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Il Corsaro Nero

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CAPITOLO XV. LA FILIBUSTERIA

Nel 1625, mentre la Francia e l’Inghilterra tentavano, con guerre incessanti, di domare la possanza ormai formidabile della Spagna, due vascelli, francese l’uno ed inglese l’altro, montati da intrepidi corsari recatisi nel mare delle Antille per danneggiare i commerci fiorenti delle colonie spagnole, gettavano l’ancora, quasi contemporaneamente, dinanzi ad un’isoletta chiamata di San Cristoforo, abitata solamente da qualche tribú di Caribbi.

I francesi erano capitanati da un gentiluomo normanno, chiamato d’Enanbue, e gl’inglesi dal cavaliere Tommaso Warner.

Trovata l’isola fertile e gli abitanti docili, i corsari vi si stabilivano placidamente, dividendosi fraternamente quel brano di terra e fondando due piccole colonie. Da cinque anni quei pochi uomini vivevano tranquilli coltivando il suolo, avendo ormai rinunciato a corseggiare il mare, quando un brutto giorno, comparsa improvvisamente una squadra spagnuola, distruggeva buona parte dei coloni unitamente alle abitazioni, considerando gli spagnuoli tutte le isole del Golfo del Messico come di loro assoluta proprietà.

Alcuni di quei coloni, sfuggiti alla rabbia spagnuola, riuscivano a salvarsi su di un altra isoletta chiamata la Tortue (Tartaruga) perché veduta ad una certa distanza rassomigliava un po’ a quei rettili, situata a settentrione di San Domingo, quasi di fronte alla penisola di Samana, e fornita d’un comodo porto, facile a difendersi. Quei pochi corsari furono i creatori di quella razza formidabile di filibustieri che doveva, in breve, far stupire il mondo intero colle sue straordinarie, incredibili imprese.

Mentre alcuni si dedicavano alla coltivazione del tabacco, che riusciva eccellente su quel terreno vergine, altri, smaniosi di vendicarsi della distruzione delle due piccole colonie, si mettevano a corseggiare il mare a danno degli spagnuoli, montando dei semplici canotti.

La Tortue divenne presto un centro importante, essendo accorsi molti avventurieri francesi ed inglesi dalla vicina San Domingo e dall’Europa, colà mandati specialmente da armatori normanni.

Quella gente, composta specialmente di spostati, di soldati e di marinai avidi di bottino, colà attirati dalla smania di far fortuna e di mettere le mani sulle ricche miniere dalle quali la Spagna traeva fiumi d’oro, non trovando in quell’isoletta quanto avevano sperato, si mettevano a scorrazzare arditamente il mare, tanto piú che le loro nazioni erano in continua guerra col colosso iberico.

I coloni spagnuoli di San Domingo, vedendo i loro commerci danneggiati, pensarono bene di sbarazzarsi subito di quei ladroni e colto il momento in cui la Tortue era rimasta quasi senza guarnigione, mandarono grandi forze ad assalirla. La presa fu facile e quanti filibustieri caddero nelle mani degli spagnuoli, furono trucidati o impiccati.

I filibustieri che si trovavano in mare a corseggiare, appena appresa la strage fatta, giurarono di vendicarsi, e sotto il comando di WillIs, dopo una lotta disperata, riconquistarono la loro isola, uccidendo tutto il presidio, ma fra i coloni sorsero allora aspri dissidi, essendo i francesi piú numerosi degli inglesi, sicché ne approfittarono gli spagnuoli per piombare un’altra volta sulla Tortue, e cacciarne gli abitanti, che furono costretti a riparare nei boschi di San Domingo.

Come i primi coloni di San Cristoforo erano stati i creatori della filibusteria, i fuggiaschi della Tortue furono i fondatori della bucaneria.

Seccare e affumicare le pelli degli animali uccisi, esprimevasi dai Caribbi col vocabolo di bucan e da questo venne il titolo di bucanieri.

Quegli uomini, che dovevano diventare piú tardi i piú valorosi alleati dei filibustieri, vivevano come i selvaggi sotto misere capanne improvvisate con pochi rami.

Per vestito non avevano che una camicia di grossa tela, lorda sempre di sangue, un paio di calzoni grossolani, una larga cintura sostenente una corta sciabola e due coltellacci, scarpe di pelle di maiale ed un cappellaccio.

