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Impressioni d'America

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Preposto a così ingente corpo di milizia gli spettava di pien dovere il grado di generale; ma intervenne uno di quegli atti di giustizia distributiva non infrequenti allora ed oggi nella repubblica dell'Unione americana. Toccarono a lui, il comando effettivo, le fatiche ed i pericoli, ed al signor Seward figlio del ministro degli affari esteri, il titolo di generale ed i relativi stipendi. Il generale Seward seguitò ben inteso a dominare in Washington mentre la brigata che portava il suo nome, conseguiva sanguinose vittorie sotto gli ordini del colonnello Cesnola, contendendo ai Sudisti, i passi del Maryland e della Pensilvania meridionale. Il nostro generoso compaesano, sfogava l'interno rodimento in picchiate da orbo, sulle spalle del nemico. Segnalato a Brandy Station per prodigi di valore (sono parole del New-York Times) gli fu affidata la difesa di Belle Plains, e poco appresso quella delle gole di Averil dove sgominò nel maggio 1863, il corpo d'esercito del generale Wasburne facendogli 2732 prigionieri e meritandosi d'essere portato all'ordine del giorno dell'esercito unionista.

Dopo tali prove, credeva per fermo di aver conseguita la promozione a generale di brigata; il generale Gregg nominò invece immeritatamente un suo proprio fratello. Questa volta il Cesnola se ne dolse aperto con una fiera lettera di protesta che il Gregg tenne per atto di insubordinazione e punì cogli arresti sotto la tenda. Seguiva così disarmato la colonna che aveva guidato tante volte alla vittoria, ma gli era inibito di combattere con essa.

In tali condizioni pervenne il 17 giugno 1863 alla battaglia di Aldie, una delle tante che insanguinarono durante la guerra di secessione lo stato della Virginia. Il nemico ingrossava da presso, quando il generale Kilpatrick, che comandava i diversi corpi unionisti ivi raccolti, ordinò una carica al quarto reggimento di cavalleria N. Y. Il reggimento protestò unanime, soldati ed ufficiali che non avrebbero mosso un passo se non lo guidava il suo colonnello. Cesnola misurando il pericolo ed il disonore di un ammutinamento, supplica allora dal Kilpatrick il permesso di porsi disarmato com'era alla testa dei suoi soldati. Questi, che era stato estraneo alla punizione e forse la disapprovava in cuor suo, acconsente. Il Cesnola salta in sella, in difetto di sciabola, agita alto il frustino e slancia il cavallo pancia a terra seguito dal reggimento fremente ed urlante di entusiasmo. Respinto, per disparità di forze, torna quattro volte all'assalto. Alla terza una palla lo colpisce al braccio sinistro, ma non ne sfredda l'ardore. Mentre raccoglie i soldati per lanciarsi alla quarta il generale Kilpatrick, ammirato di tanto eroismo, lo avvicina, si leva la sciabola dal fianco, e gliela porge dicendogli: «Ritornamela rossa di sangue.» Ma nella mischia, il valoroso, ferito gravemente da sciabola al capo ed alla mano destra cade ed è preso prigioniero.

Come avviene nelle lotte civili, le ire fra i due campi avversi furono in quella memorabile guerra, tenacissimi e crudeli contro il diritto delle genti e le ragioni della civiltà. Agli unionisti, più forti, più disciplinati, più fiduciosi nella vittoria finale, durò tuttavia, benché scarso, qualche senso di pietà o forse di rispetto umano; ma i separatisti del Sud fecero aperta prova di una selvaggia inumanità. La prigione di Libby in Richmond dove furono rinchiusi oltre mille ufficiali dell'esercito unionista, restò per assoluta insufficenza di spazio e per sevizie, famosa nella storia delle iniquità e della barbarie. Pigiati in locali corrotti e malsani, senza letti, senza tavole, scarso e guasto il nutrimento, laceri, fra insulti e percosse, molti di quei prigionieri morirono, quasi tutti ammalarono gravemente e fra questi il Cesnola. Il quale per lo spazio di circa un anno seppe mostrarsi fra i continui patimenti, così intrepido e sereno come già tra le fatiche ed i pericoli.

