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La sorella

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ATTO III

SCENA I

Pedolitro vecchio.

Pedolitro. Ringraziato sia Idio, che pur son gionto al fin del mio viaggio, che son a Nola, patria mia. O Dio, che pericoli, che strazi, che fatiche, che spese! mangiar male, ber peggio, dormir in terra, assassinato dagli osti, da ladri, da fuorusciti e da vettorini. Oh, quanto si patisce fuor di casa sua! non lo può credere, se non chi lo soffre. Veramente, gran bisogno me ne trasse fuori, riscattar un figlio unico di man di turchi. Ma niuna altra cagione me ne caverá fuori, né figli né padri né anco per me stesso. Mai parea che finisse il viaggio, sempre ne restava a far piú del fatto. Le gambe ne han patito la penitenza. Mi vedo gionto a casa – e nol posso credere, né men che sia vivo, ma che qui sia gionto lo spirito mio. Ma chi è costui che vien in qua? certo è Pardo, mio antico amico. O, ben, che ho da trattar con lui. Signor Pardo, siate il ben trovato, non mi conoscete? Son Pedolitro vostro amico.

SCENA II

Pardo, Pedolitro.

Pardo. Chi si potrebbe conoscere cosí vecchio? e poi vestito alla turchesca? che sète stato prigione o ammalato, che avete cosí vigliacca ciera? perdonatemi, cioè macra e scolorita.

Pedolitro. Il mal mangiare, il peggior bere e il molto patire.

Pardo. Le tue vestí?

Pedolitro. Me l’ho mangiate in Turchia.

Pardo. In Turchia se mangiano vesti?

Pedolitro. L’ho vendute e impegnate all’osterie per mangiare. Ma io mi rallegro che vi vedo piú allegro e giovane che non vi lasciai.

Pardo. Donde si viene?

Pedolitro. Da Costantinopoli, per riscattar questo mio figlio che da bambino mi fu rapito da’ turchi.

Pardo. E voi ancor ben venuto, caro figlio.

Pedolitro. Io rispondo in sua vece, ché non sa parlar italiano: Che siate il ben trovato.

Pardo. Ho grande allegrezza che siate tornato salvo.

Pedolitro. L’allegrezza vi si raddoppiará, ch’io vi porto una buona nuova di lá.

Pardo. Che forse il turco non arma alla primavera, e non infesterá le nostre marine?

Pedolitro. Dico, buona per voi.

Pardo. Voi siate il ben tornato, portandomi alcuna buona novella.

Pedolitro. Costanza vostra moglie vi saluta.

Pardo. Che forse dall’altro mondo?

Pedolitro. Che altro mondo? io non so altro mondo che questo, né mai mi son partito di qua.

Pardo. A che rinovellarmi la memoria e darmi questo dolore? ché mai mi ricordo della sua morte, ch’io non volessi esser morto mille volte. Costanza cara, io che fui cagion della tua rapina, son libero, e tu, per venir al mio comando, sei schiava. Oh, quanto la meritarei io la servitú che per me tu hai patito!

Pedolitro. Voi piangete la viva, come fusse morta.

Pardo. Come viva?

Pedolitro. Come la stimate voi morta? se non è morta fra duo mesi, che son di lá partito, ella è piú viva e piú gagliarda che mai.

Pardo. Ti fai beffe di me.

Pedolitro. Anzi, mi par che voi vi facciate beffe di me. Ma chi v’ha detto che sia morta?

Pardo. Attilio mio figlio e Trinca servo, i quali ho inviati col riscatto in Constantinopoli per lei e per Cleria mia figlia; e son alcuni mesi che son tornati di lá, e ha menato seco Cleria sua sorella, e mi ha riferito che Costanza era morta quattro anni sono; che se fusse stata viva, l’arebbe riscattata e condotta a Nola.

Pedolitro. Anzi, ella è viva e sana; e di vostra figlia non si sa nova se sia morta o viva piú di dieci anni sono, ma si tien per fermo che sia morta; ch’un sangiacco, cui ella serviva, l’avea menata fuori; e si dubita, per la gelosia della moglie, che l’abbia avvelenata, che vostra moglie n’ebbe a morir di dolore.