Non avevano che una sola ambizione: possedere un buon fucile ed una muta numerosa di grossi cani.

Uniti due a due, per potersi scambievolmente aiutare, non avendo famiglia, all’alba partivano per la caccia, affrontando coraggiosamente i buoi selvaggi che erano numerosissimi nelle selve di San Domingo, e non tornavano che alla sera carichi ognuno di una pelle e d’un pezzo di carne per pasto. Per colazione si accontentavano di succhiare la midolla d’uno degli ossi maggiori.

Unitisi in confederazione, cominciarono a dar noia agli spagnuoli i quali si posero a perseguitarli come bestie feroci, e non riuscendo a distruggerli, con grandi battute sterminarono tutti i buoi selvatici, riducendo quei poveri cacciatori nell’impossibilità di vivere.

Fu allora che i bucanieri ed i filibustieri si unirono col titolo di fratelli della Costa e fecero ritorno alla Tortue, ma in preda ad un desiderio insaziabile di vendicarsi degli spagnuoli.

Quei valenti cacciatori che mai mancavano ai loro colpi, tanto erano abili bersaglieri, portarono un aiuto potente alla filibusteria, la quale prese tosto uno sviluppo immenso.

La Tortue prosperò rapidamente e divenne il covo di tutti gli avventurieri di Francia, d’Olanda, dell’Inghilterra e di altre nazioni, specialmente sotto la direzione di Beltrando d’Orgeron, mandatovi dal governo francese come governatore.

Essendo ancora scoppiata la guerra colla Spagna, i filibustieri cominciarono le loro prime audaci imprese, assalendo, con coraggio disperato, tutte le navi spagnole che potevano sorprendere.

Dapprima non avevano che delle misere scialuppe, entro le quali appena potevano muoversi, ma piú tardi ebbero navi eccellenti prese ai loro eterni nemici.

Non possedendo cannoni, erano i bucanieri che si incaricavano di pareggiare le forze ed essendo, come fu detto, infallibili bersaglieri, bastavano poche scariche per distruggere gli equipaggi spagnuoli. La loro audacia era poi tale, che osavano affrontare i piú grossi vascelli, montando all’abbordaggio con vero furore. Né la mitraglia, né le palle, né le piú ostinate resistenze li trattenevano. Erano dei veri disperati, sprezzanti del pericolo, non curanti della morte; erano dei veri demoni, e come tali li credevano in buona fede gli spagnuoli, ritenendoli esseri infernali.

Di rado accordavano quartiere ai vinti, come d’altronde non lo concedevano i loro avversarii. Non serbavano che le persone di distinzione per ricavare poi dei grossi riscatti, ma gli altri li cacciavano in acqua. Erano lotte di sterminio d’ambo le parti, senza generosità.

Quei ladroni di mare però avevano leggi che rispettavano rigorosamente, forse meglio dei loro connazionali. Avevano eguali diritti e solamente nelle divisioni dei bottini i capi avevano una parte maggiore.

Appena venduto il frutto delle loro scorrerie, prelevavano prima i premi destinati ai piú valorosi ed ai feriti. Cosí concedevano una certa somma a coloro che per primi balzavano sul legno abbordato ed a chi strappava la bandiera nemica; avevano ricompense pure coloro che, in circostanze pericolose, riuscivano a procurasi notizie sulle mosse o sulle forze degli spagnuoli. Concedevano inoltre un regalo di seicento piastre a chi nell’assalto perdeva il braccio destro; cinquecento era valutato il braccio sinistro, quattrocento una gamba ed ai feriti assegnavano una piastra al giorno per due mesi.

A bordo delle navi corsare poi, avevano leggi severe che li tenevano in freno. Punivano colla morte coloro che abbandonavano il loro posto durante i combattimenti: era proibito bere vino o liquori dopo le otto della sera, ora fissata pel coprifuoco; erano proibiti i duelli, gli alterchi, i giuochi d’ogni specie e punivano colla morte coloro che avessero, di nascosto, condotta sulla nave una donna, fosse pure la loro moglie.

I traditori venivano abbandonati su isole deserte e del pari coloro che nelle divisioni dei bottini si fossero appropriati del piú piccolo oggetto; ma si narra che rarissimi fossero i casi, poiché quei corsari erano d’una onestà a tutta prova.