Finalmente, intavolate scambievoli trattative per ricambio e riscatto dei prigionieri. Il quarto reggimento di cavalleria New-York potè intervenire in favore del suo colonnello. Riporto qui nel suo testo l'istanza fatta al Ministero della guerra in Washington.

Campo del 4.º Reggimento Cavalleria N. Y
9 Marzo 1864.

Al Ministro della guerra,

«Gli ufficiali del 4.º Reggimento Cavalleria N. Y. sottomettono alla vostra benevola considerazione questa rispettosa istanza, perchè (in quanto ciò sia conforme alla dignità della patria ed ai regolamenti sullo scambio dei prigionieri di guerra), si dia opera immediata onde il loro amato e valoroso colonnello Luigi Palma di Cesnola possa riprendere il servizio attivo.

«Sono oltre nove mesi che il colonnello Cesnola langue nelle prigioni di Libby essendo caduto nelle mani del nemico, mentre comandava uno squadrone di cavalleria il giorno 17 giugno 1863 in Aldie, Virginia. La sua presenza è con ardore desiderata dal suo reggimento, ufficiali e gregarii, tanto che i sottoscritti rispettosamente osservano e fanno osservare che, se mediante le avviate stipulazioni la loro domanda sarà esaudita, il reggimento a mostrarsene grato raddoppierà nell'adempimento del proprio dovere, l'attività e lo zelo. Aggiungono ancora che il ritorno del loro colonnello al servizio attivo, gioverà alla santa causa per la quale hanno giurato combattere e che la presenza del loro magnanimo comandante non potrà che accrescere il lustro e la fama dei tanti coraggiosi pugnanti ora per l'unione e la libertà.»

L'istanza sortì il suo effetto. Il Cesnola fu barattato col colonnello Brown dell'esercito separatista. Abramo Lincoln volle vederlo e richiederlo delle condizioni dei prigionieri. Ad informarnelo non occorrevano parole, bastava che il Cesnola si mostrasse macero, ischeletrito com'era e pieno di lividure. Il grande presidente s'impietosì a quella vista ed al colonnello che gli domandava di tornar subito al campo, ordinò un mese di congedo, per rifarsi in salute.

Intanto la guerra volgeva al suo termine. Già prima che cominciasse, il governo dell'Unione aveva con chiari patti stabilito, che colla pace sarebbe caduto ogni suo legame ed ogni obbligo cogli ufficiali iscritti alle milizie. Non gradi, non onori, non pensioni. Ma i servigi prestati dal Cesnola furono stimati di così alto pregio da meritargli uno speciale trattamento. Promosso generale, perchè il Governo potesse in alcun modo tenerlo ancora in attività di servizio, fu nominato Console generale degli Stati Uniti con libera scelta fra parecchie ottime residenze. Egli elesse quella di Larnaca nell'isola di Cipro, che lo avvicinava all'Italia ed offriva a lui ed alla famiglia un clima salutare, necessario ristoro alle fatiche, ai patimenti ed alle apprensioni della guerra e della lunga travagliosa prigionia.

* * *

Per dire delle grandi scoperte che vi fece il Cesnola, occorre premettere alcuni rapidi cenni intorno alle antiche vicende storiche dell'isola di Cipro ed alle ricerche archeologiche di che fu oggetto nella seconda metà del nostro secolo. Estraggo queste sommarie notizie da alcuni pregiatissimi articoli del Perrot pubblicati nella Revue des deux Mondes, gli anni 1878 e 1879, e dal libro del Cesnola già citato in nota.