Pardo. Strane cose mi dite. Cleria è in mia casa; e il mio figlio e servo me l’han referito, quanto io vi referisco.

Pedolitro. Ed io vi dico che tutto vi è stato falsamente referito, perché conosco vostra moglie, a Nola, prima che vi fusse rapita, e la conosco pur quattro anni in Constantinopoli, dove mi son fermato per riscattar il mio figlio. Anzi, né di vostro figlio né del servo ho inteso cosa alcuna in Constantinopoli.

Pardo. Quasi che Constantinopoli fusse Nola, che si può saper chi vi cápiti.

Pedolitro. Se ben Constantinopoli è una cittá grandissima, e piú di Napoli, le domeniche noi tutti cristiani ci veggiamo nel tempio di santa Sofia, dove ci ragguagliamo e consigliamo delle nostre fortune e ci aiutamo l’un l’altro.

Pardo. Quanto piú dite, men vi credo.

Pedolitro. Ma a che proposito volervi dir queste bugie? Ma io non vo’ che mi crediate. Eccovi una lettera che vi manda: conoscete la sua mano?

Pardo. Questa è la sua mano. O Dio, che stretta mi sento all’anima, che mi restò scolpita in mezo al cuore. Volesse Iddio che tu fussi viva, che verrei io in persona a riscuoterti; e quando non potessi, soffrirei in tua compagnia i tuoi dolori. Da che ti perdei, posso dir che non ho avuto un piacer in questa vita; e non meno l’ho amata morta, che l’amai viva.

Pedolitro. Leggetela, e vedete quanto vi scrive; e conoscete, quanto vi ha referito vostro figlio e il servo, tutto è bugia, e quanto vero sia quel che vi dico.

Pardo. Mi avisa avermi scritto molte lettere, e di niuna mai averne ricevuta risposta, né per lei esser mandato il riscatto; che spera esserle donata la libertá, e voler venirsene sola, come meglio potrá.

Pedolitro. Credetemi ora?

Pardo. Ed accioché voi crediate esser vero quanto vi ho detto, vo’ che ragionate con mia figlia. Olá, fate venir qua Cleria per cosa che molto importa.

Pedolitro. Fatela calar, ché mi piace che non troverete altro di quel che vi dico: che Costanza vostra moglie è viva, e di Cleria non si sa novella.

SCENA III

Cleria, Pardo, Pedolitro.

Cleria. Padre, che comandate?

Pardo. Costui è venuto da Turchia…

Cleria. (Infelice me! costui sará venuto a far riscontro s’è vero che sia Cleria, e quanto falsamente l’abbiamo dato ad intendere).

Pardo. … e dice che Costanza sia viva.

Cleria. (Che affermarò? che negherò? io non so che debba affermar, né negare, né che mi fare. Oh, fosse qui Trinca!).

Pardo. Dimandatela voi.

Cleria. (Bisogna star in cervello). Volesse Dio che Costanza mia madre fusse viva! Ma voi come lo sapete?

Pedolitro. L’ho vista con questi occhi in Constantinopoli; e si duol del suo marito che in tanto tempo non abbi mandato a riscuoterla, e che Cleria sua figlia non sa se sia morta o viva, ma stima che piú tosto sia morta.

Cleria. Voi dite cose impossibili, e sète cosí bugiardo nell’uno come nell’altro. Mia madre, che so che è morta, dici che sia viva; e io, che viva sono, dici che morta sia.

Pedolitro. Io non ci ho, in questo, interesse alcuno, né per conto d’interesse direi la bugia: e non essendo di natura bugiardo, godo nel dir la veritá.

Cleria. Dice che Cleria sia morta, e io viva sono: il testimonio t’è presente.

Pedolitro. Ed io ti dico che tu Cleria non sei. Ma tu conosci chi son io?

Cleria. Certo, no.

Pedolitro. Tu non sai chi sia io? riconoscimi bene.

Cleria. Quanto piú penso, men ti riconosco.

Pedolitro. Perché schivi che gli occhi tuoi s’incontrino con i miei? ti vergogni, ti arrossisci e impallidisci.

Cleria. Perché odo cose di meraviglia.

