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Il Quadriregio

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CAPITOLO XVIII

De' peccati nello Spirito santo, i quali sono opposti alla speranza.

 
        Nel levar sú, ch'io fei, cotanto ardito,
        ché presa forse avíe troppa fidanza
        per quel parlar, che pria aveva udito:
 
 
        – Risguarda ben – mi disse dea Speranza, —
    5 che 'n null'altra virtú si può errar tanto,
        quanto in la spen per troppo o per mancanza;
 
 
        ché la presunzion sta dall'un canto,
        dall'altro estremo sta il disperare,
        ognun peccato in lo Spirito santo.
 
 
   10 Né l'un né l'altro si può perdonare
        in questa vita o nel secol futuro,
        sí come dice a noi 'l divin parlare.
 
 
        E, perché questo passo è molto oscuro,
        se a quel, che or dirò, attento bade,
   15 io tel dichiarerò aperto e puro.
 
 
        Sappi che la clemenzia e la pietade
        allo Spirito santo è attribuita,
        e ch'e' la porge a chi torna a bontade;
 
 
        ché, benché sia la sua pietá infinita,
   20 non la debbe donar, né mai la dona,
        se no' a chi torna dalla via smarrita.
 
 
        Però, s'alcun nel mal far s'abbandona,
        credendo che, peccando, Dio 'l sovvegna,
        cotal presunzion mai si perdona;
 
 
   25 ché colpa non è mai di perdon degna,
        se non si pente; e chi pecca sperando,
        chiude la porta, onde aiuto gli vegna,
 
 
        ché Dio, il qual è giusto, non è blando
        mai alla colpa, ma contra s'adira,
   30 sinché si emenda e torna al suo comando.
 
 
        All'altra estremitá della spen mira,
        che ha quattro spezie, e contra pietá vera
        pecca 'n Colui ch'eternalmente spira.
 
 
        La prima è quando alcun sí persevéra
   35 in far il mal, che tornar a virtude
        o d'emendarse al tutto si dispera.
 
 
        Costui alla pietá la porta chiude
        dello Spirito santo ed a' suoi doni,
        dacché non vuol lassar l'opere crude.
 
 
   40 L'altra è quando non crede che perdoni
        a lui mai Dio, e pel peccato grande
        crede che Dio pietoso l'abbandoni,
 
 
        e non avvien che mai perdon domande.
        Chi si dispera, chiude anco la porta,
   45 ché chi sovvenir vuol, a lui non ande.
 
 
        La terza è 'n chi la ragion è sí torta,
        che loda il mal per bene, e sí gli piace,
        che sé ed altri nel mal far conforta.
 
 
        E, come agli occhi infermi il lume spiace,
   50 cosí a lui vertú; e chiunque l'usa,
        persegue in fatti e con lingua mordace.
 
 
        Costui ancora tien la porta chiusa
        alla pietá; e non ch'egli si penta,
        ma chi torna a vertú biasma ed accusa.
 
 
   55 La quarta spezie è morte violenta
        data a se stesso; ché, mentr'egli more,
        di se medesmo omicida diventa.
 
 
        Or chiunque in altro modo è peccatore
        per ignoranza ovver per impotenza,
   60 fatto il peccato, alquanto n'ha dolore.
 
 
        E dentro nel rimorde coscienza,
        sí ch'ancor serva in sé la via e 'l lume,
        per la qual può tornar a penitenza,
 
 
        e per cui possa intrar il sacro nume
   65 a suaderli ch'a virtú s'induca
        e che lassi ogni vizio e mal costume.
 
 
        E, perché ben la speme in te riluca,
        io la diffinirò chiara ed aperta,
        acciocché dietro a lei tu ti conduca.
 
 
   70 Speranza è un attender fermo e certo
        delle cose celesti ed eternali,
        che vengon per buoni atti e per buon merto.
 
 
        Questa è l'áncora data alli mortali
        fermar dentro al mar la navicella,
   75 mentre è in fortuna tra cotanti mali. —
 
 
        Qui poscia pose fine a sua favella;
        ed io alzai la testa e tenni mente,
        perché lassú udía cosa novella.
 
 
        Io udii voci 'n quella spera ardente
   80 del foco, il qual appresso soprastava,
        e sospir gravi d'una afflitta gente.
 
 
        Ed ella a me: – Lassú si purga e lava
        il satisfar non fatto, e lí è 'l ristoro
        del tepido, commesso in vita prava.
 