La terra sacra a Venere, ebbe dai fenici i primi rudimenti della civiltà. Le sue coste orientali e meridionali, più dell'altre prossime alla Siria, risentirono prime l'influenza fenicia e ne furono più profondamente penetrate. Ivi sorsero le tre città di più incontrastata origine fenicia: Kition, Pafo (l'antica) ed Amatonta. Kition, in prossimità della moderna città di Larnaca, fu, pare, il più importante emporio che vi avessero i fenici. La Bibbia ne fa menzione più volte, a cominciare dal libro della Genesi, allargando il suo nome ebraico di Kittim fino a designare con quello l'isola intera. Amatonta e Pafo ebbero nelle pratiche religiose del mondo antico, e negli studi archeologici dei tempi nostri, una grande celebrità, dai loro templi e santuarii, nei quali l'imagine a noi alquanto malferma della siriaca Astarte andò nei secoli, a grado a grado trasmutandosi nella più sicura e precisa della greca Afrodite.

I fenici scopersero primi le ricchezze metallurgiche dell'isola, si applicarono alla estrazione del rame che ebbe nome di Cuprum (donde il cuivre francese), vi importarono la cultura della vite e certe piante d'origine asiatica od africana quali la cassia, la cannella, il sesamo, la fava d'Egitto.

A quanto è lecito congetturare, i greci approdarono la prima volta in Cipro poco appresso la composizione dei poemi omerici. L'Illiade ci dà Cipro per terra fenicia. Le colonie greche vi stabilirono dunque intorno a novecento anni avanti Cristo. È da credere che la loro fu pacifica conquista, non potendo i Fenici opporre valida resistenza al giovane popolo invasore ed appagandosi di mantenere le loro industrie ed i commerci cui diedero tosto un grande incremento le numerose città fabbricate dai greci. I greci di Egina fondarono Salamina, i greci d'Argo fondarono Curium se pure non vi si stabilirono soltanto, allargando ed abbellendo una preesistente città già eretta dal fenicio Cinyras. I greci di Sirio fondarono Golgos, quelli della Laconia, Lapato e Chrinia, quelli dell'Arcadia la seconda Pafo, la Baffa dei nostri giorni, che sorse in prossimità della Pafo fenicia e fu del pari celeberrima per il culto di Venere.

Durante il secolo VIII ed il VII a. C. l'isola appartenne agli imperi di Ninive e di Babilonia. Verso la metà del VI secolo passò all'Egitto, poi con Dario alla Persia, poi argomento di contesa fra i macedoni Antigone e Demetrio d'una parte e Tolomeo I.º dall'altra, ripassò all'impero egizio, che ne fece più tardi un reame quasi indipendente, appannaggio dei principi lagidi, ai quali nell'anno 59 a. C. la strappò Catone l'Uticense riducendola a provincia romana.

 

Nel volgere di quei secoli, Cipro ebbe fama di incomparabile ricchezza e prosperità. Alle colture introdotte dai fenici, i greci aggiunsero quella dell'olivo, albero sacro a Pallade Atene. Vantavano i greci che gli olivi di tutte le spiaggie e dell'isole mediterranee provenissero tutti quanti dal tronco uscito di terra già alto e fronzuto sull'Acropoli, ad un colpo di lancia di Minerva. E pare che all'albero di Minerva, il terreno di Cipro, si confacesse, meglio ancora che quello nativo dell'Attica. L'isola ne fu coperta ed arricchita oltre misura. Tutti gli scrittori antichi, dai primissimi della Grecia agli ultimi di Roma gareggiano d'iperboli per esprimere le magnificenze di quella terra benedetta dal sole. Il dolce clima e le inesauribili dovizie, ne avevano ammolliti gli abitanti, avevano indotto in essi un raffinato amore del piacere. Le conquiste si compievano senza resistenze e quindi senza eccidî. Un dominio seguiva all'altro senza nulla turbarvi le voluttuose fruizioni della vita. Le vecchie città accumulavano monumenti di civiltà diverse. I santuari della Venere ciprigna, erede della Astarte fenicia erano ombreggiati da alberi secolari ospizio alle candide colombe, sacre alla Dea. I templi serbavano intatte colle statue e le offerte votive depostevi dai primi fenici e dai primi greci, le statue, le gemme, i vasi, le armi, recate via via dagli assiri, dai persi, dagli egizi, da tutti i successivi dominatori. I riti anch'essi, in luogo di escludersi l'un l'altro, si sovrapponevano componendosi in una deliziosa tolleranza che attutiva negli abitanti il sentimento patrio e la civica fierezza. Più costanti e pregiati perduravano e si trasmettevano i riti più licenziosi, i quali chiamavano in Cipro da ogni parte del mondo allora noto e comunicante, in gran folla gli stranieri, come a luogo di impareggiabili delizie.

