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La favorita del Mahdi

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CAPITOLO IV. Nel mezzo di un bosco

Quando Abd-el-Kerim giunse agli avamposti il sole cominciava a far capolino fra le gigantesche foreste del Nilo e il campo a svegliarsi. Qua e là, dalle tende, uscivano soldati sbadigliando e stiracchiandosi le membra intorpidite; alcuni si affacendavano a pulire o a insellare i loro briosi cavalli che caracollavano nitrendo; altri alzavano i mahari o i cammelli conducendoli ai pozzi per abbeverarli, e altri ancora accendevano i fuochi pel rancio del mattino, o portavano legne, o portavano paglia, o facevano un po’ di pulizia, o lucidavano i fucili, gli jatagan o le daghe, o i cannoni. Dappertutto vedevansi ufficiali andare e venire, scintillanti per gli ori, affannarsi a portare o a dare ordini, a cambiare le sentinelle, a radunare le compagnie per farle manovrare; dappertutto udivasi un cicaleggio allegro, canzoni monotone e cadenzate, voci che salmodiavano i versetti del Corano accompagnate dalla voce nasale dei muezzin d’Hossanieh che percorrevano il campo, e ragli d’asini, e nitriti di cavalli e muggiti di buoi.

Abd-el-Kerim, colla faccia aggrondata, pensieroso, taciturno, attraversò la triplice fila di tende e andò a sedersi vicino alla sua, su di un tronco di palmizio atterrato, prendendosi la testa fra le mani.

Il povero arabo sentivasi tutto scombussolato dagli avvenimenti della notte e come ammalato. Una terribile lotta fervevagli nel cuore, lotta gigantesca nella quale si cozzavano furiosamente due passioni egualmente grandi: l’amore per la bella Elenka alla quale gli aveva giurato fedeltà e l’amore per Fathma, l’incomparabile creatura dagli occhi di fuoco che l’aveva suo malgrado affascinato.

Egli trovavasi per così dire equilibrato fra due abissi in uno dei quali tendeva le braccia la greca e nell’altro l’araba, due abissi che sì l’uno che l’altro l’attiravano, due abissi che gli mettevano le vertigini entrambi.

Aveva un bel dire che a Elenka aveva promesso la sua mano, aveva un bel dire che Elenka aveva gli occhi neri e pieni di fuoco, che Elenka era bella, che Elenka era incomparabile, divina, ma non riusciva a scacciare nè a eclissare dalla sua mente le fiera figura dell’almea, nè sapeva cancellare, nè estirpare quegli occhi che in certo qual modo erano impressi vivamente nel suo cuore o che lo tormentavano come fossero due carboni accesi collocati sulle sue carni.

Invano cercava di frapporre fra sè e l’almea delle tenebre, invano ritorceva i suoi sguardi portandoli su Elenka, invano mormorava il caro nome della greca, invano sforzavasi di frenare i tumultuosi battiti del suo cuore, invano richiamava alla mente le sinistre e minacciose parole di Notis. Egli vedevasi sempre dinanzi la superba immagine dell’almea col fucile in mano, come l’aveva veduta in mezzo alla pianura puntare calma e terribile il leone che volteggiavale d’intorno; parevagli di sentirsela ancora fra le braccia col capo appoggiato dolcemente al suo petto, trasportato sul dorso del veloce mahari coi capelli neri e profumati attorcigliati al collo; parevagli di ascoltare il debole suo respiro, il battere del suo cuoricino, il fremito delle sue membra, e provava emozioni violente, sconosciute, ignote, voluttuose, e sentivasi il sangue turbinare più rapido nelle vene, un fuoco strano accendersegli nel petto, fuoco che mettevagli la febbre indosso, fuoco che prendeva proporzioni gigantesche, che divorava e la memoria di Elenka e quella di Notis.

Fathma! Fathma! mormorò egli sospirando. Tu hai fatto nascere nel mio cuore una passione che cancellerà quella della povera Elenka! Una passione che mi mette paura, una passione che mi fa tremare!…

Si levò dal tronco d’albero girando uno sguardo indagatore sul campo come se cercasse di scoprire colei che avevagli acceso in petto una scintilla d’un amore sconfinato. I suoi occhi si fissarono su d’un uomo, un capitano dei basci-bozuk, che lo guardava sorridendo quasi beffardamente.