Divenuti padroni di parecchie navi, i filibustieri si fecero piú audaci e non trovando piú velieri da predare, avendo gli spagnuoli cessato ogni commercio fra le loro isole, cominciarono le grandi imprese.

Montbars fu il primo dei loro condottieri salito in gran fama. Questo gentiluomo languedochese accorse in America per vendicare i poveri indiani sterminati dai primi conquistatori spagnuoli; al pari di tanti altri accesosi d’un odio violento contro la Spagna, per le atrocità commesse dal Cortez nel Messico e dal Pizzarro ed Almagro nel Perú, divenne cosí tremendo da venire chiamato lo Sterminatore.

Ora alla testa dei filibustieri ed ora coi bucanieri, portò la strage sulle coste di San Domingo e di Cuba, trucidando un gran numero di spagnuoli.

Dopo di lui salirono in fama Pierre-le-Grand, un francese di Dieppe. Quest’audace marinaio, incontrato un vascello di linea spagnuolo navigante presso il capo Tiburon, quantunque non avesse che ventotto uomini, lo assaltò dopo aver fatto forare il proprio legno calandolo a fondo per togliere ai suoi marinai ogni speranza di fuggire.

Fu tale la sorpresa degli spagnuoli nel vedere salire dal mare quegli uomini, che si arresero dopo una breve resistenza, credendo d’aver da fare con spiriti marini.

Lewis Scott invece, con poche squadre di filibustieri, va ad assalire San Francesco di Campeche, città ben munita e la prende e la pone a sacco; John Davis con novanta soli uomini va a prendere Nicaragua, poi Santo Agostino della Florida; Braccio di ferro, un normanno, perde la sua nave presso le bocche dell’Orinoco a causa d’un fulmine che gli incendia la Santa Barbara, resiste fieramente agli assalti dei selvaggi, poi un giorno, veduta approdare una nave spagnuola, con pochi uomini l’assalta di sorpresa. Altri però, piú famosi e piú audaci vennero piú tardi.

 

Pierre Nau, detto l’Olonese, diventa il terrore degli spagnuoli, e dopo piú di cento vittorie finisce miseramente la sua lunga carriera nel ventre dei selvaggi del Darien, dopo essere passato sulla graticola.

Grammont, gentiluomo francese, gli succedette nella celebrità, assaltando con poche squadre di filibustieri e di bucanieri Maracaibo, poi Porto Cavallo, sostenendo con quaranta compagni l’assalto di trecento spagnuoli, poi Vera-Cruz, in unione di Wan Horn e di Laurent, due altri famosi corsari.

Il piú famoso di tutti però doveva diventare Morgan, il luogotenente del Corsaro Nero. Messosi alla testa di una grossa partita di filibustieri inglesi, comincia la sua brillante carriera colla presa di Puerto del Prince nell’isola di Cuba; riuniti nove bastimenti va ad assalire e saccheggiare Portobello, malgrado la resistenza terribile degli spagnuoli ed il fuoco infernale dei loro cannoni, poi ancora Maracaybo, e finalmente attraversato l’istmo, dopo immense peripezie e lotte sanguinose, Panama, che incendia dopo aver fatto un bottino di 444 mila libbre d’argento massiccio.

Sharb, Harris e Sawkins, tre audaci, riuniti in società, saccheggiano Santa Maria, poi memori della celebre spedizione di Morgan, attraversano a loro volta l’istmo compiendo miracoli d’audacia, e, sgominando dovunque le forze spagnole quattro volte superiori alle loro, vanno ad annidarsi nell’Oceano Pacifico dove, possessori di alcuni vascelli, distruggono, dopo nove ore di terribile lotta, la squadra spagnuola, che si era difesa con valore disperato, fanno tremare Panama, corseggiano le coste di Messico e del Perú prendendo d’assalto Ylo e Serena, e tornano alle Antille passando per lo stretto di Magellano.

Altri ancora ne successero, del pari audaci, ma forse meno fortunati, quali Montabon, il Basco, Jonqué, Cichel, Brouage, Grogner, Davis, Tusley Wilmet, i quali continuarono le meravigliose imprese dei primi filibustieri, corseggiando nelle Antille e nell’Oceano Pacifico, finché la Tortue, perduta la sua importanza, decadde e con essa decaddero pure i filibustieri, sciogliendosi.

