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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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Non men celebre fu in questi medesimi tempi il famoso Poeta Giacomo Sannazaro, il quale non altrimenti che il Riccio, volle seguire in Francia la fortuna del suo Signore. Non bisogna che di lui facciam molte parole, come di uomo pur troppo noto ed illustre, di cui e delle sue opere è stato tanto scritto e tanto ammirato. Egli nacque in Napoli, come di se medesimo dice nell'Arcadia, negli estremi anni del Re Alfonso I, intorno l'anno 1458, e fu Cavaliere del Seggio di Portanova, di costumi cotanto gentili e politi che Federigo, secondogenito del Re Ferdinando, l'ebbe sommamente caro, tanto che il Sannazaro così nella prospera che nell'avversa fortuna, non volle mai abbandonarlo: lo seguì in Francia, ove dimorò molto tempo: ritornò poi in Italia, e dopo essersi fermato alcuni anni in Roma, tornò in Napoli, dove alcuni scrissero che morisse l'anno 1532. Ma vi è gran contesa fra' Scrittori intorno al luogo ed all'anno della sua morte.

Giovan-Battista Crispo che scrisse la sua vita con molta esattezza, per la testimonianza che egli rapporta di Ranerio Gualano e del Costanzo, lo fa morire in Napoli, siccome anche scrisse l'Eugenio115. Ma l'autorità di costoro deve cedere a quella di Gregorio Rosso scrittor contemporaneo, il quale ne' suoi Giornali rapportando in due luoghi116 la morte di questo insigne Poeta, accaduta nel tempo ch'egli andava stendendo que' suoi Componimenti, dice che morì nel mese di agosto in Roma, senza veder più Napoli, poco da poi della morte del Principe d'Oranges, della quale si compiacque tanto che nell'estremo di sua vita non tralasciò di dire che Marte avea fatto vendetta delle Muse, alludendo alla sua Torre di Mergoglino diroccata per ordine del Principe: e che li suo corpo fu trasferito a Napoli, e seppellito nella sua chiesa di Mergoglino nel seguente mese di settembre di quell'anno, che fu il 1530.

L'anno parimente viene chiarito da questo Scrittore, al quale concorda l'Iscrizione del suo sepolcro, nella quale non vi è errore alcuno, come credettero il Crispo e l'Engenio: poich'essendo nato nel 1458, e concordando quasi tutti col Giovio, che morì di 72 anni, viene a cadere la sua morte appunto nel suddetto anno 1530. La morte, accaduta del Principe di Oranges, a 3 agosto del detto anno, conferma lo stesso, essendo poco innanzi preceduta a quella del Sannazaro117.

Suo contemporaneo e fido amico fugli Francesco Poderico famoso letterato anch'egli di questi tempi. Era gentiluomo del medesimo Seggio e della stessa Accademia del Pontano; ancorchè fosse cieco di corpo, non già dal nascimento, era uomo d'esquisitissimo giudicio, tanto che il Sannazaro, mentr'era tutto inteso al lavoro del suo Poema de Partu Virginis, non tralasciava mai pur un giorno di andarlo a ritrovare e conferire con lui que' versi, ne' quali il Poderico era tanto critico che il Sannazaro, per poterne sciegliere un verso degno di quelle purgate orecchie, assai sovente ne recitava diece composti d'un medesimo sentimento, e così per lo spazio di venti anni, seguendo questo tenore di studio, pervenne al fine di quell'opera118. Il Pontano l'ebbe ancora in grande stima; a lui dedicò il quarto de' suoi libri, de Rebus Coelestibus; l'onorò sempre nelle sue opere, e nel libro primo de' suoi Tumuli si legge ancora quello del Poderico. Pietro Summonte l'ebbe pure in grande venerazione ed in una sua pistola d'eccelse lodi lo cumula, dedicandogli ancora il Dialogo del Pontano intitolato, Actius.

