Kostenlos

Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 12

Text
0
Kritiken
iOSAndroidWindows Phone
Wohin soll der Link zur App geschickt werden?
Schließen Sie dieses Fenster erst, wenn Sie den Code auf Ihrem Mobilgerät eingegeben haben
Erneut versuchenLink gesendet

Auf Wunsch des Urheberrechtsinhabers steht dieses Buch nicht als Datei zum Download zur Verfügung.

Sie können es jedoch in unseren mobilen Anwendungen (auch ohne Verbindung zum Internet) und online auf der LitRes-Website lesen.

Als gelesen kennzeichnen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

Il virtuoso Enrico morì a Tessalonica, ove, per difendere il regno e il figlio ancor fanciullo dell'amico suo Bonifazio erasi trasportato. Tutta la linea maschile de' Conti di Fiandra colla morte de' due primi Imperatori di Costantinopoli rimaneva estinta; ma la lor sorella Jolanda era moglie di un principe francese e madre di numerosa prole. Una figlia di lei avea per marito Andrea, Re d'Ungheria, prode e pio campion della Croce; dal quale, col farlo Imperatore, i Baroni di Romania i soccorsi d'un possente e vicin regno sarebbersi procacciati; ma mostratosi il saggio Andrea rispettoso alle leggi della successione, i Latini sollecitarono la principessa Jolanda e il marito di lei Pietro di Courtenai, Conte di Auxerre a trasportarsi a Costantinopoli per ivi cingere il diadema d'imperator d'Oriente. Chiaro per paterna origine e per regale legnaggio della sua madre, come il più prossimo parente del lor Monarca, i Baroni francesi lo rispettavano. Aggiugnevansi a favor di Pietro luminosa fama, vasti possedimenti, e i suffragi degli ecclesiastici e de' soldati, rimasti egualmente soddisfatti del fatale zelo e del valore di questo guerriero nella sanguinosa crociata che contro gli Albigesi fu impresa. Certamente la vanità de' Francesi doveva esser paga in veggendo un uomo di lor nazione sul trono di Costantinopoli: ma la prudenza avrebbe fatto vedere che meno invidia che compassione si meritava l'uomo che a grandezza tanto fallace e pericolosa aggiugnea. Per sostenere con dignità il nuovo grado, Courtenai si vide primieramente costretto a vendere, o impegnare la più ricca parte del suo patrimonio. Sol per questi espedienti, e soccorso dalla liberalità del suo parente Filippo Augusto, e dallo spirito di cavalleria che per tutta la Francia dominava, si trovò in istato di passar l'Alpi, condottiero di cenquaranta cavalieri e di cinquemila cinquecento arcieri, o sergenti. Dopo qualche esitanza, il Pontefice Onorio III si arrendè a coronare questo nuovo successore di Costantino, avuta però la cautela di compire la cerimonia in una chiesa posta fuori del ricinto della città, per tema, non venisse supposto che questa conferisse al nuovo unto alcun diritto di sovranità sulla capitale antica del Mondo. Ben si obbligarono i Veneziani a trasportare oltre il mare Adriatico Pietro e le sue truppe, e fin nella reggia di Bisanzo l'Imperatrice co' suoi quattro figli; ma per premio dell'agevolato tragetto, pretesero dal nuovo Imperatore ch'ei si accignesse a riprender Durazzo, allor dominata dal despota dell'Epiro. Michele l'Angelo o Comneno, il primo della dinastia d'Epiro avea lasciata in retaggio la sua possanza e ambizione al fratello Teodoro, che già minacciava e assaliva i latini possedimenti. Dopo avere Pietro soddisfatto con un inutile assalto il suo debito, si vide alla necessità di levare l'assedio, e di terminare per terra fino a Tessalonica il suo rischioso cammino. Smarritosi fra le montagne dell'Epiro, si scontrò in gole affortificate e difese; le vettovaglie mancarongli; perfide apparenze di negoziazione ancora gli porsero indugi. Infine Pietro di Courtenai e il Legato romano si trovarono arrestati, mentre uscivano d'un banchetto; per lo che le truppe francesi prive di Capo e di modi per sostenersi, e adescate dall'ingannevol promessa di essere nudrite e umanamente trattate, cedettero l'armi. Il Vaticano sull'empio Teodoro lanciò le sue folgori, minacciandolo della vendetta della terra e del cielo. Ma poichè le querele del Pontefice al suo Legato sol riferivansi, l'Imperatore e i soldati del medesimo prigionieri dimenticò, concedendo perdono, o a dir meglio protezione al despota dell'Epiro, che appena liberato il Legato, promise obbedienza spirituale all'appostolica sede di Roma. I comandi assoluti di Onorio contennero l'ardor dei Veneziani e del Re ungarese; nè altro che una morte145 o naturale, o violenta la prigionia del misero Courtenai terminò146.

