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La favorita del Mahdi

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CAPITOLO III. Il supplizio dei prigionieri

All’indomani i dintorni della grande zeribak formicolavano di guerrieri accorsi da tutto le parti del campo.

Alcuni si arrampicavano sulle spalle dei compagni più alti, altri sulle gobbe dei cammelli o sui dorsi dei cavalli, degli asini, dei buoi, che sparivano totalmente sotto la folla, e altri ancora sugli alberi che ombreggiavan il recinto, accomodandosi alla meglio fra i rami.

S’udiva per ogni dove un gridìo, un rullare di tamburi e di tamburoni, uno squillare di trombe e un salmodiare dei versetti dell’Alcorano, fragori che spesso venivano coperti da urla disperate. Zuffe accanite succedevano qua e là in mezzo alla folla, che finivano con una coltellata o con una sciabolata, e dai rami capitombolavano uomini che venivano gettati giù dai forti, senza badare se si rompevano la testa o si fiaccavano il collo.

Tutti volevano passare innanzi, tutti volevano guadagnare le palizzate della zeribak nel cui interno dovevano venire giustiziati i prigionieri egiziani.

Soli due uomini non partecipavano a quella forte curiosità e si tenevano in disparte, seduti tranquillamente sulla cima di una collinetta sabbiosa, chiaccherando colla maggior calma del mondo, senza quasi degnarsi di volgere uno sguardo al recinto.

Uno era un uomo di alta statura vestito da beduino, col coftan calato sul volto in modo da non vedere che una barba nera e ispida.

L’altro era uno scièk negro, tozzo, robusto, dal volto feroce, senza barba, con due occhi grandi e brillanti, naso assai schiacciato e labbra sporgenti. Portava un gran turbante sul capo, una rahâd (cintura) riboccante d’armi alle reni e ornata di spessi cordoncini, un paio di larghi calzoni alla turca e alle braccia numerose anella d’avorio e file di châraz (perline di vetro).

Dunque tu mi raccontavi? diceva lo scièk.

Che egli è qui, rispose il beduino con accento straniero.

Sei proprio sicuro?

Sicurissimo, El-Mactud.

Quando l’hai veduto?

La decorsa notte passando dinanzi ad un tugul guardato da venticinque guerrieri. Al chiarore dei fuochi lo vidi sdraiato a terra col volto fra le mani.

Puoi esserti ingannato, disse lo scièk.

Ma no, non mi sono ingannato, te l’assicuro. Lo conosco troppo bene.

Ma non militava sotto Hicks pascià?

Quando lo lasciai era con Dhafar pascià, non posso quindi sapere se egli abbia raggiunto il generale inglese.

A ogni modo non so capacitarmi come abbia abbandonata la sua bandiera per passare sotto quella di Ahmed.

Ti narrai che egli amava una donna e che questa gli fu rapita.

Ebbene?

Forse spera di ritrovarla qui.

Quale grado occupa? chiese lo scièk.

L’ignoro come te. Sulla soglia della sua capanna ho veduto venticinque guerrieri, e so che ieri sera ebbe un colloquio con Ahmed Mohammed, poichè lo videro uscire dal tugul.

Bisogna sapere qual grado gli fu conferito e se è amico di Ahmed.

Lo sapremo, e per quanto potente egli qui sia, lo annienterò, lo farò cadere nella polvere! Basta che pronunci il nome della donna, che egli amò perchè Ahmed lo condanni a morte.

Ma che cosa ti fece che lo odii tanto?

Disonorò mia sorella e poi l’uccise, disse il beduino cercando di dare alla sua voce un tono cupo.

Allora bisogna vendicarsi.

Mi vendicherò.

Fa come noi baggàra Salem che ci atteniamo alla legge del taglione insegnataci dalla Bibbia, dal Minu e dal Corano. Aèn be aèn (occhio per occhio); uèden be uèden (orecchio per orecchio); ed-dân b’ed dân (sangue per sangue).

Aspetta che io lo abbia in mano e poi ne vedrai di belle.

Così va bene, io sarò sempre pronto ad aiutarti.

Zitto, ecco Ahmed Mohammed, disse il beduino alzandosi.

In lontananza, appariva Ahmed, col turbante verde dei discendenti del profeta ed in completo assetto da guerra. Montava un superbo cavallo bianco condotto a mano da due dervis e dietro a lui caracollavano gli scièk di tutte le tribù ed una banda di Abù-Rof colle scimitarre sguainate e gli stendardi spiegati.