Alcuni andarono a piantare una colonia nelle Bermude e per alcuni anni fecero ancora parlare di loro e tremare i coloni delle Grandi e delle Piccole Antille, ma ben presto si sciolsero anche quelle ultime bande e quella razza d’uomini formidabili finí collo scomparire completamente.

CAPITOLO XVI. ALLA TORTUE

Quando la Folgore gettò l’ancora nel sicuro porto, al di là dello stretto canale che lo metteva al coperto da qualsiasi improvvisa sorpresa da parte delle squadre spagnole, i filibustieri della Tortue erano in piena baldoria, essendo gran parte di essi reduci dalle scorrerie fatte sulle coste di San Domingo e di Cuba, dove avevano fatte ricche prede sotto la condotta dell’Olonese e di Michele il Basco.

Dinanzi alla gettata e sulla spiaggia, sotto vaste tende all’ombra fresca delle palme, quei terribili predatori banchettavano allegramente, consumando, con una prodigalità da nababbi, la loro parte di bottino.

Tigri sul mare, quegli uomini diventavano a terra i piú allegri di tutti gli abitanti delle Antille, e, cosa davvero strana, fors’anco i piú cortesi poiché alle loro feste non mancavano di invitare i disgraziati spagnuoli, che avevano tratti prigionieri colla speranza di lauti riscatti ed anche le prigioniere, verso le quali si comportavano da veri gentiluomini, ingegnandosi, con ogni specie di cortesie, di far loro dimenticare la loro triste condizione. Diciamo triste, poiché i filibustieri, se i riscatti chiesti non giungevano, ricorrevano di frequente a mezzi crudeli per ottenerli, mandando ai governatori spagnuoli qualche testa di prigioniero per costringerli ad affrettarsi.

Ancoratasi la nave, tutti quei corsari interruppero i loro banchetti, le danze ed i giuochi, per salutare con fragorosi evviva il ritorno del Corsaro Nero, che godeva fra di loro una popolarità pari forse a quella del famoso Olonese.

Nessuno ignorava l’ardita sua impresa, per strappare al governatore di Maracaybo, vivo o morto, il povero Corsaro Rosso, e conoscendo per prova la sua audacia, forse si erano illusi di vederli ritornare entrambi.

Vedendo però scendere a mezz’asta la bandiera nera, segno di lutto, tutte quelle rumorose manifestazioni cessarono come per incanto; poi quegli uomini si radunarono silenziosamente sulla gettata, ansiosi di avere notizie dei due Corsari e della spedizione.

Il cavaliere di Roccanera, dall’alto del ponte di comando, aveva veduto tutto. Chiamò Morgan che stava facendo calare in acqua alcune scialuppe e gli disse, indicando i filibustieri ammassati sulla sponda.

– Andate a dire a costoro che il Corsaro Rosso ha avuto onorata sepoltura fra le acque del Gran Golfo, ma che suo fratello è ritornato vivo per preparare la vendetta che…

S’interruppe per alcuni istanti; poi, cambiando tono, aggiunse:

– Farete avvertire l’Olonese che questa sera andrò a trovarlo, poi andrete a recare i miei saluti al governatore. Piú tardi rivedrò anche lui.

Ciò detto attese che fossero ammainate le vele e portate a terra le gomene d’ormeggio, poi, dopo una mezz’ora, scese nel quadro dove si trovava la giovane fiamminga, già pronta per sbarcare.

– Signora, – le disse, – una scialuppa vi attende per condurvi a terra.

– Sono pronta ad ubbidire, cavaliere, – rispose ella, – sono vostra prigioniera e non mi opporrò ai vostri ordini.

– No, signora, voi non siete piú prigioniera.

– E perché, signore?… Io non ho ancora pagato il mio riscatto.

– È stato già versato nella cassa dell’equipaggio.

– Da chi? – chiese la duchessa con stupore. – Io non ho ancora avvertito il marchese di Heredias, né il governatore di Maracaybo della mia prigionia.

– È vero, ma qualcuno si è incaricato di pagare il vostro riscatto, – rispose il Corsaro, sorridendo.

– Voi forse?