A questi due insigni uomini dobbiamo noi l'istoria di Napoli del famoso Costanzo: confessa egli, che fu confortato a scriverla dal Sannazaro e dal Poderico, che benchè fosse degli occhi della fronte cieco, ebbe vista acutissima nel giudicio delle buone arti e delle cose del mondo. Questi due buoni vecchi, dic'egli119, che nell'anno di N. S. 1527 s'erano ridotti a Somma, dove io era, fuggendo la peste che crudelmente infestava Napoli, in aver veduti tanti errori nel Compendio di Collenuccio, che allora era uscito, mi coortarono ch'io avessi da pigliare la protezione della verità, ed alle persuasioni aggiunsero ancora ajuti, perchè non solo mi diedero molte scritture antiche, ma ancora gran lume, onde poter trovare delle altre: e certo, se tre anni dopo non fosse successa la morte dell'uno e dell'altro, dic'egli, che la sua Istoria sarebbe più copiosa ed elegante, perchè avrebbe avuto più spazio d'imparare e ripulirla nella conversazione di così prudenti e dotte persone

Fiorirono ancora in questi medesimi tempi dell'istessa Accademia del Pontano il tante volte nominato Pietro Summonte, ancor egli letteratissimo, come si vede dalle sue pistole, ed a cui dobbiamo l'edizioni dell'opera del Pontano e dell'Arcadia del Sannazaro, da' quali ne' loro carmi vien cotanto celebrato, e da Ambrosio di Lione cognominato il dotto120. Il famoso Tristano Caracciolo, di cui l'istesso Sannazaro cantò:

 
Ma a guisa d'un bel Sol fra tutti radia
Caracciol che 'n sonar sampogne e cetere
Non trovarebbe il pari in tutta Arcadia.
 

Il cotanto celebrato da' carmi di Pontano e dal Sannazzaro Cariteo famoso Poeta di que' tempi121. Ambrogio di Leone di Nola: Vir, come di lui scrisse il Vossio122, Latine, Graeceque doctissimus, Philosophus idem, ac Medicus insignis. Fu egli amicissimo d'Erasmo, come si vede dalle loro vicendevoli lettere; dal quale fu cotanto stimato, che 'l priega insino a volerlo nominare nelle sue opere, delle quali il Nicodemo fece lungo ed accurato Catalogo123. Il famoso Alessandro d'Alessandro, la di cui opera de' Giorni Geniali, ebbe il favore d'avervi impiegati intorno i loro talenti tre famosi Scrittori Franzesi, non pure il Tiraquello ed il Colero, ma anche il chiarissimo Giureconsulto Dionigi Gotofredo. Fu egli in Napoli ed in Roma nudrito fra' Letterati di questi tempi ed uscì dall'Accademia del Pontano: conversò con Francesco Filelfo, Giorgio Trapezunzio, Bartolommeo Platina, Giovanni Pontano, Teodoro Gaza, Niccolò Perotti, Domenico Calderino, Ermolao Barbavo, Paolo Cortese e Raffael Volaterrano. Ascoltò alcuni di questi in Roma, con altri visse familiarmente, onde divenne erudito: mentr'era giovane intese in Roma Filelfo ch'essendo già vecchio spiegava in quell'Università le Tusculane di Cicerone: ascoltò ivi ancora Perotti e Calderino che spiegavan Marziale. Egli di professione era Avvocato, e ne' nostri Tribunali ed in que' di Roma si diede a difender cause. Poi lasciato il Foro si diede a' studj men severi ed alle lettere umane tutto intese. Vi è chi lo nota d'ingratitudine, che avendo composti i suoi Giorni Geniali a similitudine delle Notti Attiche d'Agellio e de' Saturnali di Macrobio, e preso da varj Autori tutto ciò che vi scrive, non siasi mai ricordato di lodarli, dissimulandoli, come se tutto fosse stato dettato di suo capo.

Fiorirono ancora intorno a questi medesimi tempi Pietro Gravina Poeta assai celebre, Girolamo Carbone, Girolamo Massaino, Giuniano Majo, celebre Gramatico, Maestro del Sannazaro e tanti altri insigni Letterati: tanto che l'Accademia del Pontano fu uguagliata dagli Scrittori al Cavallo Trojano, donde uscirono tanti bravi guerrieri.

