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Il figlio del Corsaro Rosso

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L’amenità dell’isola dava d’altronde maggior risalto a quell’avventura né fuvvi mai prigionia, specialmente per le prigioniere, piú divertente.

Verso la fine del mese però quell’allegria fu gravemente turbata, in causa del mancato pagamento del riscatto.

Il presidente dell’Udienza Reale di Panama continuava a chiedere dilazioni, sinché i filibustieri insospettiti che, non difficoltà di trovare il denaro cagionasse quel ritardo, bensí la segreta mira di defraudarli e di prendere tempo per radunare forze sufficienti a combatterli, ricorsero ad una crudele risoluzione, malgrado le proteste di Raveneau de Lussan il quale, al pari di Grogner, abborriva le crudeltà.

Radunarono perciò gli ostaggi e li obbligarono a tirare a sorte, avendo ormai deciso che le teste di quattro di quei disgraziati dovessero essere consegnate all’ufficiale spagnuolo che era giunto per chiedere una nuova dilazione al pagamento.

Purtroppo quegli infelici dovettero sottomettersi alla dura sorte e le quattro teste furono date all’ufficiale, colla dichiarazione che se entro quattro giorni il pattuito riscatto non fosse stato saldato, altre ne sarebbero state mandate al Presidente dell’Udienza Reale di Panama.

I sospetti dei filibustieri non erano d’altronde senza fondamento, poiché il giorno seguente riuscivano a catturare un corriere che da Guayaquil andava a Lima, apportatore di lettere nelle quali era detto chiaramente come in aspettazione dei soccorsi attesi si sarebbe mandata qualche somma a Puna per tenere a bada i corsari, aggiungendo che l’esterminio di costoro stimavasi ben piú importante sacrificio che la perdita di cinquanta prigionieri.

Come abbiamo detto, fra gli ostaggi vi era il governatore di Guayaquil e siccome ci teneva a non perdere la testa, incaricò un frate che era della brigata, uomo tenuto in molta considerazione presso gli spagnuoli e lo mandò sul continente con pieni poteri perché accumulasse a tutti i costi quanto denaro occorreva per saldare il riscatto.

Nell’atto però che il frate partiva, giungeva all’isola uno schifo il quale portava ai filibustieri ventimila piastre in oro e venti sacchi di farina. L’ufficiale che lo montava chiedeva nel medesimo tempo una dilazione di altri tre giorni pel resto del riscatto.

I filibustieri non furono renitenti a concederla, dichiarando però che se gli spagnuoli avessero mancato alla promessa avrebbero fatta una nuova visita a Guayaquil e che l’avrebbero distrutta da capo a fondo.

La risposta che ne ebbero non poteva essere piú risoluta.

Un nuovo messo di chi amministrava le cose di Guayaquil giunse qualche giorno dopo, dicendo che per tutto ciò che rimaneva a pagarsi gli spagnuoli offrivano solamente ventiduemila piastre e che se i filibustieri volevano riattaccare la città vi erano cinquemila uomini agguerriti pronti a riceverli.

Nessuno può sorprendersi se a quella dichiarazione vi fu fra i corsari di Raveneau chi proponesse di tagliare all’istante la testa a tutti i prigionieri, le donne comprese. Si opposero molti altri, dicendo che una tale crudeltà nessun vantaggio avrebbe recato, perciò accettate le ventiduemila piastre e messi in libertà gli ostaggi, ripresero il mare per ritentare nuove e piú stupefacenti imprese.

CONCLUSIONE

Due giorni dopo la caduta di Guayaquil, il conte di Ventimiglia, sua sorella ed i tre spadaccini lasciavano la città con una scorta di trenta corsari e di dieci filibustieri, i quali avevano deciso di far ritorno in Europa, avendo ormai accumulate sufficienti ricchezze per potere vivere comodamente nei loro paesi.

Il marchese di Montelimar era partito il giorno innanzi, non senza pronunziare parole di vendetta contro la giovane meticcia e anche contro il conte.

La traversata dell’istmo di Panama fu compiuta a piccole tappe, per non stancare eccessivamente la sorella del conte, e dodici giorni dopo, la piccola carovana giungeva felicemente nel minuscolo porto di Riva dove da tre mesi trovavasi all’âncora la fregata, innalzando lo stendardo di Spagna per farsi credere, dai pochi abitanti della costa, una nave incaricata d’impedire lo sbarco dei legni filibustieri provenienti dalla Tortue.

Una scialuppa già aveva raggiunta la spiaggia e si preparava ad imbarcarli, quando il guascone, che durante tutto il viaggio pareva avesse perduto il suo buon umore, trasse in disparte il conte e Mendoza, e disse loro:

– Signori, io devo dichiararvi che non ho alcun desiderio di far ritorno in Europa. Per me è questo un grande colpo, tuttavia spero, col tempo, di potermi consolare. Non dimenticate però, signor conte, che la mia spada sarà sempre a vostra disposizione nel caso che vi fosse ancora necessaria.

– Che cosa dite, signor di Lussac! – esclamò il figlio del Corsaro Rosso veramente sorpreso. – Oggi siete abbastanza ricco per riparare il vostro castelluccio di Guascogna e coltivare tranquillamente viti e mele.

– Che cosa volete, signor conte? Ho quarant’anni e sento un desiderio irresistibile di avere una famiglia.

– Ah!… Birbante! – gridò Mendoza, mentre don Ercole, il quale si era avvicinato al gruppo, scoppiava in una risata. – Si è innamorato della bella sivigliana!…

– Avete indovinato, compare, – rispose don Barrejo. – Di quella graziosa vedova ne farò una signora de Lussac e venderemo vini di Spagna e di Francia all’insegna della Draghinassa guascone!

L’indomani, mentre don Barrejo o meglio il signor de Lussac, dopo commoventi addii, riprendeva la via di Panama per raggiungere la sua bella, la fregata spiegava le vele, dirigendosi verso il Capo Tiburon.

Anche il figlio del Corsaro Rosso aveva lasciato, al pari del guascone, una gran parte del suo cuore in America, ma voleva riportarlo in Europa unitamente ad un altro che già da tanto tempo batteva insieme al suo: quello della marchesa di Montelimar.

E cosí infatti avvenne.

Venti giorni piú tardi la magnifica fregata del conte lasciava, durante una notte oscurissima, per sfuggire le crociere spagnuole, l’isola di San Domingo, portando con sé una signora di piú e tre uomini di meno.

La bellissima marchesa aveva dato senza rimpianti un addio all’isola, dopo aver affidate le sue immense piantagioni a Buttafuoco, a Mendoza ed al fiammingo, tre amici che al pari del guascone non avrebbero ormai piú potuto trovarsi bene fra la civiltà europea.

Rivedremo un giorno quei bravi? È probabile, poiché la storia dei filibustieri non è ancora terminata.