Kostenlos

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

Text
0
Kritiken
iOSAndroidWindows Phone
Wohin soll der Link zur App geschickt werden?
Schließen Sie dieses Fenster erst, wenn Sie den Code auf Ihrem Mobilgerät eingegeben haben
Erneut versuchenLink gesendet

Auf Wunsch des Urheberrechtsinhabers steht dieses Buch nicht als Datei zum Download zur Verfügung.

Sie können es jedoch in unseren mobilen Anwendungen (auch ohne Verbindung zum Internet) und online auf der LitRes-Website lesen.

Als gelesen kennzeichnen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

CAPITOLO I
I Baroni nuovamente congiurano contra il Re. Papa Innocenzio VIII unito ad essi gli fa guerra: pace indi conchiusa col medesimo, e desolazione ed esterminio de' congiurati

Alfonso Duca di Calabria ritornato in Napoli dopo l'impresa d'Otranto tutto glorioso e trionfante, pieno d'elati pensieri ed istigato dal genio suo crudele ed avaro, pensò abbassare i Baroni, de' quali se ne mostrava mal soddisfatto, e teneva sempre in sospetto. Tutti i suoi pensieri erano a ciò rivolti, nè potè tanto coprire questi suoi disegni che coloro non se ne insospettissero; poichè sovente co' suoi confidenti soleva dire, che giacchè i Baroni non avean mai avuto riguardo in tante guerre ed in tanti bisogni, ne' quali s'era il Re veduto soccorrere il regio erario di denaro, voleva egli insegnar loro, come i sudditi trattar dovessero col loro Signore. Non si potè ancora contenere co' suoi famigliari d'assicurargli che stessero allegri, che fra breve gli farebbe divenire gran Baroni senza dar loro Stato, poich'egli avrebbe tanto abbassati i grandi che sarebbero essi divenuti primi; e di vantaggio non si ritenne di porre nel suo elmo una scopa per cimiero, ed alla sella del suo cavallo certe taglie, per dimostrare volergli tutti sterminare.

Il Re Ferdinando, ancorchè Principe prudentissimo, nulladimanco per l'affetto grande che portava al Duca D. Alfonso, per la sua vecchiaia e per gli amori della novella sposa, s'era invilito tra gli affetti di padre e di marito; e perchè fidava molto nel valore del Duca suo figliuolo, aveagli quasi che cedute le redini del governo, e sol ne' casi estremi scosso, riparava i disordini colla sua prudenza. I Baroni che aveano concepito odio grande verso Alfonso, atterriti da queste minacce, cominciarono a pensare il modo da potersene liberare.

Era in quest'anno 1484 a' 13 d'agosto trapassato il Pontefice Sisto, ed a' 29 dello stesso mese era stato rifatto in suo luogo il Cardinale Giovan Battista Cibo genovese, che Innocenzio VIII chiamossi. Questo Pontefice ebbe pensieri diversi da' suoi predecessori Pio e Sisto, e bramando occasione d'ingrandir Franceschetto suo figliuol naturale, vedendo gli animi dei Baroni disposti alle novità, cominciò a darvi mano; e mostrandosi mal soddisfatto del Re Ferdinando, il quale gli avea richiesto, che per le grandi spese sofferte nella guerra d'Otranto, e per quelle che faceva in mantenere tante genti d'arme per opporsi al Turco, e per tenere ben difeso il Regno ch'era contra Turchi quasi il propugnacolo d'Italia, gli rilasciasse il censo solito da pagarsi alla chiesa, come avean fatto i suoi predecessori, i quali s'erano contentati del solo palafreno; egli non solo non volle rilasciarglielo, ma avendo il Re a' 29 giugno del seguente anno 1485, giorno stabilito al pagamento, mandato secondo il solito Antonio d'Alessandro per suo Oratore in Roma a profferirgli il palafreno in vigor dell'investitura, il Papa non volle riceverlo; tanto che fu obbligato Antonio di farne pubblica protesta, che ancor si legge presso il Chioccarello ne' suoi volumi M. S. della regal giurisdizione.