– Ebbene, e se fossi stato io?… – chiese il Corsaro, guardandola negli occhi.

La giovane fiamminga rimase un istante silenziosa, poi disse con voce commossa:

– Ecco una generosità che non credevo di trovare presso i filibustieri della Tortue, ma che non mi sorprende se colui che l’ha commessa si chiama il Corsaro Nero.

– E perché, signora?

– Perché voi siete ben diverso dagli altri. Ho avuto il tempo, in questi pochi giorni che son rimasta a bordo della vostra nave, di poter apprezzare la gentilezza, la generosità e l’audacia del cavaliere di Roccanera, signore di Ventimiglia e di Valpenta. Vi prego di dirmi a quanto fu fissato il mio riscatto.

– Vi preme pagare il vostro debito? Forse che siete ansiosa di lasciare la Tortue?…

– No. V’ingannate e quando sarà giunto il momento di abbandonare quest’isola forse mi rincrescerà piú di quanto possiate immaginare, cavaliere, e credetelo, serberò viva riconoscenza al Corsaro Nero e forse mai lo dimenticherò.

– Signora! – esclamò il Corsaro, mentre un vivo lampo illuminava i suoi occhi.

Aveva fatto un passo rapido presso la giovinetta, ma subito si era arrestato, dicendo con voce triste:

– Forse allora io sarò diventato il piú spietato nemico dei vostri amici e avrò fatto nascere nel vostro cuore chissà quale avversione profonda per me.

Fece il giro del salotto a passi concitati, quindi fermandosi bruscamente dinanzi alla giovinetta, le chiese a bruciapelo:

– Conoscete il governatore di Maracaybo?…

La duchessa, udendo quelle parole, trasalí, mentre i suoi sguardi tradivano un’estrema ansietà.

– Sí, – rispose con un tremito nella voce. – Perché mi fate questa domanda?

– Supponete che ve l’abbia fatta per pura curiosità.

– Oh Dio!…

– Che cosa avete, signora? – chiese il Corsaro, con stupore. – Voi siete pallida ed agitata.

Invece di rispondere, la giovane fiamminga tornò a chiedergli con maggior forza:

– Ma perché questa domanda?

Il Corsaro stava per rispondere, quando si udirono dei passi sulla scaletta. Era Morgan che scendeva nel quadro, già di ritorno dalla sua missione.

– Comandante, – diss’egli entrando. – Pietro Nau vi aspetta nella sua abitazione, per farvi delle comunicazioni urgenti. Credo che, durante la vostra assenza, abbia maturati i vostri progetti e che tutto sia pronto per la spedizione.

– Ah! – esclamò il Corsaro, mentre un cupo lampo gli balenava negli sguardi. – Di già?… Non credevo che la vendetta dovesse essere cosí pronta.

Si volse verso la giovane fiamminga, che pareva fosse ancora in preda a quella strana agitazione, dicendole:

– Signora, permettete che vi offra ospitalità nella mia casa, che metto tutta a vostra disposizione. Moko, Carmaux e Wan Stiller vi condurranno colà e rimarranno ai vostri ordini.

– Ma cavaliere… una parola ancora… – balbettò la duchessa.

– Sí, vi comprendo, ma del riscatto ne parleremo piú tardi.

Poi, senza ascoltare altro, uscí frettolosamente, seguito da Morgan, attraversò la coperta e scese in una scialuppa montata da sei marinai, che lo attendeva a babordo della nave.

Si sedette a poppa, prendendo la barra del timone, però invece di dirigere l’imbarcazione verso la gettata, sulla quale i filibustieri avevano ripreso le loro orgie, mise la prora verso un piccolo seno che s’allargava ad est del porto, inoltrandosi in un bosco di palme dalle foglie gigantesche e dall’alto ed elegante fusto.

Sceso sulla spiaggia, fece cenno ai suoi uomini di tornare a bordo e s’inoltrò solo sotto le piante, prendendo un sentieruzzo appena visibile.

Era ridiventato pensieroso, come era sua abitudine quando si trovava solo, ma pareva che i suoi pensieri fossero tormentosi, perché di tratto in tratto s’arrestava, o faceva colla destra un gesto ora d’impazienza ed ora di minaccia, e le sue labbra si agitavano come se parlasse fra sé. Si era internato assai nel bosco, quando una voce allegra, che aveva un accento leggermente beffardo, lo strappò dalle sue meditazioni.