 
   85 In quella spera sú sta il purgatoro,
        parte del regno mio: lí sta la Spene,
        e piú lassú che altrove io dimoro.
 
 
        Io son che li conforto tra le pene,
        perché hanno speranza di venire,
   90 quando che sia, all'infinito Bene.
 
 
        Vero è che la lor doglia e 'l gran martíre,
        per buone orazioni e per indolto
        di sante chiavi, si può sobvenire. —
 
 
        Ed io a lei: – Or qui dubito molto;
   95 ché, se 'l peccato sta su nella voglia,
        come senza 'l pentir può esser tolto?
 
 
        Se l'uom non è contrito e non ha doglia,
        avvenga ben che Dio perdonar possa,
        senza 'l pentir giammai non è che 'l toglia.
 
 
  100 Or come, adunque, l'orazione mossa
        laggiú dal mondo fa che perdonato
        sia il vizio qui e l'offesa rimossa? —
 
 
        Ed ella a me: – Due cose ha 'n sé 'l peccato:
        prima è la colpa, ovver deformitá,
  105 cioè far contra il ben da Dio ordinato.
 
 
        E questa colpa è nella volontá,
        la qual, se non si pente per se stessa,
        Dio la può perdonar, ma mai nol fa.
 
 
        E solo questa colpa gli è demessa
  110 al peccator, che corre al sacerdote,
        quando divotamente si confessa.
 
 
        L'altra è la pena e satisfar si puote;
        e questa ancora il peccator, se vuole,
        con la contrizion da sé la scuote;
 
 
  115 ché, quando del peccato egli si duole,
        tanto che contrizion sia tutta piena,
        morendo, allor convien che su al ciel vole.
 
 
        Onde, se ognun come la Maddalena
        satisfacesse, bagnando la faccia,
  120 non sería 'l purgatoro, né sua pena.
 
 
        Ma, quando è alcun, il qual non satisfaccia
        integramente, il prete che l'assolve,
        da colpa e non da pena lo dislaccia.
 
 
        E però 'l peccator che a Dio si volve,
  125 se 'l convertirsi è tardo o freddo o poco,
        nel purgatòr la pena poi persolve.
 
 
        E tanto tempo sta in questo loco,
        quanto ha negletto, se non lo fa brieve
        il papa santo, offerta o iusto invoco. —
 
 
  130 Ed io a lei: – Questo credere è grieve,
        che a chi non satisfece ed è defunto,
        il papa od altra offerta pena liève. —
 
 
        Rispose a questo: – Il membro, ch'è coniunto,
        da suoi coniunti membri è sobvenuto,
  135 quando si duole o quando egli è trapunto.
 
 
        Se questo a' suoi coniunti ha provveduto
        la nobil e magnifica natura,
        cioè che un membro dall'altro abbia aiuto,
 
 
        dacché la grazia è di maggior altura,
  140 che non è ella, e nobil e suprema,
        siccome affirma e prova la Scrittura,
 
 
        ben può supplire alla mesura scema
        del satisfar con quei che son consorti
        in caritá nella partita estrema.
 
 
  145 Cosí li vivi sobvengono a' morti
        con satisfar per lor el pentir lento,
        ché 'l tempo d'ire al cielo a lor s'accorti.
 
 
        Per questo il Maccabeo mandò l'argento
        e fece al tempio offerta e nobil dono
  150 per lo esercito suo, di vita spento.
 
 
        Adunque è santo, pio, salubre e buono
        pregar pe' morti; e pel prego concede
        a lor del satisfare Dio 'l perdono.
 
 
        E, quando Cristo a Pier le chiavi diede
  155 d'aprire e di serrare, e capo el fece
        di tutti i membri uniti in santa fede,
 
 
        il ben, che i membri fanno, ed ogni prece
        commise a lui, e può participarlo
        ed applicarlo a chi non satisfece.
 
 
  160 Il ben participato, di cui parlo,
        non però a chi l'ha fatto, s'amminora,
        né papa a lui porría giammai levarlo;
 
 
        sicché, quand'un digiuna ovver che ora
        per quei che son in purgatòr puniti,
  165 fa prode a lui ed a coloro ancora.
 
 
        E, dacché li purgati sonno uniti
        in grazia con noi e sonno in via,
        perché a lor patria ancor non son saliti,
 
 
        il papa, ch'esti beni ha 'n sua balía,
  170 del ben universal della sua greggia
        ne può far parte a lor e cortesia.
 
