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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 3

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Del resto, quando vogliano chiamarsi tempi di pace gl'intervalli che passarono tra una ed un'altra delle persecuzioni dirette ed espresse con nuove leggi, ognuno sa, che un anno di guerra distrugge la popolazione di un secolo. Come la Chiesa invece di andarsi debilitando prendesse maggior lena e vigore a segno che sotto l'ultimo persecutore dovè impegnare l'Idolatria ed opporsi con tutte le forze (ed ogni sforzo fu vano) al suo totale esterminio, attendiamo, che lo spieghi l'Autore col suo sistema delle cagioni naturali de' progressi del Cristianesimo.

Egli si trattiene molto sulla persecuzione di Diocleziano; e questa è un'epoca ch'esige anche da noi una particolare attenzione.

Della persecuzione di Diocleziano

Ristretto. Il sistema di Diocleziano fu per più di 18 anni favorevole ai Cristiani, che si erano prodigiosamente moltiplicati, e godevano gl'impieghi i più importanti. I Pagani allora fecero gli ultimi sforzi, ed i Sacerdoti inventarono nuovi prodigi e chiamarono in soccorso i nuovi Platonici. Diocleziano e Costanzo non amavano di allontanarsi dalle massime della tolleranza, ma Massimiano e Galerio si dichiararono contro i Cristiani, prendendone motivo dall'imprudente zelo dei medesimi, come apparisce dagli esempi di Massimiliano di Affrica e del Centurione Marcello. Dopo la guerra di Persia riuscì a Galerio d'indurre Diocleziano a cominciare la persecuzione, che crebbe per gradi. In forza del primo editto le prigioni furono riempite di Ecclesiastici; cogli altri la persecuzione fu estesa a tutti i Cristiani, e furono intimate pene terribili a chi avesse sottratto un proscritto all'ira degl'Imperadori. L'incendio apparso due volte nel palazzo di Nicomedia intimorì altamente Galerio, che ne credè autori i Cristiani. Poichè Diocleziano ebbe rinunciato l'Impero, i suoi Colleghi ora sospesero, ora incalzarono la persecuzione secondo le circostanze, nelle quali si trovavano. In Occidente Costanzo protesse i Cristiani dal furore del popolo e dal rigor delle leggi. L'Italia e l'Affrica provarono una persecuzione breve e violenta sotto Massimiano; mentre la ribellione di Massenzio vi ricondusse improvvisamente la pace. Galerio poichè ebbe l'Impero di tutto l'Oriente, ebbe campo di soddisfare la sua crudeltà nella Tracia, nell'Asia, nella Siria, nella Palestina e nell'Egitto.

Risposta. Quest'ultima persecuzione, che durò un intero decennio e fu denominato l'Era de' Martiri, per la copia che ne morirono, si può chiamare persecuzione ragionata, a differenza dell'altre, ch'erano state accese piuttosto da un subitaneo furore, o dalla natia fierezza de' Principi, che da fredda e riflettuta politica. Insinua non oscuramente l'Autore che i Cristiani stessi, che per gran pezzo erano stati protetti e beneficati da Diocleziano, l'obbligassero ad armar la destra in loro danno con fatti scandalosi e superbi, che distruggevano i principj della disciplina militare, e cita in prova di ciò i due esempi di Massimiliano e di Marcello. Ma questo tratto di storia, che immediatamente precedè l'esaltazione del Cristianesimo, è così luminoso, che non si dee durar fatica a dissipare le torbide nebbie con cui si sforza egli di oscurarlo.

I veri motivi della persecuzione furono due, l'uno fu l'ultimo sforzo della superstizione e dell'interesse de' Sacerdoti, l'altro fu la smisurata ambizione di Galerio: il primo è toccato dall'Autore, che passa totalmente sotto silenzio il secondo.