A. D. 1221-1228

La lunga incertezza in cui si rimase sulla sorte di Pietro, la presenza della legittima sovrana Jolande, o moglie, o vedova del medesimo, fecero che l'elezione di un nuovo Imperatore si differisse. La morte di questa principessa vissuta in mezzo ai cordogli, accadde in tempo che già sgravata erasi d'un fanciullo, cui fu imposto il nome di Baldovino, ultimo e più sfortunato dei principi latini di Costantinopoli. Comunque la sua stessa nascita fosse un motivo, per essergli affezionati ai Baroni della Romania, la fanciullezza del medesimo avrebbe lungo tempo esposto l'impero agli inconvenienti di una minorità, per lo che i diritti de' fratelli di Baldovino prevalsero. Il primogenito, Filippo di Courtenai, erede di Namur dal lato di madre, ebbe l'accorgimento di preferire la realtà del suo marchesato ad un'ombra di impero; pel quale rifiuto, Roberto, secondogenito di Pietro e di Jolande, al trono di Costantinopoli fu chiamato. Fatto circospetto dalla paterna sventura, per traverso all'Alemagna e lungo le rive del Danubio, seguì lentamente il suo cammino, e agevolatogli il passaggio per l'Ungheria dai motivi di parentado con quel Re, marito di sua sorella, pervenne finalmente alla meta, coronato dal Patriarca nella cattedrale di S. Sofia. Ma non provò durante l'intero suo regno che umiliazioni e disastri; e la colonia della Nuova Francia, così allora chiamata, cedea da tutte le bande ai collegati sforzi de' Greci di Nicea, e dell'Epiro. Dopo una vittoria più alla sua perfidia che al valore dovuta, Teodoro l'Angelo entrato nel regno di Tessalonica, e scacciatone il debole Demetrio, figlio del Marchese Bonifazio, fe' sventolare sulle mure di Andrinopoli il suo stendardo, aggiugnendo superbamente il proprio nome al novero di tre o quattro imperatori suoi emuli. Giovanni Vatace, genero e successore di Teodoro Lascaris, occupando il rimanente della provincia asiatica, splendè, durante un regno di trentatre anni, per tutte quelle virtù che ad un legislatore e ad un conquistatore si aspettano. Ei seppe, ottimo capitano, fare strumento di sue vittorie il valore di parecchi Franchi mercenarj, la cui diffalta, al lor paese funesta, divenne annunzio e cagione della superiorità risorgente de' Greci. Vatace costrusse una flotta, impose leggi all'Ellesponto, le isole di Lesbo e di Rodi ridusse, i Veneziani di Candia assalì, ai lenti e deboli soccorsi che ai Latini pervenivano dall'Occidente tolse la via. Indarno l'Imperatore latino fe' prova di opporre a Vatace un esercito, la cui sconfitta lasciò morti sul campo di battaglia quanti cavalieri e antichi conquistatori tuttavia rimanevano. Ma men trafiggeano l'animo dell'inetto Roberto i buoni successi del nemico che l'insolenza de' suoi sudditi latini, i quali della debolezza dell'Imperatore e dell'impero abusavano parimente. Le domestiche sciagure di questo principe dimostrano ad un tempo la ferocia del secolo e l'anarchia che quel governo premea. Sedotto Roberto dall'avvenenza di una nobile giovane della provincia di Artois, e dimentico degli accordi che la mano di lui alla figlia di Vatace obbligavano, introdusse nel palagio l'arbitra del suo cuore, inducendo la madre della donzella, abbagliata dallo splender della porpora, ad acconsentire, comunque ad un gentiluomo della Borgogna fosse promessa in isposa. L'amore del tradito pretendente in furor convertendosi, adunò i proprj amici, e rotte le porte della reggia, precipitò nell'Oceano la madre di colei che era divenuta o moglie, o concubina dell'Imperatore, e a questa barbaramente il naso e le labbra tagliò. I Baroni, anzichè voler punire il colpevole, fecero plauso ad un'azione feroce, che Roberto non potea perdonare nè come principe, nè come uomo147. Sottrattosi alla sua colpevole capitale, corse ad implorare la giustizia, o la compassione della Romana Sede Apostolica: ma il Papa lo esortò freddamente a ritornarsene nel suo regno; e nè manco gli fu lecito arrendersi a tal consiglio, perchè alla gravezza del dolore, della vergogna e della rabbia d'un impotente risentimento, i suoi giorni cedettero148.