Quando fu vicino alla zeribak un gran grido emesso da duecentomila persone echeggiò:

Viva Ahmed Mohammed! Salute all’inviato di Dio!

Ahmed con un cenno della mano fece tacere tutti quei clamori. Scese d’arcione, s’inginocchiò a terra, borbottò alcune preghiere, poi andò a sedersi su di un palco che dominava la zeribak. Gli sceicchi e i dervis più rinomati presero posto dietro a lui.

Dove sono i prigionieri? chiese il beduino allo sceicco.

Eccoli là, circondati da una compagnia di baggàra.

Non ne abbiamo molti da assassinare. Non ne vedo che quattro.

Ma in mezzo ad essi vedo anche un ufficiale.

Un ufficiale!… Ira di Dio! chi può essere mai?

Qualche ufficiale preso a Kasghill.

Eh!… esclamò d’improvviso il beduino saltando indietro. Non è possibile!… Io m’inganno!…

Che hai?

Quell’ufficiale che è fra i prigionieri… Ira di Dio! È lui!…

Ma chi?

Abd-el-Kerim?

È impossibile.

Te lo dico io; È proprio lui!

Ma se hai veduto questa notte una guardia di onore dinanzi al suo tugul.

Mi sono ingannato. Erano guerrieri che vegliavano perchè non fuggisse. Vieni El-Mactud: la vendetta di Ahmed Mohammed ha preceduta la mia.

Il beduino e lo scièk si precipitarono giù dalla collina, raggiunsero la folla che stringevasi attorno alla zeribak e facendosi largo a furia di gomiti, si confusero nel mezzo.

Proprio in quel momento Abd-el-Kerim e i tre egiziani venivano condotti in una loggia circondata da guerrieri armati fino ai denti. Il primo era calmo, sorridente, noncurante, gli altri invece penavano a stare in piedi; erano pallidi, disfatti, in preda ad un terrore indescrivibile.

La loro comparsa fu accolta dalle diciotto tribù con urla selvaggie, con maledizioni, con insulti, con un agitar minaccioso di braccia; più di un’arma fu diretta contro di essi e più di un fucile li tolse di mira. Però, ad una parola di Ahmed Mohammed, il silenzio tornò a farsi e le armi vennero abbassate.

S’udì un fragoroso rullar di noggàra e di darabùke. e un bufalo fu fatto entrare nella zeribak fra frenetici battimani.

Era un bell’animale, d’alta taglia, tigrato, colle corna lunghe e aguzze. Appena entrato e liberato dai legami, si mise a saltellare all’impazzata pel recinto, mugghiando furiosamente e cozzando contro le palizzate. Faceva paura a vederlo colla bocca piena di bava e quegli occhi grandi, accesi, che roteavano in un cerchio sanguigno; si capiva che prima di farlo entrare, i baggàra lo avevano irritato, lo avevano reso furioso.

Un egiziano fu incitato a discender nell’arena dopo di averlo armato di una scimitarra, ma il disgraziato, ebbro di paura, non ardì muoversi e si mise a strillare come se lo uccidessero. Quattro guerrieri però lo afferrarono, lo sollevarono e lo scaraventarono nel recinto.

– Kuâies! Kuâies-ktir! (bello! bello assai!) urlarono gli spettatori.

Il povero uomo, quantunque stordito dal capitombolo fatto, si rialzò gettando attorno gli sguardi smarriti, supplicando a mani giunte gli astanti di salvargli la vita. I negri gli risero in faccia, gli sputarono addosso e aizzando il bufalo con spaventevoli vociferazioni e con sassi.

A morte a morte l’infedele! urlavano gli uni.

Prendi la scimitarra, vigliacco! urlarono gli altri.

Il bufalo aveva subito scorto la vittima. Emise un muggito da far agghiacciare il sangue, si battè i fianchi colla coda, abbassò la testa e si precipitò innanzi colla rapidità del lampo.

Tutti credettero di vedere l’egiziano sventrato, ma ciò non accadde. Vistoselo capitare addosso il disgraziato prigioniero si era messo a correre disperatamente attorno al recinto cercando, ma invano, di arrampicarsi sulle palizzate. Per dieci minuti riuscì a tenersi lontano dal terribile animale che sollevava nubi di polvere galoppando furiosamente per tutti i versi, poi si arrestò cercando di tenergli testa.