Vedendo i Sacerdoti, che malgrado una guerra ch'era durata tre secoli, il Cristianesimo era divenuto presso che da per tutto la Religione dominante; che gli eserciti erano pieni di soldati Cristiani; che i Cristiani occupavano le principali cariche della Corte Imperiale; che i Cristiani avevano pubblici tempj e godevano il favore dei Principi, facilmente congetturarono, che se uno de' quattro padroni del mondo si fosse dichiarato Cristiano, l'idolatria sarebbe irreparabilmente andata in rovina, e temendo in Diocleziano più che in altri, tal mutazione, il pericolo parve loro sì grande, che non potesse rimoversi, se non con isforzi straordinarj.

Diocleziano era ignorante e superstizioso: dunque i Sacerdoti fecero parlar un oracolo contro i Cristiani, ed apparir segni infausti nelle vittime a cagion dei Cristiani. Questi due artifizj commossero l'animo del Principe che minacciò i Cristiani della sua Corte, e diede qualche ordine per costringerli a sacrificare agli Dei: ma dominato dall'amor della quiete, il suo sdegno appena acceso si estingueva; sicchè, disperando i Sacerdoti di guadagnarlo, si rivolsero a Galerio, in cui vedevano disposizioni più favorevoli.

Era Galerio rozzo, brutale, superstizioso all'eccesso; e dopo la guerra di Persia era venuto in tanta superbia, che formò l'ambizioso progetto di far perire i suoi Colleghi, e di godersi solo l'Impero. Costanzo Cloro, minacciato di prossima morte dalle abituali sue infermità, non gli dava gran pena, e la fortuna di Massimiano era appoggiata a quella di Diocleziano; sicchè contro costui doveva egli tutte le sue macchine indirizzare. Diocleziano, amando i Cristiani, n'era egualmente riamato, ed il loro numero, e la loro potenza lo tenevano in sicuro di qualunque attentato; onde Galerio non poteva perderlo, senza perder prima i Cristiani: e perchè Diocleziano faceva nel comando la figura di capo, come quegli, che aveva inventato il nuovo sistema, ed aveva chiamato a parte dell'Impero gli altri tre Principi, bisognava ch'egli stesso fosse lo strumento della persecuzione de' Cristiani.

Dunque il traditore, cautamente celando il suo vero disegno, assediava continuamente le orecchie di Diocleziano, e tentava ogni mezzo d'infiammare il di lui animo contro i Cristiani. Felici noi, e felice lui, se penetrando le mire del nemico avesse seco temporeggiato per politica, come aveva già fatto co' Sacerdoti per naturale freddezza! Egli resistè buona pezza agli assalti; ma finalmente la istanza di Galerio gli parve sì giusta, che non potesse con onore rigettarla. Domandò Galerio, che si mettesse l'affare in deliberazione secretamente con alcuni scelti Consiglieri; l'ottenne, e vinse. I Consiglieri furono nominati da lui, e vedendolo correre a gran passi alla fortuna, ne secondarono la intenzione.

Niuno degli antichi ha lasciato scritto ciò, che nel Consiglio si disse: ciò non ostante il nostro Autore crede d'indovinarlo; egli suppone, che i Ministri persuasero Diocleziano colle seguenti riflessioni: Che non doveva permettersi che sussistesse, e si moltiplicasse un popolo indipendente, e numeroso nel cuore delle Province. Ma Diocleziano si lodava della ubbidienza, e del servizio de' Cristiani, che erano sparsi per tutto, e vivevano subordinati alle leggi, contenti della libertà di coscienza. Che i Cristiani avevano formata una repubblica a parte, che si poteva sopprimere, prima che acquistasse una forza militare. Ma Diocleziano avrebbe risposto, che questa era una fredda ripetizione. Che questa Repubblica già si governava colle proprie leggi, e co' propri magistrati: e ciò nello spirituale; nel temporale co' magistrati, e colle leggi del Principe. Che già possedeva un tesoro pubblico. Tesoro in sogno; le Chiese raccoglievano quotidianamente le oblazioni e quotidianamente le distribuivano, secondo i canoni della disciplina. Che tutte le parti erano intimamente legate fra loro per mezzo delle adunanze dei Vescovi; cioè professavano la stessa credenza. Che i loro decreti erano ricevuti dalle numerose congregazioni con cieca credenza: nelle materie spettanti alla loro fede, Iddio volesse, che i nostri nemici fossero entrati in queste considerazioni!