 

Ma ove lascio il famoso Andrea Matteo Acquaviva Duca d'Atri e di Teramo, insigne non men nell'armi che nelle lettere? Dal cui esempio tutta la sua posterità e la lunga serie de' Duchi d'Atri, seguendo i suoi vestigi, si adorna di simili virtù, e di esser perpetua fautrice delle discipline e de' letterati. Fra tanti pregi onde questa famiglia si è presso di noi resa eminente sopra tutte le altre, fu senz'alcun dubbio questo, che la rese celebratissima presso tutti gli Scrittori. Sin da questo principio nel risorgimento delle lettere in Italia ed in Napoli, fu questo Duca come di lui scrisse il Puntano124: Princepem Virum et in mediis philosophantem belli ardoribus, et Philosophorum inter libros, naturaeque ratiocinationes tractantem Ducum artes, muneraque Imperatoria, utrumque cum dignitate, neutrum sine suo, et decore, et laude. E quanta stima facesse di lui questo Scrittore si vede, che oltre i tanti elogi, che si veggono sparsi per le sue opere, gli dedica i due libri de Magnanimitate, ed il primo de Rebus Coelestibus. Tutti gli altri Letterati dell'Accademia del Pontano di questi tempi gli resero estremi onori: Pietro Summonte fece lo stesso che il Pontano lodandolo e dedicandogli le sue opere; i libri degli Epigrammi del Sannazaro125 sono di sue lodi. Alessandro d'Alessandro gli dedicò i suoi libri de' Giorni Geniali. Il Minturno126 nel libro de' suol Epigrammi, il Giovio127 in quello de' suoi Elogj e tanti altri rapportati dal Nicodemo128, non finiscono d'altamente lodarlo. Ci restano ancora di quest'Eroe i suoi Commentarj, ed i quattro libri delle Disputazioni Morali, che impresse in Napoli sin dal 1526, furon da poi ristampate in Germania nel 1609. Ci testifica ancora il Toppi129, che questo libro si trovava anche M. S. in pergameno nella Biblioteca de' PP. Agostiniani di S. Giovanni a Carbonara; ma non sappiamo se dopo il sacco ultimamente datovi, sia ora rimase fra quei miseri avanzi.

Fu con non interrotta successione continuata la cognizione delie migliori lingue e di tutte le discipline liberali nella di lui posterità. Gio. Antonio Acquaviva suo figliuolo fu, secondo testimonia l'Atanagio, assai dotto e buono. Giovan Girolamo suo nipote, per giudicio di questo istesso Scrittore, fu nella poetica ed in tutte le discipline liberali gran Maestro; al quale egli per ciò dedicò le poesie di Bernardino Rota. Ed ultimamente Giosia Acquaviva XIV Duca d'Atri, che emulando le virtù paterne, non men nelle armi che nelle lettere, fu celebratissimo, favorì cotanto i Letterati, che volle avere per direttore de' suoi studj l'incomparabile Cattedratico Domenico Aulisio pregio di questa Università e suo maggior splendore, il quale l'ebbe in tanta stima, che gli dedicò quel suo libro intitolato; la Sfinge, ovvero l'Interprete dell'Affrica Occidentale con le sue isole, il quale M. S. presso noi si conserva.

CAPITOLO IV
Stato della nostra giurisprudenza in questi ultimi anni del Regno degli Aragonesi; e leggi, che da Ferdinando furono stabilite