Olà, che diamine te fai qui, solo soletto e pensieroso, gli chiese il capitano, incrociando le braccia sul petto con aria comica. È un bel pezzo che sono qui a guardarti, curioso di sapere come l’avresti finita.

Ah! Sei tu, Hassarn? disse Abd-el-Kerim, ricomponendo la faccia tetra.

In carne e in ossa, amico mio, rispose il capitano.

Che vuoi da me?

Che m’accompagni alle foreste del Bahr-el-Abiad per far ritornare quella compagnia di basci-bozuk, che abbiamo lasciato in un zeribak. Sono stati segnalati dei ribelli, e non vorrei che quei poveri diavoli venissero qualche notte massacrati.

Ah!… Sono con te, Hassarn.

Prendi la tua carabina e affrettiamoci a metterci in cammino. Viaggiare di notte in simili tempi non è prudente.

Abd-el-Kerim esitò, poi raccolse la carabina che aveva posata sulla palma e seguì senza dir sillaba Hassarn, che si era già messo in cammino. Si fermò venti volte prima di uscire dal campo, ora guardando il villaggio d’Hossanieh e precisamente la casupola di Fathma e ora la tenda del greco ermeticamente chiusa.

Il capitano dei basci-bozuk prese un sentiero aperto in mezzo a un campo di dùrah che conduceva alle grandi foreste del Bahr-el Abiad; Abd-el-Kerim gli si mise dietro, ma senza quasi sapere ove andasse e col pensiero fisso a tutt’altra cosa che alla compagnia dei basci-bozuk.

Ehi! Abd-el-Kerim, gli chiese Hassarn, dopo qualche tratto di cammino. Che diavolo hai che sei muto più d’un pesce?

Nulla, rispose l’interpellato seccamente.

Penseresti per caso, a quella bella ragazza che hai condotta questa notte nel campo?

Abd-el-Kerim trasalì e lo guardò sorpreso.

Come sai tu questo?

Bah! fe’ Hassarn, alzando un braccio come uomo che la sa lunga. Credi tu che escano ed entrino nel campo persone senza che io lo sappia? Ti dirò che tu sei arrivato in compagnia di Notis e che la bella almea riposava fra le tue braccia. Dove sei andato a pescare quella urì?

La trovai venendo da Machmudiech, nel momento che un leone stava per assalirla. Perdette lo schiavo e il cammello, perciò la feci salire sul mio.

Sulle tue braccia, corresse maliziosamente Hassarn.

Come vuoi.

E tu uccidesti il leone?

Puoi immaginartelo.

Sfido io! Si trattava di far vedere la propria valentìa dinanzi a Fathma.

Fathma? La conosci forse tu?

E da molto tempo, Abd-el-Kerim.

Chi è? da dove viene? Dove va?

Corri come i miracoli di Mohammed. Ti dirò innanzi a tutto che è un’almea dagli occhi che paiono diamanti neri, dai piedi lunghi come un petalo di rosa e che ha le mani più piccole di una urì del Profeta.

Lo so, e poi?

E poi non ne so di più. Ti interessa molto quell’adorabile creatura?

Molto, rispose Abd-el-Kerim con slancio appassionato.

Oh! esclamò Hassarn. Avresti per caso dimenticata la bella Elenka?

Non parlarmi di lei, Hassarn.

Bada, che Elenka è una iena.

Ed io un leone! rispose fieramente l’arabo.

Il capitano gli si avvicinò e ponendogli amichevolmente una mano su di una spalla:

Abd-el-Kerim, disse. Tu questa notte hai avuto di che dire con Notis.

Mi spiasti, Hassarn?

Il campo ha orecchi e occhi. Se non vuoi dirmelo tu, ti dirò che ronzavate tutti e due attorno a una casupola e che questa casupola era l’abitazione di Fathma, poichè fu vista entrare. Sareste rivali?

Abd-el-Kerim non rispose. Egli era diventato improvvisamente cupo.

Non rispondi, ma leggo nel tuo cuore come legge il Profeta e forse più, Abd-el-Kerim.

E che leggi?

Amore, amore e amore per…

Per chi?

Per Allah! Amore per Fathma!

Zitto imprudente, mormorò l’arabo guardandosi sospettosamente attorno.

Confessi adunque che io lessi giusto.

Non posso negarlo. Amo Fathma.

Ed Elenka? E Notis?…

Cancello l’una e aborro il secondo che minaccia diventare mio rivale!