Ma lo spirito calunniatore del nostro Autore è contrario ai monumenti più autentici della Storia. Imperciocchè le addotte accuse giustificherebbero così bene la persecuzione, che i Principi per rimuoverne tutta la odiosità, e far in se stessi risplendere l'amor del ben pubblico, le avrebbero pomposamente spiegate nei loro editti, se si fossero potuti lusingare, che alcuno vi avrebbe prestata credenza. Che vuol dire, che non se ne fa neppur motto? Galerio in fine pubblicò l'editto di rivocazione: in esso prese a giustificarsi, e dichiarò che il suo disegno era stato di guarire la superstizione de' Cristiani, e di ricondurli alla Religione degl'Idoli. Un Principe può purgarsi con ragioni di Stato, e trascura un vantaggio così essenziale? Inoltre, è noto, che Geroele Presidente della Bitinia fu uno de' Consiglieri, e lo strumento principale della persecuzione: costui pubblicò due libretti contro i Cristiani; Lattanzio, che ne dà l'estratto, non porge il minimo indizio di sospettare ciò, che l'Autore gli ha fatto dire.

Cade qui in acconcio di spiegare i due esempi che egli suppone anteriori alla persecuzione, e cagione ancora della medesima. Quando i Sacerdoti fecero credere a Diocleziano, che nella vittima, ch'egli consultava, non si trovavano i soliti segni, per la presenza de' Cristiani, il Principe milites ad nefanda sacrificia cogi praecepit, come scrive Lattanzio. Ma i soldati, piuttosto che sacrificare agl'Idoli, rinunciavano alla milizia; ciò, ch'era permesso.

Ora negli atti del Ruinart citati dall'Autore il Centurione Marcello così dice: Se tale è la condizione di quelli che militano, che debbano essere costretti a sacrificare agli Dei, ed agl'Imperadori, io getto a terra il cingolo e l'armi. Il Signor di Voltaire sopprimendo tutte le circostanze ha narrato, che Marcello in giorno di pubblica festa avendo gettato a terra le insegne militari, dichiarò che al solo Cristo ubbidiva: e così potè soggiungere che fu punito, come disertore, non come Martire, e che si trattava di una legge militare, non di una guerra di Religione. Il nostro Autore lo ha copiato fedelmente con tutta la citazione, benchè nelle altre sue ricerche consulti sempre gli originali. Questo, e simili fatti, sieno accaduti prima, sieno accaduti dopo la dichiarazione della persecuzione, altro non dimostrano, se non che i Cristiani dediti alla milizia non volevano rinunciare alla propria Religione.

 

Massimiliano di Affrica non può nella stessa guisa scusarsi: egli dichiarò, che la sua coscienza non gli permetteva di appigliarsi al mestiere delle armi. Ma quali sospetti poteva risvegliare nell'animo de' Principi un fatto singolare, quando gran moltitudine di Cristiani serviva attualmente negli eserciti?

Galerio si sforzò di far cadere sopra i Cristiani il sospetto del fuoco, che si attaccò al palazzo: ma Diocleziano fece dare i tormenti a tutti i suoi; e la sua Corte era composta di Cristiani, e di Gentili. Costantino, che allora era nel palazzo di Nicomedia lo attribuisce ad un fulmine; Lattanzio ne fa autore lo stesso Galerio. Siccome gl'incendj furono due, così non è facile di mettere in chiaro le difficoltà, che ne nascono; ma se noi non possiamo convincerne Galerio, così egli non potè convincerne i Cristiani.

