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Il Quadriregio

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CAPITOLO VII

Come la ninfa Lippea fu coronata della ghirlanda, che avea vinta.

 
        Per questo Lippea bella è disdegnosa;
        e perché vinta gli parea a ragione
        quella grillanda tanto preziosa,
 
 
        andò piangendo all'alta dea Iunone,
    5 dicendo a lei: – Perché le paraninfe,
        che vengon dietro a te, cosí abbandone?
 
 
        Queste silvestre e queste rozze ninfe
        di dea Diana, tra' boschi assuete
        e tra li scogli e valli e tra le linfe,
 
 
   10 perché han vinto il cervo, stanno liete
        e stan superbe e fan di noi dispregio
        con beffe e riso e con parol secrete.
 
 
        Perché a me, che son del tuo collegio,
        la mia vinta corona mi si nega?
   15 Io 'l dico per l'onor e non pel pregio.
 
 
        Se il pregio mio, regina, non ti piega,
        mover ti debbe la mia compagnia:
        vedi che ognuna per me te ne prega. —
 
 
        Iunon alquanto a ciò sorrise pria,
   20 e poi benigna a lei la man distese,
        dicendo: – Usar convien qui cortesia.
 
 
        Dacché Diana tien questo paese,
        e noi venimmo ad onorar sua festa,
        ben è che 'nverso lei io sia cortese.
 
 
   25 La tua vittoria a tutte è manifesta,
        e tutte veggon ch'è tua la grillanda
        e che l'emula tua perde la 'nchiesta.
 
 
        Ma va' a Diana ed a lei la domanda:
        cosí a me piace e voglio che si faccia
   30 da te e dall'altra ciò ch'ella comanda. —
 
 
        Allora andò con reverente faccia
        e disse a lei: – O figlia di Latona,
        con reverenza io prego che ti piaccia
 
 
        che mi sia data la vinta corona;
   35 tu sai, Diana, che secondo il patto
        debbe esser mia, e ragion me la dona. —
 
 
        La dea rispose a lei con benigno atto:
        – D'allora in qua, Lippea, bene ti vòlsi,
        che festi alla grillanda sí bel tratto.
 
 
   40 Del cervio la vittoria io ti tolsi;
        quand'egli cadde, io gli rendei la lena,
        e su levato alle mie ninfe il volsi,
 
 
        ché di perder le vidi aver gran pena;
        ond'i', a pietá commossa, alla lor parte
   45 il feci andar a prego di Lisbena.
 
 
        Né questo feci per ingiuriarte,
        ma perché scaccia invidia e serva amore
        sempre l'onor che insieme si comparte. —
 
 
        E poi la 'ncoronò con grande onore
   50 e nel carro la pose seco appresso,
        con la grillanda di tanto valore.
 
 
        Iunon, che stava non molto da cesso,
        diede a Lisbena un arco d'unicorno
        per premio della caccia a lei promesso,
 
 
   55 tutto smaltato d'un bianc'osso eborno,
        e d'una pelle d'orso un bel carcasso
        fulcito tutto d'oro intorno intorno.
 
 
        Diana intanto il carro a passo a passo
        mosse verso Iunon; e, giunta a lei,
   60 riverenza gli fe' col capo basso,
 
 
        dicendo: – O gran regina delli dèi,
        Lippea, che sta meco qui presente,
        tanto m'è grata e piace agli occhi miei,
 
 
        che, se a te piace ed ella me 'l consente,
   65 prego che facci che meco rimagna
        insino all'altra festa rivegnente
 
 
        e non sia grave a lei nostra montagna;
        ché meco la terrò non come ancella,
        ma come mia carissima compagna. —
 
 
   70 La dea assentío ed anche Lippea bella;
        e l'altre ninfe ne fenno allegrezza,
        mostrando ognuno insieme esser sorella.
 
 
        E tutto il loco s'empí di dolcezza,
        di canti e balli su nel verde prato,
   75 il quale ha ben sei miglia di larghezza.
 
 
        Cupido, ed io con lui, stava occultato;
        e dalle dèe sí poco er'io distante,
        ch'io intendea lor parlar da ogni lato,
 
 
        quando l'Amor mi disse: – Tutte quante
   80 le ninfe hai viste; or, dimmi, qual tu vuoi?
        a qual ti piace piú esser amante? —
 
 
        E detto questo, d'un de' dardi suoi
        d'oro ed acceso mi percosse il petto,
        e beffeggiando se ne rise poi.
 