L’arabo fece un gesto di spavento. Avrebbe voluto riafferrare e ricacciare in gola quelle parole uscitegli imprudentemente dalle labbra. Sentì una fitta al cuore; chinò il capo sul petto e sospirò.

Povero Abd-el-Kerim! esclamò Hassarn.

Non compiangermi!… Ah!.... Se tu sapessi qual lotta ferve nel mio cuore! disse ferocemente l’arabo. Quale mai delle due?

Tu pensi ancora ad Elenka, adunque?

Forse. Non so, per quanto mi sforzi, non riesco a cancellarla totalmente. L’ho sempre dinanzi agli occhi, bella, divina.... Eppur non l’amo!

D’un tratto si arrestò, afferrando bruscamente la carabina. Erano allora arrivati sul limitare della grande foresta che si estendeva a perdita d’occhio dal sud al nord, seguendo il tortuoso corso del Bahr-el-Abiad.

Che hai? gli chiese Hassarn, armando per ogni precauzione una pistola.

Abd-el-Kerim si guardò d’attorno con circospezione, figgendo l’acuto suo sguardo sotto gli alberi che strettamente uniti toglievano quasi la vista.

Mi sembrò d’aver udito un fruscio fra i cespugli, disse poi.

Sarà stato qualche scimiotto. Tu sai che in queste foreste abbondano.

Che ci sia qualche spia?

Potrebbe darsi. Il Mahdi ha della gente coraggiosa, che non ha paura di avvicinarsi agli accampamenti egiziani.

L’arabo fece cenno al capitano di tirar innanzi, continuando a guardarsi d’attorno e aprendo con precauzione i cespugli. Dopo dieci minuti essi giunsero ad una specie di zeribak, nell’interno della quale stava accampata una compagnia di basci-bozuk a piedi.

 

Il sergente che la comandava si fece loro incontro.

Che nuove? chiese Hassarn.

Nessuna, rispose il sergente. I ribelli fino ad ora non si sono spinti fin qui ma.... non avete incontrato nessuno? Ho veduto....

Chi? domandò Abd-el-Kerim.

Una apparizione.

Spiegati per Allàh! esclamò Hassarn, mosso in curiosità.

Che so io? Ho veduto passare un fantasma, vestito stranamente, e che potrebbe darsi che fosse un ribelle. È passato or ora a cento passi da qui.

Oh! oh! fe’ Hassarn. Chi può essere mai? Abd-el-Kerim, sei in vena di accompagnarmi, intanto che i basci-bozuk fanno i bagagli?

Ho la mia carabina e ciò basta. Ti seguirò fino al deserto di Korosko, se tu lo vuoi.

Basta così. Tu sergente fa levare il campo e se non ci vedi tornare, incamminati per Hossanieh. Potrebbe darsi che noi tardassimo assai e che prendessimo un’altra via.

Arabo e turco volsero le spalle alla zeribak, internandosi nella foresta, seguendo un sentieruzzo appena visibile pel quale era passato il fantasma. Avevano tutte e due le ali ai piedi come se si trattasse di inseguire qualche persona più che importante.

Chi può essere mai questo fantasma, si chiedeva Hassarn. Che sia qualche capo di ribelli?

In quell’istante Abd-el-Kerim, che camminava innanzi, tornò ad arrestarsi, urtando bruscamente il turco che gli veniva dietro.

Fermati, per mille demoni! esclamò egli con voce alterata.

Che hai veduto? chiese Hassarn sorpreso.

Zitto!…

In lontananza si udiva il suono del tamburello che l’eco delle foreste ripeteva distintamente. Abd-el-Kerim impallidì come un cadavere.

Odi Hassarn? domandò egli con un filo di voce.

Sì, che odo. Deve essere qualche arabo che suona il tamburello.

No, non è un arabo! esclamò vivamente Abd-el-Kerim.

Come lo sai tu?

È una donna, io l’ho udito ancora questo tamburello, disse l’arabo con maggior animazione.

Per Allàh! Andiamo a vedere, Abd-el-Kerim.

L’arabo lo afferrò vigorosamente per le braccia e lo tenne fermo.

Tu non sai di quale donna io intenda parlare, gli disse.

Parla di quella che vuoi, io vado innanzi.

Quella che suona è Fathma!....

Il turco lasciò sfuggire una esclamazione di sorpresa.