 
        Ed ogni capo, ch'alcun corpo reggia,
        del merito de' membri, ch'e' governa,
        ne può far parte, pur che altri el chieggia,
 
 
175 in quanto sia accetto, in vita eterna. —
 

CAPITOLO XIX

Come la Speranza conduce l'autore a parlare con la Caritá.

 
        Come la Fede la santa speranza
        mi demostrò, cosí poscia la Spene
        la caritá, ch'ogni vertude avanza.
 
 
        Considerai che Dio è sommo bene,
    5 e che da lui ogni altro ben deriva
        prima ne' cieli, e poscia in terra vène.
 
 
        Considerai che me fe' cosa viva,
        poi animal, e poi mi diede in dono
        libero arbitrio e vertú intellettiva.
 
 
   10 E ciò, che s'ama, s'ama in quanto e buono;
        ed egli è 'l Ben supremo e sí cortese,
        ch'ogni pentir in lui trova il perdono.
 
 
        Questo di tanto amore il cor m'accese,
        che fe' di piombo ogni aurato dardo,
   15 che mai Cupido folle in me distese.
 
 
        Allor inverso il ciel alzai lo sguardo,
        e venne un raggio a me dal primo Amore,
        che tanto mi scaldò, che ancora io ardo.
 
 
        Ond'io gridai: – O alto Dio Signore,
   20 che render posso a tanti benefici,
        se non ch'io ami te con tutto il core?
 
 
        Era niente, ed alli ben felici
        tu mi creasti; e, mentre servo io era,
        per grazia, mi facesti de' tuo' amici. —
 
 
   25 Quando questo dicea, di luce vera
        resperso fui; ond'io mirai piú fiso,
        per veder onde uscia quella lumiera.
 
 
        E donna vidi dentro al paradiso
        bella e lucente tanto quanto il sole,
   30 se non che piú acceso aveva il viso.
 
 
        E, come aquila fa 'nanti che vole,
        che mira in alto prima che giú vegna
        inver' la preda, che prendere vòle,
 
 
        cosí scese ella e disse a me benegna:
   35 – Del purgatòr convien che 'l foco passi,
        anzi che venghi ove per me si regna. —
 
 
        Li polsi miei, giá faticati e lassi,
        se sgomentóro un poco a tanta impresa;
        ond'io per questo un gran sospir fuor trassi.
 
 
   40 Ma, dacché Muzio nella fiamma accesa
        spontaneamente porse quella mano,
        ch'a dare il colpo avea commessa offesa,
 
 
        e dacché sol per un onor mundano
        Pompeo il dito s'arse dentro al foco,
   45 a mostrar forte a non aprir l'arcano;
 
 
        come temenza in me potea aver loco
        con Spene e Caritá, che ogni amaro
        fanno esser dolce e fannol parer poco?
 
 
        Però, mostrando il viso allegro e chiaro,
   50 risposi: – Io venir voglio, e, con voi due,
        star dentro al purgatoro a me fia caro.
 
 
        Come Abacuc insú levato fue,
        quando soccorse a Daniel profeta,
        cosí allora io fui levato insue.
 
 
   55 E fui nel purgatoro; e grande pièta
        d'anime vidi in quelle fiamme ardenti,
        che tra' martíri avean sembianza lieta;
 
 
        ché, benché fusson tra li gran tormenti,
        la speranza addolcisce in lor la pena,
   60 ché speran ire alle beate genti.
 
 
        – Ave, Maria di grazia piena
        – cantavan molti dentro della fiamma, —
        Dominus tecum, o stella serena.
 
 
        Soccorri tosto, o dolce nostra mamma,
   65 ed a pietá ver' noi il Signor piega
        per quello amor, che te di lui infiamma.
 
 
        Quando, o Regina, la tua voce priega,
        nel cospetto di Dio è tanto accetta,
        che nulla a tua domanda mai si niega.
 
 
   70 O donna sopra ogni altra benedetta,
        fa' ch'a noi venga il benedetto Frutto,
        che con tanto disio da noi s'aspetta. —
 
 
        Io stava ad ascoltar, attento tutto,
        le lor parole e le piatose note,
   75 mostranti insieme l'allegrezza e 'l lutto.
 
 
        E parte ancor dell'anime divote
        a coro a cor dicíen le letanie
        con pianto tal, che mi bagnò le gote.
 
 
        Ed alcun gl'inni, alcun le psalmodie,
   80 alcuni il Deprofundo e 'l Miserere
        dicíen con pianti e dolci melodie.
 