Uomo e animale si scontrarono in mezzo al recinto. L’egiziano che aveva raccolto la scimitarra, tirò un colpo alla cieca che cadde nel vuoto. Non ebbe il tempo di rialzare l’arma; l’animale furibondo, sprofondò le aguzze sue corna nel petto di lui, poi, sollevatolo non ostante gli spaventevoli contorcimenti, lo sbattè furiosamente contro la palizzata. La vittima orribilmente schiacciata, precipitò inerte al suolo insanguinando le sabbie.

– Kuâie! Kuâies-ktir! strepitarono i guerrieri.

Il bufalo fu tosto preso al laccio dai baggàra che si tenevano a cavalcioni della palizzata. Il cadavere dell’egiziano, deformato, sventrato, fu trascinato via per essere dato a pasto delle belve delle foreste e vennero precipitati giù gli altri due egiziani, uno dei quali, spezzatosi una gamba, rimase disteso a terra strillando e invocando Allàh e il Profeta.

Altri due bufali furono fatti entrare e il sanguinoso spettacolo ricominciò. Fu breve: il primo egiziano venne sventrato al primo urto, e il secondo arrampicatosi sulla palizzata, venne ucciso da una lancia scagliatagli da un Abù-Ròf.

Non restava che Abd-el-Kerim, il quale aveva assistito impassibile alla sventurata fine dei suoi compagni d’armi. Egli discese nell’arena colla scimitarra in pugno, lo sguardo sfavillante d’ardire, attendendo con calma straordinaria la comparsa del leone che doveva attaccarlo.

 

Uno dei dervis, per ordine di Ahmed intimò alla tumultuante folla il più profondo silenzio, dopo di che venne fatto entrare il re delle foreste africane. Era un vecchio leone, lungo due metri, alto più di uno dalla maestosa figura, dal portamento ancora fiero, che ruggiva orribilmente scuotendo la villosa giubba.

Un fremito di spavento corse per le membra dei guerrieri del Mahdi alla vista di quell’animale che gode un terribile fama appo tutte le popolazioni africane. Ognuno ammutolì e guardò quasi con terrore l’arabo che non si era nemmeno mosso dall’apparire di quel formidabile campione.

Per alcuni istanti il leone si accontentò di far udire la sua voce, battendosi i fianchi colla coda, un colpo della quale è bastante per rompere le gambe ad un uomo, poi si mise a ronzare attorno all’arabo che presentavagli la fronte riparandosi dietro la scimitarra come dietro ad uno scudo.

D’improvviso si arrestò e si raccolse su sè stesso guardando con occhi di fuoco l’arabo. Spiccò un salto innanzi, ma le forze per una causa sconosciuta, gli vennero meno e ricadde tre passi lontano.

Un grido di sorpresa sfuggì da tutti i petti. La cosa era così strana che tutti credettero che quella improvvisa mancanza di forza dovesse attribuirsi ad un miracolo di Allàh.

Miracolo! miracolo! gridarono alcuni dervis, alzando le braccia verso il cielo.

Si aizzi il leone! tuonò una voce.

Silenzio! gridò Ahmed Mohamed.

Per la seconda volta il leone si raccolse su sè stesso ruggendo e si slanciò innanzi, e per la seconda volta ricadde senza forze. Un sorriso spuntò sulle labbra di Ahmed che guardava fisso Abd-el-Kerim sempre impassibile.

Miracolo! Miracolo! ripeterono i dervis.

Fuori un altro leone! tuonò la medesima voce che aveva comandato di aizzarlo,

Nell’istesso momento Abd-el-Kerim si slanciava contro al leone che era incapace di muoversi e che ruggiva spaventosamente e con un colpo di scimitarra gli apriva la testa rovesciandolo agonizzante al suolo.

Da un capo all’altro della pianura rimbombò un solo grido:

È salvo! Viva l’arabo!

A morte l’arabo! gridò per la terza volta la voce sconosciuta.

Bravo! Bravo!

Fuori un altro leone!

Ahmed Mohammed scattò in piedi colle braccia alzate, gli occhi volti al cielo, e con voce d’ispirato gridò:

Popoli del Kordofan! Quell’uomo è stato toccato dalla grazia di Allàh e io lo nomino mio guerriero. Tutti a terra!

I guerrieri caddero col volto nella polvere. Solo un uomo rimase in piedi colle pugna tese verso Abd-el-Kerim. Quest’uomo era il beduino.

A morte l’infedele! tuonò egli con voce furente.

A terra! ripetè il Mahdi. A terra!

