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Resa a discrezione

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SCENA V

Rimangono in scena soli Ambrogio e Anselmo che stanno dietro la tavola del buffet apparecchiata. Sulla tavola un samovar acceso, bottiglie di Champagne ed altri vini. Bicchieri e tazze. Torte, confetti. Dall'altra parte giungono forti risate, poi ad un tratto un Oh! di sorpresa seguìto da un mormorio. Entra precipitoso Filippo, va alla tavola e dice:

FILIPPO

Un bicchier d'acqua, presto. (Lo prende e correndo lo porta di là. Sull'uscio Paolo e Rulfi vengono precipitosi).

PAOLO

Cognac, Cognac!

RULFI

No, Marsala, meglio Marsala. Ambrogio, presto un bicchierino di Marsala. (Ambrogio serve).

ANSELMO

Qualcuno si sente male?

RULFI

Sì, la Marchesa.

SCENA VI

Teodoro, poi secondo le indicazioni tutti gli altri, cioè: Gemma, Del Sannio, Rubaconti, Sarni, Lerici, poi Elena e Filippo, poi di nuovo Teodoro.

TEODORO (a Paolo e Rulfi)

Lasciate, non è nulla, s'è già riavuta. Ha presa una storta al piede e il dolore l'ha fatta impallidire a quel modo. Non è nulla, discorre, vedete.

PAOLO

Meno male.

GEMMA (entrando, a Teodoro che torna di là)

È bello e passato. Ora viene. (Rubaconti e Del Sannio entrano con Gemma).

PAOLO (a Gemma)

Voi non state di là?

GEMMA

Non mi vuole vicino, mi ha lanciato uno sguardo tragico. La storta la vuol dare a noi. Quello era uno svenimento bello e buono.

RULFI

Amore! Amore!

GEMMA

Non la credevo così presa.

RULFI

Eh quel dottore? Invece d'andare al polo è arrivato a Cipro.

TUTTI

Ah! Ah! (ridono).

DEL SANNIO

Come ha detto? Non ho capito.

RUBACONTI

Che il dottore invece d'andare al polo è arrivato a Cipro.

DEL SANNIO

Ah! (non capisce ma ride) Eh! Eh!

RUBACONTI

Ne capisci meno di prima.

DEL SANNIO

Oh! bella cosa. È arrivato… ma no, se non è partito.

RULFI

Cipro è un'isola dove è nata Venere, la dea degli Amori.

DEL SANNIO

Vedo.

GEMMA

Non ci siete. Sarni voleva andare al Polo, n'è vero?

DEL SANNIO

Sì.

GEMMA

E invece s'è innamorato della Marchesa e l'ha innamorata di sè. È arrivato a Cipro.

DEL SANNIO

Ah! Ah! bellissimo! Cipro è la patria… bellissimo, bellissimo. (s'allontana).

RUBACONTI

Ora lo va a ridire. E lo dà per suo. Ripete per suoi tutti i detti che gli riesce di capire.

RULFI

Glielo regalo.

RUBACONTI

L'avete visto, contessa, in istrada?

GEMMA

Chi?

RUBACONTI

Il dottor Sarni; era fermo sull'angolo della casa qui sotto.

GEMMA

Possibile? Ci ha veduti entrare?

RUBACONTI

Oh certo. L'ho mostrato a Rulfi che ci ha fatto una risata.

RULFI

Sfido, era troppo comico. Aveva un'aria di cane bastonato.

ELENA (tornando con D'Aspri, Filippo e gli altri)

Ah bella, bella, bella, Gemma ti ringrazio. Quella statuetta è un capolavoro.

GEMMA

La terrai nel tuo salone?

ELENA

Certo. Ci sta così bene! Voglio che tutti la vedano.

D'ASPRI

È un trofeo di vittoria.

FILIPPO

I capitani veneziani tenevano nel loro salone il fanale delle galee vinte al nemico.

GEMMA

Qui manca il nemico.

D'ASPRI

Ecco il prodigio della vittoria.

TEODORO (tornando dal salone)

Elena!

ELENA

O zio, un bicchiere di Champagne, e t'incarico di fare il brindisi in mio nome.