 
        Poi un gridò: – Oh! venite a vedere
        un, che 'nsú sale ed ha viva persona:
        e' dentr'al foco ha le sue membra intiere. —
 
 
   85 Come a messaggio, c'ha novella bona,
        corre la gente ed ognuno el domanda,
        ed ei risponde alquanto e non ragiona;
 
 
        cosí corríeno a me da ogni banda
        spiriti eletti quivi a farsi belli,
   90 sin ch'a felice stato Dio li manda.
 
 
        – Noi ti preghiam – dicíen – che ne favelli;
        dacché tu sei colle benigne scorte,
        non hai timor sentir nostri fragelli.
 
 
        Se tu non hai gustata ancor la morte,
   95 dinne se ancor al mondo tornerai,
        acciò che lá di noi novella porte. —
 
 
        La Spene e Caritá addomandai
        se volíen ch'io parlasse, ed assentîro:
        ond'io mi volsi a loro e m'arrestai.
 
 
  100 E vidi li tre, posti a gran martiro,
        che dentro al foco portavan gran some
        con grande ansietá e gran sospiro.
 
 
        Il primo addomandai come avea nome,
        e che dicesse a me degli altri doi,
  105 e delle some loro il perché e 'l come.
 
 
        In prima sospirò, e disse poi:
        – Io fui il padre di questo secondo,
        ed egli al terzo, ed io avo gli foi.
 
 
        Si come spesso avvien del mortal mondo,
  110 che l'uno all'altro la gran soma lassa
        de' mal tolletti e frode il carco e 'l pondo,
 
 
        in quella vita che, morendo, passa,
        io lassa' al figlio e 'l figlio all'altro ancora,
        che si rendesse il mal riposto in cassa,
 
 
  115 ed egli all'altro che 'n vita dimora;
        e 'l pronepote mio non ce n'aita,
        si che una soma giá tre n'addolora.
 
 
        Ahi, quanto è saggio chiunque in sana vita
        provvede a questo e fa con Dio ragione,
  120 e non l'indugia infino alla partita!
 
 
        Ché far non pò la satisfazione,
        e spesso a satisfar il mal ablato
        un altro erede rubator ci pone.
 
 
        Sabello nella vita fui chiamato,
  125 e fui di Roma, e 'l mio figliol fu Carlo,
        e Lelio è 'l mio nipote, che gli è a lato.
 
 
        – Dacché concesso m'è che io ti parlo
        – diss'io a lui, – un dubbio, in che m'hai messo,
        dechiara a me, se tu sai dechiararlo.
 
 
  130 Se fu a tuo figlio il satisfar concesso,
        perché 'l peccato suo in te redonda,
        s'egli ha negletto quel che gli hai commesso? —
 
 
        Ed egli a me: – Se vuoi ch'io ti risponda,
        sappi che 'l pentir tardo, freddo e lento
  135 e 'l non ben satisfatto qui si monda.
 
 
        E, se alcuno avesse il pentimento,
        come il ladron, che 'n croce si pentéo,
        senz'altra pena al ciel andría contento;
 
 
        ché chi, come san Pietro e san Matteo,
  140 in vita o nello estremo ben si pente,
        prima vorría morir ch'esser piú reo.
 
 
        Ma questo ben pentir, se tu pon' mente,
        è raro sí, quanto sería a rispetto
        all'assai 'l poco, ch'è quasi niente.
 
 
  145 E cosí 'l mio pentir non fu perfetto,
        ch'io 'l tardai e del mal far m'accorse,
        quand'era per morir su nel mio letto.
 
 
        E, s'io fusse guarito, sarei forse
        tornato al mal di prima o, come 'l figlio,
  150 a satisfar arei chiuse le borse:
 
 
        siccome chi sta in mare a gran periglio,
        che fa gran voti e par tutto contrito
        e dassi al petto ed al ciel alza il ciglio;
 
 
        e, quando il tempo turbo s'è partito,
  155 ovver ch'egli è disceso fuor del mare,
        muta proposto e muta l'appetito.
 
 
        Pel freddo pentimento e pel tardare
        e perché 'l satisfar lascia' a costoro,
        allor che meco io nol potea portare,
 
 
  160 tanto starò in questo purgatoro,
        che satisfatto sia, se 'l ben comuno,
        che fa la Chiesa, non mi dá adiutoro.
 
 
        Di quelle messe e preci ha qui ognuno
        la parte sua, come dá 'l corpo il cibo
  165 a' membri suoi, e piú al piú digiuno. —
 
 
E poscia vidi ciò che ora scribo.
 

