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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO I

Seconde nozze della Regina Giovanna con Luigi di Taranto. Il Re d'Ungaria invade il Regno, e costringe la Regina a fuggirsene, e a ricovrarsi in Avignone: vi ritorna da poi, e coll'aiuto e mediazione del Papa ottiene dall'Unghero la pace

Al ritorno del Vescovo, la Regina fece palese a tutti quelli del suo Consiglio la risposta, e tutti giudicarono, che l'animo del Re d'Ungaria fosse di vendicarsi della morte di suo fratello, e compresero ancora, dall'aver incolpata Giovanna, per aver ritenuta e continuata la potestà regia, ch'egli pretendesse, che il Regno fosse suo: siccome ne diede anche manifesti indizi, quando pretese dal Papa l'investitura del Regno per Andrea suo fratello, non già come marito della regina Giovanna, ma come erede di Carlo Martello suo avolo. Giudicarono perciò tutti, ch'era necessario che la Regina si preparasse alla difesa; e perchè la prima cosa che avea da farsi era di pigliar marito, il quale avesse potuto con l'autorità e con la persona ostare a sì gran nemico, Roberto Principe di Taranto ch'era venuto a Napoli a visitarla, propose Lodovico suo fratello secondogenito, essendo Principe valoroso, e nel fiore degli anni suoi. A questa proposta applausero tutti gli altri più intimi del Consiglio, ed essendo già passato l'anno della morte di Re Andrea, per le novelle che s'aveano degli apparati del Re d'Ungaria, si contrasse il matrimonio subito, senz'aspettare dispensa del Papa.

Ma la fama della potenza del Re d'Ungaria, e le poche forze del nuovo marito della Regina, e l'opinione universale che la Regina avesse avuta parte nella morte del marito, facevano stare sospesi gli animi della maggior parte de' Baroni e de' Popoli; e benchè Luigi di Taranto con gran diligenza si sforzasse di fare gli apparati possibili, non ebbe però quella ubbidienza, che sarebbe stata necessaria, e si seppe prima, che il Re d'Ungaria era giunto in Italia, che fosse fatta la quarta parte delle provvisioni debite e necessarie. Onde la Regina che fu veramente erede della prudenza del gran Re Roberto suo Avolo, volle in questo fiore della gioventù sua, con una resoluzione savia mostrar quello che avea da essere, e che fu poi nell'età matura; perchè vedendo le poche forze del marito, e la poca volontà de' sudditi, deliberò di vincere fuggendo, poichè non potea vincer il nemico resistendo; e fatto chiamare Parlamento generale, dove convennero tutti i Baroni, e' Sindici delle città del Regno, ed i Governatori della città di Napoli, pubblicò la venuta del Re d'Ungaria, e dolutasi lungamente d'alcuni, che la calunniavano a torto di tanta scelleratezza, disse ch'era deliberata di partirsi dal Regno, e gire in Avignone per due cagioni, l'una per fare manifesta l'innocenzia sua al Vicario di Cristo in Terra, com'era manifesta a Dio in Cielo: e l'altra per farla conoscere al Mondo, coll'ajuto che sperava certo di avere da Dio; e che tra tanto non voleva, che nè i Baroni, nè i Popoli avessero da esser travagliati, com'era travagliata essa; e però, benchè confidava, che tutti i Baroni e' Popoli, almeno per la memoria del padre e dell'avolo, non sarebbero mancati d'uscire in campagna a combattere la sua giustizia, voleva più tosto cedere con partirsi, e concedere a loro, che potessero andare a rendersi all'irato Re d'Ungaria; e però assolveva tutti i Baroni, Popoli, Castellani e stipendiarj suoi dal giuramento, ed ordinava che non si facesse alcuna resistenza al vincitore, anzi portassero le chiavi delle terre, e delle castella, senz'aspettare Araldi o Trombette. Queste parole dette da lei con grandissima grazia, commossero quasi tutti a piangere, ed ella gli confortò, dicendo che sperava nella giustizia di Dio, che facendo palese al Mondo l'innocenzia sua, l'avrebbe restituita nel Regno, e reintegrata nell'onore. S'imbarcò per tanto da Castel Nuovo per andare in Provenza il dì 15 gennajo del nuovo anno 1348, e con lei e col marito andò anche la Principessa di Taranto sua suocera che la chiamavano Imperadrice, e Niccolò Acciajoli fiorentino, intimo della Casa di Taranto ed uomo di grandissimo valore.