Hassarn, continuò Abd-el-Kerim, lasciami solo. Tu non puoi essere testimone a quello che io dirò all’almea.

Tu sei pazzo. Io voglio vedere Fathma.

Hassarn, tu non lo farai, disse recisamente l’arabo.

Ma disgraziato, e non pensi che sei promesso a Elenka.

Io spezzo il nodo e mi getto corpo e anima fra le braccia di Fathma. Ho il sangue che mi brucia le vene e il cuore che batte per l’almea. Lasciami solo.

Il turco lo guardò con compassione.

Tu ti perdi, Abd-el-Kerim, gli disse con dolce rimprovero. Fa come vuoi; io ti aspetterò ai piedi delle colline sabbiose.

L’arabo chinò il capo sul petto; poi rialzandolo con gesto risoluto:

Vo’ gettar la mia vita ai piedi di Fathma, disse e si allontanò a rapidi passi, dirigendosi verso il luogo ove risuonava il tamburello.

Aveva la testa in fiamme e il cuore battevagli precipitosamente; parevagli di essere ubbriaco e camminava quasi senza volerlo, meccanicamente, attirato da quel suono come il serpente viene attirato dal flauto dell’incantatore.

In breve tempo giunse in una vasta radura contornata da maestosi tamarindi sulle cui cime strillavano numerosi scimmiotti. Egli si fermò frenando a grande stento un grido di gioia.

Là, sulle rive di un ampio stagno cosparso di grandi foglie di loto sacro, se ne stava ritta l’almea col tamburello in mano, i capelli neri sciolti sulle spalle e una bianca farda gettata pittorescamente su di un braccio. Vista così, sotto una pioggia di raggi solari che si riflettevano sui monili e sui braccialetti d’oro che le cingevano il collo e le nude braccia, la si sarebbe presa per una apparizione celeste, per una urì del paradiso di Mohammed il profeta.

Abd-el-Kerim sentì mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S’arrestò a pochi passi dall’almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti.

Fathma!… Fathma! mormorò con voce tremante.

L’almea si volse verso di lui.

CAPITOLO V. Il Rapitore

Nel vedersi dinanzi Abd-el-Kerim, immobile come una statua, coi lineamenti sconvolti e le mani tese con gesto supplichevole, Fathma non potè trattenere un movimento di sorpresa. Ella lo guardò fisso coi suoi grandi e neri occhioni, che magnetizzavano e che penetravano fino al fondo dei cuori, senza dir sillaba.

Fathma, ripetè l’arabo, scuotendosi e dando alla sua voce un tono commosso.

L’almea gli si avvicinò, guardandolo come con curiosità.

Che fai tu qui? diss’ella di poi,

Mi riconosci bella fanciulla?

Non dimentico mai chi mi salvò con pericolo della propria vita. Non sei tu quell’arabo che mi raccolse nella pianura dopo aver ucciso il leone che mi assaliva?

Quello stesso, Fathma.

Fra loro due successe un breve silenzio, durante il quale si guardarono ancor più fissamente.

Che vuoi da me? chiese alfin l’almea, rompendo quel silenzio che diventava imbarazzante.

Sai dove ti trovi?

Nelle foreste del Bahr-el-Abiad. E che vuol dir ciò?

Sai che vi sono dei ribelli nascosti in questi dintorni?

Fathma sorrise sdegnosamente e mostrandogli un pugnaletto che teneva infisso nella sua râhad (cintura) dorata:

Non ho paura, gli disse con fierezza.

Ti potrebbero rapire.

E che male ci sarebbe? Rapirebbero una povera almea.

Ma io piangerei la tua perdita, disse l’arabo con iscoppio appassionato.

I grandi occhi di Fathma si dilatarono e le sue labbra s’apersero ad un sorriso indefinibile. Ella si avvicinò vieppiù all’arabo, tanto che l’ardente suo alito gli sfiorò il volto. Abd-el-Kerim tese le braccia innanzi come per afferrarla, ma si frenò e senza volerlo fece un passo indietro.

Ah! diss’ella, quasi ironicamente, ti dorrebbe il non vedermi più?

Sì, Fathma, te lo giuro!.... Proverei del dolore e più di quello che tu credi!…

E perchè? chiese l’almea freddamente.

L’arabo ammutolì e la sua fronte s’abbuiò. Non seppe cosa rispondere.