 

A. D. 1228-1237

Il secolo della cavalleria è il solo tempo che abbia aperte al valore di semplici privati le vie de' troni di Gerusalemme e di Costantinopoli. La sovranità titolare di Gerusalemme apparteneva a Maria figlia di Isabella e di Corrado di Monferrato, e pronipote di Almerico, o di Amauri. Il pubblico voto, e una sentenza di Filippo Augusto, le aveano dato in isposo Giovanni di Brienne, uscito di una nobile famiglia della Sciampagna, e additato siccome il più valoroso fra i difensori di Terra Santa149. Nella quinta Crociata, condottiero di centomila Latini portatosi alla conquista dell'Egitto, terminò l'assedio di Damieta coll'impadronirsi di questa Fortezza; i disastri che succedettero a tale resa, vennero unanimamente attribuiti all'avarizia e all'orgoglio del Legato Pontifizio. Dopo aver data in isposa la propria figlia a Federico II150, l'ingratitudine dell'Imperatore lo costrinse ad accettare il comando delle truppe della Chiesa: perchè comunque avanzato negli anni e privato della sua corona, il valente e generoso Giovanni di Brienne ognor pronto mostravasi a brandire la spada, se l'utile della Cristianità lo chiedeva. Non avendo regnato che sette anni Roberto di Courtenai, il fratello di lui Baldovino non poteva essere uscito ancor dell'infanzia, e intanto i Baroni di Romania vedeano la necessità di rimettere lo scettro fra le mani d'un adulto e d'un eroe. Il nome e l'uffizio di reggente, cose non erano da offerirsi al rispettabile Re di Gerusalemme. Onde accordaronsi di conferirgli, sua vita durante, il titolo e le prerogative imperiali, sotto l'unico patto che ei concedesse la figlia sua secondogenita in moglie a Baldovino, serbato nella maggiorità degli anni a succedergli nel trono di Costantinopoli. La scelta di Giovanni di Brienne, la sua presenza e la sua fama, fecero rinascere la speranza de' Greci e de' Latini. Ammiravano il contegno guerriero151, il vigor d'un vegliardo che gli ottant'anni già oltrepassava, e la statura che dalle proporzioni ordinarie toglievasi; ma l'avarizia e l'amor della quiete a quanto appariva aveano raffreddato nel suo animo l'ardor delle imprese; lasciate sbandar le sue truppe, due anni interi in un vergognoso ozio per esso trascorsero. Solamente da questo sonno il destò il formidabile collegarsi di Vatace Imperator di Nicea con Azan Re de' Bulgari. Conducendo un esercito di centomila uomini, e una flotta di trecento legni da guerra, i due Imperatori assediarono Costantinopoli; mentre le forze dell'Imperatore latino in soli centosessanta cavalieri e in una picciola mano d'arcieri, o di sergenti era posta. Sto perplesso nel raccontare che invece di pensare a difendere la città, questo eroe fece una sortita a capo della sua cavalleria, e che di quarantotto squadroni nemici, soli tre alla sua spada invincibile si sottrassero. Animati dal suo esempio, l'infanteria e i cittadini si lanciarono sulle navi che stavano tuttavia ancorate a piè delle mura, e ne condussero venticinque in trionfo entro il porto di Costantinopoli. Alla voce del Monarca, i vassalli e i confederati in difesa di lui presero l'armi, tutti gli ostacoli che al lor cammino opponevansi atterrarono, e nel successivo anno, ottennero sugli stessi nemici una seconda vittoria. I poeti di quel rozzo secolo, ad Ettore, ad Orlando, a Giuda Maccabeo raffigurarono Giovanni di Brienne152; ma il silenzio dei Greci affievolisce alcun poco e la gloria del principe, e l'autorità di coloro che il celebrarono. Non andò guari che l'Impero perdette l'ultimo fra i suoi difensori: il moribondo Monarca ebbe l'ambizione di entrare in Paradiso vestito da franciscano153.