 
   85 Ed io a lui: – Il grato e bello aspetto
        della gentil Lippea tanto eccede,
        che nulla paion l'altre a lei rispetto.
 
 
        Ma perché non è esperta, non s'avvede
        ch'io l'ami e che di lei m'abbi ferito,
   90 e la mia pena occulta ella non crede.
 
 
        Per quella fé, con la qual t'ho seguito,
        ferisci ancora lei, perché s'avveggia
        quant'ha valore in sé l'arco tuo ardito. —
 
 
        Cupido rise come chi beffeggia;
   95 cosí ridendo da me disparío
        sí come un'ombra o cosa che vaneggia.
 
 
        – Ove ne vai – diss'io, – o falso dio?
        perché mi lassi? Or veggio ben ch'è folle
        chi pone in te speranza ovver desio. —
 
 
  100 In questo, come mia fortuna volle,
        una schiera di cervi giú emerse
        e discese nel pian suso dal colle.
 
 
        Le ninfe tutte per la valle sperse
        cursono a far la caccia per lo piano
  105 per vari lochi e vie aspre e diverse.
 
 
        Lippea coll'arco bello, ch'avea in mano,
        seguí un cervio, ch'andò verso il monte
        e passò a lato a me poco lontano.
 
 
        Sola soletta e con le voglie pronte
  110 gli andava dietro su tra il bosco incolto,
        ferendo lui con le saette cónte.
 
 
        Ed io, che stava lí in quel loco occolto,
        per ritrovarla dietro a lei mi mossi,
        e tra le frondi del boschetto folto
 
 
  115 due miglia o quasi cred'io andato fossi,
        ch'io la trovai, e la fiera avea morta,
        in prima dato a lei mille percossi.
 
 
        E quand'ella di me si fo accorta,
        lassò il cervio e misesi a fuggire
  120 su verso il monte timidetta e smorta.
 
 
        E dietro a lei io comincia' a dire:
        – O ninfa bella, io prego, alquanto ascolta,
        prego che mie parole vogli udire. —
 
 
        Come il cacciato cervio si rivolta
  125 sol per veder se il seguitan li cani,
        cosí ella facea alcuna volta.
 
 
        E poi fuggía tra quelli boschi strani,
        ed io seguíala tra le acute spine,
        che mi strappavan le gambe e le mani.
 
 
  130 – Perché fuggendo sí ratto cammine? —
        diceva io a lei. – Io prego che ti guardi
        che tra li boschi e scogli non ruine.
 
 
        Deh! perché non ti volti e non mi sguardi?
        Di te ferito m'ha, o cara gioia,
  135 il falso Amor co' suoi orati dardi.
 
 
        Se tu non m'hai pietá, non ti sia noia
        almen ch'io t'ami; e questo sol domando,
        se tu non vuoi ch'io manchi ovver ch'io muoia.
 
 
        Io prego il sacro Amor ch'io veggia il quando
  140 ferisca te e costrengati tanto,
        che sii, com'io, soggetta al suo comando. —
 
 
        Quand'ella questo udí, si volse alquanto
        e disse, vòlta a me, alzando il grido:
        – Mai si potrá Amor di me dar vanto.
 
 
  145 Tutta la forza del crudel Cupido
        metto a dispetto e le saette e 'l foco,
        ed anco alla battaglia io lo disfido
 
 
        ch'egli abbia possa a innamorarmi un poco,
        e del vano arco, il qual portare egli usa,
  150 secura io me ne vo in ogni loco.
 
 
        Il petto mio trasmutato ha Medusa
        contro l'Amor in sasso e 'n dura pietra,
        ed a piacergli ha ogni porta chiusa,
 
 
        sí che suoi dardi e sua vile faretra
  155 niente curo; e bench'egli mi fera,
        il colpo suo mia carne non penètra. —
 
 
        E perché ogni ninfa è piú leggera
        assai che l'uomo, da me dipartisse,
        correndo come veltro ovver pantera,
 
 
160 e 'nsin che fu a Diana, non s'affisse.
 

CAPITOLO VIII

Come Cupido, irato con la ninfa Lippea, la ferí d'una saetta d'oro.

 
        Io era solo e scornato rimaso,
        quando scontrai in quella via smarrita
        Cupido, come andasse quindi a caso.
 