Che t’importa se io avessi a scomparire? continuò Fathma. E poi, credi tu che io rimanga sempre in Hossanieh? Mi libro come l’aquila e mi poso or qua or là a seconda che mi spinge o il capriccio o la follìa.

Ma tu non puoi lasciare così Hossanieh, dopo esserti fatta vedere.

E chi me lo impedirebbe?…

Fathma!… Fathma! esclamò Abd-el-Kerim. Tu sei bella, più bella di El....

L’imprudente rattenne a tempo il nome di Elenka che stava per uscirgli dalle labbra. L’almea aggrottò la fronte e le sue mani si contrassero, chiudendosi: un lampo cupo balenò nei suoi occhi, un vero lampo d’ira.

Di chi?… chiese ella vivamente. Di chi?…

Di tutte le donne che io vidi in vita mia, si affrettò a soggiungere l’arabo. Sì, tu sei bella Fathma, e tanto bella che mi riesce impossibile cancellarti dal mio cuore, tanto bella che ne sono affascinato.

Follie, amico mio, follie.

Fathma, ti giuro su Allàh che tu mi hai toccato il cuore, continuò Abd-el-Kerim con crescente passione. Io ti ho veduta e mi sono sentito scuotere tutte le fibre dell’anima; ti ho sostenuta fra le mie braccia, e ho sentito il sangue accendersi nelle mie vene. Ovunque volga lo sguardo non vedo che i tuoi occhi più fulgidi delle stelle e il tuo volto più bello delle urì del paradiso del Profeta; ovunque tenda l’orecchio non odo che la tua voce incantevole, quella che udii laggiù, a Machmudiech, la prima volta che ebbi la fortuna d’incontrarti! Fathma, tu sei bella, tu sei sublime e io ti amo!… ti amo!… sono tuo schiavo!…

Abd-el-Kerim era caduto in ginocchio e la guardava con due occhi che mandavano fiamme. Un urlo strozzato, furioso, partito fra gli alberi, lo fece saltar in piedi. Un freddo sudore gli bagnò la fronte.

Chi è la? domandò egli con voce rotta. Fathma che aveva ascoltata la confessione dell’arabo senza battere ciglio, nell’udire quell’urlo erasi voltata come una iena, col pugnale in mano.

Chi ci spia? chiese ella rivolgendosi all’arabo.

L’ignoro, rispose Abd-el-Kerim, armando la carabina.

Fra i cespugli si operò un movimento brusco, un corpo nerastro si slanciò dai rami di un gran tamarindo e cadde in mezzo alle erbe allontanandosi con rapidità fulminea. Abd-el-Kerim fece fuoco.

Nessun grido tenne dietro alla rumorosa detonazione della carabina; l’arabo fece atto di slanciarsi dietro a colui che fuggiva, ma Fathma lo arrestò.

Era una scimmia, diss’ella. Non ne vale la pena.

Mi parve un uomo; una scimmia non avrebbe gettato quel grido.

Tanto peggio per lui. Io l’ho veduto cadere e a quest’ora sarà morto o sul punto di morire, disse l’almea con voce calma.

Posso andare ad assicurarmi.

Farai meglio a continuare la tua via.

Fathma!....

Ti comprendo tu vorresti ripetermi quella parola che cento altri prima di te mi ripeterono. Quella parola per me è morta; non ci credo più.

Oh! non dire questo, Fathma! Ti amo, ti amo, ti amo e per te darei tutto il mio sangue. Mettimi alla prova: vuoi tu che ti porti la pelle di cento leoni? Non avrai che a comandarmelo e io, Abd-el-Kerim, te le porterò!

L’almea lo guardò con più dolcezza; un sospiro sollevò il suo seno.

Ah! diss’ella con voce cupa. Sarebbe vero che tu avessi proprio ad amarmi? Sarebbe vero che tu parlassi col cuore? Anche un altro uomo un giorno mi ripetè le tue parole e poi le disperse e infranse i centomila giuramenti pronunciati ai miei piedi! Non credo più.

Chi? Chi?… domandò Abd-el-Kerim, che si sentì mordere il cuore della gelosia, Chi è quest’uomo? Parla, Fathma, parla!

L’almea. chinò il capo sul petto, poi rialzandolo bruscamente e prendendo una mano dell’arabo:

Sai tu, innanzi a tutto, chi io sia?