Si è detto, che la intera durata della persecuzione fu di 10 anni; ma non sempre, nè da per tutto dello stesso tenore. Opinò Galerio da prima, che i Cristiani si dovessero bruciar tutti vivi, e il suo avviso fu rigettato con orrore. Diocleziano sempre abborrì il sangue, e non fu strascinato sino all'eccesso, che a grado a grado. Ordinò col primo editto la consegna de' libri sacri; così la tempesta si scaricò sopra i soli Ecclesiastici, ma succedendosi di mano in mano gli editti, la persecuzione divenne generale.

E ne' primi due anni fu violenta: la rinuncia di Diocleziano fu cagione di qualche cambiamento: Costanzo, che ubbidiva con ripugnanza, rendè la pace ai Cristiani suoi sudditi: Massenzio rivoltatosi contro Massimiano, trasse nel suo partito i Cristiani di quella porzione d'Impero: ma Galerio fece orribili stragi in tutto l'Oriente.

Editto di Galerio per dare la pace alla Chiesa

Ristretto. Galerio afflitto da lunga e penosa malattia pubblicò un editto, nel quale dichiarò ch'era intenzion sua di correggere e ristabilir tutto secondo le antiche leggi e la disciplina pubblica de' Romani; e di ricondurre nella via della ragione e della natura i delusi Cristiani, che avevano abbandonata la Religione, e le ceremonie de' loro maggiori; e che disprezzando presuntuosamente le pratiche dell'antichità, avevano inventate leggi ed opinioni stravaganti secondo i dettami del lor capriccio, ed avevano formate diverse società nelle Province dell'Impero: ma che trovandoli tuttora ostinati nell'empia loro follia permetteva loro di nuovo il libero esercizio della propria Religione, purchè conservassero sempre il rispetto dovuto alle leggi, ed al governo, e gli esortava a pregare il lor Dio per la sua salute, e per la prosperità dell'Impero.

Risposta. O l'Autore ha falsificato l'editto, o lo ha malamente tradotto dal latino. Nell'originale non si nominano mai le leggi, sulle quali tanto s'insiste nella traduzione. La disciplina Romana che Galerio voleva rimettere, significa, come lo avverte il Mosemio, la Religione. Così Galerio suppone, che i Cristiani andavano contro la Religione Romana, non contro le antiche leggi, e contro la disciplina civile. Nel testo si legge, ut Christiani, qui parentum suorum reliquerunt sectam, ad bonas mentes redirent; ed in fatti, i moderni platonici li accusavano di essersi allontanati dal primo loro istituto. Le parole sectam parentum suorum, chiarissime in se stesse, nella traduzione esprimono, che i Cristiani avevano abbandonata la Religione de' loro maggiori Idolatri, poichè soggiugne disprezzando presuntuosamente le pratiche dell'antichità, avevano inventate leggi, ed opinioni stravaganti, secondo i dettami del loro capriccio, e che però i delusi Cristiani si dovevano ricondurre nella via della ragione, e della natura. In verità bisogna avere una fronte molto intrepida, per portar la impostura ad un segno tanto alto.

Conchiudiamo sopra Galerio, e sopra Diocleziano. Questo Principe fu piuttosto sciocco, che crudele: e nella persecuzione servì di puro strumento. Il vero Autore ne fu il primo, che per le stragi, e le carneficine giunse al suo intento di ristabilire la monarchia universale; ma anzichè poterne godere egli il frutto, morì dal dolore di aver messo in libertà il giovane Costantino, a cui il cielo aveva destinato il trono del Mondo. Ed i Sacerdoti Pagani, ch'eccitarono una sì grave e sì lunga tempesta, per impedire, che alcuno de' Principi non si dichiarasse cristiano, ottennero in premio delle loro fatiche, che la temuta dichiarazione seguisse in Costantino, e che questi collocasse nella sedia imperiale la croce di Gesù Cristo. Così la Providenza sa impiegare le passioni degli uomini, per giungere a fini diametralmente contrari a quelli, che essi si propongono.