Di qui una corruzione di costumi che dovette muovere a santo sdegno i primi cristiani. Già gli ebrei esulatevi dopo la guerra di Giudea, si erano, sotto l'impero di Traiano, levati in armi contro i lascivi ciprioti, uccidendone, dicono, dugento e quaranta mila, ed abattendo e devastando i templi sacri alla prostituzione, ed alle voluttuose deità. Quando Paolo, vi predicò la legge di Cristo, quando la nuova dottrina ebbe in Cipro numerosi credenti, austeri severi, spregiatori ed abborritori della carne, questi ruppero nel loro furore iconoclastico in frequenti massacri ed in rovine. La storia non ce ne trasmise le particolari vicende, ma i ruderi parlano in sua vece. Il Visconte di Vogüé che studiò con molta cura i monumenti ciprioti, rinvenne presso Golgos e presso Idalia, non pochi depositi di immagini frantumate che apparivano esser state sepolte con gran furia entro fosse comuni; vere necropoli di statue, dove, sotto pochi piedi di terra giacevano le opere di molti secoli: vasi, idoli, immagini, simboli, tutte mutilate a studio. Così i monumenti artistici di tante diverse civiltà passarono di un colpo, dagli onori del culto, alle tenebre della sepoltura, furono sottratti alle deturpazioni utilitarie delle basse età, prepararono maravigliosi tesori ai nostri musei, ed una inattesa messe di notizie ai moderni eruditi.

* * *

L'importanza archeologica dell'isola di Cipro fu svelata agli studiosi del viaggiatore inglese Riccardo Pocock, il quale verso la metà del secolo scorso ne riportò trentatre iscrizioni da lui copiate in Larnaca e provenienti da Kition, rimaste per lungo tempo i soli documenti epigrafici della Fenicia. Sul loro testo si tentarono le prime traduzioni, dal loro testo fu rilevato lo stretto legame che univa il linguaggio fenicio all'ebraico. Dopo di lui, qualche vaso o qualche statuetta, rinvenuti fortuitamente, richiamarono di quando in quando sull'isola sacra a Venere l'attenzione degli eruditi. Ma furono dapprima richiami senza seguito che servirono piuttosto a far sospettare l'esistenza di un mondo inesplorato, che a stimolare, tanto apparivano dubbiosi, lo zelo degli esploratori. E tali durarono per lo spazio di un secolo, fino a che nel 1845, Ludovico Ross chiamato all'insegnamento della archeologia classica nell'università d'Atene, venne nel proposito di cercare in Cipro la soluzione del problema intorno alle origini della civiltà greca. Recatosi tutto solo in Larnaca, il Ross intraprese una ricognizione sommaria attraverso l'isola. Ma per difetto di tempo, egli intese piuttosto a raccogliere notizie dagli abitanti ed a segnare i punti che promettevano maggior messe agli scavi avvenire, che a sommuovere il suolo per immediate ricerche. Tuttavia la rapida corsa aveva svelato all'occhio esercitato dell'archeologo il carattere asiatico dei più remoti monumenti ciprioti. Una sua relazione svegliò la curiosità di altri studiosi. Nel 1846 il francese Mas Latrie comprò in Larnaca una notevole quantità di figurine di calcare e di terra cotta. Nel 1859 un'altro francese il De Saulcy comprò pure in Larnaca un buon numero di vasi e di statuette cedute poco appresso al Museo del Louvre. Nello stesso tempo il signor Péretié dimorante in Siria potè acquistare pel Duca di Luynes la famosa Tavoletta di Dali che fu di molto lume allo studio della filologia fenicia e cipriota.