TEODORO

Ai vostri begl'occhi, contessa!

GEMMA

No, no, lo voglio di circostanza. Non sono io l'eroina qui. Un brindisi a me non è possibile.

TEODORO

È passabile.

D'ASPRI

Ma passibile d'uno migliore.

RULFI

A buon conto è passato. (tutti ridono).

GEMMA

Lo farò io. Ai viaggiatori che rimangono.

ELENA

No! ai viaggiatori che partono.

RULFI

Ah che ingratitudine! (tutti bevono ridendo).

DEL SANNIO (a Pardi e Lerici che stanno pressola porta che mette al salone)

Ho avuto occasione di dire un motto che fu trovato spiritoso.

PARDI

Fuori.

DEL SANNIO

Sapete che il dottor Sarni è innamorato della Marchesa Elena?

LERICI

E viceversa…

DEL SANNIO

Ebbene, ho detto che il dottore volendo andare al Polo, è arrivato a Capri. (i due restano seri) Non capite?

PARDI E LERICI

No.

DEL SANNIO

A Capri, è arrivato a Capri!

PARDI

Ho inteso, e poi?

DEL SANNIO

Pare impossibile!.. Capri è un'isola.

LERICI

Vicino a Napoli.

DEL SANNIO

Dov'è nata Venere.

LERICI

Cipro vuoi dire.

SCENA VII

Andrea e detti
SERVO

Il signor Sarni.

DEL SANNIO

Ci… (vede Andrea) Diavolo! (s'allontana. Lerici e Pardi s'allontanano ridendo).

ANDREA (fra sè)

Li faccio scappare. (si guarda indosso per vedere se ha nulla di singolare) Sembrano ridere di me. (va verso il gruppo dov'è Elena) Marchesa, ho visto entrare questi signori coll'aria così allegra che non ho saputo resistere al desiderio di seguirli. (a Gemma) Contessa. (nota l'imbarazzo di tutti) Si direbbe che faccio l'effetto dell'ombra di Banco. (verso Elena cercando intavolar discorso per uscire d'imbarazzo) Ho visto di là un oggetto d'arte che non avevate ieri… una statuetta bellissima.

(Rulfi scoppia in una risata, cercando invanodi contenersi)
ANDREA

Pare che senza accorgermene dico delle cose molto lepide.

FILIPPO (volendo accomodare)

No, sono io che gli rammentavo uno scherzo.

RULFI

Ma sì, è Filippo che… (s'allontana ridendo con Filippo) È troppo comico.

ANDREA (fra sè)

Ridono di me!

ELENA (s'alza e segue Rulfi e Filippo)

Mi fate il piacere di contenervi… non voglio guai!

ANDREA (cogliendo il momento che Elena sta pertornare vicino a Gemma)

Ho fatto male a tornare?

ELENA

Perchè?

ANDREA

Lo domando a voi. Devo aver detto un'ingenuità.

ELENA

Oh! siete così ingenuo?!

ANDREA

Lo sapete?

ELENA

Io non so nulla; lo saprà il vostro amico D'Almèna.

ANDREA

D'Almèna!

ELENA

Non è vostro amico?

ANDREA

Amicissimo… ma…

ELENA

Non vi domando spiegazioni… e non mi parlate piano, ve ne prego.

ANDREA

Con che tono me lo dite!.. per carità…

ELENA

Zio! (chiama Teodoro).

ANDREA

Ah! (colpito, addoloratissimo).

TEODORO (accorrendo)

Mi hai chiamato?

ELENA

Sì, volevo pregarti di far servire il thè, ma lo faccio io, tu mi aiuti.

TEODORO

Volentieri.

FILIPPO (è tornato nel cerchio dove c'è Gemma.A Gemma che si vuol levare)

No, no, ancora un momento.

GEMMA

Dite delle cose impossibili.

PARDI

Le dice perchè non le può fare.

GEMMA

Con voi non si può discorrere. (si alza).

FILIPPO

Badate, contessa, che se vi allontanate, dico una parola sottovoce a questi signori.

GEMMA

Che parola?

FILIPPO

Volete sentirla voi prima? Ma nell'orecchio.