 
        E disse a me: – Lippea ov'è fuggita,
    5 che m'ha sfidato e mette me a dispetto?
        Ma converrá che da me sia punita,
 
 
        ch'io gli trapasserò il core e il petto
        con un acceso dardo delli miei;
        e farla a te soggetta io ti prometto.
 
 
   10 Io, che ho domato Iove ed altri dèi
        con la potenza della mia saetta,
        non vincerò, non domerò costei? —
 
 
        Quando egli disse voler far vendetta,
        pensa, lettore, s'io mi feci lieto,
   15 da che affermava a me farla soggetta.
 
 
        Egli si mosse, ed io gli andai dirieto;
        e sempre per la costa andò all'ingiúe
        tra 'l duro bosco e l'aspero spineto.
 
 
        Quando presso alla valle giunto fue,
   20 vidi io Lippea che guidava il ballo
        'nanti alle dèe con le compagne sue.
 
 
        L'arco suo dur, che mai ferisce in fallo,
        prese Cupido, e d'uno stral gli diede
        a venti braccia forse d'intervallo
 
 
   25 sol nelli panni e giú appresso il piede;
        ché se a lor desse in petto o molto forte,
        sí come a' viri ed agli dèi e' fiede,
 
 
        perché ad amar le ninfe non son scorte,
        pel grande incendio del sacrato foco
   30 verrebbon meno e caderebbon morte.
 
 
        Il caldo cominciò a poco a poco
        passargli al cor con l'infocato dardo;
        e giá ferita non trovava loco.
 
 
        Lippea allora a me alzò lo sguardo
   35 e con gli occhi mirommi, con li quali
        tanto m'accese il cor, ch'ancora io ardo.
 
 
        L'Amor, movendo poi le splendide ali,
        per man menommi insino alla fontana,
        menacciando anco con suoi duri strali.
 
 
   40 Di me s'avvide allora dea Diana
        e disse irata e con acerbo volto:
        – Or che fa qui quella persona strana? —
 
 
        Lo dio Cupido meco s'era folto,
        ma non veduto; ch'egli alla sua posta
   45 si può manifestare e farsi occolto.
 
 
        Egli mi disse: – Fa', fa' la risposta. —
        Onde io andai, e riverente e chino
        mi posi al carro suo appresso e a costa.
 
 
        E dissi a lei: – Mio caso e mio destino,
   50 o dea, m'ha qui condotto nel tuo regno
        per uno errante ed aspero cammino.
 
 
        Forse Dio il fe' che alla tua festa vegno:
        per lui ti prego, o alma dea selvaggia,
        che non mi scacci e che non m'abbi a sdegno.
 
 
   55 E prego te che una grazia io aggia:
        che come starvi Ippolito a te piacque,
        cosí possa io tra questa turba gaggia. —
 
 
        E come chi consente, ella si tacque:
        cosí sospeso e dubbioso rimasi
   60 e tornai a Cupido presso all'acque.
 
 
        Il carro della dea ben venti pasi
        dal fonte, a mio parere, era distante,
        e 'l sol calato all'orizzonte o quasi,
 
 
        quando con vergognoso e bel sembiante
   65 venne Lippea inverso il fiumicello,
        ond'io andai dicendo a lei davante:
 
 
        – O ninfa mia gentil col viso bello,
        deh! non t'incresca e non aver temenza
        se io, che tanto t'amo, ti favello.
 
 
   70 Perché pur fuggi e pur fai resistenza
        a quell'Amor, ch'anco li dèi percote
        con le saette della sua potenza? —
 
 
        Sí come onesta donna, che non puote
        soffrir lascivo sguardo, sottomette
   75 e abbassa gli occhi e fa rosse le gote:
 
 
        cosí fece ella alle parole dette,
        che abbassò il viso e diventò vermiglia
        e lagrimò e le parol tacette.
 
 
        – Mostra i zaffiri, c'hai sotto le ciglia
   80 – dissi, – o Lippea, ed alza sú la vista,
        che alle dèe del ciel si rassomiglia. —
 
 
        Sfogando il pianto: – Oimè, misera, trista!
        Oimè! – diss'ella. – Io ho tanto tormento:
        Amor non vuol che a lui io piú resista.
 
 
   85 Se mai il dispettai, io me ne pento;
        se mai il gran Cupido io ebbi a vile,
        dico «mia colpa» e dico «me ne mento».
 