CAPITOLO XX

Dove trattasi piú distintamente del purgatorio, e si risolvono certi dubbi.

 
 
        Io vidi poscia alquanti in purgatoro
        cantar nel foco: —Expectans expectavi, —
        a verso a verso, come si fa 'n coro.
 
 
        Ed alcun'altri con voci soavi
    5 dicean anco, cantando: – O Agnus Dei,
        che i peccati del mondo purghi e lavi! —
 
 
        E —Verba mea– e —Miserere mei
        – diceano molti con sí duro pianto,
        che a lacrimar condusson gli occhi miei.
 
 
   10 E, poscia che silenzio fenno alquanto,
        agnoli vidi su dal ciel venire
        con allegrezza e festa e dolce canto.
 
 
        E, giunti quivi, un cominciò a dire:
        – D'este pene esci fuori, o Pier Farnese,
   15 ché Dio ha posto fine al tuo martíre. —
 
 
        E quel, ch'egli chiamò, ratto s'accese
        di luce chiara e tanto benedecta,
        che dal fuoco e da incendio lo difese.
 
 
        E cominciò a cantar: —O quam dilecta   
   20 tabernacula tua, o Dio Signore!
        Beato chi 'n te spera e chi t'aspecta! —
 
 
        E l'agnol disse: – Da questo dolore
        Ugolin d'Ancaran ora ti slega,
        e d'esto purgatòr ti cava fòre.
 
 
   25 Ogni volta ch'egli òra, per te priega:
        il digiunar e 'l lacrimar, che ha fatto,
        ha mosso Dio, che a pietá si piega.
 
 
        E prete Bonzo ha per te satisfatto
        el dever tuo, ed ito tre viaggi;
   30 e le sue messe ancor ti tran piú ratto. —
 
 
        Resperso tutto di celesti raggi,
        con quegli angeli insieme in ciel sen gío
        al Ben supremo e sempiterni gaggi.
 
 
        E prete Bonzo ben conosceva io
   35 per peccatore; e però ammirai
        che Dio esaudisse un cosí rio.
 
 
        Per questo la Speranza domandai:
        – Come chi 'n caritá non è fundato,
        può satisfar per queste pene e guai? —
 
 
   40 Ed ella a me: – Tu sai ben che 'l peccato
        è fare o ir contra divina voglia:
        però giammai a Dio pò esser grato.
 
 
        Come che pianta mai frutto né foglia
        potrebbe far, remossa la radice,
   45 cosí chiunque è che caritá si spoglia.
 
 
        E, se fa ben alcuno ovver che 'l dice,
        giovar li pò al ben, ch'è temporale,
        ma non mai all'eterno ovver felice.
 
 
        E, quando alcuno, ch'è in pecca' mortale,
   50 prega per quel ch'è 'n caritá unito,
        a quello, per cui prega, giova e vale;
 
 
        ché non per sé da Dio è esaudito,
        ma per colui che prega e satisface,
        che giá è eletto all'eterno convito;
 
 
   55 ché spesse volte il messo, che dispiace,
        si esaudisce per colui che 'l manda,
        o perch'e' chiede cosa ch'altrui piace.
 
 
        E spesse volte la buona vivanda,
        perché all'infermo si darebbe invano,
   60 negata gli è, quand'egli la domanda;
 
 
        la qual, se fusse data a chi è sano,
        ed ei la prenda, el robora e conforta
        in tutti i membri del suo corpo umano.
 
 
        Ad alcun anco, in cui caritá è morta,
   65 del ben, che fa, gli avviene ex consequente
        che 'l premio eterno e felice ne porta;
 
 
        ché, quando egli òra o dona all'indigente,
        prega per lui, e la somma Piatade
        spesso per questo gl'illustra la mente,
 
 
   70 sí ch'ei torna a vertú ed a bontade:
        ond'io conchiudo ch'atto virtuoso
        innanzi a Dio giammai in fallo cade.
 
 
        – Se tu pervegni al superno riposo
        – un disse a me, – innanzi che tu monti,
   75 star meco alquanto non ti sia noioso.
 
 
        Se vuoi che 'l nome mio pria ti racconti
        e la freddezza mia, la qual io mondo
        e che, penando, qui convien ch'io sconti,
 
 
        Toso Benigno fui detto nel mondo:
   80 fui piacentino, e da me fu commesso
        ad un per me di satisfar il pondo.
 