Dall'altra parte i Baroni, vedendo la mala soddisfazione del Papa, pensarono di ricorrere a lui per essere sostenuti. Li Capi ed Autori di questa congiura, che è stata tanto bene scritta da Camillo Porzio, furono Francesco Coppola Conte di Sarno ed Antonello Petrucci Segretario del Re. Il Conte di Sarno, ancorchè d'antica e nobil famiglia del Seggio di Portanova, seguendo i vestigi del suo genitore, erasi dato tanto a' traffichi, ed a mercatantare, in cui v'avea un'abilità grandissima, che il Re istesso allettato anch'egli dal guadagno, gli diede molto denaro, entrando in società ne' negozj, che colui tenea79, tanto che divenne ricchissimo: il Re medesimo lo creò Conte di Sarno, ed il suo nome tanto in Levante, quanto in Ponente avea tanto credito, che i mercatanti di quasi tutte le Piazze d'Europa gli fidavan somme e merci rilevantissime. Antonello Petrucci nato in Teano, città presso Capua, di poveri parenti, ed allevato in Aversa da un Notajo, mostrando molto spirito e grande applicazione alle lettere, fu da costui portato in Napoli, dove lo pose a' servigi di Giovanni Olzina Segretario del Re Alfonso. L'Olzina, conosciuti i talenti del giovane, dimorando in casa sua il famoso Lorenzo Valla, lo diede a lui perchè lo ammaestrasse: ed avendo Antonello sotto sì eccellente Maestro in poco tempo fatti miracolosi progressi, fu dall'Olzina posto nella Cancelleria regia, il quale quando gravato d'affari non avea tempo d'andare egli dal Re, soleva mandarvi Antonello. Piacquero anche al Re Ferdinando le virtù e' tratti modesti d'Antonello, onde per questa famigliarità entrò in somma sua grazia; tanto che morto poi l'Olzina lo creò suo Segretario, nè vi era affare, ancorchè gravissimo, che non passasse per le sue mani, per la confidenza grandissima, che teneva col Re. Acquistò per tanto ricchezze grandissime e parentadi nobili: poichè prese per moglie la sorella del Conte di Borrello Agnello Arcamone del Seggio di Montagna, dalla quale generò più figli, e tutti col favore del Re pose in grandezza. Il primo fu Conte di Carinola, l'altro di Policastro, il terzo Arcivescovo di Taranto, il quarto Prior di Capua, e l'ultimo Vescovo di Muro.

Le tante ricchezze, ed i cotanti estraordinarj favori, che il Re faceva a questi due personaggi, gli fecero entrare nell'odio ed invidia di molti, e massimamente del Duca di Calabria, il quale sovente non poteva contenersi di dire in pubblico, che suo padre per arricchir costoro avea se stesso impoverito: ma ch'egli non avrebbe mandato a lungo quel che suo padre per tanto tempo avea dissimulato. Essendo pertanto tutte queste cose sapute dal Conte e dal Segretario, pensarono unirsi co' Baroni mal soddisfatti, co' quali, tenuto consiglio, deliberarono ricorrere al Papa per ajuto. I Baroni, che congiurarono, furono il Principe di Salerno Antonello Sanseverino Gran Ammirante del Regno, il Principe d'Altamura Pietro del Balzo Gran Contestabile, il Principe di Bisignano Girolamo Sanseverino, il Marchese del Vasto Pietro di Guevara Gran Siniscalco, il Duca d'Atri Andrea Matteo Acquaviva, il Duca di Melfi, il Duca di Nardò, il Conte di Lauria, il Conte di Melito, il Conte di Nola e molti altri Cavalieri80. Questi uniti insieme a Melfi, coll'occasione delle nozze di Trojano Caracciolo figliuolo di Giovanni Duca di Melfi, mandarono al Pontefice Innocenzio perchè col suo favore li ajutasse; ed il Papa volentieri accettò l'impresa. Egli considerò, che non vi era altra miglior congiuntura di questa per innalzar suo figliuolo; e per far questo si rivoltò alle solite cose praticate da' Papi, cioè d'invitar altri all'acquisto del Regno con prometterne l'investitura. Giovanni Duca d'Angiò si trovava sin dal 1470 morto in Catalogna, e Renato suo padre era parimente morto: non vi restava, che un altro Renato figliuolo di Violanta figliuola di Renato, ch'era Duca di Loreno; mandò pertanto in Provenza a stimolarlo, che venisse tosto all'acquisto del Regno, del qual egli ne l'avrebbe investito, purchè in ricompensa dì sì grande beneficio avesse arricchito Franceschetto suo figliuolo di onori e Signorie.