Relazione probabile de' patimenti de' Martiri, e de' Confessori

Ristretto. Eusebio, e Lattanzio declamano, ed esagerano i patimenti sofferti da' Cristiani in questa persecuzione. Il primo si rende sospetto, col dichiarare di scrivere tutto ciò che poteva ridondare in gloria, e di aver soppresso tutto quello che poteva tendere al disonore della Religione. Quando i Cristiani irritavano i Magistrati, egli è da credere, che fossero trattati con rigore. Ma ordinariamente avveniva il contrario; e ciò apparisce, 1. da' Confessori condannati alle miniere, dove avevano la libertà di formar cappelle per professarvi la loro Religione: 2. da' Vescovi, ch'erano obbligati a reprimere lo zelo precipitato di coloro, che gettavansi volontariamente nelle mani de' Magistrati, o per debiti, o per saziare la fame, o per espiare i lor falli con una lunga carcerazione. Trionfato ch'ebbe la Chiesa sopra tutti i suoi nemici, la vanità esagerò i patimenti de' Martiri, e 'l potere del Clero accreditò le leggende piene di miracoli.

Risposta. Dal prefiggersi Eusebio di non voler parlare delle contese precedenti alla persecuzione, e delle cadute, che si videro nella persecuzione, e di voler narrare soltanto ciò, che poteva giustificare i giudizj divini, e ciò, ch'era utile (così si legge nel testo) non segue, che si fosse impegnato a mentire, ed esagerare. Ma l'Autore gli fa dire, che voleva scrivere tutto ciò che poteva ridondare in gloria della Religione.

I Confessori condannati alle miniere, si servivano delle caverne, ch'egli chiama cappelle, per celebrarvi il culto divino. Dunque per questa libertà il travaglio delle miniere era una pena leggiera. Il ragionamento non è molto convincente.

I Vescovi erano costretti a frenare lo zelo precipitato di coloro, che gettavansi volontariamente nelle mani de' Magistrali. Dunque i Magistrati non li facevano molto patire. Questo secondo sillogismo conchiude nella stessa guisa, che il primo.

I debitori, che si fanno carcerare da' Magistrati per la fede, col pericolo di perdere la vita, per non farsi carcerare da' creditori, o per non implorarne la clemenza; ed i poveri, ch'erano alimentati dalla Chiesa senza bisogno di costituirsi in prigione, e che ciò non ostante per saziare la fame si abbandonavano alla discrezione de' loro nemici, che li bastonavano, e li costringevano a fare lunghi digiuni, sono personaggi, che nel romanzo del Sig. Gibbon fanno una comparsa del tutto singolare.

Quando voglia rigettarsi Eusebio senza motivo, un argomento certo, che non probabile, degli orribili tormenti sofferti da' Martiri in tutte le persecuzioni, e massimamente nell'ultima, può cavarsi dagli editti medesimi degl'Imperadori. Traiano stabilì l'uso di dare i tormenti per espugnare la costanza dell'animo, e siccome non prescrisse alcuna misura, dovevano crescere quelli, quanto era questa più salda. Decio ordinò ai Ministri, che inventassero nuovi generi di supplicj: e Traiano fulminò gravissime pene contro que' Gentili, che avessero sottratto un Cristiano al suo sdegno. Oltre ciò, l'odio ragionato de' Sacerdoti, e l'occulto disegno di Galerio, che non poteva condursi a fine senza distruggere i Cristiani, ci fanno abbastanza giudicare, se Lattanzio debba passare per un declamatore, e per un falsario Eusebio.

Del numero de' Martiri

Ristretto. Origene dichiara, che a suo tempo esisteva un piccolissimo numero di Martiri. San Dionisio suo amico non numera, che 10 uomini, e 7 donne uccise nella persecuzione di Decio nell'immensa Città di Alessandria. Nella persecuzione di Diocleziano Eusebio riferisce, che 9 Vescovi furono puniti di morte, e nella sua numerazione de' Martiri della Palestina se ne trovano 92. Ora la Palestina faceva la sedicesima parte dell'Impero di Oriente: e supponendo ch'ella desse la sedicesima parte di Martiri, eglino in tutto l'Oriente ascenderanno a mille cinquecento, il qual numero diviso pe' dieci anni della persecuzione darà 150 Martiri per anno. Applicando la stessa proporzione all'Occidente, dove dopo il terzo anno fu sospeso e abolito il rigor delle leggi, i Cristiani fatti morire in tutto l'Impero saranno poco meno di duemila. E siccome questa fu la più lunga e la più atroce delle persecuzioni, il nostro calcolo moderato e probabile ci darà la giusta idea de' Martiri degli altri tempi.