Chi ha sollevato fino ad ora il velo che ti copre? Molti ti conobbero, ma nessuno sa chi tu sei, qual fu il tuo passato nè in qual paese tu sei nata. Vi sono delle tenebre attorno a te.

E tenebre fitte, disse Fathma, sospirando. Sono araba, se tu nol sai, e un dì fui la favorita di un uomo che oggi è più possente del re che ci governa, di un uomo che ha seco migliaia d’armati, forti e coraggiosi, che nessuno sarà capace di vincerli; nè gli infedeli che bombardarono Alessandria e che vinsero Araby pascià, nè l’esercito che conducono Hicks e Aladin.

Favorita!… Favorita!… urlò Abd-el-Kerim, dando indietro con ispavento.

Le labbra di Fathma s’incresparono ad un amaro sorriso.

E chi credi tu che sia un’almea? chiese ella.

Hai ragione, perdonami, balbettò l’arabo. E quest’uomo chi è?

Contro chi, Dhafar pascià conduce i suoi uomini?

Contro il ribelle Mohammed Ahmed.

Fathma tese il braccio verso occidente con gesto altero.

Chi impera laggiù nel Kordofan?

Il Mahdi. E che vuoi concludere?

Guardami in faccia! Io fui la favorita del Mahdi.!....

Abd-el-Kerim si nascose la faccia fra le mani e cacciò fuori un urlo strozzato.

Non è vero, non è vero! ripetè egli. Non è possibile!

Perchè? Il Mahdi non può dunque amare come gli altri mortali?

Io l’odio quest’uomo, lo esecro!

Hai torto Abd-el-Kerim. Quest’uomo che tu esecri è il vendicatore degli Arabi che languono sotto il giogo e la sferza dei Turchi ed infedeli.

Ma come tu l’hai abbandonato? Come tu sei qui? Qual capriccio ti spinse a lasciare El-Obeid per venire in queste terre?

 

L’amore, rispose Fathma con aria tetra.

Ah! tu hai amato un altra uomo adunque? chiese l’arabo.

Sì, un uomo bello e prode come te, che mi giurò eterno amore e che mi trasse sulle rive del Bahr-el-Abiad per poi abbandonarmi.

Ma io lo odio questo tuo secondo amante e più ancora del Mahdi. Io ho sete del mio sangue nè tornerò tranquillo fino a che non l›avrò ucciso. Voglio vendicarti!

È inutile, mio eroico amico. Egli cadde morto l’anno scorso nella battaglia di Kadir, pugnando contro Yussif pascià. Il Profeta mi vendicò.

Ed ora?… chiese Abd-el-Kerim con angoscia.

Sono libera come l’aquila che vola negli spazi del cielo.

Tu puoi adunque accogliere nel tuo cuore un nuovo amore, una passione grande, gigantesca, che non si spegnerà che colla morte. Ah! se tu lo volessi Fathma!

Non tentarmi, vattene Abd-el-Kerim, non mi scorderò mai di te… basta!

Ella volse altrove la faccia e fece qualche passo. L’arabo l’afferrò per le mani e la rattenne violentemente.

No, Fathma, no. Ti amo, sono tuo schiavo, fa di me quello che tu vuoi, ma non respingermi, non parlare così.

L’arabo cadde per la seconda alle sue ginocchia.

Una fiamma umida passò sugli occhi dell’almea,

È proprio vero adunque che tu mi ami? chiese ella, quasi con ferocia.

Sì, ti amo, ti adoro.

Giuralo su Allàh!

Lo giuro su Allàh, sul Profeta e sul Corano.

Vattene ora, ma guardati bene da me, Abd-el-Kerim! Se venissi a sapere che tu ami un’altra donna, se avessi una rivale guai a te e guai a lei! Vi infrangerei entrambi come due lastre di vetro!

Raccolse i lembi della farda, s’avvolse il corpo e si allontanò lentamente con calma maestosa. L’arabo le si slanciò dietro per seguirla.

Sola venni e sola ritorno, diss’ella arrestandolo con un gesto, Vattene: io te lo comando, io lo voglio!

Abd-el-Kerim chinò il capo e si cacciò sotto gli alberi. Fathma rimase lì a guardare il luogo ove era scomparso, poi si ripose in cammino colle labbre strette ma la fronte spianata e gli occhi che brillavano d’un raggio di gioia.

È bello, prode, ardente, mormorò ella. Il Mahdi non mi rivedrà più mai!