Intanto Alfonso Duca di Calabria avendo scoverti questi movimenti de' Baroni, perchè la cosa non procedesse più avanti, pensò tosto romper loro i disegni, e si impadronì all'improvviso del Contado di Nola, e presa Nola, con carcerare due figliuoli del Conte con la madre, gli fece condurre prigioni nel Castel Nuovo di Napoli. Quando gli altri congiurati intesero questa risoluzione di Alfonso, temendo che parimente i loro Stati non fossero occupati, tolto ogni rispetto, cominciarono scovertamente ad armarsi, e da per tutto a tumultuare. In un tratto si vide il Regno sossopra, le strade rotte, tolti i commerci, serrati i Tribunali, e ciascun luogo pieno di confusione. Re Ferdinando scosso da questi rumori cercava sedarli, ed il Principe di Bisignano, per dar tempo che gli altri Baroni s'armassero, cominciò a trattar di pace col Re: Ferdinando in apparenza si mostrò molto disposto, ma con animo, cessati que' sospetti, di non osservar cos'alcuna. L'uno cercava con simulazione ingannar l'altro: proposero al Re condizioni di pace impertinentissime, ma dal Re furon loro tutte accordate: quando poi si venne a firmarle, s'andavano dal Principe di Salerno frapponendo difficoltà, ed essendosi intanto gran parte de' Baroni ritirati in Salerno, fece egli sentire al Re, che per maggior sicurezza voleva, che mandasse in Salerno D. Federico suo secondogenito, che in suo nome le firmasse e ne proccurasse l'osservanza. Il Re glielo mandò, e Federico fu ricevuto dal Principe e dai Baroni, che ivi erano, con molti segni di stima, e salutato non altramente che a Re si conveniva. Federico era un Principe dotato di rare ed incomparabili virtù, avvenente e di maniere dolcissime, moderato e modesto, in modo che s'avea tirato l'amore di tutti. Di costumi opposti al Duca di Calabria suo fratello, e se la fortuna, siccome lo fece nascere secondogenito, l'avesse favorito di farlo venir primo al mondo, certamente che il Regno avrebbe continuato nella posterità de' nostri Re nazionali aragonesi; e tante revoluzioni e disordini, che si sentiranno nel seguente libro, non avrebbe certamente patiti e sofferti.

 