Le necropoli violate cominciavano a spandere i loro secreti e gli antichi oggetti dissepolti divenivano argomento di regolari commerci. I contadini stessi cui seguiva, non di rado, di trovare monete d'oro ed oggetti preziosi, si davano volentieri alla cerca, sospettosi dei forestieri e sopratutto del governo turco il quale accampava diritti e praticava sequestri sulle prese. La curiosità, l'avidità del guadagno, la vanità, la seduzione dell'ignoto, davano agli eruditi un sussidio non sempre desiderato e non sempre utile, di innumerevoli dilettanti, operanti senza criterio e senza disciplina. I contadini degli oggetti dissepolti, non pregiavano che la materia. Così una statua di bronzo, più alta del vero, rinvenuta nel greto d'un torrente disseccato, fu infranta e ripartita a peso fra gli scopritori, gelosi sovra ogni cosa di trafugarla alle autorità, paghi di ricavare il valore del metallo. I dilettanti, serbavano bensì gli oggetti interi, ma non curavano di registrare il modo del loro giacimento nè, tanto meno, di rilevare la pianta del tempio o della necropoli, che li aveva per tanti secoli custoditi, privando così, la scienza delle preziose notizie complementari che sono pressochè indispensabili, alle sicure attribuzioni e classificazioni. Qualche dotto archeologo, e non pochi antiquarii improvvisati archeologi, procedevano tuttavia con buoni metodi e con diligenti cautele a fruttifere ricerche. E le loro scoperte, menavano rumore fra gli studiosi d'ogni parte d'Europa, e facevano gola ai Musei di Londra, di Parigi, di Berlino, di Pietroburgo.

Nel 1860, il Renan mandato da Napoleone III a esplorare le coste dell'antica Fenicia, stimò di dover allargare fino a Cipro il raggio delle sue ricerche; e già l'anno appresso stava per imbarcarsi alla volta di Larnaca, quando dolorose circostanze di famiglia e di salute lo costrinsero a tornarsene subito in Francia. Ivi apprese che il Visconti Melchior di Vogüè già noto per ottimi studi sulle chiese cristiane in Terrasanta e riputato conoscitore della archeologia fenicia, era sulle mosse per un secondo viaggio in Oriente. Il Renan lo pregò di comprendere anche Cipro nel suo itinerario e n'ebbe conforme promessa. Infatti nel 1862, il Vogüé in compagnia del Waddington e dell'architetto Duthoit intraprese una esplorazione completa dell'isola, e condusse in parecchi punti degli scavi che arricchirono di preziosissime spoglie il Museo del Louvre. Sulle indicazioni del Vogüé l'architetto Duthoit potè segnare con sicurezza il luogo dove sorgeva l'antica Golgos e scoprire tre grandi fosse ricolme delle statue atterrate e mutilate dai primi cristiani.

Fortunate ricerche fece pure il Conte di Maricourt, Vice Console di Francia residente in Larnaca. Passeggiando un giorno colla famiglia, su per le falde di un monticello che domina una salina nei pressi della città, il Maricourt smosse a caso colla punta del bastone fra le sabbie una minuscola statuetta di terra cotta. Incoraggito dalla trovata fortuita, proseguì a ribruscolare nel l'arena collo stesso istrumento, e ne estrasse parecchie altre consimili figurine. Tornò l'indomani sul luogo colla famiglia ed i domestici armati di pale e la messe fu assai copiosa. Era naturale che ci pigliasse gusto. Ogni sera i borghesi di Larnaca vedevano la brigata consolare avviarsi agli scavi come a sollazzevole scampagnata. In capo a pochi mesi, il Maricourt possedeva una pregevole raccolta, che avrebbe di certo arricchita se non moriva di colera nel 1865.