Intanto Lodovico Re d'Ungaria era col suo esercito entrato nel Regno, e ricevuto nell'Aquila, vennero ivi a trovarlo il Conte di Celano, il Conte di Loreto con quel di S. Valentino, e Napolione Orsino con altri Conti e Baroni d'Apruzzo, i quali gli giurarono omaggio, ed avendo presa e saccheggiata la città di Sulmona, a gran giornate, non trovando chi gli facesse ostacolo, se ne veniva in Napoli; onde i Reali, confidati nel parentado che avevano col Re d'Ungaria, si posero tutti in ordine per andare ad incontrarlo amichevolmente, sperando essere da lui umanamente raccolti, tanto più, che conducevano con loro, come Re, il piccolo Caroberto figliuolo del Re Andrea ch'allora era di tre anni; e così raccolta una Compagnia de' primi Baroni, si mossero da Napoli il Principe di Taranto e Filippo suo fratello, Carlo Duca di Durazzo, Luigi e Roberto suoi fratelli, ed incontrarono il Re d'Ungaria, che veniva da Benevento ad Aversa, il quale con molta amorevolezza baciò il nepote, ed accarezzò tutti; ma poichè fu giunto ad Aversa, concorse un gran numero di Cavalieri, e d'altri Baroni a riverirlo, e dimorato quivi cinque giorni, volendo il sesto andare in Napoli s'armò di tutte arme, e fece armare tutto l'esercito e cavalcò, e passando avanti il luogo dov'era stato strangolato Re Andrea, si fermò, e chiamò il Duca di Durazzo, dimandandogli da qual finestra era stato gittato Re Andrea; il Duca rispose, che no 'l sapea, e 'l Re mostrogli una lettera scritta da esso Duca a Carlo d'Artois, dicendogli che non potea negare suo carattere, e 'l fè pigliare, ed immantenente decapitare187, comandando, che fosse gittato dalla medesima finestra, onde fu gittato Re Andrea; e rimaso il cadavere insepolto per ordine del Re sino al dì seguente, fu poi portato a seppellire in Napoli nella chiesa di S. Lorenzo, ove ancora oggi si vede il suo sepolcro. Questa fu la morte del Duca di Durazzo figliuolo di Giovanni quintogenito del Re Carlo II, il quale di Maria sorella della Regina Giovanna non lasciò figliuoli maschi, ma solo quattro femmine, Giovanna, Agnesa, Clemenzia e Margarita, delle quali si parlerà più innanzi. Gli altri Reali, volle il Re che restassero prigioni nel Castello d'Aversa, e di là a pochi dì gli mandò in Ungaria insieme col picciolo Caroberto; ed egli continuando il cammino verso Napoli rappresentava uno spettacolo spaventevole, facendosi portar avanti uno stendardo negro, dov'era dipinto un Re strangolato, e venutogli incontro gran parte del Popolo napoletano a salutarlo, egli con grandissima severità finse non mirargli, nè intendergli, e volle entrare con l'elmo in testa dentro Napoli, e rifiutando ogni rimostranza d'onore se n'andò dritto al Castel Nuovo, di cui il Castellano già gli avea portate le chiavi: onde nacque una mestizia universale e timore, che la città non fosse messa a sacco dagli Ungheri; perchè subito posero mano a saccheggiare le case de' Reali, e la Duchessa di Durazzo a gran fatica si salvò, e fuggì in un navilio, andando a trovare la sorella in Provenza. Nè volle il Re dare udienza agli Eletti della città, ma volle che fossero tutti mutati, e fu ordinato che i nuovi Eletti non facessero cos'alcuna, senza conferire col Vescovo di Varadino Ungaro. E poichè fu trattenuto due mesi in Napoli, se n'andò in Puglia, dove costituì suo Vicario Corrado Lupo Barone Tedesco, e dopo aver costituito Castellano Gilforte Lupo fratello di Corrado del Castel Nuovo, e fatte molte preparazioni in diversi luoghi del Regno, imbarcandosi in Barletta su una sottilissima galea passò in Schiavonia, ed indi in Ungaria, non essendo dimorato più che quattro mesi nel Reame.