Cotanto le lettere umane eransi rialzate nella fine di questo secolo, e tale fu il numero de' Letterati, che vi fiorirono; ma la nostra giurisprudenza, ancorchè cominciasse in questi tempi per li favori e per le leggi di Ferdinando a sollevarsi, non fece però, come nel secolo seguente que' progressi che si sentiranno ne' seguenti libri di questa Istoria. Insino ad ora andavan di pari i Legisti e' Canonisti, come i Teologi. Le altre facoltà furon tutte, come s'è veduto riformate e ridotte nel loro splendore: le lingue, la gramatica, la poesia, la oratoria, la politica ed in gran parte la filosofia, e la medicina. Ma le gare insorte tra i Professori di queste facoltà, con i Dottori e Teologi, fecero che questi ostinatamente seguitassero la tradizione, e lo stile delle loro scuole e de' Tribunali, anteponendo l'utile al dilettevole. I Dottori e' Teologi tenevano questi nuovi Letterati, ch'e' chiamavano Umanisti, come Grammatici, Retori e Poeti, per uomini da poco, li quali trattenevansi ne' giuochi de' fanciulli ed in vane curiosità. Gli Umanisti al contrario allettati dalla bellezza degli Autori antichi e sorpresi dalle loro invenzioni, sprezzavano il comune de' Dottori, che seguitavano la tradizione delle Scuole, trascurando lo stile per attaccarsi alle cose, e per parlare col linguaggio proprio delle Scuole130. Essi si facevano ben sentire, e perchè scrivevano con tutta la pulitezza, e perchè aveano appreso colla lettura degli antichi a guadagnarsi in tal guisa la buona grazia da tutti. Questi loro sforzi, ancorchè, come si è detto in questo cadente secolo non molto riscotessero i Giureconsulti ed i Teologi, nulladimanco nel secolo seguente fecero effetti maravigliosi; poiché nell'entrar di quello s'incominciarono gli studi sopra le Pandette e gli altri libri di Giustiniano con modo diverso, cioè coll'aiuto delle lingue e dell'istoria romana, di quello che si era fatto per lo passato. Si cominciarono a spiegar le leggi in altra guisa ed a commentarle in miglior lingua, ed a penetrarne i veri sensi; ed il primo che nella nostra Italia rompesse il guado fu Andrea Alciato Professore di legge nell'Università di Milano. D'Italia questa nuova maniera passò in Francia, dove prima di ogni altro Guglielmo Budeo e Carlo Molineo vi impiegarono i loro talenti; ma in decorso di tempo non si può negare, che la Francia superasse in ciò i Professori d'Italia; poichè vi rilussero tanti Giureconsulti insigni, fra' quali l'incomparabile Cujacio, che oscurò la fama di tutti.

L'eresia di Lutero, che poco da poi alzò il capo, diede occasione di portar anche simile cangiamento alla teologia131. Pretendeva egli del pari riformare gli Studi, che la Religione. Melantone suo fedele discepolo v'impiegò tutte le sue belle lettere e tutto il suo talento; onde si diedero i pretesi Riformatori con grande ardore a studiare le lettere umane, vedendo che la eloquenza ed il credito d'una scelta erudizione a se chiamava gran numero di seguaci: consideravano questi studi, come mezzi necessari alla riforma della Chiesa; e facendosi ammirare dagl'ignoranti, davan lor facilmente ad intendere che i Teologi cattolici non più sapevano della Religione che delle Belle Lettere: obbligarono perciò i Cattolici ad impiegarsi a questi studi per combattergli con le lor proprie armi: si diedero a questo fine alla cognizione delle lingue originali e degli Autori antichi secondo le lor proprie edizioni: incominciossi adunque di nuovo a studiare i Padri sì greci come latini, troppo poco conosciuti ne' secoli precedenti. Si studiò la Storia ecclesiastica, i Concilj, gli antichi Canoni, penetrando per sino nella origine della tradizione, e deducendo la dottrina dalla sua propria fonte; ed il senso letterale della Scrittura fu ricercato col soccorso delle lingue e della critica.