A. D. 1237-1261

Nelle descrizioni delle due vittorie riportate da Giovanni di Brienne, non vedo fatta menzione del nome, non che di veruna impresa di Baldovino, pupillo, indi successore dello stesso Giovanni, comunque già pervenuto ad età che atto al militare servigio il rendea154. Questo Principe adoperato in uffizj meglio alla sua indole confacevoli, visitò le Corti dell'Occidente, e quello soprattutto del Pontefice e del Re di Francia, alle quali lo inviarono, affinchè la presenza del giovinetto eccitando maggior compassione sulla sua innocenza e sulle sventure della sua Casa, ne rendesse più efficaci le preghiere per ottenere soccorsi d'uomini e di danari. Per tre volte egli ripetè queste umilianti peregrinazioni, nel cui adempimento, parve mettesse uno studio per prolungare la sua lontananza e differire il ritorno. Durò venticinque anni il regno di Baldovino II, la più gran parte trascorsi da lui fuori de' proprj Stati, perchè non si credea mai men libero e men sicuro, come quando nella patria e nella capitale del dominio greco si stava. Alcuna volta la vanità di lui ebbe per vero di che appagarsi sugli sterili onori che alla porpora e al titolo augusto venian tributati. Di fatto intanto che Federico II era scomunicato e percosso da un bando che intendeva a privarlo dell'impero, il suo collega d'Oriente assisteva al Concilio di Lione, seduto in trono e alla destra del Romano Pontefice. Ma quanto maggior numero di volte poi, questo Imperatore, mendico ed esule, si trovò invilito agli occhi proprj e di tutte le nazioni, e per oltraggi sofferti, e fino per la insultante pietà di cui fu lo scopo! Trasferendosi per la prima volta nell'Inghilterra fu arrestato a Douvres, e severamente redarguito perchè si era fatto lecito di entrare senza permissione negli Stati d'un regno independente; e poichè ebbe ottenuta, non senza qualche poco d'indugio, la libertà di proseguire nel suo cammino, si vide con fredda urbanità accolto alla Corte, alla quale dovette saper grado di un dono di settecento marchi d'argento con cui partì155. Tutto quanto potè ottenere dall'avarizia di Roma si stette nel bando di una Crociata e in un tesoro d'indulgenze,156 moneta invilita assai perchè troppo di frequente, e con troppa inconsideratezza era stata adoprata. Gl'illustri natali e le sventure del Principe greco, ben commossero il cuor generoso del cugino di lui Luigi