GEMMA

No, no. (s'allontana).

TUTTI (a Filippo)

A noi… a noi…

(Filippo li raccoglie e parla piano.Tutti scoppiano dalle risa)
ELENA

Voglio sentire anch'io.

FILIPPO

Sì, venite, venite, Marchesa.

GEMMA (s'avvicina ad Andrea che è rittovicino al camino)

Che ha? Perchè sta in disparte? Ha l'aria di cattivo umore.

ANDREA

Dacchè ha la bontà d'accorgersene, mi risponda lei. Sono capitato qui a sproposito, eh? Mi spieghi. Qualunque cosa mi dica, se anche mi dovesse offendere mortalmente, gliela perdono e la ringrazio fin d'ora. Che fa qui tutta questa gente?

 
GEMMA

Siamo venuti a portare alla Marchesa il pegno d'una scommessa.

ANDREA

Quella statua?

GEMMA

Sì.

ANDREA

E la scommessa?

GEMMA

Oh! una cosa da nulla.

ANDREA

Ma perchè la mia venuta ha messo tanto imbarazzo? Si parlava di me? Lo so bene che quelli non mi sono amici. Che dicevano?

GEMMA

Perchè non è partito pel suo viaggio lei?

ANDREA

Non me lo domandi. Perchè non ero degno di farlo.

GEMMA

C'è chi pretende che l'abbia trattenuto la Marchesa.

ANDREA

Questo si diceva al mio arrivo?

GEMMA

E dicono che la Marchesa si fosse vantata di volerlo trattenere per esperimentare il potere de' suoi vezzi.

ANDREA

È un' infamia!..

GEMMA

Certo, se fosse…

ANDREA

Dico la voce che è un' infamia. La Marchesa è incapace… oh!

GEMMA

Eppure io stessa…

ANDREA

Non è vero, non è vero! (vuol passare nel mezzo).

GEMMA

Per carità, non facciamo scandali.

ANDREA

Ha ragione. Questa gente non ne vale la pena.

GEMMA (agli altri)

Andiamo.

(Tutti s'alzano)

Per la gita a Napoli è inteso?

ELENA

Sì, riceverete la circolare.

GEMMA

Va bene. Addio, cara.

ELENA

E grazie. (piano a Filippo) Filippo, fate di portar via il dottor Sarni, non voglio spiegazioni.

FILIPPO

Subito. (mentre gli altri fanno i saluti s'avvicina al dottor Sarni) Viene con noi, dottore?

ANDREA

No.

(Filippo s'inchina e torna ad Elenacui parla sottovoce)
ELENA (ad Andrea)

Devo uscire, ve ne avverto.

ANDREA

Me l'avete detto un'altra volta, non era vero, v'aspetterò. Voglio parlarvi, doveste farmi cacciare dai vostri domestici.

ELENA

Va bene. (s'allontana).

TEODORO (ad Elena)

Se credi, io rimango.

ELENA

No, tanto vale, la faremo finita, addio. (Tutti partono. Elena li accompagna).

SCENA VIII

Andrea, i due domestici, poi Elena

(I due domestici vanno e vengono sparecchiando).

ELENA (tornando ai domestici)

Lasciate pure. (i domestici escono).

SCENA IX

Elena e Andrea
ANDREA

Ieri sono uscito di qui a mezzanotte, dopo di aver passato tre ore con voi in discorsi intimi e confidenti, oggi vi trovo avversa e sprezzante. Questo mutamento dev'essere il frutto di qualche enorme inganno. Siamo circondati di gente invidiosa e cattiva. Qualunque cosa vi abbiano detto di me, ripetetela, perchè mi scolpi e li confonda. Avreste dovuto accertarvene prima di offendermi. Io quando v'intesi calunniata sentii tutto l'esser mio sollevarsi e gridarmi la vostra innocenza.

ELENA

Calunniata? D'Almèna forse?

ANDREA

È la seconda volta che lo nominate… Ciò mi prova che l'insidia colpisce anche lui. D'Almèna non mi ha mai parlato di voi.

ELENA (ironica)

Poveretto!