Il beduino fu atterrato dalla mano nervosa dello sceicco El-Mactud,

Taci se non vuoi perderti, gli sussurrò all’orecchio lo sceicco.

Popoli del Kordofan, fedeli seguaci della vera religione, ripigliò Ahmed Mohammed. Io dichiaro quell’uomo libero, non solo, ma gli conferisco il grado di sceicco. Allàh mo lo comanda. Che i voleri di Allàh siano esauditi.

CAPITOLO IV. Il delatore

Erano le dieci di sera.

Le innumerevoli orde del Mahdi si erano ritirate nel campo e dormivano profondamente, alcune sdraiate sotto i tugul di foglie, altre, sotto le tende prese agli egiziani nelle ultime battaglie, o a ciel sereno ma tutte colle armi accanto, sempre pronte al primo rullar dei noggàra a rimettersi in marcia.

Qua e là ardevano dei fuochi attorno ai quali vegliavano le sentinelle appoggiate alle lancie o ai fucili, borbottando sottovoce preghiere.

Silenzio profondo per ogni dove, ma che di tratto in tratto veniva rotto degli ululi lamentevoli degli sciacalli o dagli scrosci di riso delle iene, che rese audaci dalla oscurità si arrischiavano a metter piede nel campo cercando gli avanzi delle cene. Proprio in quell’ora due uomini accuratamente ammantellati sfilavano come ombre fra le tende, fra i tugul, fra i fasci di fucili e fra i cannoni, arrestandosi di quando in quando per girare intorno uno sguardo indagatore.

Ci siamo? chiese ad un tratto il più alto di essi, nel cui accento si riconosceva il beduino che si era mostrato tanto accanito contro Abd-el-Kerim.

Non ancora, rispose l’altro, che era lo scièk El-Mactud. Ma arriveremo presto.

Per che ora ti diede l’appuntamento?

Per la mezzanotte.

Io ho sempre creduto che Ahmed alla notte dormisse.

Io l’ho messo in curiosità.

Credi che mi accoglierà bene?

Ti accoglierà come deve essere accolto uno che ha pugnato come un leone per la santa causa, rispose lo sceicco.

E la rivelazione?

Lo farà andare in bestia. Io lo conosco bene quell’uomo e so che ama ancora quella donna.

Che farà di Abd-el-Kerim?

Lo farà sbranare dai leoni.

Ma io devo salvarlo a qualsiasi costo.

Sul volto dello sceicco si dipinse una vivissima sorpresa.

Ma come! esclamò. Questa mane lo volevi morto e ora vuoi salvarlo.

Ho cambiato idea. A proposito, sai nulla della donna che io cerco?

Assolutamente nulla. Parlai con tutti i guerrieri che combatterono a Kasghill e sul Bahr-el-Abiad, ma senza frutto. Dalla descrizione che feci ed essi alcuni supposero che la donna che tu cerchi fosse la favorita del Mahdi. Il medesimo sospetto è venuto anche a me.

V’ingannate tutti, s’affrettò a dire il beduino che impallidì. Somiglia assai all’ex-favorita ma non è lei. Adunque non se ne sa nulla?

Proprio nulla. Sarà caduta a Kasghill.

No, non è morta a Kasghill, poichè ho esaminato ad uno ad uno tutti i cadaveri. Può essere caduta nelle mani degli sceicchi che combattono i baggàra del lago Tscherkela.

Può essere.

Aprirò bene gli occhi, quando gli sceicchi torneranno al campo, disse il beduino.

Ma che vuoi fare di questa donna?

Te lo dirò al momento opportuno.

Alto! esclamò lo scièk. Siamo giunti.

Dinanzi a loro stava il tugul di Ahmed Mohammed, sulla cui cima maestosamente ondeggiava la verde bandiera dell’insurrezione.

Sul dinanzi ardeva un gran fuoco che gettava sinistri bagliori sulle scabrose pareti, sui cannoni e sulle mitragliatrici che erano sparse all’intorno.

Venticinque guerrieri di un provato coraggio, vegliavano, immobili come statue, spiccanti vivamente sulla splendida cortina in fiamme.

El-Mactud si avvicinò al capo di quegli uomini che gli aveva prontamente puntato contro il remington, e gli disse:

Va a dire all’inviato di Allàh che sono giunte le persone che egli attende.

Chi sei? chiese il guerriero.

Lo scièk El-Mactud.

E quello che conduci?

Un fedele seguace di Ahmed.