In questo mezzo la Regina Giovanna, arrivata alla Corte del Papa in Avignone con Luigi suo marito, vi furono accolti benignamente da Clemente, il quale dispensò a' legami della consaguinità per lo matrimonio contratto188, e la Regina ebbe Concistoro pubblico, ove con tanto ingegno e con tanta facondia difese la causa sua, ch'il Papa ed il Collegio, che aveano avuto in mano il processo fatto contro Filippa Catanese, e Roberto suo figliuolo, e conosciuto che la Regina non era nominata, nè colpata in cosa alcuna, tennero per fermo ch'ella fosse innocente, e pigliarono la protezione della causa sua, spedendo subito un Legato appostolico in Ungaria a trattare la pace. Questi trovò molto superbo il Re, o che fosse l'ira del morto fratello, o l'amore che avea conceputo di così bello ed opulente Regno, che già si trovava averlo tutto in mano, e lo teneva per suo, poichè il picciolo Caroberto, poco da poi che fu giunto in Ungaria era morto; ma non per la difficoltà del negoziare, il Legato volle partirsi da Ungaria, ma cercò di dì in dì, con ogni arte, mollificare l'asprezza dell'animo di quel Re.

Intanto i Napoletani, partito che videro il Re d'Ungaria, avendo intesa la buona volontà del Papa verso la Regina, e che si vedeano così maltrattati da Gilforte Lupo Castellano, e Luogotenente del Re in Napoli, cominciarono a sollevarsi, e molti di coloro che erano stati cortegiani di Re Roberto e della Regina, si partirono ed andarono a trovarla fin in Provenza ed a confortarla, che se ne ritornasse, perchè erano tanto indebolite le forze degli Ungheri, e tanto cresciuto l'odio contra i barbari costumi loro, che senza dubbio sarebbero cacciati con ogni picciol numero di gente che fosse condotta da Provenza. Non mancarono ancora di molti Baroni che con messi e lettere secrete la chiamavano; e questo giovò molto alla Regina, perchè mostrando queste lettere al Papa, gli fermarono più saldamente in testa l'opinione che tenea dell'innocenza sua, onde la Regina assicurata del favore del Papa, e della volontà degli uomini del Regno, cominciò a ricovrar insieme la fama e la benevolenza dei sudditi, a' quali pareva, ch'essendosi presentata innanzi al Papa, padre e giudice universale de' Cristiani, e da lui giudicata per innocente, e degna di esser rimessa nel suo Regno ereditario, pareva a ciascuno che fosse da riposarsi sovra quel giudicio, ed attender a far ufficio di buoni e fedeli vassalli: e da questo mossi i popoli di Provenza e degli altri Stati di là de' monti, fecero a gara a presentarla, e sovvenirla di danari, de' quali stava in tanta estrema necessità, che vendè al Papa la città d'Avignone189, e col prezzo di quella, e co' danari presentatigli, fece armare dieci galee, e preso commiato dal Papa insieme con Luigi suo marito partissi. Angelo di Costanzo190 narra, che nel partirsi donò, non vendè al Papa ed alla Chiesa la città d'Avignone, con la quale s'obbligò tanto l'animo del Papa, che conoscendo ch'ella il desiderava, donasse il titolo di Re a Luigi suo marito

 

(Non può ora più dubitarsi di questa vendita, avendone Lunig191 impresso l'istromento stipulato in Avignone, dove è manifesto questa città col suo distretto essersi venduta non già donata, e stante la necessità, ed estremi bisogni della Regina bisognò ella contentarsi del prezzo offertogli, che non oltre passò la somma di ottantamila fiorini d'oro di Fiorenza; esprimendosi, che tutto il di più, che valesse, considerando la Regina quelle parole del Signor nostro Gesù, rammentate dall'Appostolo, beatius est dare, quam accipere, lo donava al Papa ed alla Chiesa romana, come pura, semplice ed irrevocabile donazione. Dee nell'istromento trascritto da Lunig emendarsi la data, poichè si porta stipulato in Avignone a' 12 giugno del 1358, quando molto tempo prima la Regina avea già da Avignone fatto ritorno in Napoli).