Entrò per tanto Federico in Salerno con ferma speranza di conchiuder la pace; ma un dì il Principe di Salerno avendo fatto nel suo palazzo convocare i Baroni, e fatto sedere Federico nel consesso in una eminente e pomposa sede, cominciò con molta forza ed energia a persuadergli, che prendesse dalle lor mani il Regno, ch'essi gli offerivano, affinchè discacciato Alfonso crudelissimo Tiranno, quello riposasse sotto la sua clemenza: ch'essi lo difenderebbero con armi e danari sino allo spargimento dell'ultimo sangue: che avendo dal loro canto il Papa, renderebbesi giusta l'impresa, il quale tosto ne lo investirebbe, e se gli altri romani Pontefici, e' diceva, poterono per lo bene della pace permettere ad Alfonso, che ne privasse il Re Giovanni suo fratello, a cui di ragione questo Regno s'apparteneva, quanto più ora sarà riputata azione giusta e gloriosa del presente Pontefice Innocenzio, che togliendo il Regno dalle mani d'un Tiranno, lo riponga nelle vostre, che tanto dissimile siete da lui, quanto il lupo dall'agnello, quanto un crudele ed avaro, da un Principe tutto clemente, tutto buono e tutto virtuoso: nè certamente se ne offenderà il vecchio vostro padre Ferdinando, il quale son sicuro, che seconderà la volontà degli uomini e d'Iddio, anzi si terrà del tutto padre felice, che tra' suoi figliuoli abbiane generato uno, che per giudicio universale sia stato riputato degno dello scettro e della regal Corona. Doversi rammentare esser nato fra noi in questo Cielo ed in questa preclara parte d'Italia per nostro scampo: dovere la pietà del vostro cuore esser mossa dalle nostre miserie, abbracciare i nostri innocenti figliuoli, sollevare le spaventate madri, e finalmente non soffrire, che, cacciati dalla necessità, ricorriamo per aver salute in grembo di genti barbare, come senza fallo avverrà, non accettandoci per servi vostri81.

Orò il Principe con tanto ardore ed efficacia, che ciascuno de' circostanti credeva, che Federico non dovesse rifiutare il dono: ma questo Principe, cui non movea nè ambizione, nè immoderata sete di dominare, ma sola virtù, dopo aver rese le grazie dell'offerta, con molta placidezza rispose loro, che se il concedergli il Regno stasse in lor mano, volentieri accetterebbe il dono, ma non potendolo egli acquistare, se non con violare tutte le leggi, il volere paterno e la ragion di suo fratello, non voleva, che per mantenerselo poi con la forza, fosse costretto usar maggiori fraudi e scelleratezze. Essere il Regno pieno di tante fortezze e presidj, che appena la vita di due Re valorosi e sempre vittoriosi, basterebbe a vincerli ed espugnarli, massimamente, che buona parte de' Baroni avvezzi alle armi seguivano l'insegne del Duca, il quale, ancorchè da Popoli fosse mal veduto, era però da' soldati, co' quali s'avrebbe a far la guerra, molto amato, anzi adorato. Che s'ingannavano nel paragone ch'essi facevan tra le sue maniere con quelle del Duca: non esservi proporzione tra un uomo privato, qual egli era, ad un Principe. Nè dover loro recar meraviglia, se per aver egli coltivati gli studj delle buone lettere, fosse divenuto di natura piacevole, ed all'incontro il Duca nutrito tra le armi, terribile e feroce: che se divenisse Re, sarebbe forzato lasciare i suoi antichi costumi, e prendere quelli del fratello per confermazione dello Stato regale, maneggiando le guerre, imponendo nuove gravezze, assicurandosi de' malcontenti, ed in brieve adoperando tutto quello, per cui egli era odiato. Talchè quando da lui erano assicurati, che gli articoli accordati sarebbero stati religiosamente eseguiti, doveano lasciar questi pensieri, ed appigliarsi alla pace, ch'egli loro offeriva.

Quando i Congiurati intesero la resoluzione di Federico, cambiati di volto e impalliditi, presaghi del futuro, che di quella congiura resultar dovea, vinti dalla disperazione diedero in furore ed in mille enormità. In cambio di farlo Re, lo fecero prigione; e per invigorir l'animo del Papa, scosso svelatamente il giogo, alzarono con biasimo non men loro, che del Pontefice, le bandiere colle Papali insegne e si scovrirono non meno aperti, che ostinati nemici del Re.