IX; ma il fervor guerriero del Santo Re ai lidi dell'Egitto e della Palestina volgeasi. Baldovino alleviò alcun poco le angustie proprie, e quelle cui ridotto era il suo impero colla vendita del Marchesato di Namur e della Signoria di Courtenai, soli Stati ereditarj che gli rimanessero157. Giovatosi di questi espedienti umilianti, o rovinosi del certo, potè condurre in Romania un esercito di trentamila uomini, il cui numero apparve tanto maggiore ai Greci pel terrore che ad essi inspirò. I primi messaggi da esso inviati alle Corti francese ed inglese, annunziavano speranze ed anche buoni successi. Avea sottomessi tutti i dintorni della Capitale, fino ad una distanza di tre giornate della medesima, e conquistata una rilevante città, che comunque nelle sue lettere ei non accenni, io suppongo essere stata Chiorli; la qual vittoria dovea e fargli sgombro il successivo cammino, e assicurare la tranquillità della frontiera. Ma tutte le ridette speranze (posto ancora che le cose nunziate da Baldovino fossero state vere) si dileguarono come un sogno; nelle inette mani di questo Principe i tesori come le milizie venute dalla Francia si spersero; onde non trovò miglior sostegno per reggersi in trono di una vergognosa lega che strinse coi Comani e coi Turchi. Per confermare il vile Trattato, ei concedè la propria nipote in isposa all'infedele Sultano di Cogni, e per rendersi accetto ai Comani, alle cerimonie del loro culto si sottomise: onde fra un campo e l'altro, fu sagrificato un cane, e i Principi contraenti, come pegno di reciproca fedeltà, gustarono il sangue l'uno dall'altro158. Sempre più intanto la povertà lo premea. Il successore d'Augusto demolì gli appartamenti vuoti della sua reggia; o a meglio dire della sua prigione, di Costantinopoli per trarne legna da scaldarsi. S'impadronì de' piombi che coprivano i templi per farli supplire alle spese della sua casa. Prese ad imprestito con esorbitanti usure, danaro dai mercatanti italiani; e impegnò per qualche tempo il proprio figlio e successore al trono Filippo, onde assicurare il pagamento di un debito che avea contratto coi Veneziani159. La fame, la sete, la nudità sono patimenti reali; ma l'opulenza non vuol calcolarsi che colle regole di proporzione. Un Principe facoltoso, come privato, può trovarsi secondo i bisogni che lo premono, in preda a tutte le amarezze e le angosce dell'indigenza.

 