Nel dar a Luigi la benedizione il Papa lo chiamò Re; onde ambedue lieti e pieni di buona speranza andarono ad imbarcarsi in Marsiglia, e giunti a Napoli con venti prosperi, la città tutta uscì ad incontrarli nel Ponte del picciolo Sebeto, 200 passi lontano dalla città, perchè al Porto di Napoli non si poteano appressare le galee, poichè il Castel Nuovo, come tutte l'altre castella si teneano dagli Ungari. Discesi dunque a terra e ricevuti con allegrezza incredibile d'ogni sesso e d'ogni ordine e d'ogni età, furono condotti sotto il baldacchino in una casa apparecchiata per loro al Seggio di Montagna. Vennero fra pochi dì molti Conti e Baroni a visitarla, ed a rallegrarsi del ritorno, e ad offerirsi di servire a cacciare gli Ungheri. La Regina, ed il Re Luigi si voltarono a rimunerare, per quanto l'angustia delle facoltà loro a quel tempo comportava, tutti quelli, che aveano mostrata affezione al nome loro, con privilegi, titoli, onori e dignità e sovra tutto i Cavalieri giovani suoi coetanei, come coloro, che speravano più per amore, che per forza di stipendi far esercito abile a poter cacciare i nemici del Regno. Ed in questi tempi cominciò ad introdursi fra noi di darsi a' Baroni il titolo di Duca, perchè prima non era in usanza, che quello di Conte, ed il titolo di Principe, o di Duca, era de' soli Reali, ed il primo fu Francesco del Balzo, che dalla Regina Giovanna I fu fatto Duca d'Andria, ed il secondo fu il Duca di Sessa. Ordinò ancora Re Luigi una bella Corte, e fece Gran Siniscalco del Regno Niccolò Acciajoli Fiorentino; e perchè i Popoli del Regno erano in molte parti oppressi da Corrado Lupo, e da' suoi Ministri Capitani degli Ungheri, lasciò assediate le Castella di Napoli, e fatta una buona compagnia di Conti e Baroni ch'erano concorsi a Napoli, e del fiore della gioventù Napoletana, cavalcò contro il Conte d'Apici, e quello debellato, passò in Puglia e presa Lucera andò a Barletta. Fu lungamente con non minor ferocia, che ardire guerreggiato in Puglia, ed in Terra di Lavoro, e non meno queste province, che l'altre del Regno si videro ardere d'incendio marziale. Corrado Lupo tosto avvisonne il Re d'Ungaria, il quale ricevuto l'avviso fu tanto presto, che prima giunse in Schiavonia, e s'imbarcò per venire in Puglia, che si sapesse ch'era deliberato di venire; e giunto che fu in Puglia si trovò al numero di diecemila cavalli, e pedoni quasi infiniti. Si accese per ciò più fiera ed ostinata la guerra infin che stanchi l'un partito e l'altro, finalmente diedero apertura a Papa Clemente d'interporre fra i due Re trattati di pace. Spedì per tanto il Pontefice due Legali, i quali avendola maneggiata, non poterono allora ottener altro, che tregua per un anno, onde il Re Lodovico se ne tornò in Ungaria, lasciando presidio alle Terre, che si teneano con le sue bandiere. Ma poichè fu in Ungaria, o che fosse destrezza e prudenza del Legato appostolico, che gli fu sempre appresso; o che fosse, che disegnava di far guerra coi Veneziani, i quali aveano occupate alcune Terre di Dalmazia appartenenti al Regno d'Ungaria, concesse in fine la pace al Re Luigi ed alla Regina Giovanna, rilassando in grazia del Papa e del Collegio de' Cardinali tutte le sue pretensioni, e liberi i cinque Reali, ch'erano stati quattro anni carcerati al Castello di Visgrado. Fu conchiusa questa pace in aprile dell'anno 1351, ed alcuni aggiungono, che avendo condennato il Papa, come mezzo della pace, il Re Luigi e la Regina Giovanna a pagare trecentomila fiorini al Re d'Ungaria per le spese della guerra, egli magnanimamente ricusò di pigliarli, dicendo, ch'egli non era venuto al Regno per ambizione, nè per avarizia, ma solamente per vindicare la morte del fratello; nella quale avendo fatto quanto gli pareva, che convenisse, non cercava altro, e fu molto lodato e ringraziato dal Papa e dal Collegio.