– Vorrei essere mangiato dai Caraibi se io non ero certo di trovarti, cavaliere. L’allegria che regna alla Tortue ti fa adunque paura, perché tu venga a casa mia prendendo la via dei boschi? Che tetro filibustiere!… Sembri un funerale!…

Il Corsaro aveva alzato vivamente il capo, mentre per abitudine aveva portata la destra sulla guardia della spada.

Un uomo di statura piuttosto bassa, vigoroso, dai lineamenti ruvidi, dagli sguardi penetranti, vestito come un semplice marinaio, e armato d’un paio di pistole e di una sciabola d’arrembaggio, era uscito da un gruppo di bananeire chiudendogli il passo.

– Ah! Sei tu, Pietro? – chiese il Corsaro

– Sono l’Olonese in carne ed ossa.

Quell’uomo era infatti il famoso filibustiere, il piú formidabile scorridore del mare ed il piú spietato nemico degli spagnuoli.

Questo Corsaro, che, come fu detto, doveva terminare la sua splendida carriera sotto i denti degli antropofaghi del Darien, e che doveva far spargere tanto sangue agli spagnuoli, non aveva in quell’epoca che trentacinque anni, ma era diventato già celebre.

Nativo dell’Olonne, nel Poitou, era prima stato marinaio contrabbandiere sulle coste della Spagna. Sorpreso una notte dai doganieri, aveva perduta la barca; suo fratello era rimasto ucciso a colpi di fucile ed era stato lui stesso cosí gravemente ferito da rimanere lungo tempo fra la vita e la morte.

Guarito, ma in preda alla piú spaventevole miseria, si era venduto come schiavo a Montbars, lo Sterminatore, per quaranta scudi, onde aiutare la sua vecchia madre. Dapprima aveva fatto il bucaniere in qualità d’arruolato, ossia di servo, poi era passato filibustiere, ed avendo mostrato di possedere un coraggio eccezionale ed una forza d’animo straordinaria, aveva finalmente potuto ottenere un piccolo vascello dal governatore della Tortue.

Con quel legno, quell’uomo audace aveva operato prodigi, causando danni enormi alle colonie spagnole, vigorosamente spalleggiato dai tre Corsari, il Nero, il Rosso ed il Verde.

Un brutto giorno però, spinto da una tempesta sulle coste del Campeche, aveva fatto naufragio, quasi sotto gli occhi degli spagnuoli. Tutti i suoi compagni gli erano stati trucidati, ma egli era riuscito a salvarsi immergendosi fino al collo nel fango d’una savana ed imbrattandosi perfino il volto per non farsi scoprire.

Uscito ancora vivo da quella palude, invece di fuggire, aveva avuta ancora l’audacia di avvicinarsi a Campeche, travestito da soldato spagnuolo, di entrarvi per studiarla meglio e, guadagnati alcuni schiavi, con una barca rubata, aveva poscia fatto ritorno alla Tortue, quando da tutti lo si era creduto già morto.

Un altro si sarebbe ben guardato dal ritentare la fortuna, ma l’Olonese invece si era affrettato a riprendere il mare con soli due piccoli legni, e con ventotto uomini si era tosto diretto su Los Cayos di Cuba, piazza allora assai commerciale. Alcuni pescatori spagnuoli, accortisi della sua presenza, avvertono il governatore della piazza, il quale manda contro i due legni corsari una fregata montata da novanta uomini e quattro velieri minori con equipaggi valorosi, ed un negro che doveva incaricarsi dell’impiccagione dei filibustieri.

 

Dinanzi a tante forze l’Olonese non si spaventa. Attende l’alba, abborda ai due lati la fregata ed i suoi ventotto uomini, nonostante il valore disperato degli spagnuoli, montano all’abbordaggio e trucidano tutti, il negro compreso.

Ciò fatto s’avanza contro gli altri quattro legni e li espugna, gettando in acqua gli uomini che li montavano.

Tale era l’uomo, che piú tardi doveva compiere ben altre e piú meravigliose imprese, col quale stava per abboccarsi il Corsaro Nero.