Pedolitro. Ed io ti conosco molto bene in casa di Pandolfo napolitano, che tiene alloggiamento in Veneggia, dove sogliono alloggiare tutti i peregrini napolitani.

Cleria. Che Pandolfo? che alloggiamenti? Quanto piú segni mi dái, men t’intendo.

Pedolitro. Che parlo arabico o tartaresco? Fai della stordita, per non accettar la veritá.

Cleria. Fai tu del cattivo, per farmi accettare il falso.

Pedolitro. Non m’hai servito duo mesi in casa di Pandolfo in Vineggia, quando cadei infermo duo anni sono?

Cleria. O Dio, che ascolto!

Pedolitro. Dico che tu sei Sofia, intendi? a chi dico io?

Cleria. Non dici a me, che Sofia non sono, però non rispondo.

Pedolitro. Mi piace piú tosto dispiacer a te e dir il vero, che piacer a molti e dir il falso: dico che tu sei Sofia sua serva.

Pardo. Non è meraviglia se t’inganni, ché nieghi il nome di Cleria e le dái quel di Sofia: nieghi quel che vedi, e non conosci quel che ti sta innanzi.

Pedolitro. Anzi, ella dice esser quella che non è, e niega quella che sia; e ancora persevera nella bugia.

Cleria. Anzi, tu pur ardisci d’infamarmi, che sia serva d’un alloggiatore.

Pedolitro. Non sei dunque Sofia? poveretta, perché inganni te stessa?

Cleria. Non piaccia a Dio che fussi Sofia, che tu dici, che sería serva d’altri e non figlia d’un gentil uomo.

Pedolitro. Ancor credete a costei?

Pardo. Le stracredo.

Pedolitro. Qual cagion vi muove, che crediate piú a costei che a me?

Pardo. Io credo al mio figlio e al mio servo.

Pedolitro. Fate male a credere a questi: guardatevi che non v’ingannino.

Pardo. Chi è dunque costei?

Pedolitro. Colei che vi dissi da principio.

Pardo. Costei non è Cleria?

Cleria. (Cosí ti avesse rotto il collo per la strada!).

Pedolitro. Non so perché mi cenni e mi fai cert’atti: che mi vuoi significare?

 

Cleria. Io cenni? io atti? veramente sei fuor di cervello.

Pardo. Orsú, non moltiplichiamo in parole: figlia, sali su. Tu, Pedolitro, poiché sei forastiero, vieni a desinar meco.

Pedolitro. Ho desinato. Andrò per saper alcuna novella de’ miei.

Pardo. Potrete voi e vostro figlio fermarvi in casa mia e riposarvi, e poi a bell’aggio andar cercando de’ vostri parenti.

Pedolitro. Non mi trattenete piú, di grazia.

Pardo. Almeno lasciate vostro figlio in casa mia, e voi andate cercando. Se li trovate vivi, verrete per vostro figlio; se non, restarete ad alloggiar meco.

Pedolitro. Questa cortesia accetto, che mio figlio resti con voi, mentre andrò cercando.

Pardo. Veramente, la venuta di costui m’ha posto in grandissima confusione; la mano di mia moglie è vera: perché costoro m’han detto, che sia morta? Dice che conosce costei in casa di un alloggiatore, e chiamata Sofia. A che proposito affermarlo cosí costantemente, se non fusse vero? E mi son ben accorto che arrossiva, impallediva, respondendo s’intricava, e non sapea quello che dicessi, e m’accorsi che l’accennava. Ma quello, che m’accresce il sospetto, è che in questo intrigo se ci trova intrigato il Trinca, che è il maggior trincato, furbo, allievo di forche, maestro di furberie. L’astuzia sua m’è di vergogna e di danno: e quando della vergogna poco conto ne facessi, ci è il danno di piú di cinquecento ducati. Ma ecco che vengono molto allegri. Vedrò come si risolveranno in questo fatto.

SCENA IV

Trinca, Attilio, Pardo, Turco.

Trinca. Padron, il vostro figlio sta in punto per le nozze, e vi priega che l’affrettiate.

Attilio. Sta medesimamente Erotico ad ogni nostro comando.

Pardo. Ben, chi vi disse che Costanza mia moglie era morta, e che Cleria fusse viva? Quando voi foste a Constantinopoli? perché non rispondi? Chi non risponde subbito, sta pensando alla scusa.