Il guerriero entrò nel tugul, e pochi istanti dopo usciva avvisandoli che l’inviato del Signore era pronto a riceverli.

Coraggio, disse all’orecchio del beduino lo sceicco.

Entrarono nel misero tugurio.

Seduto su di un angareb, se ne stava il Mahdi con una corona di vetro giallo in mano e i piedi nudi vicini ad un focolare formato da due assi e da una bracciata di legna.

Nello scorgere il beduino e lo scièk, si alzò lentamente in piedi.

Ah, esclamò egli. Sei qui El-Mactud.

Sì, Ahmed, rispose lo scièk, baciandogli rispettosamente le mani.

E quello che conduci è…?

L’uomo di cui ti parlai.

Ahmed squadrò da capo a piedi il beduino che sostenne quell’esame colla testa alta e le braccia incrociate sul bianco taub.

Lasciaci soli, El-Mactud, disse poi.

Lo scièk si affrettò ad ubbidire, dopo di avere scambiato col beduino un rapido sguardo.

Ahmed fece due o tre giri attorno alla stanzuccia, poi fermandosi improvvisamente dinanzi al beduino sempre impassibile:

Chi sei? gli chiese,

Siamo soli? domandò invece l’interpellato.

Perchè? chiese Ahmed con sorpresa.

Perchè quello che ho da dirti nessuno deve udirlo.

Quando è così puoi parlare. Nessuno ardirà udire quello che narrerai.

Sai già che io non sono un beduino.

El-Mactud mi disse che tu sei un bianco.

Sai che ho rinnegato la mia religione per seguire la tua?

Lo so e ringrazio Allàh che ti fece ravvedere.

Una volta ero cogli egiziani, poi disertai; sul Bar-el-Abiad caddi prigioniero di El-Mactud e voltai le mie armi contro gli antichi miei compagni, contro gli stessi soldati che io guidavo.

Mi dissero che tu eri coraggioso come un leone e che a Kasghill fosti il primo a entrare nel quadrato di Hicks pascià. Veniamo al fatto ora: che hai da dirmi?

Andiamo adagio: Ahmed. Prima di parlare devo proporti un patto.

Un patto!

Sicuro.

E quale sarebbe?

Sai che io vengo a denunciare un uomo che tu esecri, un uomo che ucciderai appena ti avrò detto chi sia esso e che cosa fece.

Ebbene?

Bisogna che tu giuri di abbandonarmi quell’uomo onde io lo faccia morire come meglio mi piacerà.

E se io non acconsentissi?

Non saprai nulla.

Ahmed lo guardò con maggior sorpresa. Nei suoi occhi balenò un lampo di collera e le sue labbra si contrassero mostrando i denti.

Sai che tu sei ben ardito per parlare così, diss’egli sforzandosi di sembrare calmo.

Non dico di no.

E se io t’imponessi di parlare?

Mi mozzerei la lingua onde non abbia ad emettere suono alcuno.

E se io ti minacciassi?

Morrei! disse fermamente il beduino.

Ahmed portò le mani alla cintura cavando l’jatangan, ma lo ricollocò a posto e battè tre volte le mani.

La tenda di pelle che separava in due stanze il tugul si alzò e comparve un negro di statura colossale, con una testa orribile ed enorme piantata su di un collo grosso come quello di un toro. Aveva su di una spalla una pelle di leone e teneva in mano una scimitarra dalla larga lama.

Vedi quest’uomo? disse Ahmed al beduino.

Lo vedo.

È il carnefice. Basta un mio cenno perchè ti faccia saltare la testa; basta un mio cenno perchè ti tagli in mille pezzetti, perchè ti strappa la pelle a brano a brano, perchè ti abbruci le carni coi ferri roventi. Parlerai ora?

No, Ahmed no. Mi occorre l’uomo che io tradisco.

Vòkara, impadronisciti di quell’uomo. Se si ostina a rimanere muto gli farai cadere la testa.

Il beduino indietreggiò di qualche passo e un tremito agitò le sue membra, ma ricuperò subito la sua impassibilità, anzi un sorriso sdegnoso, quasi di sfida, sfiorò le sue labbra.

Il carnefice gli si avvicinò e lo fece inginocchiare. Provò il taglio della sua scimitarra e attese,

Persisti ancora a tacere? chiese Ahmed che sentivasi preso da una viva ammirazione per quell’uomo che sfidava così imperterrito la morte.

Persisto, rispose il beduino.

Ahmed battè le mani. Il carnefice alzò la scimitarra che balenò alla luce del fuoco.