Risposta. Nel passo di Origene, sul quale insiste il Dodwello, si dice, che i Martiri erano pochi, perchè Iddio non aveva voluto, che si distruggesse la stirpe de' Cristiani, e ciò indica, ch'egli considerò il numero de' Martiri riguardo alla gran moltitudine de' Cristiani, non in se stesso; ed in questo senso disse bene, esser piccolo.

San Dionisio numera 17 Martiri, non determinatamente, non escludendo gli altri, ma trascegliendo i più illustri.

Così pure va inteso Eusebio; e basta dare una scorsa alla sua Storia della persecuzione, e far attenzione all'espressioni che adopra in descriverla, per rimanerne convinto.

Il calcolo formato sopra i Martiri della Palestina si fonda sopra due supposizioni, l'una falsa, e l'altra non provata. Che i Martiri ivi costituissero la sedicesima parte de' Cristiani, non è provato neppure per congettura. E che Eusebio nominandone 92 intenda parlare esclusivamente, si è veduto, ch'è falso; e vuolsi aggiungere, che nel luogo stesso, dice, che in ogni provincia la moltitudine de' Martiri fu innumerabile; e parlando della Tebaide riflette, che in un sol giorno ne furono tanti decapitati, che il ferro perdè il taglio, e gli esecutori si succedevano per la stanchezza l'uno all'altro.

Del resto, abbiamo gli editti de' persecutori; ed abbiamo gli Atti sinceri de' Martiri, da' quali, ancorchè se ne detragga un terzo, sempre ne resterà un numero prodigioso.

Terminiamo col Mosemio, Autore a lui famigliare: Essere non pochi, ma molti quelli, che, per tre secoli e più, sostennero la morte per Cristo, è noto per gravissime testimonianze, e di parole, e di cose. Ma è anco fuori di dubbio, doversi detrarre un piccolo numero dall'immenso esercito di Martiri, che predicano egualmente i Greci ed i Latini. Non è da dispregiarsi l'opinione del Dodwello, se si determini così. I Martiri sono molto più pochi di quello, che crede il volgo. Nè al contrario è da dispregiarsi l'opinione degli avversari, se si prenda in questo senso. I Martiri sono in molto maggior numero di quello, che stima il Dodwello.

RIASSUNTO

In questo capo si è lungamente ragionato sulle cagioni della persecuzione colla mira di vedere, se ne restino giustificati gli Autori. La prima cagione fu la natura intollerante della Religione Cristiana, che obbligava i seguaci a rinunziare al culto nazionale. La seconda fu la falsa accusa di ateismo, o per dir meglio, di superstizione, e chimeriche speculazioni. La terza le assemblee Cristiane che, celebrandosi in secreto, risvegliavano ne' Gentili sinistri sospetti. La quarta i costumi de' Cristiani di atroci calunnie macchiati. E la quinta obbliata dall'Autore, l'attaccamento de' Pagani alla Idolatria.

Noi le abbiamo tutte ad una ad una richiamate ad esame; ed abbiamo trovato, non essersi l'Autore ingannato nell'attribuire alla loro forza la persecuzione. Bensì, lungi dal poter esse formare difesa alcuna dei Gentili, ne manifestano anzi a chiare note la ingiustizia. Imperciocchè quello, che si supponeva, era onninamente falso: e per diritto naturale non può alcun suddito condannarsi, senza esaminare, se meriti supplicio. Ora i persecutori trascurarono per tre secoli di adempire a questo dovere essenziale della legge di natura.