ANDREA

Perchè quell'ironia? Voi mi parlate come ad un nemico… Che pensate di me? Ho diritto di saperlo!

ELENA

Diritto?..

ANDREA

Diritto. Dacchè mi avete accolto in casa vostra e datami la vostra confidenza e carpitami la mia, pretendo sapere se tutto ciò non fu che un inganno atroce, e se voi ne siete vittima con me, o colpevole.

ELENA

Dio! le grandi frasi! Che vi ho fatto? Andiamo.

ANDREA

Avete tollerato che in casa vostra i vostri amici ridessero di me, e li avete secondati. Quando vi supplicai tremando di una parola onesta, avete troncato netto il discorso, chiamando ostensibilmente vostro zio, perchè apparisse chiaro che sdegnavate di parlarmi. Non si farebbe altrimenti con un uomo disonorato. Ho sofferto una tortura senza nome, e non potevo che o scoppiare brutalmente, e mi contenni per rispetto di voi, o raddoppiare il mio avvilimento tacendo. Non conosco l'arte di mordere sorridendo. Non sono elegante io come quelli che vi circondano. Me l'avete appreso voi stessa; ma in dieci giorni volendo, potrei essere quello ch'essi sono, essi in dieci anni non potrebbero diventare quello che sono io. Dovete vedere al mio viso ed alla violenza delle mie parole che soffro un dolore mortale. Di che mi accusano? È così velenoso quello che mi dovreste dire, che non osate profferire parola?

ELENA

Chiedete al vostro amico D'Almèna che vi ripeta ciò che va dicendo di voi e di me.

ANDREA

Lo chiedo a voi dacchè lo sapete. Egli è incapace di offendermi e di offendervi. La sua onestà è così intatta come la vostra, ma la sua amicizia è ben più salda.

ELENA

E disinteressata…

ANDREA

La sua, sì. Non la mia per lui. Gli debbo una gran riconoscenza.

ELENA

Lo confessate!

ANDREA

E voi lo sapete dunque! Quando ebbi rinunziato al mio viaggio, mi sentii caduto dal buon concetto dei miei amici, ho patito i motteggi dei vostri, ho veduto della gente guardarmi sogghignando; in voi stessa nei primi giorni appariva una sfiducia che credetti di aver poi dissipato. D'Almèna solo venne da me non cercato, mi sostenne contro me stesso, rimproverandomi sempre il mutato proposito, ma mostrandomi di non attribuirlo a viltà. Non basta. Due mesi fa occupavo una cattedra di scienze fisiche in un grande istituto privato; quando mi decisi per la spedizione rinunziai a quel posto che si dovette dar subito ad altri. I miei pochi risparmi erano quasi tutti andati negli apparecchi del viaggio. Rimanendo dovevo pensare a vivere. Il futuro non m'inquietava, il mio nome è noto nel mondo della scienza ed ho già offerte per l'anno venturo; ma il bisogno era urgente…

ELENA (attentissima)

E D'Almèna?

ANDREA

D'Almèna indovinò le mie strettezze e senza parlarmene mi offrì di collaborare a giornali quotidiani e settimanali, e mi pregò come di un favore, perchè accettassi di dare lezioni private.

ELENA

Oh!

ANDREA

Volevo vivere nel vostro mondo, seguirvi ai teatri, ai balli, non apparirvi da meno degli altri. Quando la sera esco di casa vostra e mi riduco nella mia, la notte mi va intera a scribacchiare articoli di scienza volgare. E la mattina corro da un capo all'altro di Roma a dar lezioni di chimica elementare a pochi ragazzi o stupidi o svogliati che tremano dell'esame. Le ore del sonno le rubo qua e là nei ritagli di tempo, perchè voglio e devo anche lavorare per me, per la mia scienza, che è il mio avvenire, la mia coscienza, il mio diritto alla vita. Tutto ciò non mi affligge nè mi affatica, verrà il mio giorno, ne sono sicuro, vi amo troppo per non sapermelo conquistare; ma voi mi avete tolto la gaiezza della mia povertà, e scemata la fede nel premio.

ELENA

Perdonatemi.