 
        Romper la fede a Dio è 'l primo eccesso,
        e poscia al morto, il qual, quando decede,
        lascia il suo successor quasi un se stesso.
 
 
   85 Cosí un mio compagno io lassa' erede:
        e' di quel ch'io volea, niente fece,
        sí come spesso fa chiunque succede.
 
 
        Però ti prego, se tornar ti lece,
        che dichi al fratel mio che satisfaccia
   90 e che per me vada a Roma in mia vece. —
 
 
        Risposi a lui: – Ciò, che vorrai ch'io faccia,
        el farò volentier; ma resta un poco,
        ed a me un punto dichiarar ti piaccia.
 
 
        Io lessi giá che sta in altro loco
   95 il purgatoro e ch'è parte d'inferno;
        ed ora el veggio qui tra questo foco. —
 
 
        Ed egli a me: – Colui, che 'n sempiterno
        mai non si muta ed ogni cosa move
        e tutto l'universo ha 'n suo governo,
 
 
  100 ha qui il purgatoro ed anco altrove,
        e nell'inferno puote dar gran festa
        e fare il paradiso in ogni dove.
 
 
        Basta che qui a te si manifesta
        che cosa è 'l purgatoro e che 'l fece anco
  105 prima Iustizia, ovver prima Maièsta,
 
 
        e che lí si ristora ciò che ha manco
        la penitenzia, e che nullo va al cielo,
        se prima non si purga e fassi bianco.
 
 
        Ricòrdite dell'alma, che nel gielo
  110 al vescovo gridò: – Io son qui messa
        sol per purgarmi, e questo ti rivelo:
 
 
        ch'un mese vogli dir per me la messa,
        ché cosí spero uscir di questo ghiaccio,
        e che indulgenza mi será concessa. —
 
 
  115 Ricòrdite il pastor quant'ebbe impaccio
        nel dir le messe, e come Paulino
        giá si purgò, e molti di quai taccio. —
 
 
        Giá le mie scorte avean preso il cammino
        su verso il ciel tra l'anime, che stanno
  120 nel foco, come argento a farsi fino,
 
 
        ed allo 'ndugio ed alle pene, c'hanno,
        con lacrime chiedean mercé da nui,
        ricordando l'arsura e 'l loro affanno.
 
 
        E, quando presso al cielo io giunto fui,
  125 sentii maggior l'incendio; e per riparo
        le scorte mie m'abbracciâro amendui,
 
 
        ché 'l foco lí è piú attivo e chiaro,
        e, perché tocca il cielo, in giú reflette:
        però 'l caldo raddoppia ed è piú amaro.
 
 
  130 Quelle parti del ciel son sí perfette,
        che non temono arsura ed han vantaggio
        a trasmutazion non star subiette.
 
 
        Non so in qual modo, né per qual viaggio,
        mi trova' intrato nel ciel della luna,
  135 assai 'n men tempo che detto non l'aggio.
 
 
        E di due scorte meco era sol una,
        cioè la Caritá, che risplendea
        sí, che ogni luce arebbe fatta bruna.
 
 
        E questa dolce guida ed alma dea
  140 disse: – Alla quinta essenza io t'ho condotto
        dall'altra trasmutabile e sí rea.
 
 
        Ciò che sta a questo ciel laggiú di sotto,
        subiace al tempo e convien vada e vegna
        in non niente ed in stato corrotto. —
 
 
  145 E poi soggiunse quella dea benegna:
        – 'Nanti che trascorriam noi questi cieli
        ed ogni intelligenza che qui regna,
 
 
        conviene che il mio offizio ti disveli,
        acciò che, quando torni tra' mortali,
  150 gli atti miei lor insegni e lor riveli. —
 
 
        Risposi: – O sacra dea, tra tanti mali
        per veder le vertudi io son venuto;
        e tu a salire qui m'hai dato l'ali.
 
 
        Però te invoco ed a te chiedo aiuto,
  155 che tu m'insegni te, sicché, allora
        ch'al mondo narrerò ciò c'ho veduto,
 
 
        del regno tuo io possa dir ancora;
        e che vertú in tanto è vertuosa,
        in quanto amor la 'nforma ed avvalora:
 
 
  160 non amor di Cupido o d'util cosa,
        ma quel, che 'l sommo Ben ferma per segno,
        e fa l'anima a Dio fedele sposa,
 
 
sí ch'ogni amor, ch'è fuor di lui, ha a sdegno. —