Lo scozzese Hamilton Lang andato in Larnaca a dirigervi una succursale della Banca Ottomana, fu anch'egli, in quel torno, sedotto alla ricerca dei sepolti tesori. Sulle prime si appagò di farne incetta presso i contadini, comprandone vasi di vetro e d'argilla. Datosi di poi agli scavi, scoprì in Dali le vestigia di un tempio, che gli fornirono in gran copia, statue e statuette di marmo e di cotto di varie dimensioni, figurine di bronzo di fattura egizia, ornamenti di smalto turchino o bianco, frammenti di preziose ceramiche, e medaglie d'argento appartenenti alla più remota antichità. La sua maggior presa, fu più tardi, nel campo della numismatica. Nel 1870, cinque giovani contadini, andavano alla ricerca di statuette, nei terreni già esplorati dal Maricourt. Uno di essi mise a giorno un vaso di bronzo che levato di terra gli si ruppe fra le mani, lasciando cadere una pioggia d'oro coniato. Il bottino fu spartito fra i cinque cercatori con promessa di scambievole secreto. Ma due giorni dopo, il Lang, avuto sentore della cosa, potè, al prezzo di dodicimila lire comprare seicento statere d'oro di Filippo e d'Alessandro macedoni, fra le quali, cedute poi al Museo brittannico, si riscontrarono novantadue varietà fino allora sconosciute.

Un altro console di Francia, il Colonna Cenaldi, di origine italiana, succeduto al Maricourt, proseguì con ottimo frutto le indagini iniziate in Dali dal Duthoit. Un console d'Inghilterra, M.r Sandwith, non ostante le opposizioni del governo turco, riuscì pur tuttavia a raccogliere una bella collezione.

Così l'antica terra aveva rimunerato molti cercatori delle sue ricchezze, ma senza raccontare intera la sua storia, senza dare ai problemi della scienza archeologica una soluzione sicura ed esauriente. A parziali ed impazienti ricerche erano seguite parziali trovate. La gelosia del governo ottomano minacciava di mettere ostacolo agli scavi ulteriori. Per dire l'ultima parola sulle antichità di Cipro, occorreva vi si applicasse un uomo che, conseguita la necessaria dottrina, fosse ad un tempo, più accorto, più sagace, più audace, più perseverante, più caro alla fortuna, più meritevole dei suoi favori, di quanti vi s'erano per l'addietro applicati.

Tale seppe essere il generale Luigi Palma di Cesnola.

* * *

Il Cesnola sbarcò in Larnaca il giorno di Natale del 1865 colla moglie e due bambine. La città gli parve inabitabile, i luoghi intorno aridi e desolati. Già durante il viaggio egli aveva letto quanti più libri gli era riuscito di raccogliere intorno all'isola di Cipro, alla sua storia, ai suoi commerci, alle sue antichità. Il giovane generale non aveva altra coltura classica fuori di quella appresa nelle primissime scuole. Dall'età di sedici anni in poi, da quando cioè era partito volontario per la prima guerra dell'indipendenza italiana, tutti i suoi studi, tutte le sue applicazioni s'erano rimaste alla scienza ed all'arte della guerra. Il mondo dell'antichità che quelle frettolose letture schiudevano alla sua mente, gli era, si può dire, affatto ignorato, ma la sua mente pronta ad accendersi, facile alle assimilazioni, ordinata ed imaginosa doveva riceverne uno stimolo grande a maggiori conoscenze. In Larnaca gli scavi erano diventati l'occupazione ed il passatempo di tutte le persone colte. C'era in tutti l'aspettazione di qualche grande scoperta imminente, o per lo meno la certezza che quella terra piena di storia, celasse ancora immense ricchezze ed impareggiabili tesori d'arte e di scienza. L'ellenismo era, nella famiglia Cesnola, titolo di nobiltà ed argomento di culto domestico. Pareva al conte Luigi che ricercando le origini della remota civiltà greca, egli avrebbe continuato e compito l'opera dell'avo Alerino, volontario combattente per l'indipendenza della Grecia moderna. Il disagio e la noia di una piccola città turca, lo infervorarono all'impresa. Il Consolato degli Stati Uniti gli lasciava agio di attendervi. Una relazione pubblicata dal Vogüé dove era vantata per completa la esplorazione dell'isola fatta dalla missione francese, e pareva conchiudere nulla potersi più sperare da maggiori indagini, aggiunse forse all'altre tentazioni un non so che quale lievito di puntiglio, primo segno della vocazione archeologica. Gli uomini dalla tempra del Cesnola misurano di colpo il prò ed il contro di ogni impresa e sono altrettanto pronti al decidere quanto pazienti all'operare. Si direbbe che la fortuna sussurri loro all'orecchio il secreto degli eventi avvenire. Fino dai primi giorni della sua dimora in Larnaca il Cesnola fece proposito di dedicarsi agli scavi, non colla volubilità del dilettante che muta luogo al primo saggio infruttuoso, ma con persistente fermezza. Alla spesa avrebbe provveduto l'immancabile bottino. Per farsi la mano intanto che si addentrava negli studi, cominciò a rifrugare, ultimo dopo tanti curiosi, entro le terre intorno a Larnaca.