Ferdinando vedendo tanta indegnità, per abbattere non meno la loro fellonia, che l'ambizione del Papa, si risolvè movergli guerra, e senza riguardo alcuno assaltar lo Stato della Chiesa per costringerlo a lasciar l'indegna impresa; onde voltò i suoi pensieri a far ogni provisione di guerra, e mandò il Duca di Calabria con un floridissimo esercito a' confini del Regno. Prima di mandarlo, perchè molti di debile spirito si sbigottivano in sentire, che si dovesse maneggiare una guerra contro il Pontefice, onde mal si disponevano ad intraprenderla, per togliergli di questo inganno, fece egli a' 12 novembre di quest'anno 1485 nel Duomo di Napoli ragunar la Nobiltà e 'l Popolo, con molti Capitani e Baroni, ed in loro presenza fece pubblicamente leggere una protesta, colla quale dichiarava, che egli non avea, nè voleva alcuna guerra contra la Santa Sede: che tutto quell'apparato di guerra non era per offendere, nè occupar l'altrui, ma solo per difender se, e conservare il suo Stato e liberarlo d'altrui insidie: che del rimanente egli era stato e sarà sempre ubbidientissimo figliuolo alla Sede Appostolica.

Fece ancora pubblicar bando, col quale s'ordinava a tutti Prelati e persone Ecclesiastiche del Regno, che tenevano Vescovadi, Arcivescovadi e beneficj nel Regno, e che dimoravano nella Corte romana, che fra 15 giorni numerandi dal dì della pubblicazione del bando, venissero tutti nella sua presenza, ed a risedere nelle loro Chiese, altrimenti gli privava del godimento de' frutti di quelle, li quali sarebbero stati da lui fatti sequestrare; e non avendo voluto ubbidire al bando l'Arcivescovo di Salerno, i Vescovi di Melito e di Teano, che risedevano nella Corte romana, sequestrò i frutti delle loro Chiese e destinò Economi per l'esazione82.

Ragunò anche un altro esercito, del quale ne diede il comando a D. Ferrante Principe di Capua suo nipote, primogenito del Duca di Calabria, al quale, per moderare la giovanil età del Principe, diede per compagni i Conti di Fondi di Maddaloni e di Marigliano; e mandò anche in Puglia con altro esercito il Duca di S. Angelo suo quartogenito a guardar quelle Terre.

Papa Innocenzio atterrito da' tanti apparati di guerra, e non vedendo comparire Renato Duca di Lorena da lui invitato all'acquisto del Regno, si voltò al soccorso de' Vinegiani potenti allora in Italia, e proccurava con ogni sforzo di far con esso loro lega per la conquista del Regno, offerendo loro buona parte di quello; ma i Vinegiani, avendo preveduta la riuscita, che doveano fare i Baroni congiurati, non vollero entrare in manifesta lega contro il Re, nè abbandonar il Papa, ma per vie segrete ajutarlo, come fecero.

Intanto il Duca di Calabria avendo invaso lo Stato del Papa, ed avendo più volte combattuto gli Ecclesiastici, era arrivato fino alle porte di Roma, cingendo di stretto assedio questa città. Ed il Principe D. Federico, per opera d'un Capitano de' Corsi, che teneva stipendiato il Principe di Salerno, era fuggito di prigione e venuto a Napoli, ove dal padre, e da tutti gli Ordini della città fu con grande giubilo accolto, commendando la sua virtù; onde il suo nome andava glorioso per le bocche di tutti.