Trinca. Come, non son stato io a Constantinopoli?

Pardo. Né tu né mio figlio.

Trinca. Io non so come voi dite.

Attilio. (Ohimè, siamo rovinati!).

Pardo. Che rispondi?

Trinca. Chi v’ha informato del contrario?

Attilio. (Come ti risolverai, Trinca?).

Pardo. Pedolitro, nostro cittadino, venuto ora di Constantinopoli, che ci andò quattro anni sono per riscuoter cotesto suo figlio; e mi ha recato lettera di mano di mia moglie che desia venire, e che di Cleria non si sa novella, molti anni sono....

Attilio. (Mira la fortuna, a che ponto ha condotto costui di Turchia).

Pardo. … Dice che quella è Sofia, serva d’un allogiator in Vineggia: l’ho fatto affrontar insieme, e ce l’ha mantenuto in faccia.

Attilio. (Siamo spediti, non v’è piú rimedio. Trinca è perduto d’animo).

Trinca. Padron, è cosí vero quanto v’ho detto, quanto l’amor che vi porto; e se trovarete il contrario, vo’ che mi ponghiate in galera.

Pardo. Senza il tuo volere, ti ci porrò.

Trinca. Vien qua tu: come tuo padre ha detto una buggiarda buggia? rispondimi. Vedete che tace.

Pardo. A che ti affatichi parlargli? non risponde, perché non intende l’italiano.

Trinca. Gli parlerò in turchesco. Tu non mi scapperai. Cabrasciam ogniboraf, enbusaim Constantinopla?

Attilio. (O buon Trinca, o illustrissimo Trinca).

Turco. Ben belmen ne sensulers.

Pardo. Che dice?

Trinca. Che suo padre non fu mai in Constantinopoli.

Pardo. Dove dunque fu per riscuoterlo?

Trinca. Carigar camboco maio ossasando?

Turco. Ben sem belmen.

Trinca. Dice che sono stati in Negroponte.

Pardo. Da Negroponte in Constantinopoli ci sono molte miglia. Dimandagli che camino han fatto per venire in Italia.

Trinca. Ossasando nequet, nequet poter levar cosir Italia?

Turco. Sachina busumbasce agrirse.

Trinca. Dice che son venuti per mare, e non passati per Vineggia.

Pardo. O Dio, che umori stravaganti sono negli uomini! Che cosa ha spinto colui a dirmi cosí gran bugia, che sia stato a Vineggia, e portarmi una lettera di mano di mia moglie? Che mondo è questo?

Trinca. Bisognarebbe far un mondo a vostro modo, o riformarlo. Han falsificato la mano di vostra moglie, per farvi qualche burla.

Pardo. Certo che dovea star ubbriaco; e giá lo tengo per tale, che stava rosso nel volto.

Trinca. L’avete indovinata: e or gli lo vo’ dimandare. Siati marfus naincon catalai nulai?

Turco. Vare hecc.

Trinca. Ho detto marfus che vuol dire ubbriaco; ha detto che poco inanzi è intrato in una osteria nel viaggio, appresso Nola, e che ha bevuto molto bene, e che andava cadendo per la strada, e che appena or si potea reggere in piedi.

Attilio. (O Trinca divino, e come l’hai ben saldata!).

Pardo. Come in quelle due parole ha potuto dir tanto?

Trinca. La lingua turchesca in poche parole dice cose assai.

Pardo. Orsú, ha voluto burlar Pedolitro. Quando ritorna, li vo’ far un scorno da vergognarsene, e l’arò da oggi innanzi in quella opinione che si conviene. Andate a trovar Erotico; cercate Orgio, zio di Sulpizia. e diteli che stia apparecchiato per questa sera.

SCENA V

Pedolitro, Pardo, Turco.

Pedolitro. Ho ritrovato vivo un mio fratello cugino; or vo’ andar con mio figlio a casa sua. Della amorevole offerta, signor Pardo, ve ne resto obligatissimo.

Pardo. Pedolitro, la giusta cagion, che me ne dái, mi fa prorompere in tanta rusticitá. Ditemi si avete imparato in Turchia a beffeggiar gli amici.