– Vieni nella mia casa, – disse l’Olonese, dopo d’aver stretta la mano al capitano della Folgore. – Attendevo con impazienza il tuo ritorno.

– E io ero impaziente di vederti, – disse il Corsaro. – Sai che sono entrato in Maracaybo?

– Tu!… – esclamò l’Olonese, stupito.

– E come vuoi che facessi per rapire il cadavere di mio fratello?

– Credevo che tu ti fossi servito d’intermediari.

– No, tu sai che preferisco far le cose da me.

– Bada che la tua audacia non ti costi un dí o l’altro la vita. Hai veduto come sono finiti i tuoi fratelli.

– Taci, Pietro.

– Oh!… Ma li vendicheremo, cavaliere, e presto.

– Ti sei finalmente deciso?… – chiese il Corsaro, con animazione.

– Ho fatto di piú! Ho preparata la spedizione.

– Ah! È vero quanto mi dici?…

– Sulla mia fede di ladrone, come mi chiamano gli spagnuoli, – disse l’Olonese, ridendo.

– Di quante navi disponi?…

– Di otto navi, compresa la tua Folgore e di seicento uomini fra filibustieri e bucanieri. Noi comanderemo i primi e Michele il Basco i secondi.

– Viene anche il Basco?…

– Mi ha chiesto di far parte della spedizione ed io mi sono affrettato ad accettarlo. Egli è un soldato, tu lo sai, avendo guerreggiato negli eserciti europei e può renderci grandi servigi, e poi è ricco.

– Ti necessita denaro?

– Ho consumato tutto quello che ho ricavato dall’ultimo vascello predato presso Maracaybo, di ritorno dalla spedizione di Los Cayos.

– Conta, per parte mia, su diecimila piastre.

– Per le sabbie d’Olonne!… Hai una miniera inesauribile nelle tue terre d’oltremare?…

– Te ne avrei date di piú, se non avessi dovuto pagare stamane un grosso riscatto.

– Un riscatto!… Tu!… E per chi?…

– Per una gran dama caduta in mia mano. Il riscatto spettava al mio equipaggio e l’ho versato.

– Chi può essere costei?… Qualche spagnuola?…

– No, una duchessa fiamminga, che però è imparentata di certo col Governatore di Vera-Cruz.

– Fiamminga!… – esclamò l’Olonese, che era diventato pensieroso. – Anche il tuo mortale nemico è fiammingo.

– E che cosa vorresti concludere? – chiese il Corsaro, che era diventato pallido.

– Pensavo che potrebbe essere imparentata anche con Wan Guld.

– Dio non lo voglia! – esclamò il Corsaro, con voce quasi inintelligibile. – No, non è possibile.

L’Olonese si era fermato sotto un macchione di maot, alberi somiglianti a quelli del cotone e che hanno delle foglie mostruose, e si era messo a guardare attentamente il compagno.

– Perché mi guardi? – chiese questi.

– Pensavo alla tua duchessa fiamminga e mi chiedevo il motivo della tua improvvisa agitazione. Sai che tu sei livido?…

– Quel sospetto m’aveva fatto affluire tutto il sangue al cuore.

– Quale?

– Quello che essa potesse essere imparentata con Wan Guld.

– E che cosa importerebbe a te, se lo fosse?

– Ho giurato di sterminare tutti i Wan Guld della terra e tutti i loro parenti.

– Ebbene, la si ucciderebbe e tutto sarebbe finito.

– Lei!… Oh no!… – esclamò il Corsaro, con terrore.

– Allora vuol dire… – disse l’Olonese, esitando.

– Che cosa?…

– Per le sabbie d’Olonne!… Vuol dire che tu ami la tua prigioniera.

– Taci, Pietro.

– Perché devo tacere? Forse che per i filibustieri è vergogna l’amare una donna?

– No, ma sento per istinto che questa fanciulla mi sarà fatale, Pietro.

– È troppo tardi.

– Allora la si abbandona al suo destino.

– Tu l’ami assai?

– Alla follia.

– Ed essa ti ama?

– Lo credo.

– Una bella coppia in fede mia!… Il Signor di Roccanera non poteva imparentarsi che con una bella donna di alto bordo!… Ecco una fortuna rara in America, e ben piú rara per un filibustiere. Orsú, andiamo a vuotare un bicchiere alla salute della tua duchessa, amico.