Il Re Ferdinando non tralasciava ancora dall'altra parte con astuzie ed inganni tirar alla sua parte alcuni de' Baroni congiurati; onde il Papa, ch'era più atto alla pace, che alle cose di guerra, non vedendo comparir il Renato, nè grandi soccorsi venirgli dai Vinegiani, molestato ancora dal Collegio de' Cardinali e da' lamenti di molti; perchè i soldati de' Baroni del Regno, per non aver le paghe, rovinavano lo Stato della Chiesa, vedendosi ancora per tre mesi assediato in Roma, venne finalmente a trattar di pace, ed a persuadere a' Baroni, che volessero accordarsi col Re, perchè avria trattato di fargli avere buone condizioni. I Baroni per non poter far altro, da dura necessità costretti inclinarono all'accordo, cercandolo con le maggiori cautele, che fossero possibili e vollero, che il Re Giovanni d'Aragona, e 'l Re Ferrante, detto poi il Cattolico, suo figliuolo, ch'era allora Re di Sicilia, ed avea per moglie la Principessa di Castiglia, che poi ne fu Regina, mandassero Ambasciadori, che promettessero in nome loro la sicurtà della pace83. Fu in fine quella fermata a' 12 agosto dell'anno 1486 intervenendovi l'Arcivescovo di Milano ed il Conte di Tendiglia Ambasciadori del Re di Spagna e di Sicilia; e fu accettata in nome del Re Ferdinando da Giovanni Pontano famoso letterato di quei tempi. Fu per quella conchiuso, che il Re riconoscesse la Chiesa romana, pagandogli il consueto censo; e rimanesse di molestare i Baroni.

Papa Innocenzio fermata ch'ebbe questa pace, fu nel resto di sua vita amico del Re, lo compiacque in tutto ciò, che gli chiedeva. Spedì a sua richiesta a' 4 giugno del 1492 una Bolla, nella quale dichiarava, che dopo la sua morte, dovesse succedere nel Regno Alfonso d'Aragona Duca di Calabria suo figlio primogenito, per osservanza delle Bolle di Papa Eugenio IV e di Pio II suoi predecessori: che se occorresse morire il Duca di Calabria, vivente il Re, dovesse succedere nel Regno Ferdinando d'Aragona Principe di Capua figliuolo del Duca di Calabria. A questo fine fu mandato il Principe di Capua in Roma, al quale Alfonso suo padre fece mandato di proccura, perchè in suo nome dasse il giuramento di fedeltà e ligiomaggio in mano di Papa Innocenzio, siccome lo diede tanto in nome suo proprio, quanto in nome d'Alfonso suo padre, giusta l'investitura, che questo Papa gli avea conceduta84.

I Baroni, ancorchè assicurati dal Papa e da' Re di Spagna e di Sicilia, sapendo la crudeltà d'Alfonso e la poca fede di Ferdinando, rimasero grandemente afflitti. Pietro di Guevara G. Siniscalco, prevedendo la ruina, di dolore ed estrema malinconia se ne morì. Gli altri infra di lor uniti, si fortificarono nelle loro Rocche, e non tralasciavano ancora per vie segrete di mandar uomini diligenti in Roma, Vinegia e Firenze per implorar ajuti, nè mancarono di quelli, che consultarono di doversi mandar al Turco per soccorso; ma il Duca di Calabria ed il Re Ferdinando, per avergli in mano, si portavano con gran simulazione, gli offerivano sicurezza e mostravan loro umanità: molti ingannati s'assicurarono; ma il Principe di Salerno loro non credè mai, e sospettando quel che ne dovea avvenire, uscì di nascosto dal Regno e si portò a Roma; e vedendo, che il Papa era affatto alieno di rinovar la guerra, se ne passò in Francia: andata, che se bene per varj impedimenti non partorì allora niente, non passarono molti anni, che cagionò effetti grandissimi; poichè, come diremo, col favore del Re di Francia afflisse non solo il Re ed il Duca, ma estinse tutta la loro progenie.