Pedolitro. Né qui né in Turchia è convenevole.

Pardo. Perché darmi ad intendere che sète stato in Constantinopoli e visto mia moglie Costanza, e Cleria mia figlia chiamata Sofia e conosciutala serva d’un alloggiamento in Vineggia?

Pedolitro. Tal è, qual vi ho detto.

Pardo. Come l’avete vista in Vineggia, se voi non vi sète mai stato?

Pedolitro. Ci son stato a mio dispetto duo mesi infermo.

Pardo. Se sète stato in Negroponte e venuto in Napoli per mare, come sète stato in Vineggia?

Pedolitro. In Negroponte? e quando? chi v’ha detto queste bugie peggior delle prime?

Pardo. Tuo figlio.

Pedolitro. Come mio figlio ha potuto dirvele, se non sa parlar italiano?

Pardo. Trinca, il mio servo, l’ha parlato in turchesco, che l’ha imparato a parlar in Constantinopoli.

Pedolitro. Questo ha detto mio figlio?

Pardo. Anzi, di piú, che avete bevuto nell’osterie e state imbriaco, e non sapete dove abbiate il cervello.

Pedolitro. Mi fo la croce. Ierusalas adhuc moluc acoce ras marisco, viscelei havvi havute carbulah?

Turco. Ercercheter biradam suledi, ben belmen ne sulodii.

Pedolitro. Dice che è vero che un uomo l’ha parlato, ma che non intendeva che dicesse. Comis purce sulemes.

Pardo. Perché dunque li rispondeva?

Pedolitro. Accian sembilir belmes mie sulemes?

Turco. Accian ben cioch soler ben sen belmen sen cioch soler.

Pedolitro. Dice che, quantunque gli rispondesse e li dicesse che non intendeva quello che se li dicesse, pur gli parlava. Aman hierl cheret marfus soler, ben men comam me sulemes?

Turco. Aman hierl cheret marfus soler ben men comam me sulemes.

Pedolitro. Dice che sempre dicea marfus; ma non possea imaginarsi che cercava da lui. Io stimo che il vostro Trinca sia un gran trincato e buggiardo e volpe vecchia.

Pardo. Dite voi che sia sí bugiardo?

Pedolitro. Ho errato in dir bugiardo, ma bugiardone.

Pardo. Voi accrescete l’ingiuria.

Pedolitro. Anzi dico bugiardissimo; anzi tengo per certo che vi abbi beffato.

Pardo. Non so che mi fa ostinato in saper la veritá di questo fatto. Di grazia, se mi amate, ditemi chiaramente se mi avete detto la veritá.

Pedolitro. V’ho detto la veritá, e ne torrei ogni pena per confirmarla, se ne fusse bisogno. Restate sano, che vo’ andar a quel mio cugino.

Pardo. E voi andate salvo, poiché sète fatto libero.

Pedolitro. Ghidelum auglancic.

Turco. Ghidelum baba.

Pardo. Io credo che si se cercasse per tutto il mondo fra vecchi canuti il piú balordo, stordito, goffo e scimunito, che sarebbe da me di gran lunga avanzato di balordaggine e di sciocchezza, perché m’accorgo che sono stato beffato, aggirato da quel furfante di Trinca e da mio figlio. L’esser stato credulo n’è stato cagione; e con aver sempre creduto che le bugie accompagnano ordinariamente le sue parole, e che mi voleva ingannare, non m’ha giovato crederlo. Ma s’io non me vendico, creda egli certissimo che sia goffo da vero, come mi stima. M’ha fatto sborsar trecento scudi e fattomi re de danari; ma io lo farò diventar re di bastoni. Mi vergogno di me stesso, ardo d’ira e di sdegno, ma suspico che trama d’amore ne sia cagione. Ma ecco mi sovragionge quest’altra seccaggine del capitano. Non so che voglia questa bestia da me; fuggirò per quella strada.

SCENA VI

Trasimaco, Pardo.

Trasimaco. Fermatevi, gentiluomo, nella cui figlia è fondato il trionfo della illustre mia generazione.

Pardo. Ho da far altro, perdonatemi.