In mezzo allo squallore di una tanto obbrobriosa povertà, rimaneva tuttavia all'Imperatore o all'Impero un tesoro che ricevea il suo immaginario valore160 dalla divozione del Mondo cristiano. Scapitato era alquanto per fattine parteggiamenti il legno della vera Croce, oltrechè l'essere dimorato sì lungamente fra le mani degl'Infedeli, rendea anche sospette molte particelle di esso già diffuse per l'Oriente e per l'Occidente; ma veniva conservata nella cappella imperiale di Costantinopoli un'altra reliquia della Passione del Redentore. La Corona di Spine di Gesù Cristo era non men della Croce, cosa preziosa ed autentica. È noto che gli antichi Egizj depositavano per pegno de' proprj debiti le mummie de' loro antenati161, e faceano così garante l'onore e la religione pel pagamento della somma tolta ad imprestito; imitato avevano questo esempio i Baroni della Romania in tempo che l'Imperatore era lontano, perchè abbisognando di un prestito di tredicimila centotrentaquattro piastre d'oro, diedero in ostaggio la Santa Corona per ottenerlo162. Giunto il tempo del pagamento, nè trovandosi all'uopo i danari, Nicola Querini, ricco mercatante veneziano, si offerse a soddisfare i creditori, con che la Corona rimanesse depositata in Venezia, e divenisse poi proprietà personale dello stesso Querini, ogni qualvolta entro un termine corto e pattuito non venisse riscattata. Avendo i Baroni dovuto far noto al Sovrano questo malauguroso contratto, e il pericolo che sovrastava, perchè lo Stato non aveva abilità per una somma maggiore di settemila lire sterline all'incirca, Baldovino trovò che sarebbe stato provvedimento ammirabile in quel frangente il ritogliere dalle mani de' Veneziani questo tesoro, e farlo passare in quelle del Re cristianissimo163. Il qual partito e più onorevole ed utile si dimostrava. Nondimeno la negoziazione trovò alcune difficoltà. Il pio Luigi IX avrebbe riguardata la compera di una reliquia come un delitto di simonia; ma cambiando solamente lo stile del contratto, egli trovò che potea senza scrupolo pagare il debito de' Greci, ricevere la Corona di Spine qual donativo, e dare indi un attestato di gratitudine al donatore. Due Dominicani pertanto vennero inviati a Venezia siccome ambasciadori incaricati di riscattare e ricevere il santo deposito che sottratto si era ai pericoli della navigazione e alle galee di Vatace. Aperta la cassa, vennero verificati i sigilli così del Doge come dei Baroni greci, stati apposti sopra un reliquiario d'argento, prima custodia della scatoletta d'oro, entro cui questo monumento della Passione di Cristo si racchiudeva. I Veneziani cedettero, benchè di mal animo, alla giustizia e alla potenza del Re di Francia; l'imperator Federico diede rispettosamente per li suoi Stati il passaggio alla preziosa reliquia; tutta la Corte di Francia le andò incontro fino a Troyes nella Sciampagna. Il Re co' piedi scalzi, e vestito di una semplice camicia, portò egli stesso la Santa Corona in trionfo per le strade di Parigi; e un donativo di diecimila marchi d'argento consolò Baldovino del sagrifizio cui s'era prestato. Il buon successo di una tal negoziazione allettò questo ad offrire colla medesima generosità gli altri ornamenti della sua imperiale cappella164; un avanzo ragguardevole del legno della vera Croce, il panno di Gesù Cristo, la lancia, la spugna, la catena, attrezzi tutti della Passione, la verga di Mosè, e una parte del cranio di S. Giovanni Battista. Per dar condegno luogo a tutte queste spirituali ricchezze, S. Luigi spese una somma di ventimila marchi nell'edificare la Santa Cappella che la faceta musa di Boileau ha fatta immortale. L'autenticità di tali reliquie, antiche tanto e tratte da paesi così lontani, non può omai essere provata dalla testimonianza degli uomini; ma son costretti ad ammetterle tutti coloro che credono ai miracoli da esse operati. Nella metà dello scorso secolo la santa ferita di una Spina della Corona risanò radicalmente un'ulcera inveterata165; prodigio attestato dai Cristiani i più devoti, ed anche sapienti della Francia, e che non può sì facilmente essere dismentito se non se da coloro che vanno muniti di un antidoto generale166 contro ogni specie di credulità religiosa167.