Intanto Ferdinando ed il Duca suo figliuolo covrendo i loro disegni, andavan assicurando gli altri; e risoluti di disfare il Conte di Sarno ed il Segretario Petrucci co' loro figliuoli (poichè gli altri Baroni, scusandosi, ributtavano la colpa della guerra su le spalle di costoro) pensarono un modo, per assicurarsi di tutti, il qual fu di congregarli insieme. Ed affrettando le nozze che s'erano appuntate tra Marco Coppola figliuolo del Conte di Sarno con la figliuola del Duca d'Amalfi nipote del Re oprarono che il Duca si contentasse, e vollero che nella sala grande del Castel Nuovo splendidamente si celebrassero. Mentr'erano tra balli e feste ivi tutti ragunati, fu convertita l'allegrezza in estremo lutto ed amaro pianto; poichè niente curando del luogo e di funestare quella celebrità, niente ancora stimando l'autorità del Papa, nè de' due Re di Spagna padre e figlio, ch'erano stati assicuratori della pace, fece Ferdinando imprigionare il Conte di Sarno, Marco ch'era lo sposo e Filippo suoi figliuoli, il Segretario Petrucci, i Conti di Carinola e di Policastro suoi figliuoli. Agnello Arcamone cognato del Segretario, e Giovanni Impoù catalano. Fece ancora spogliare le case de' prigioni, così a Napoli come a Sarno; e perchè il fatto era detestato da tutti, che ne parlavano con orrore e biasimo, non volle farli morire da se, ma destinò una Giunta di quattro Giudici, acciocchè ne fabbricassero il processo e gli condennassero come felloni e rei di Maestà lesa, secondo il rigor delle leggi. Trattando questi la causa, dovendosi proferir la sentenza contro Baroni, e disponendo le nostre Costituzioni che nell'interposizione della sentenza debbano intervenire i Pari della Curia, furono anche eletti quattro Baroni per Pari, li quali furono Giacomo Carracciolo Conte di Burgenza Gran Cancelliere, Guglielmo Sanseverino Conte di Capaccio, Restaino Cantelmo Conte di Popoli e Scipione Pandone Conte di Venafro. Fu proferita la sentenza dai Commessarj, i quali congregati di nuovo co' Pari nella sala grande del Castel Nuovo, sedendo col Reggente della Gran Corte della Vicaria pro Tribunali, fecero leggere e pubblicar la sentenza, presenti tutti quattro i rei che furono il Segretario, e due suoi figliuoli ed il Conte di Sarno, i quali furono condennati alla privazione di tutti gli onori, titoli, dignità, ufficj, cavalleria, contadi, nobiltà e d'esser loro troncata la testa, ed i loro beni incorporati al Fisco. Non volle il Re che in un dì morisser tutti: fece prima giustiziare sopra un palco nel mezzo del mercato i figliuoli del Segretario; alcuni mesi da poi dentro la porta del Castel Nuovo, avendo fatto erger un palco altissimo, perchè fosse veduto dalla città, fece mozzare il capo al Conte ed al Segretario. Ciò che si fece a' 11 maggio del 1487.

 

Ciò eseguito fece poi il Re a' 10 di ottobre imprigionare il Principe d'Altamura, il Principe di Bisignano, il Duca di Melfi, il Duca di Nardò, il Conte di Morcone, il Conte di Lauria, il Conte di Melito, il Conte di Noja e molti altri Cavalieri; e stimolato poi dal Duca di Calabria, in varj tempi e diversità di supplicj gli fece tutti segretamente morire: anche Marino Marzano Duca di Sessa che per venticinque anni era stato prigione, perchè la tragedia fosse compita, fu fatto morire; ed il Re per far credere al Mondo che fossero vivi, mandò loro per molto tempo la provisione di vivere; ma la verità fu che poco da poi, vedendosi in potere del boja una catenella d'oro che portava nel collo il Principe di Bisignano, si disse ch'erano stati scannati e gettati dentro sacchi in mare. Furono poco appresso presi i figliuoli e le loro mogli, sotto pretesto che cercassero di fuggire per concitar nuova guerra, e confiscati tutti i loro beni. Solo Bandella Gaetana Principessa di Bisignano, donna non men d'origine che per virtù romana, salvò i suoi figliuoli, che di soppiatto imbarcatigli in una picciola nave, fuggì con loro, e giunta in Terracina, gli condusse nelle Terre de' Colonnesi stretti parenti de' Sanseverini; onde avvenne che estinta la progenie di Ferdinando, in tempo del Re Cattolico ricuperassero i paterni Stati.