Ma tutti questi avanzi così nelle leggi e ne' canoni, come nella teologia, si videro nel seguente secolo decimosesto. Nel Regno di Ferdinando e de' suoi figliuoli, presso di noi le buone lettere cominciavan sì bene a restituire la giurisprudenza in qualche lustro, ma in questi principj non fu tanto. Nell'Università nostra si proseguiva lo stesso stile, ancorchè i Professori come i migliori di que' tempi, vi ponessero maggiore studio. Ma se non fu restituita la giurisprudenza nel suo antico candore, la saviezza di questo Principe, la perizia delle lingue de' suoi Secretarj e la dottrina de' nostri Professori che cominciavano, più di quel ch'erasi fatto ne' precedenti secoli, ad impiegar i loro talenti in questi studi, produssero leggi non men savie e prudenti, che culte. La legge romana avea preso piede non pure nell'Accademie ma anche nel Foro; onde avvenne, che la longobarda affatto mancasse.

Fra le nostre leggi patrie, quelle di Ferdinando, come di Principe più illuminato e dotto, e che teneva la sua Cancelleria adorna d'uomini letteratissimi, si videro più prudenti e più culte. Furono consultate da gravissimi Giureconsulti, in fra gli altri da Luca Tozzolo, Antonio d'Alessandro, Paris de Puteo e da Agnello Arcamone, e dettate in latino per la maggior parte da Antonello Petrucci e Giovanni Pontano grandi Letterati, come si è detto di que' tempi.

Le leggi de' nostri Re normanni e Svevi furon appellate Costituzioni: quelle de' Principi angioini, all'uso di Francia, Capitularj, ovvero Capitoli: queste de' Re Aragonesi, come da poi anche degli Austriaci, si dissero Prammatiche; di queste ne furon fatte più compilazioni, come di tempo in tempo andremo notando.

Abbiam veduto quanto poche ne stabilisse il Re Alfonso, vedremo ancora quante meno ne facessero Ferdinando II e Federico ne' brevi e tumultuosi anni del loro regnare: Ferdinando I però fu quegli, che fra' Re Aragonesi ci lasciasse più leggi e le più sagge e le più culte.

Ne' primi anni del suo Regno furono stabilite quelle, che ora leggiamo sparse nel terzo volume delle prammatiche, sotto il titolo De Offic. S. R. C. eccettuatane la prammatica 2 che, come fu ne' precedenti libri notato, a torto s'attribuisce a Ferdinando, essendo d'Alfonso, istitutore di questo Gran Tribunale: sono di questo Principe, di cui anche portano in fronte il nome, la prammatica 4, 5, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 32, 33, 34, 35, 36, 37, nelle quali si danno molti regolamenti intorno all'amministrazione e governo del S. C., del numero e qualità de' Ministri, così maggiori, come minori, che lo compongono, del modo d'istituir i giudicj, delle recusazioni e d'ogni altro riguardante alla riforma e buona istituzione di questo Tribunale.

Nel 1462 ne promulgò una sotto li 9 Ottobre, per la quale si permette agli Ufficiali di procedere ex officio ne' delitti, ancorchè non vi fosse querela della parte offesa, o questa desistesse, rivocando il privilegio che su di ciò avea conceduto ad alcune Università del Regno, la quale per questo fine fu collocata nel tom. 3, delle prammatiche, sotto il titolo de Privilegiis Universitatibus concessis.

 

Nel 1466 ne promulgò due, una sotto li 23 luglio, che si legge sotto il titolo de Baronibus132, per la quale si vieta a' Baroni di cercar sussidj da' Vassalli, fuor de' casi dalle leggi e costituzioni permessi, e d'impedire il vendere le loro robe, come lor piaccia; l'altra a' 15 agosto pure sotto il medesimo titolo, colla quale si conferma la precedente sotto rigorose pene.

Nel 67 a' 19 novembre ne fu stabilita un'altra drizzata a Renzo d'Afflitto Commessario delle province di Principato ultra, e Capitanata, colla quale si prescrive il modo, come debba farsi l'estimo, o sia apprezzo de beni di ciascuno per regolare i pagamenti fiscali: noi ora la leggiamo sotto il titolo de Appretio, seu bonorum aestimatione.

Nel 68 a' 2 novembre ne promulgò altra, con cui ordina, che i delinquenti si mandino a' loro Giudici competenti, nè alcuno abbia ardimento di dar loro ricovero ed alimento133.