ANDREA

Mi avete costretto a svelarvi un triste segreto. Ero così orgoglioso di nascondervelo. Mi insuperbiva tanto la vostra felice ignoranza delle mie miserie. Ora, pensando a me, quelle piccole cure mi avviliranno agli occhi vostri: questo timore che mi è così amaro che vinca il risentimento dell'offesa patita. Elena, la collera è fiaccata, ve ne supplico, ditemi di che mi hanno accusato.

ELENA

Non parliamone più. Scordate quel cattivo momento, non fatemi vergognare di me stessa.

ANDREA

No, le male erbe vanno sradicate. Pensate che la calunnia ha potuto farvi scordare il mio amore che conoscevate benchè non ve ne avessi mai parlato. È vero?

(Elena acconsente volontariamente)
ANDREA

E ha potuto farvi scordare il vostro, Elena, perchè voi mi avete amato, perchè nel fondo del cuore mi amate ancora, non vi chiedo che lo diciate, lo sento. Ieri sera quando mi levai per salutarvi mi avete guardato con degli occhi così dolci e penetranti, il vostro sguardo ha cercato il mio, caldo come una vampa, mite come una carezza materna. Lunedì al teatro nel vostro palco quando sedetti accanto a voi, e stretto dalla folla dei visitatori, il mio braccio premette tutto il vostro, ho sentito il brivido che vi prese al mio contatto, e al ballo della Neddinngton avete portato nel corsetto quella rosa pallida che vi avevo dato io, e quando vi cadde a terra, la coglieste voi stessa, premurosa che non vi fosse ridata da altri. Elena, voi mi amate e la gente volgare è nemica dell'amore, non sa che trastullarsene od ucciderlo.

ELENA

Perdonatemi.

ANDREA

No, no, non basta od è troppo. Troppo, perchè non ho più rancori, ma non basta per la nostra pace. Ditemi, ditemi, Elena… dimmi, di che mi hanno accusato?

ELENA

Non posso, lo vedete, ho ceduto alle vostre parole, avevo l'animo esacerbato, voi me lo avete rasserenato. Sono tanto contenta di voi! È così buono credere e confidare! Non attristiamoci con cattivi ricordi. Dimentichiamo.

ANDREA

Ebbene sì, dimentichiamo. Ma la grande parola è profferita, Elena, dimmi che mi ami, dimmelo, ripagami dalle torture che mi hai fatto soffrire, dimmi che sei mia!

ELENA

No, Andrea, Andrea!

ANDREA

Una parola. – Te ne chiedevo una amara. – Dammi la più dolce di tutte!

ELENA

Per carità, per carità, restiamo così! Era pur bello il nostro dolce silenzio cosciente; quando si è sicuri di una cosa buona, perchè guastarla con impazienze? Sdegno simulare ed abborrisco dalla sfrontatezza. Rispettatemi, Andrea. Che volete da me? Che diventi la vostra amante? No, no!

ANDREA

Sei libera… sii mia… sii mia moglie.

ELENA (ritraendosi rapidissima)

Ah!

ANDREA

Elena! Elena! Che avete, Elena? M'inganno, è vero? M'inganno! – Tacete?! (lunga pausa) Questo vi avevano detto? E l'avete creduto…! Disgraziata! Voi stimate dunque il vostro amore meno che i vostri averi dacchè concedendomi l'amore mi sospettate cupido delle ricchezze. Ah! mi dài il tuo cuore, e per poco non il tuo corpo… e difendi lo scrigno…! Ma allora è vero? quello che mi diceva or ora la contessa? Ed io l'ho trattata di calunniatrice! È vero! Sono stato il vostro gingillo, l'istrumento per esperimentare i vostri vezzi. Ditelo, ditelo che è vero! Quella era la scommessa…! Quella statuetta ignuda e lasciva, era il pegno della vostra vittoria. E hanno riso di me. Lo credo. Non avrei riso io pure dello scimunito che si fosse impigliato in quei lacci?

ELENA

Ah! ho paura!

ANDREA

Addio, Marchesa! La più sfrontata cocotte non avrebbe fatto meglio di voi. (fugge).

(Elena impietrita non ha nè voce nè moto)
Cala la tela
FINE DELL'ATTO TERZO