 

Vi trovò subito importanti monumenti dell'epoca greco romana, un sarcofago fenicio, vasi di marmo e di alabastro con iscrizioni fenicie, terraglie a fregi fenici ed una cartella lapidaria a caratteri cuneiformi grossamente imitati. Buon principio in una plaga già da tanti esplorata, ma in sostanza più atto ad incoraggiare che a rimunerare. Se non che le autorità turche, ormai messe sull'avviso, non volevano più saperne di scavi. Un loro divieto comunicato per le vie legali e nelle forme cortesi avrebbe messo il Cesnola in grave imbarazzo. Per fortuna il Kaimakan di Larnaca Genab Effendi, aveva la vista corta e la mano pesante, due difetti che riescono quasi sempre a metter la ragione dalla parte del torto. Senza curare le procedure diplomatiche, egli imprigionò di colpo sul luogo degli scavi due operai addetti al Consolato degli Stati Uniti. Ne seguirono vigorose proteste del Console, accolte con turchesca arroganza dal Caimacano, il quale non si peritò, pochi giorni appresso, di far arrestare, nei locali stessi del Consolato, una guardia consolare. Era una palese violazione del diritto delle genti che il Cesnola seppe difendere da par suo, minacciando di ammainare la bandiera dell'Unione Americana ed ottenendo dal Ministro degli Stati Uniti presso la Sublime Porta l'invio di due navi americane nelle acque di Larnaca. Il Governo Ottomano dovette rimettere il litigio ad una Commissione mista la quale esaminate le cose, diede ragione al Cesnola. Il Caimacano di Larnaca fu destituito con perpetua interdizione dai pubblici uffici, furono liberati i prigionieri, la bandiera degli Stati Uniti ebbe il saluto di 21 colpi di cannone, il Governatore di Cipro fu destinato ad altra sede; previa una visita di scusa al Console ed il pagamento di dieci mila piastre al suo primo dragomanno.

Sgombrata per tal modo la via, il Cesnola potè darsi liberamente alle ricerche archeologiche. Un firmano del Sultano lo autorizzava a far scavi in ogni parte dell'isola, salvo ad intendersela coi proprietarii dei terreni. La primavera del 1867, egli prendeva in affitto una casa in campagna con largo circuito di aranceti sulle falde del monte presso Dali (Idalium) e vi si allogava colla famiglia. L'aria vi era più fresca, i luoghi intorno più ridenti che a Larnaca, e certi frammenti di scoltura che ne provenivano, gli facevano argomentare l'esistenza in quei paraggi di una vasta necropoli. Non s'era ingannato. In capo a tre anni egli aveva scoperto ed esplorato diecimila tombe; le greco-romane giacenti a poca profondità dal suolo ricoprivano le più remote fenicie ricche di copiosissimi e preziosi cimelii. Non mi è possibile accompagnare l'opera del Cesnola nelle sue fortune successive, nè raccontarne i modi, nè descriverne i prodotti. Per lo spazio di undici anni, con accorgimento d'artista, con dottrina di archeologo, con accanimento di soldato, con perseveranza di alpigiano, egli attese insieme, a studi, ad interpretazione di testi, a raffronti, ad esplorazioni, a scavi, a classificazioni. Cercò ed accertò la topografia storica dell'isola, segnò i luoghi dov'erano sorte le città di Amatunta, di Cerynia, Cizio, Lapeto, le due Pafo, Afrodisia, Curio, Citerea, ed altre molte che ommetto; scoprì quindici templi sacri alle divinità fenicie, egizie e greche, rintracciò sei antichi acquedotti. Come Dali gli ebbe rivelato i suoi segreti, si volse a Golgos (la moderna Athiénau) e vi raccolse tesori che fecero maravigliare il mondo intero. La voce delle sue fortune, gli sollevava intorno, gelosie, bramosie, cupidigie, rancori, dispetti, invano congiurati al suo danno. Più volte la Sublime Porta fu per revocargli il firmano che lo licenziava agli scavi. Lo accusavano di minare le moschee, di profanare le sepolture dei veri credenti; ma il Ministro d'America, residente in Costantinopoli, sorgeva in sua difesa, faceva la voce grossa e scongiurava le tempeste. «A quanto mi si dice, caro generale» scriveva un giorno il Ministro al Cesnola «delle buche che andate scavando d'ogni parte, capisco che avete in animo di colare a picco, una bella mattina, l'isola intera. Prima che sprofondi, ve ne prego, mettete al sicuro gli archivi del Consolato americano.»