Siamo indi passati a considerare, se dalla storia delle persecuzioni risultino i quattro articoli dall'Autore proposti: cioè se veramente la Chiesa istette molto ad essere perseguitata: se i persecutori usarono precauzione, e ripugnanza nel far le leggi di proscrizione, e nell'eseguirle; se nell'uso delle pene furono moderati, e se la Religione provò vari considerabili intervalli di pace.

 

La Storia in vece di questi quattro articoli ci ha dimostrati chiaramente avverati gli opposti; perocchè la Chiesa nacque nella persecuzione, ed andò sempre crescendo nella persecuzione: prima fu assalita da' Giudei nella Palestina, poi in Roma da' Politeisti, in forza di due antiche leggi: in seguito, senza mai cessare questa persecuzione indiretta, dieci Imperadori fino a Costantino fecero contro il Cristianesimo editti espressi di tormenti e di morte.

In vece della precauzione e della ripugnanza la Storia ci ha dimostrato, che non si conobbe dalla maggior parte nè misura, nè ritegno, e che in vece della moderazione regnò per tutto la rabbia e la barbarie.

Intervalli di pace tra una, ed un'altra persecuzione se ne rinvengono; poichè tra tanti Imperadori, che riempirono la serie di tre secoli, dieci soltanto fecero leggi contro di noi. Se non che, la persecuzione indiretta tenuta sempre accesa da' Sacerdoti, da' Filosofi, dal popolo, non ci permise mai di respirare; e troviamo ancora de' Martiri sotto que' Principi stessi, che ci accordarono la loro protezione.

Abbiamo finalmente posta in chiaro la persecuzione di Diocleziano, che fu l'ultima, e durò un decennio, dove abbiamo veduto, con quanto vani sofismi l'Autore si è sforzato di oscurare i patimenti de' Cristiani, e di annichilare il numero de' Martiri. Quale giustificazione risulti da tutto ciò, per rendere meno orribile la condotta de' Pagani contro di noi, lo giudichi il lettore.

Confronto tra l'un Capo, e l'altro

L'edificio della verità debbe essere tale, che le parti, ond'è composto, sieno insieme, e si corrispondano con perfetta armonia. Quando manca questa; quando le parti hanno ripugnanza tra loro sicchè la presenza dell'una escluda la presenza delle altre, a questo segno manifestamente si riconosce la macchina della menzogna. Avendo in tanto sottoposto ad esame tutto quello, ch'è piaciuto all'Autore di comunicare al pubblico sopra la Religione Cristiana, facciamo l'ultimo passo, ch'è quello di confrontare l'un capo coll'altro.

E primieramente, confrontando disegno con disegno, ne salta agli occhi la contraddizione. Nel primo caso si vogliono spezzare i progressi del Cristianesimo per cagioni naturali, e ciò in diversi termini vuol dire, che i Gentili erano naturalmente portati ad abbracciarlo, sia per la propria disposizione, sia per l'indole della Religione Evangelica. Nel secondo si prende a dimostrare che dalle cagioni provenienti dall'indole (almeno apparente) della Religione, e dalle disposizioni de' Politeisti, erano costoro naturalmente spinti a perseguitarla, e tanto naturalmente, che l'Autore, il quale li giustifica, è persuaso, che avessero avuto ragione. Or noi lo preghiamo a collegare insieme queste due idee. Ma diamo una rapida scorsa alle parti costituenti le due macchine.

Il Cristianesimo, si dice nel primo capo, fu naturalmente abbracciato per lo zelo esclusivo, o sia intollerante de' Cristiani medesimi. Ma nell'altro capo si sostiene, che l'intolleranza de' Cristiani, per la quale essi abbandonavano il culto nazionale, pareva ai Politeisti un peccato nuovo, straordinario, irremissibile; e che questa fu la prima cagione, che li determinò naturalmente alla persecuzione. L'Autore avrà la bontà di combinare.