Costeggiò lo stagno e si inoltrò sotto le grandi vôlte verdi formate dalle palme deleb, dai tamarindi e dalle acacie gommifere, guardando a destra e a manca e con una mano sull’impugnatura del pugnale. Dieci minuti dopo, nel mentre che il sole si nascondeva dietro le foreste e che gli uccelli e le scimmie cominciavano a tacersi guadagnando i loro nidi o i loro covi, giunse su di un sentiero. Ella si fermò incerta nello scorgere un uomo appoggiato ad una carabina in attitudine sospetta. Impallidì leggermente nel riconoscere in quell’individuo il greco Notis.

Volle tornare indietro ma il greco che pareva si fosse appostato lì appositamente per aspettarla, non gliene lasciò il tempo. Egli si fece lentamente innanzi con un sorriso ironico sulle labbra e senza preamboli disse:

A noi due Fathma!

Che vuoi dire? chiese ella seccamente.

Mi riconosci?

Se non m’inganno tu sei quello che seguiva Abd-el-Kerim da Machmudiech a Hossanieh.

Sono il greco Notis.

Tanto peggio per te, io odio gl’infedeli e più di tutto i Greci.

Non monta, disse Notis freddamente. Che avete detto all’arabo poco fa, che scorsi inginocchiato dinanzi a voi?

Ah! fe’ Fathma con mal celata collera. Sei stato tu a gettare quel grido?

Potrebbe darsi. E che, ti sorprende?

Io disprezzo gli uomini che si nascondono per spiare.

Ira di Dio!.... gridò il greco.

Si scambiarono uno sguardo provocante. Il greco cedette dinanzi agli occhi scintillanti dell’almea che schizzavano fuoco.

Sai chi era quell’uomo che ti giurava eterno amore? chiese egli, affettando la massima calma.

So che si chiama Abd-el-Kerim il prode, e ciò mi basta.

Ti dirò allora che quell’uomo è promesso a una donna, che questa donna, che trovasi presentemente a Chartum, si chiama Elenka, e che Elenka è mia sorella!

Tu menti! esclamò l’almea, saltando innanzi come una leonessa ferita.

Te lo giuro, Fathma. Abd-el-Kerim, quando era di guarnigione a Chartum s’innamorò di mia sorella e chiese la sua mano. Appena finita la campagna contro il Mahdi egli la sposerà ed io diverrò suo cognato.

Tu menti! Tu menti! ripetè l’almea con maggior forza. Quale scopo hai per inventare simili calunnie?

Quello d’aprirti gli occhi, di conservare lo sposo a mia sorella e di offrirti la mia mano poichè ti amo Fathma, e immensamente.

L’almea fece un gesto di disprezzo, gli volse le spalle per allontanarsi, ma il greco non era un uomo da scoraggiarsi, nè da lasciarsi sfuggire così facilmente la preda che con tanta impazienza aveva atteso. Gli si mise dinanzi risoluto a impedirglielo, all’uopo di usare la forza.

Odimi, Fathma, diss’egli. Ho giurato di farti mia, dovessi perdere ambe le braccia e anche le gambe, dovessi venire ucciso. Tu sei bella e mi hai affascinato; tu sei povera e io son ricco; tu sei maomettana e io sono greco ma mi farò, se vuoi, maomettano. Perchè non vuoi esser mia?

Perchè amo di già un altro uomo.

Ma tu non puoi prestar fede ad Abd-el-Kerim; ti tradirà, ti schianterà il cuore e più presto di quello che tu abbi a crederlo. Bada a me, che lo conosco a fondo quell’arabo; è un miserabile, è di più un vile!

Una fiamma di sdegno e di collera salì in volto all’almea; tese le mani chiuse verso il greco con gesto minaccioso.

Taci! Taci, insensato! esclamò ella con violenza. Abd-el-Kerim è un eroe.

Sì, eroe, perchè ebbe la fortuna di abbattere un povero leone, disse Notis con ironia. Bella prodezza in fede mia!.... Fathma, è ora di finirla. Abbiamo parlato anche troppo, senza nulla concludere.

Ma che vuoi infine?

Voglio portarti con me, lontano da questo campo e farti mia, lo capisci Fathma, farti mia a dispetto di Abd-el-Kerim. Verrai tu?

Giammai! esclamo l’almea con forza.

Ira di Dio! Dimmi il perchè? disse Notis furibondo.