Il lavoro era improbo e costoso, ma il frutto prometteva di ripagare le fatiche e la spesa. In Golgos cento e dieci operai disseppellirono nel corso di sei settimane, oltre ad un sarcofago ornato sulle quattro faccie di bassorilievi rappresentanti la morte di Medusa, e Pegaso e Chrysaor uscenti dal suo sangue, ben trecento statue di singolare bellezza ed una innumerevole quantità di terraglie, di ceramiche, di vetri, di figurine, di monili, di armi, di monete. Le statue erano incrostate di uno spessore di tufo indurito che bisognò ammollire con bagnature e far saltare poi a punta di coltello. Estrattolo dal profondo, bisognava calare quel popolo marmoreo dalle alte pendici del monte ai magazzini disposti in Larnaca ad accoglierlo. Non traccia di strada di nessuna maniera. I minori pesi erano caricati su cammelli, i maggiori adagiati su appositi carri a ruote nei terreni piani, a slitta giù per le chine. Il trasporto rischioso, lento, costosissimo, rinnovava più penose le fatiche e le ansie della scoperta. Ma già nel 1870, la casa consolare di Larnaca e gli aggiunti magazzeni avevano fama in tutta Europa, di museo senza pari, che faceva gola ai grandi musei reali ed imperiali. I dotti, gli antiquari, gli artisti accorrevano d'ogni parte d'Europa a visitare la maravigliosa raccolta. Il Cesnola descrive col suo stile brioso e colorito, le noie che gli davano le carovane Cook, invadenti il suo giardino e la casa. «Ricordo una signora inglese d'una certa età dal lungo viso incorniciato, come tradizione vuole, di capelli arricciati a vite. Poichè ebbe esaminate attentamente le statue di Golgos, mi domandò di spiegarle per cortesia i misteri del culto di Venere.» Altri rubavano bravamente i piccoli oggetti e non trovandone a portata di mano, scheggiavano vasi e statue pure di riportarne un pezzetto.

Ma coi fastidiosi non mancavano i proficui visitatori. La Russia mandò a Cipro uno dei conservatori del Museo del Romitaggio, per trattare la compera di tutta la raccolta. Il negozio non fu conchiuso perchè altro negoziatore segreto aveva mandato Napoleone III voglioso di arricchire la sezione del Museo del Louvre dedicata al suo nome. Sopravvenne la guerra colla Germania, e caddero anche questi negoziati. Terzo mandò offerte, il Museo brittannico; ma i suoi direttori volevano che la collezione fosse innanzi di concludere, portata a Londra per un attento esame. Giusta e prudente domanda, ma non facile a soddisfare. Le grandi scoperte di Golgos avevano fatto più acute le cupidigie degli ufficiali turchi. Il governatore di Cipro avvertì il Cesnola che le cose non sarebbero andate liscio liscio.