Usciti da questi affanni Re Luigi e la Regina, mandarono ambasciadori a ringraziar il Papa ed il Collegio, ed a dimandargli un Legato appostolico che l'avesse incoronati: il che ottennero agevolmente, perchè dal Papa fu deputato a ciò il Vescovo Bracarense. Si fece per tanto in Napoli un gran apparato per la incoronazione, alla quale fu deputato il dì 25 maggio festa delle Pentecoste; e tutto il Regno assuefatto a travagli, ad incendj ed a rapine, cominciò a rallegrarsi; ed oltre i Baroni concorsero in Napoli da tutte le parti infiniti per vedere una festa tale, la quale parea, che avesse da fare dimenticare tutte le calamità passate. Nel dì stabilito essendo giunto il Legato nel luogo dove era l'apparato, con grandissima pompa e solennissime cerimonie, unse e coronò il Re e la Regina, e fur fatte molte giostre e molti giuochi d'arme e conviti. Ed appresso, dalla città e da tutto il Baronaggio fu solennemente giurato omaggio al Re ed alla Regina, i quali fecero general indulto a tutti quelli, che nelle guerre passate aveano seguite le parti del Re d'Ungaria; ed il Re Luigi in memoria di questa Coronazione ordinò, come si disse, la compagnia del Nodo, nella quale si scrissero da 60 Signori e Cavalieri napoletani di diverse famiglie, ed i più valorosi Campioni di que' tempi.

CAPITOLO II

Spedizione del Re Luigi di Taranto in Sicilia: pace indi seguita, e sua morte

Siccome il nostro Regno di Puglia erasi ridotto in assai felice stato per la pace, e per la presenza e liberalità del Re Luigi, così all'incontro le cose della Sicilia ogni dì andavano peggiorando: perocchè crescendo, per la debolezza del picciolo Re Don Luigi, le discordie tra' Siciliani, ed essendo divisi tutti i Baroni ed i Popoli dell'isola, si lasciò la cultura dei campi, ch'è la principale entrata di quel Regno, e parimente tutti gli altri traffichi e guadagni, e s'attendea solo a ruberie, incendj ed omicidi; onde procedeva non solo la povertà e miseria di tutta l'Isola, ma la povertà e debolezza del Re, non potendo i Popoli supplire, non solo a' pagamenti estraordinarj, ma nè anco a' soliti ed ordinarj; quindi avvenne, che i Baroni dell'isola si divisero in due parti; dell'una erano capi i Catalani, che s'aveano usurpata la tutela del Re; e dell'altra quelli di Casa di Chiaramonte, ch'erano tanto potenti, che tenevano occupate Palermo, Trapani, Saragoza, Girgento, Mazara, e molte altre Terre delle migliori di Sicilia; e benchè non fossero scoverti nemici del Re, signoreggiavano quelle Terre d'ogni altra cosa, che dal titolo in fuora; e perchè coloro, che governavano il Re, possedendo la minor parte di Sicilia, bisognavano cacciare da quella tanto che potessero tenere il Re, e la Casa sua con dignità regia, e ch'essi potessero anco accrescere di ricchezze, molti Popoli sdegnati cominciarono ad alterarsi; e la Città di Messina, la quale era principale di queste, che il Re possedeva, non potendo soffrire l'acerbo governo del Conte Matteo di Palizzi, volti i cittadini in tumulto, andarono sin'al palazzo reale, e l'uccisero; e gli altri Baroni appena poterono salvare se stessi, e la persona del Re, ritirandosi in Catania. Con l'esempio de' Messinesi, Sciacca ancora uccise i Ministri del Re, che v'erano; e perchè di questo moto era stato autore il Conte Simone di Chiaramonte, e conosceva, che contro di se sarebbe voltata tutta l'ira del Re e del suo Consiglio, mandò a Re Luigi in Napoli, chiamandolo, non all'impresa di Sicilia, come aveano altre volte chiamato Re Roberto ma ad una certa vittoria, avvisandolo, che le cose di quel Regno stavano in tali termini, che con ogni poca forza si sarebbe conquistato.