Perchè ti odio e ti disprezzo. Vattene!....

Il greco lanciò una bestemmia ed alzò le mani come per abbracciarla. L’almea fece un salto indietro, ponendo la dritta sul pugnale.

Non toccarmi, maledetto! gli disse con voce sibilante per l’ira.

Guarda, Fathma, noi siamo soli, la foresta non ha abitante alcuno, e io sono risoluto a farti mia. Non opporre resistenza veruna, se vuoi che non diventi feroce come una iena.

Egli si slanciò addosso all’almea che tornò ad indietreggiare traendo il pugnale. I suoi occhi si ingrandirono stranamente e il volto prese una espressione di indomita fierezza.

Non toccarmi! gli disse cupamente. Se tu muovi un passo verso di me, ti assassino!

Il greco si mise a sogghignare, ma non s’avanzò nè toccò le sue armi. Egli girò lo sguardo attorno, tese per alcuni istanti l’orecchio, poi accostò le mani alle labbra e mandò un acuto fischio. Un fischio eguale vi rispose quasi subito.

A noi due, ora, Fathma, disse poi. Per quanto tu sii forte e per quanta resistenza opporrai, Takir ti porterà via.

Vigliacco!

Io ti amo e voglio farti mia,

Miserabile, io ti abborro!

E io ti amo. Avanti Takir!

L’almea faceva un salto da invidiare un leone e tentò fuggire, ma un negro di statura colossale, l’ordinanza di Notis, sbucando improvvisamente dai cespugli vicini, le sbarrò la via. Ella gettò un urlo di rabbia e indietreggiò fino al tronco di un palmizio col pugnale alzato.

Addosso Takir, gridò il greco, facendosi innanzi colla scimitarra in mano.

Il nubiano s’aggrappò all’estremità d’un ramo di tamarindo, si sollevò in aria con una spinta e venne a cadere addosso a Fathma prima che questa avesse tempo di evitarlo. Egli l’afferrò fra le vigorose braccia alzandola da terra.

Sta cheta, mugghiò egli stringendola così fortemente da farle crocchiar le ossa.

Aiuto! a me Abd-el-Kerim! urlò la povera almea, dibattendosi disperatamente.

Ella cacciò il pugnale in un braccio del negro che si coprì tosto di sangue, ma Notis le afferrò i polsi e glieli torse tanto da farle abbandonar l’arma. I due uomini si misero a trascinarla verso il folto della foresta.

L’almea gettò un secondo grido, un grido di furore e di dolore.

Lasciatemi maledetti! Aiuto! Aiuto!

Si udì un calpestio precipitato, un fragor di sciabole e uno scricchiolio di rami furiosamente schiantati. Abd-el-Kerim rosso d’ira, con una frusta nella dritta e una pistola nella sinistra, apparve, e dietro a lui Hassarn e l’intera compagnia dei basci-bozuk. Egli si scagliò in un lampo sui due assalitori.

Miserabile! ruggì egli, sferrando Notis in faccia.

Il nubiano fu lesto a sparire sotto gli alberi, ma il greco si volse, caricando l’arabo colla scimitarra in pugno. Hassarn ebbe appena il tempo di arrestargli il braccio.

Ah! esclamò Notis, con indefinibile accento d’odio. Sei qui traditore!

Cercò una seconda volta di gettarsi sul rivale, ma il turco lo disarmò e lo respinse violentemente, puntandogli una pistola sul petto.

Se tu ti muovi, gli disse minacciosamente Hassarn, sei morto.

Tutti contro di me, codardi! gridò Notis fuori di se.

Basto io solo per punire un vigliacco tuo pari, disse l’arabo con disprezzo. Notis, qui uno dei due vi lascierà le ossa.

Fathma, che si era subito rizzata in piedi s’avvicinò ad Abd-el-Kerim.

Grazie mio prode amico, le disse con voce commossa.

Fathma, mormoro l’arabo non meno commosso, ringrazia Allàh che mi fece giungere in tempo per salvarti. Ma quell’uomo là, non ti oltraggierà più mai, poichè fra pochi minuti io l’ucciderò.

Uccidi tuo cognato, disse Notis sogghignando.

Taci!…

Ed Elenka mi vendicherà, quando sarà diventata tua moglie.

Non bestemmiare per Allàh! Se v’era un filo io l’ho spezzato e per sempre.