Una tragedia sì crudele e spaventevole diede orrore a tutto il Mondo; onde Ferdinando e molto più il suo figliuolo Alfonso, acquistaron fama di crudeli e di tiranni. Gli Scrittori di que' tempi e molto più i Franzesi gli detestarono, e Filippo di Comines Monsignor d'Argentone, Scrittor contemporaneo85, gli descrisse per ciò per empj ed inumani. Ma non mancò Ferdinando di difendere la sua fama nell'opinione del Mondo, e di purgarsi dalla crudeltà che se gl'imputava. Fece porre in istampa il processo fabbricato contra il Segretario e 'l Conte di Sarno, che corre ancora oggi per le mani di alcuni, e gli altri processi fabbricati contra gli altri Baroni, e gli mandò non solo per tutta Italia, ma sino in Inghilterra, acciò gli fossero scudo a quietare gli animi de' Principi. Si scusò ancora per lettere dirette a tutte le Potenze cristiane, scrivendo loro, com'egli l'aveva carcerati, non per farli morire, ma per assicurarsi di loro, perchè già tentavano cose nuove. Ma tutte queste sue dimostranze niente gli giovarono, e molto meno col Re di Spagna, appo il quale egli più d'ogni altro studiava di purgarsi.

Era a questi tempi già morto il Re Giovanni d'Aragona, zio di Ferdinando e succeduto in que' Reami Ferdinando suo figliuolo, il quale s'avea sposata Elisabetta Principessa di Castiglia, sorella d'Errico Re di quel Regno, al quale ella poi succedette. Re Ferdinando, che fu detto il Cattolico, e che alla sua Corona per ragion della moglie avea anche unita la Castiglia, avendo inteso, che s'era mancato alla sua fede, cominciò a lamentarsi col Re Ferdinando; e con tal pretesto a pensare all'acquisto del Regno di Napoli. Re Ferdinando, a cui ciò molto premeva, avendo intesa la poca soddisfazione del Re Cattolico, inviò tosto in Ispagna Giovanni Nauclerio ad escusarsi con quel Re che non avea potuto far altro, perchè quei Baroni inquieti cominciavano a macchinare cose nuove contra di lui, e che il Principe di Salerno fuggito in Roma, coll'intelligenza de' Baroni rimasi nel Regno, meditava nuova impresa. E vedendo che il Re Cattolico non stava soddisfatto con quella ambasceria. per meglio assicurarsi, cominciò a trattar matrimonio per mezzo della Regina Giovanna sua moglie, ch'era sorella del Re Cattolico, del Principe di Capua figliuolo primogenito del Duca di Calabria, con una delle figlie del detto Re Cattolico; ma fu opinione di molti, ch'Elisabetta Regina di Castiglia moglie del Re Cattolico non avesse voluto che s'effettuasse, perchè stava in quel tempo con la cura e col pensiero tutta rivolta all'acquisto di questo Regno; ma con tutto ciò non essendo venuta ancora l'ora destinata alla rovina della Casa del Re Ferrante, essendosi in quel medesimo tempo ribellata l'isola di Sardegna, ed i Mori di Granata avendo cominciato a tumultuare contra i Regni di Castiglia, la cosa fu differita, nè si pensò ad altro.

79Mich. Ricc. de Regn. Sic. et Neap. lib. 4.
80Michel. Ricc. loc. cit.
81Camil. Porzio Congiura de' Baroni.
82V. Chiocc. tom. 18. M. S. Giurisd.
83Costanzo l. 20.
84Chiocc. t. 1 M. S. Giurisd. Questa investitura è riferita anche da Lunig, Tom. 2 p. 1295.
85Comines l. I de bello Neap.