Il Re Luigi, e 'l Regno per le passate guerre si trovavano non men disfatti, che i Siciliani, cominciando allora a cogliere i primi frutti della quiete e della pace; e quelle forze, che a tempo di Re Roberto erano potenti ed unite, ora per la presenza di tanti Reali, tra' quali era diviso il Regno, erano deboli e disunite; onde non potè mandarvi quel numero di gente e di vittovaglie, che sarebbe stato necessario a tanta impresa; nulladimanco vi mandò il G. Siniscalco Acciajoli con cento uomini d'arme, e Giacomo Sanseverino Conte di Melito con quattrocento fanti, sopra sei galee e molti vascelli grossi di carico, con la maggior quantità di vittovaglie, che fu possibile. Questi giunti in Sicilia, col favore del Conte Simone, se n'andarono a Melazzo, e l'occuparono, e postovi presidio e Governadore in nome del Re, andarono a Palermo con gran parte di vittovaglia, e furono ricevuti dai Palermitani, già ridutti all'estremo bisogno d'ogni cosa da vivere con infinita allegrezza; e que' di Chiaramente fecero alzare le bandiere di Re Luigi a Trapani, e Saragoza, ed a tutte l'altre Terre, che teneano essi; e benchè non avessero tante genti di guerra, che bastassero a tenerle con presidio di Re Luigi, era tanto più debole la parte del Re di Sicilia, che senza forza di arme si mantennero in fede del Re di Napoli, solamente con munizione di vittovaglia, che gli era mandata di Calabria.

Per questi successi i Governadori del Re Don Luigi, desiderosi di non fare annidare in Sicilia le genti del Re Luigi, avanti che crescessero più, fecero ogni sforzo per riavere Palermo; ma fu in vano, perchè i cittadini che avevano gustata la comodità delle vittovaglie si mantennero in fede del Re Luigi, servendo con molta fede e diligenza al G. Siniscalco, ed al Conte di Mileto, che difendevano la città onde furono costretti ritornarsene.

 

Il Re D. Luigi fra pochi dì venendo a morte, fu gridato Re Federico suo ultimo fratello, il quale non avendo che tredici anni, era sotto il governo de' Catalani, per opera de' quali essendo sbandito da Messina Niccolò Cesario, Capo di parte molto potente in quella città, egli ancora seguì la parte del Re Luigi, ed avuta intelligenza con alcuni de' suoi seguaci, di notte entrato in Messina con alcuni soldati e aderenti di casa di Chiaramonte, assaltò i suoi nemici. Il popolo essendosi levato a rumore, diede facoltà di poter intromettere ducento cavalli, e 400 fanti, mandati dal gran Siniscalco, e da' Conti di Chiaramonte, com'era stato stabilito tra loro, e cacciandone quelli della fazione contraria, s'alzarono le bandiere del Re Luigi. Questi subito, ch'ebbe l'avviso della presa di quella città, la quale tenea per veramente sua, poichè l'altre erano tenute più tosto da' Chiaramontesi, che dagli Ufficiali suoi, venne subito con la Regina Giovanna sua moglie a Reggio in Calabria, mandando al Gran Siniscalco supplimento di 50 altre lance, e 300 fanti a piedi, e buona quantità di vittovaglia a Messina, che ne stava in grandissima necessità. Fu tanta l'allegrezza de' cittadini, che giunti con quelle genti, ch'erano venute allora, assaltarono i castelli di San Salvatore, e di Mattagrifone, che furono stretti a rendersi con due sorelle del Re, Bianca, e Violante, le quali con onorevole compagnia furono mandate a Reggio alla Regina, e da lei furono con molta cortesia ed amorevolezza ricevute ed accarezzate. Parve al Re non indugiare più, e passato con la Regina il Faro, nella Vigilia della Natività del Signore del 1355 entrarono in Messina con grandissima pompa, e furono alloggiati nel palazzo reale, dove con le solite cerimonie fu giurato omaggio e fedeltà da tutti.