 
        Con la potenza dell'orato astile
        di mie parole folli ora mi paga
   90 e col foco, che al cor va sí sottile.
 
 
        Ma io il prego o che il dardo ritraga,
        che m'ha ferito il cor, o che mi uccida,
        sí che la morte risani la piaga. —
 
 
        Ed io a lei: – Cupido fu mia guida
   95 insino a te, ed egli mi promise
        donarti a me con sua parola fida. —
 
 
        Udito questo, il viso sottomise;
        poi disse sospirando e con vergogna:
        – Perché, quando ferí, e' non mi uccise?
 
 
  100 – Da che egli vuole, e questo esser bisogna
        – diss'io a lei, – io prego che mi dichi
        se tu se' mia, e non mi dir menzogna. —
 
 
        Come la sposa, cui pudor fatichi,
        cosí un «sí» de' labbri gli uscí fuore
  105 pur con vergogna e con atti pudichi.
 
 
        Il viso bianco di smorto colore
        prima dipinse e poscia si fe' rosso
        de' due color, che fuor dimostra Amore.
 
 
        Poi disse: – Oimè, oimè che piú non posso
  110 celar l'amor! – E questo ella dicendo,
        cadea, se non che io gli tenni il dosso.
 
 
        Soggiunse poi: – Amor, a te mi rendo:
        non trova l'arco tuo difesa o scudo;
        però invan contra te mi difendo. —
 
 
  115 Poi disse a me: – O amoroso drudo,
        io prego te, da che Amor mi ti dona,
        che contra me non sie cotanto crudo,
 
 
        che tu mi lievi la bella corona,
        che io porto in testa e la qual io mi vinsi,
  120 e che mai non mi lasci per persona. —
 
 
        Io gliel promisi e per fede gli strinsi
        la bianca mano e con le braccia stese
        il capo bianco e 'l collo ancor gli avvinsi.
 
 
        Contro l'amor non fe' poi piú difese
  125 la bella ninfa e mostrossi sicura,
        pur con vergogna ed onestá cortese.
 
 
        Cercando andammo per quella pianura,
        e poi salimmo ad alto suso al monte,
        in tanto che la notte si fe' oscura.
 
 
  130 Era giá Febo sotto l'orizzonte
        ben venti gradi, ed ella mi condusse
        in un bel prato, ov'era un bello fonte.
 
 
        Ed in quel loco tanto vi rilusse
        la chiara luna, che per quella valle
  135 ogni fiore io vedea qual e' si fusse.
 
 
        Di fiori e di viol vermiglie e gialle
        la bella ninfa tutto mi coprío;
        e poi sul prato mi posai le spalle.
 
 
        E quando all'oriente in pria apparío
  140 il chiaro sol, trovai che n'era andata,
        e posto un sasso scritto al capo mio,
 
 
        nel qual dicea: «Sappi ch'io son tornata
        a dea Iunone, alla regina mia;
        che colle mie compagne io sia trovata.
 
 
  145 Tu sai che dea Iunone, andando via,
        di lassarmi a Diana ell'ha promesso
        che con lei io rimanga in compagnia.
 
 
        In questo tempo che star m'è concesso,
        staremo ed anderem come a noi piace,
  150 cercando e boschi e balzi e scogli spesso.
 
 
        Fatti con Dio e tieni occulto e tace;
        e prego che a vedermi torni tosto,
        ché solo in veder te 'l mio core ha pace».
 
 
        Oh lasso! a Invidia nulla è mai nascosto,
  155 c'ha mille orecchie la malvagia e rea,
        e l'occhio suo in mille lochi è posto.
 
 
        Questa n'andò all'una e all'altra dea,
        dicendo: – Or non sapete ch'una dama
        qui delle vostre, chiamata Lippea,
 
 
160 il giovinetto qui venuto ell'ama
        col core e coll'amor tanto fervente,
        che sol per lui di rimaner ha brama? —
 
 
        E, detto questo, sparí prestamente.
 

CAPITOLO IX

Come la ninfa Lippea si duole che le convien partire.

 
 
        Letto ch'io ebbi ciò che nel sasso era,
        io mi partii e dentro uno spineto
        mi posi a stare ascoso insino a sera,
 
 
        acciò che il nostro amor fosse segreto.
    5 Presso all'occaso ed io scendea la costa
        e per veder Lippea andava lieto.
 