Ivi la seconda cagione de' progressi del Cristianesimo si suppose essere la dottrina dell'immortalità con tutto il suo apparato. Ma qui si riferisce, che i Pagani rigettavano il prezioso dono dell'immortalità offerta da Gesù Cristo, e ne desideravano la risurrezione; e quanto all'opinione dell'imminente fine del mondo, che si chiamò ivi in soccorso dell'immortalità, qui si dice; che sì fatte predizioni movevano a sdegno i Gentili, e facevano loro temere, che non si sollevasse qualche pericolo all'Impero, tanto più grave, quanto più oscura era la setta de' Cristiani. Noi non possiamo conciliare queste cose.

Intorno all'attività de' miracoli, avendo trovata una patente contraddizione nel medesimo luogo, dove si suppongono falsi, ed insieme operanti vere e numerose conversioni, non abbiamo bisogno di confrontar capo con capo. Nè il secondo ne tratta, e dovrebbe trattarne, giacchè sarebbe stata giusta cagione di persecuzione, se i Politeisti fossero stati convinti, o avessero potuto provare che i Cristiani erano tanti impostori.

Quanto all'altra pretesa cagione di progressi, riposta nella morale Cristiana, abbiamo veduto, dove se n'è parlato, come è una gran ripugnanza il dire, che la morale Cristiana agli occhi de' Gentili pareva contraria alla natura, ed al bene dello Stato, e che nel medesimo tempo eglino erano da essa naturalmente determinati ad abbracciarla. Ma nell'altro capo vi ha di più: vi ha, che la morale de' Cristiani era tacciata di ateismo, d'infanticidj, di pranzi di carne umana, d'incesti, e che queste false accuse formavano uno dei motivi della persecuzione. Senza dubbio qui a rischiarare le tenebre abbisognano molte idee intermedie, tralasciate, per supplirsi dalla sagacità degl'interpreti.

In quel capo si pretese, che la unione, e la disciplina Ecclesiastica contribuì alla dilatazione della Chiesa. In questo la unione de' Cristiani, che aveva la forma, e la forza di una grande Repubblica confederata risveglia la gelosia del governo; le adunanze Cristiane sembrano sospette, i seguaci di Gesù Cristo erano accusati di spirito d'indipendenza, e per questo venivano perseguitati. Come concilieremo queste idee?

Finalmente in un capo si rappresentano i Sacerdoti degl'Idoli, come persone indolenti, che lasciano fare ai Cristiani, quanto lor piace: nell'altro i Sacerdoti infiammano il popolo, i Sacerdoti chiamano in soccorso i Filosofi, i Sacerdoti inventano nuovi oracoli, e nuovi prodigi, affin di perdere i Cristiani. Ed il popolo, che si supponeva caduto nello scetticismo, e che aveva già scossa l'autorità delle maraviglie della Mitologia, e che per certa conseguenza che fa l'Autore, così disposto a ricevere le maraviglie autentiche dell'Evangelio, per tre secoli infierisce contro i Cristiani, con sediziosi clamori li chiede alla morte contro le leggi del Principe, e si mostra tanto dominato dallo spirito di accusa, che parecchi sono costretti a reprimerlo colle più forti minacce.

Un uomo dell'Antichità fu tacciato d'incostanza, e fu posto in derisione con un bel verso a tutti noto.

Destruit, aedificat, mutat quadrata rotundis.

Il Signor Gibbon fa di più; pretende, che stiano insieme le rovine e gli edifizi, i quadrati ed i circoli.

Ecco il libro contro il quale nessun Apologista, a parere di alcuni, doveva osare di scrivere. Noi non abbiamo fatto, che compendiare o per dir meglio sfiorare una Opera, nella quale tutto è pacatamente, e secondo la sua naturale estensione esaminato. Dal poco, che ci è stato lecito di presentare al pubblico, ci ripromettiamo, che i due capi del Signor Gibbon, che riguardavano la Religione, saranno per l'avvenire meglio letti da chi vorrà parlarne con fondamento: ma lasciando all'autore della Opera gli applausi, che merita, noi siamo contenti di aver in parte contribuito alla utilità de' lettori.

Fine