Pochi dì da poi vennero il Conte Simone e Manfredi e Federico di Chiaramonte, i quali il Re onorò molto, come Capi della famiglia, ed autori dell'acquisto di quel Regno; ma desiderando il conte Simone, che Re Luigi gli desse Bianca sorella del Re Federico per moglie, e persuadendosi, che non dovesse negarla per li meriti suoi, e quasi per prezzo d'un Regno, confidentemente ne parlò al Re. Questa richiesta parve di molta importanza, non per se stessa, ma per quelle conseguenze, che avrebbe potuto portar seco tal matrimonio, poichè essendo il Re Federico ultimo della stirpe de' Re di Sicilia della Casa d'Aragona, e di età e di senno tanto infermo ch'era chiamato Federico il Semplice, poteva agevolmente succedere, che aggiungendosi alla potenza del Conte Simone la ragione, che gli portava la moglie, n'avesse cacciato l'uno e l'altro Re; onde allora, nè volle negarlo, nè prometterlo; ma tra pochi dì gli offerse per moglie la Duchessa di Durazzo. Vedendosi dunque Simone con tale offerta escluso, ne prese tanto sdegno e rammarico (perchè presumea, che il merito suo col Re superasse ogni grazia, che se gli potesse fare) che se ne morì di là a pochi dì, e gli altri di quella famiglia, quasi fossero rimasti eredi dello sdegno di Simone, cominciarono a rallentarsi dall'affezione del Re Luigi. Questi intanto mandò ad assediare Catania, dove era il nuovo Re con tutte le poche forze sue; ma essendo state rispinte le sue genti e disordinate e rotte, fu fatto prigione ancora Raimondo del Balzo Conte Camerlengo, ed appena scampò il Gran Siniscalco Acciajoli. Questa nuova diede grandissimo dolore a Re Luigi, al quale tolti gli ornamenti della moglie andò a far danari per riscattare il Conte; ed avendo poi mandato l'Araldo al Re Federico con la taglia, che si dimandava del Conte, Federico non volle che si pigliasse taglia, ma mandò a dire, che non vi era altra via per la liberazione del Conte, che il cambio della libertà delle due sorelle. E perchè Luigi amava estremamente il Conte, si contentò di mandarne le sorelle onorevolmente accompagnate sin in Catania.

Tra questo tempo le novitadi, che successero nel Regno, sforzarono Re Luigi a tornare in Napoli, e per non abbandonare l'impresa di Sicilia, la quale per l'estrema povertà del nemico tenea per vinta, lasciato Capitan Generale in Sicilia il Gran Siniscalco Acciajoli, egli con la Regina se ne ritornò in Napoli. Cominciavano di bel nuovo in questo Regno a sorgere disordini e confusioni poco minori di quelli, che furono a tempo degli Ungheri; poichè il Principe di Taranto, che per essere fratello maggiore del Re, si tenea di poter governare il Re e 'l Regno insieme, avea pigliato in odio, e perseguitava molti Baroni, i quali volevano conoscere soli Re Luigi e la Regina Giovanna per Signori. Parimente Luigi di Durazzo cugino del Re, vedendosi stare nel Regno come povero Barone insieme con Roberto suo fratello, si giunse col Conte di Minervino, il quale era salito in tanta superbia, che avea occupato la città di Bari, e s'intitolava Principe di Bari e Palatino d'Altamura, oltre gli altri titoli de' quali andava molto altiero; e mantenea una banda d'uomini d'armi, con tanti cavalli, che gli parea poter competere col Principe di Taranto e col Re; e per poter mantenere quelle genti, andava discorrendo per le più ricche parti del Regno, e taglieggiando le Terre senz'aver rispetto alcuno al Re ed alla Regina. Si vide perciò Re Luigi impegnato a reprimere la superbia di costui, e dopo varj fatti d'arme, che posero sossopra molte province del Regno, finalmente ripresse i ribelli, e Luigi di Durazzo rimanendo solo e senza forza, per lo vincolo del sangue fu riconciliato col Re e colla Regina; e dato sesto per varj provvedimenti alla quiete del Regno, e ridottosi nella primiera tranquillità, tornò il Re col pensiero alla guerra di Sicilia.