 
        Ed una driada disse: – Fa', fa' sosta —
        forte gridando, ond'io maravigliai
        e 'nsin che giunse a me, non fei risposta.
 
 
   10 Quando fu a me, ed io la domandai.
        – Non sai – rispose – ciò ch'è intervenuto,
        e Lippea quanti per te sostien guai?
 
 
        L'amor tra te e lei stato è saputo,
        e conven che si parta: oh sé infelice,
   15 ché contra questo nullo trova aiuto!
 
 
        Io son sua driada e giá fui sua nutrice:
        l'amor, che porta a te, m'ha rivelato,
        ed ogni suo segreto ella mi dice.
 
 
        Se saper vuoi il fatto come è stato,
   20 la Invidia, che sempre il mal rapporta,
        che mille ha orecchie ed occhi in ogni lato,
 
 
        disse a Iunone: – Or non ti se' tu accorta
        che Lippea ama il vago giovinetto,
        che venne qui e tanto amor gli porta? —
 
 
   25 Poscia sparío, quando questo ebbe detto
        la rea, che ha mille occhi e tutto vede
        e mille orecchie e tosco ha dentro al petto.
 
 
        Ah Invidia iniqua, quanto a te si crede!
        e perciò volentier tu se' udita,
   30 perché troppo al mal dir si dona fede.
 
 
        A Lippea detto fu che ammannita
        stesse ad andarne nel seguente giorno,
        quando Iunon volea far sua partita.
 
 
        Pel gran dolor e per lo grave scorno
   35 d'amaro pianto si bagnò le gote,
        e smorto diventò suo viso adorno.
 
 
        E per non far di fuor le fiamme note,
        che Amor le aveva acceso dentro al core
        coll'arco dur, che mai invan percote,
 
 
   40 pigliava scusa pianger per l'amore,
        ch'ella portava alla Diana dea
        e alle sue ninfe come a care suore.
 
 
        – Sorelle mie – dicea, – perché credea
        rimanermi con voi, però 'l cuor piagne
   45 che dipartir mi fa la 'Nvidia rea.
 
 
        E non sará che mai 'l mio pianto stagne:
        tanto è l'amor, oh lassa me tapina,
        ch'io conceputo ho qui, o mie compagne. —
 
 
        Poscia andò a Iuno e disse: – O mia regina,
   50 per darmi infamia e darmi vitupero,
        l'Invidia con sua lingua serpentina
 
 
        detto ha cosí; ma s'ella dice il vero,
        io cada morta, o s'io assento all'arme
        di dio Cupido o mai n'ebbi pensiero.
 
 
   55 Quando deliberasti, o dea, lassarme,
        concepii amore a tutte, ed or mi dole
        se io le lascio e altrove puoi menarme. —
 
 
        Iunon rispose a lei brevi parole:
        – Voglio che vegni e, quando il carro parte
   60 crai, sii la prima sul levar del sole. —
 
 
        Poscia che mille lacrime ebbe sparte,
        dicea fra sé dolente ed angosciosa:
        – Come farò? oimè! 'l cor mio si sparte. —
 
 
        Come va 'l cervio, a cui giá venenosa
   65 è giunta la saetta, e move il corso
        or qua or lá, e insin che muor non posa:
 
 
        cosí ed ella per aver soccorso
        giva ad ognuna, e poscia
        lacrimando deliberò a Diana aver ricorso.
 
 
   70 E disse: – O dea, tu facesti il domando
        ch'io rimanessi, e Iuno fu contenta;
        ed io anche assentii per suo comando.
 
 
        Ed ora pare a me ch'ella si penta,
        non so perché: e se fia mia partenza,
   75 convien che gran dolor mio cor ne senta,
 
 
        perché tu, dea, a me benivoglienza
        hai dimostrata, e Pallia e Lisbena
        e l'altre, con ch'i' ho fatto permanenza.
 
 
        Però partir da loro a me è gran pena,
   80 ch'io amo ognuna come mia sorella,
        e sopra tutte te, o dea serena.
 
 
        Però, ti prego, alquanto tu favella
        a dea Iunon ch'io stia sino alla festa,
        che ogni anno, come sai, si rinovella. —
 
 
   85 Rispose a lei Diana: – Manifesta
        tu fai te stessa: or sappi che colei,
        di cui è sospetto, non è ben onesta.
 
