che Domenedio avesse per male che l’uomo fosse geloso, ché io non sarei stato.»

Disse il monaco: «Di questo ti dovevi tu avvedere mentre eri di là e ammendartene; e se egli avvien che tu mai vi torni, fa che tu abbi sì a mente quello che io ti fo ora, che tu non sii mai più geloso.»

Disse Ferondo: «O ritornavi mai chi muore?»

Disse il monaco: «Sì, chi Dio vuole.»

«Oh!» disse Ferondo «se io vi torno mai, io sarò il migliore marito del mondo; mai non la batterò, mai non le dirò villania, se non del vino che ella ci ha mandato stamane; e anche non ci ha mandato candela niuna, e èmmi convenuto mangiare al buio.»

Disse il monaco: «Sì fece bene, ma elle arsero alle messe.»

«Oh!» disse Ferondo «tu dirai vero: e per certo, se io vi torno, io le lascerò fare ciò che ella vorrà. Ma dimmi, chi se’ tu che questo mi fai?»

Disse il monaco: «Io sono anche morto, e fui di Sardigna; e perché io lodai già molto a un mio signore l’esser geloso, sono stato dannato da Dio a questa pena, che io ti debba dare mangiare e bere e queste battiture infino a tanto che Idio dilibererà altro di te e di me.»

Disse Ferondo: «Non c’è egli più persona che noi due?»

Disse il monaco: «Sì, a migliaia, ma tu non gli puoi né vedere né udire se non come essi te.»

Disse allora Ferondo: «O quanto siam noi di lungi dalle nostre contrade?»

«Ohioh!» disse il monaco «sèvi di lungi delle miglia più di be’ la cacheremo.»