Dall'altra parte que' di Sicilia, ch'erano del partito di Re Federico, vedendosi molto inferiori di forze, fecero, che il loro Re prendesse per moglie la sorella del Re d'Aragona, ma il novello parentado poco potè giovargli, poichè la Sposa poco da poi se ne morì; ed in questo mezzo per una parentela, che fecero i Chiaramontesi col Conte di Ventimiglia, Capo della parte di Federico, si cominciò a trattar la pace tra questo Principe, e 'l Re Luigi e la Regina Giovanna, la quale dopo varj maneggi, fu finalmente conchiusa con queste condizioni: Che Re Federico s'intitolasse Re di Trinacria: che pigliasse per moglie Antonia del Balzo figliuola del Duca d'Andria e della sorella di Re Luigi: che riconoscesse quel Regno dal Re Luigi e dalla Regina Giovanna, ed a tal segno dovesse pagare a loro nel giorno di San Pietro tremila once d'oro ogni anno: e quando il Regno di Napoli fosse assaltato, pagare cento uomini d'arme, e dieci galee armate in difensione di quello. All'incontro, che dal Re Luigi fossero restituite tutte le cittadi, terre e castella, che sin a quel giorno erano state prese, e si teneano colle bandiere sue.

(In esecuzione di questa pace, si legge presso Lunig192 il mandato, ovvero Plenipotenza, che il Re Federico diede per stipularla, e perchè gli articoli accordati fossero confermati da papa Gregorio XI, come diretto Padrone dell'isola di Sicilia, nel qual mandato s'intitola Rex Trinacriae. Si legge ancora pag. 1123 una ben lunga Bolla di questo Papa, nella quale, dandogli la formula del giuramento di fedeltà, si prescrivono al Re Federico altre leggi e condizioni e così pesanti, specialmente intorno alle appellazioni di tutte le cause ecclesiastiche, di doversi portare in Roma; che se mai questa Bolla avesse avuto il suo effetto, non vi sarebbe rimaso in Sicilia vestigio alcuno del Tribunal della Monarchia).

Questo fu l'ultimo termine delle guerre di Sicilia, che durarono tanti anni, con tanto spargimento di sangue, e con spesa inestimabile. Ma è cosa veramente da notare, che il Regno di Sicilia, preteso dai romani Pontefici loro feudo, e che ad essi spettasse darne l'investitura, onde fecero tanti sforzi per levarlo dalle mani de' Re d'Aragona, ed a questi tempi reso ligio e tributario a' Re di Napoli, col correr degli anni si fosse totalmente sottratto, non men dalla soggezione degli uni, che degli altri, che ora vien riputato più libero e independente, che il Regno istesso di Napoli; poichè, dopo il famoso Vespro Siciliano, per le continue guerre sostenute co' Re angioini, i quali ebbero sempre a lor favore collegati i Pontefici romani, i Re d'Aragona non richiesero più investitura dalla Sede Appostolica per quell'Isola, ed anche da poi fatta pace co' Re di Napoli, nemmen la ricercarono; ed in fatti morto il Re D. Federico, non lasciando di se prole maschile, e succeduta in quel Regno nell'anno 1368 Maria sua figliuola, nè Regina di Trinacria volle essere nomata, nè investitura alcuna prese da' Romani Pontefici. Le stesse pedate furono calcate da Martino I d'Aragona, che nell'anno 1402 succedè a Maria, e da Martino II suo successore. E morto questi senza figliuoli, essendo stato nell'anno 1411 eletto Re d'Aragona, di Valenza e di Sicilia Ferdinando d'Aragona figliuolo di Giovanni Re di Castiglia, questi tramandò al suo figliuolo Alfonso, il quale nell'anno 1416 succedè in tutti i suoi Regni, anche coll'istesse condizioni il Reame di Sicilia, non ricercandone da' Pontefici romani investitura alcuna, siccome fecero da poi tutti gli altri loro successori; tantochè nel Regno di Sicilia, siccome per lo bisogno e circostanze di que' antichi tempi fu introdotto allora costume di prender l'investitura di quell'isola da' Romani Pontefici, così ora per desuetudine e per contrario uso si è quella affatto tolta ed abolita: tal che oggi quel Regno rimane totalmente libero ed indipendente.

187II. Vita Clem. VII apud Baluz. tom. 1 pag. 271.
188II. Vita Clem. apud Baluz. loc. cit. Misericorditer dispensavit, quoniam in secundo consanguinitatis gradu se invicem ex duobus stirpibus contingebant.
189II. Vita Clem. apud Baluz. loc. cit. pag. 272. Civitatem Avenionensem, etc. emit a Regina praedicta pretio invicem concordato.
190Costanzo lib. 6.
191Tom. 2 pag. 182.
192Tom. 3 pag. 1119.