Trasimaco. Sappiati che gli occhi balenanti e altitonanti di vostra figlia han fatto piú effetto nel mio cuore, che le bombarde e artigliarie ne’ fianchi de’ baluardi: onde io, che prendo le cittá, castelli e campi, son preso e ligato dalle sue bellezze. Sí che, deposta l’orribilitá del mio rigore e ammollita la feritá, vengo a chiederlavi per moglie, per non far mancar al mondo la razza de pari miei, e far una dozina di Marti, un’altra di Bellone, di Orlandi e di Rodomonti, e arricchirne il mondo: onde può tenersi la piú fortunata e felice donna che viva, e cosí voi a cui non poca autoritá vi recará la qualitá della mia persona.

Pardo. Non ho tempo da spendere in chiacchiere.

Trasimaco. Fermatevi, dispetto di Marte. Si trattengono a ragionar meco la maestá di quel di Spagna e del Gran Turco, e voi non vi degnate ascoltarmi.

Pardo. Spedetela in brevi parole.

Trasimaco. Quanto v’ha detto di me quel furfante di Gulone, tutto è mentita.

Pardo. M’ha detto che sète un gran capitano e ricco e veritiero.

Trasimaco. E se fosse un par mio, lo disfidarei, nudo, con meza cappa, ad uccidersi meco in un steccato, ché per manco d’un pelo ci son entrato cinquanta volte.

Pardo. Poco me se dá.

Trasimaco. E son cavaliero da tutti i quarti: cerchesi nel mio parentado, tutte son croci di Malta, di S. Stefano, di S. Giacomo e di Calatrava.

Pardo. Forse dubitavano che non li fusse pisciato adosso.

Trasimaco. E quando veniva a mangiar meco, ho fatto come son solito di far a’ miei squadroni: il pan a monti, i buoi a quarti, i capretti a squadre, il vino a botti: e se butta piú in casa mia, che non se ne vede in quelle de’ gran signori.

Pardo. Ben bene.

Trasimaco. E vo’ che veggiate che conto tengono di me i principi del mondo: ho pieno il petto, i calzoni e le valiggie di lettere che mi mandano. Ecco quella a punto del Gran Turco: All’illustrissimo e strenuissimo cavaliero, il capitan Trasimaco de Sconquassi, mio carissimo amico e generalissimo delle mie genti. Ecco quella del re Filippo: Al venerabilissimo e stupendissimo capitan Sconquasso de Sconquassi de Squassamenti, mio lugar teniente e general de’ miei esserciti. Ecco quella del re di Francia: Al mio amatissimo Colonello e Maestro, sotto il quale ho imparato la milizia. Ecco quella de’ veneziani e di altre republiche, ch’io non ne tengo conto; e io non son uomo di bugie, ma m’è cara la veritá.

Pardo. È tanto cara, che la serbate per voi; né ve ne cavarebbe una di bocca quante tanaglie ha il mondo.

Trasimaco. Però non bisogna dar credito a furfanti; e volendo informarvi chi sia, andate in Persia e dimandate di me, che feci nella guerra fra turchi e persiani; andate in Tartaria e dimandate al Gran Can; andate al Giappone e dimandatene il re Quabacondono; gite nell’Indie, nel Messico, in Temistitan, e dimandate alli caccichi Abenemuchei, Anacancon, Aguelbana, Comogro, Ciapoton, Totonoga e Caracura, e altri e altri: cosí saprete chi sono.

 

Pardo. Mi vo’ partir or ora per cotesti luoghi, e come mi sarò informato, tratteremo del matrimonio. A dio.

Trasimaco. Almeno vi parteste con piú creanza; ma t’escusa la vecchiaia, che tutto il mondo non ti scapparebbe dalle mie mani. Assai mi curo io di tua figlia! Ho le regine che mi pregano: mi dava una sua figlia il Turco, s’accettava il bellerbeiato della Grecia; una sorella il Principe di Transilvania, se voleva esser suo vaivoda; la regina Lisabetta d’Inghilterra mi volea per marito, se volea pigliar la sua protezion contro Filippo secondo. Ma buon per te, che ti sei partito; ché or, che mi bolle il sangue, non mi terrebbe il rispetto ch’eri un vecchio rimbambito, barboggio. Non dovevi invecchiare, se non volevi diventar cosí ignorante.

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