Nel 69 ne furon pubblicate sei, la prima a' 27 marzo, la seconda a' 25 maggio, per le quali si vieta agli Ufficiali ricever doni e pranzi e si prescrivono a' Mastrodatti e ad altri Ufficiali minori i loro diritti facendosene tariffa134; tre altre nel medesimo mese e la sesta nel seguente di giugno.

Nel 1470 ne' mesi di marzo, aprile ed ottobre, tre altre; e nel 71 un'altra in giugno.

Nel 1472 ne stabili un'altra a' 13 settembre, per la quale fu deputato Bernardo Striverio Avvocato fiscale per Inquisitore Generale del Regno contro gli Usurarj e contro altri malfattori, che nelle moderne edizioni si legge sotto il titolo de Usurariis, ma con data scorrettissima de' 9 ottobre 1462, quando quella, secondo l'edizioni antiche, fu promulgata nel decimo quinto anno del suo Regno, come ivi si legge: Dat. 13 septembris 1472, Regnor. nostror. A. 15.

Nel 73 in marzo ed aprile due altre, e nel 74 nel mese di marzo, una.

Nell'anno poi 1477 furono stabilite quelle tante leggi intorno all'ordine giudiciario, delle quali si è altrove fatta memoria; ne' seguenti anni 1479, 80, 81, 82, 83, 84, 86, 87, 88, 90 insino al 1492 ne furono molte altre da questo Principe promulgate, le quali possono con facilità vedersi, secondo l'ordine de' tempi, nella Cronologia di queste leggi prefissa al tomo primo nelle nostre prammatiche secondo l'ultima edizione dell'anno 1715.

Furono queste prammatiche di Ferdinando nel seguente secolo raccolte in un volume insieme con alcune altre di Ferdinando il Cattolico e di Carlo V, ed impresse nel 1558. Da poi unite colle Costituzioni, Riti e Capitoli del Regno furono ristampate in Vinegia nel 1590. V'impiegarono i loro studi in quel secolo molti nostri Professori, chi con Note, chi con diffusi Commentarj ed altri con particolari Trattati. Annibale Troisio della Cava, nominato perciò il Cavense, commentò tutte quelle, che nel 1477 s'erano pubblicate, per le quali furono i giudicj riordinati e molte altre ancora: Giovannangelo Pisanello, Marc'Antonio Polverino e Giacomo de Bottis vi fecero delle piene Note. Orazio Barbato sopra la prammatica Assistentium, vi stese un Trattato. Gio. Bernardino Moscatello di Lucera stese la sua Pratica de' nostri Tribunali, che ora si vede ristampata colle addizioni del Consigliere Prato, sopra le suddette leggi di Ferdinando promulgate nel detto anno 1477. Altri sopra la prammatica Odia inter conjunctos, stesero i loro trattati e le varie dispute intorno a compromessi. Cotanto le leggi di questo Principe furono non pure in que' tempi, ma anche ne' seguenti secoli riputate savie e dotte.

115Engen. Neap. Sac.
116Rosso Giorn. pag. 17 et 79.
117V. Nicodem. Addiz. ad Biblioth. Toppi.
118Crispo nella vita del Sannazaro. Nicomed. Addiz. a Toppi.
119Costanzo nel Proem.
120Nicodem. in Add. ad Biblioth. Toppi.
121Nicod. ad Biblioth. Toppi.
122Voss. de Histor. Latin. lib. 3.
123Nicod. Addit. ad Biblioth. Toppi.
124Fontano de Magnanimit.
125Sannazar. Epigr. lib. 2.
126Minturno Epigr. fol. 86.
127Giovio Elog. fol 152.
128Nicod. in Addit. ad Bibl. Tappi.
129Toppi Biblioth. Nicod. Addit.
130Pallavic. Arte dello Stile.
131Epist. Obscur. viror. Erasmi.
132Pragmat. 1 et 2 de Baronib.
133Pragmat. I. Ubi de delicto, quis couven. deb.
134Pragmat 4 et 5. De Actuar.