 
        Vanne con la signora delli dèi;
        ché s'ella mi dicesse ch'io v'andassi,
   90 sí come a Iove, a lei ubbidirei. —
 
 
        Per la vergogna tenne gli occhi bassi
        la misera e pensava tutt'i modi
        per rimanere e che nessun ne lassi.
 
 
        O Amor folle, che sí forte annodi
   95 l'amante con l'amato e sí li leghi,
        che dentro consumando li corrodi!
 
 
        Quando si vide non valer li prieghi,
        giva ansiando come fa la cagna,
        a cui veder li suoi figliuol si neghi.
 
 
  100 E lasciò tutte e sol me per compagna
        seco menòe; e salse tanto ad erto,
        ch'ella pervenne in una gran montagna.
 
 
        Alquanto andammo lí per un deserto:
        alfin venimmo in quel prato fiorito,
  105 ov'ella te di fiori avea coperto.
 
 
        Ella gittossi dov'eri dormito;
        e cominciò a dir con pianto amaro:
        – O dolce sposo mio, dove se' ito?
 
 
        dove se' ora, o mio amico caro?
  110 Oh ti vedessi 'nanti ch'io mi parta,
        da che contra il partir non ho riparo! —
 
 
        Poi ch'ebbe pianto lí ben una quarta
        d'una gross'ora, su in un sasso scrisse
        col dardo suo, come chi scrive in carta.
 
 
  115 E lí lo pose e poi indi partisse;
        e per veder te, credo, mille volte
        giú per la piaggia mirando s'affisse.
 
 
        Iunon le ninfe sue avea raccolte,
        e perché Lippea sola v'era manco,
  120 mandat'avea a trovarla ninfe molte.
 
 
        La piaggia tutta non avea scesa anco,
        che fu trovata e menata a Iunone
        coll'animo ansioso e tanto stanco.
 
 
        Non valse a dir che sdegno era cagione
  125 del suo assentarsi, che creso era piúe
        a Invidia il falso, ch'a lei 'l ver sermone,
 
 
        che non la fêsse dalle ninfe sue
        battere prima, e poscia l'ha mandata
        stretta e legata al monte Olimpo in súe.
 
 
  130 Nel suo partir m'impose esta ambasciata,
        la qual t'ho detta; e disse:
        – Dilli quanto da lui mi parto afflitta e sconsolata. —
 
 
        Tanto negli occhi m'abbondava il pianto,
        quando la driada questo mi proferse,
  135 che non risposi per lo pianger tanto.
 
 
        Ma per le vie tant'aspere e perverse
        con lei andai insino alla pianura,
        ove Lippea di be' fior mi coperse.
 
 
        E ratto corsi a legger la scrittura,
  140 la quale avea scolpita su nel sasso,
        quand'ella fece la partenza dura.
 
 
        Ella dicea: «Perduto ho il bello spasso,
        ch'io avea, vedendo te, o dolce drudo:
        partir conviemmi, ed io il mio cor ti lasso.
 
 
  145 Troppo Cupido a me è stato crudo:
        egli, ch'io non ti veggia, t'ha nascoso,
        e di te m'ha ferito a petto nudo.
 
 
        Fátti con Dio, o mio primaio sposo
        ed ultimo anco: oimè, che non ho spene
  150 di rivederti mai, né aver riposo!
 
 
        Ché quel reame, che Iunon si tiene,
        è alto tanto e posto sí lontano,
        che mai nessun mortal tanto su vene».
 
 
        Letto ch'io ebbi quel tra me pian piano,
  155 volsi alla driada il lacrimoso volto,
        il qual io mi percossi con la mano,
 
 
        dicendo: – Il mio conforto chi l'ha tolto?
        Or dove se', Lippea ninfa mia?
        O dolce amore, in quanto duol se' vòlto!
 
 
  160 Driada, dimmi se c'è modo o via
        o che io la giunga, o s'egli c'è speranza
        ch'io venga ove Iunone ha signoria.
 
 
        – Il correr delle ninfe ogni altro avanza
        – rispose quella; – e 'l regno di dea Iuno
  165 è tanto ad alto ed ha sí gran distanza,
 
 
        che non vi puote andar mortale alcuno. —
        Cosí mi disse e poi si mosse a corsa,
        d'ogni sperar lasciandomi digiuno,
 
 
e se n'andò correndo piú che un'orsa.