La morte ti sfiora, disse Ahmed.

La sfido.

Ad un tratto la scimitarra si abbassò non già sul collo del beduino, ma per terra.

Tu sei irremovibile come una rupe e io ti ammiro! esclamò il Mahdi. Alzati, parla e io ti giuro che ti darò vivo l’uomo che mi chiedi.

Grazie, Ahmed.

Il carnefice sparve dietro la tenda. Ahmed si sedette sull’angareb invitando il beduino a fare altrettanto.

Parla che ti ascolto, disse.

Ahmed Mohammed, disse il beduino dopo aver meditato alcuni istanti. Ti ricordi di Fathma, la tua favorita.

Il Mahdi fece un soprassalto sull’angareb e la sua fronte si aggrottò.

Perchè richiamarmi alla memoria quella donna? chiese egli con ira.

Lo saprai dopo. Sai tu, con chi fuggì?

Se l’avessi saputo quell’uomo non vivrebbe più.

Te lo dirò io. Fuggì con uno sceicco che era ai tuoi servigi.

Eh!… dov’è questo sceicco?

 

Morì nella battaglia di Kadir.

Maledizione.

Fathma, rimasta sola, discese al Sud, giunse a Hossanieh dove accampava l’armata di Dhafar pascià e qui si innamorò di un altro uomo che non ebbe paura di amare l’ex favorita dell’inviato di Dio.

Ahmed cacciò fuori un urlo strozzato; gli occhi gli schizzarono dalle orbite e portò ambo le mani al petto cacciandosi le unghie nelle carni.

Dov’è questo secondo amante che io lo fulmini! ruggì egli.

In questo campo.

In questo campo!…

Sì, Ahmed e tu lo hai salvato, capisci, tu lo hai salvato dalla morte.

Io!…

Sì, l’hai salvato questa mane facendogli combattere un leone a cui avevi dato da bere un filtro.

Perdio! tuonò Ahmed, balzando in piedi. È lui quest’uomo? È lui questo amante della mia favorita?

Sì, è proprio lui, l’arabo Abd-el-Kerim.

Ahmed si morse le dita rabbiosamente, poi si avvicinò al beduino che sogghignava e lo scrollò furiosamente.

Non ingannarmi.

Perchè ingannarti?

Ma sai che non ti credo? Tu odi quell’uomo e vuoi perderlo.

Sicuro che l’odio, ma ti giuro che dico la verità.

Lo giureresti sull’Alcorano!

Lo giurerei.

Ahmed si slanciò verso la tenda e tornò subito con un libro dalle pagine d’oro sulle quali vi erano incisi dei versetti. Era il libro sacro dei maomettani, il Corano.

Questo Corano chiamato più comunemente Alcorano, oppure Al Torkan, Al Dhikr o anche Al Kitab è il codice fondamentale delle leggi sì civili come criminali dei maomettani. Esso è una collezione di tutti i frammenti che Maometto, durante il tempo della sua supposta missione, promulgò successivamente come tante rivelazioni del cielo, ciascuna parte delle quali, secondo i Mussulmani, fu scritta dinanzi al trono di Dio con una penna di luce, sulla tavola dei suoi eterni decreti e di cui una copia fu recata in terra e rivelata a Maometto dall’angelo Gabriele.

È diviso in 114 capitoli che portano la data della Mecca e di Medina, e sono chiamati questi capitoli sura. Furono raccolti da Said-ben-Thabet schiavo di Maometto e uniti in libro da Abù Bekr due anni dopo la morte del profeta avvenuta il XIII secolo dell’egira (652 anni avanti Cristo).

Sette sono i principali testi del Corano: due di Medina, uno della Mecca, uno di Cufa, uno di Bassora, uno di Siria e l’Alcorano volgare.

Uno contiene 6000 versetti, gli altri 6200 e anche 6236, ma tutti contano 77,639 parole e 323,015 lettere.

Ahmed lo aprì dinanzi al beduino e gli disse:

Giura su l’Alcorano che hai detto la verità.

Giuro! gridò il beduino senza esitare.

Sta bene; ora so cosa devo fare dell’uomo che osò amare la favorita dell’inviato di Dio.

Ahmed! Quell’uomo è mio! me l’hai promesso.

Non temere che io manchi alla parola data. Ho promesso che te lo darò vivo, ma prima gli strazierò le carni e farò scorrere ai suoi piedi rivi di sangue. Va, e che Allàh ti guardi!…