A. D. 1237-1261

I Latini di Costantinopoli168 trovandosi circondati, stretti d'ogni banda, la sola discordia e divisione de' Greci e de' Bulgari tardar ne potevano la rovina; ma la politica e la potenza militare di Vatace Imperator di Nicea, rendè vana quest'ultima loro speranza. Dalla Propontide fino alle rupi della Panfilia l'Asia godea giorni di pace e di prosperità sotto questo Sovrano, che ottenendo a mano a mano nuovi allori ne' campi di battaglia, crescea di preponderanza in Europa. Scacciati i Bulgari dalle Fortezze situate nelle montagne della Macedonia e della Tracia, ridusse il loro reame a que' limiti, fra i quali lungo le rive del Danubio oggidì è contenuto. Allorchè l'Imperatore de' Romani si mostrò stanco di sopportare che un Duca di Epiro, un Principe Comneno dell'Occidente, pretendesse disputargli, di avere comuni seco lui gli onori della porpora; Demetrio, cambiato umilmente il colore de' suoi calzari, accettò, mostrandosi grato, il titolo di despota; il quale atto di abbiezione, oltre alla inettezza nel governare, gli alienò i cuori de' sudditi, che implorarono la protezione del Principe greco, di cui Demetrio era vassallo. Per la qual cosa Vatace giunto ad unire il regno di Tessalonica a quel di Nicea, regnò senza competitori dalle frontiere della Turchia insino al golfo Adriatico. I Principi europei ne rispettavano il merito e la possanza, e probabilmente non gli era d'uopo che risolversi ad abbracciare la Fede ortodossa, perchè il Pontefice abbandonasse senza rincrescimento l'Imperatore latino di Costantinopoli; ma la morte di Vatace, la breve durata del regno turbolento di Teodoro, la minorità di Giovanni, un figlio, l'altro pronipote di Vatace, ritardarono il risorgimento della greca dominazione in Bisanzo. Nel capitolo successivo darò conto delle domestiche vicissitudini che afflissero que' due successori di Vatace; per ora mi basta il notare che l'ultimo di essi soggiacque all'ambizione del suo tutore e collega, Michele Paleologo, uomo in cui si diedero a divedere congiuntamente e quelle virtù, e que' vizj proprj di ordinario ai fondatori di nuove dinastie. L'imperatore Baldovino era caduto nell'abbaglio di credere che una negoziazione non sostenuta da veruna forza, gli basterebbe a ricuperare alcune province o città. Ma gli ambasciatori di lui vennero rimandati da Nicea, ove non ottennero che sprezzi e risposte schernevoli; per ciascuna provincia che domandavano, Paleologo adduceva un pretesto, per cui non gli era lecito, ei diceva, il privarsene; in una di esse era nato, aveva avuto i primi rudimenti della scuola militare nell'altra; in tal provincia avea goduti i piaceri della caccia, e volea continuar lungo tempo a goderli. «In somma qual parte di dominio avete risoluto di cederne?» gli domandarono stupefatti quei messi. «Nessuna, rispose il Principe greco, nè anco una pollice di terra. Se il vostro padrone brama la pace, mi paghi per tributo annuale la rendita delle dogane di Costantinopoli, al qual patto potrò concedergli che continui a regnare; e avrò il suo rifiuto come primo segnale di guerra. A me perizia militare non manca, e gli eventi delle cose confido a Dio e alla mia spada»169. Nella prima prova che ei fece dell'armi sue contra il despota dell'Epiro, riportò vittoria; cui però venne d'appresso una sconfitta: onde i Comneni Angeli continuarono a resistergli nelle montagne della Macedonia, e anche dopo la morte di questo Principe, conservarono la loro autorità. Peggio tornarono le cose ai Latini, i quali, caduto prigioniero Villehardouin, principe di Acaia, rimasero privi con esso del più operoso e possente vassallo dell'agonizzante lor monarchia. Intanto le repubbliche di Genova e di Venezia, venuta per la prima volta l'una contro l'altra a guerra navale, si contendeano l'impero del mare, e il commercio dell'Oriente: e poichè motivi di ambizione e d'interesse teneano affezionati a Costantinopoli i Veneziani, i rivali di questi offersero ai nemici de' Latini soccorso, la qual lega de' Genovesi con un conquistatore scismatico l'indignazione del Vaticano eccitò170.

Tutto inteso al suo grande divisamento, Michele visitò in persona ciascuna Fortezza della Tracia, e le guernigioni ne accrebbe. Dopo avere scacciati gli avanzi de' Latini dagli ultimi possedimenti che lor rimanevano, diede assalto al sobborgo di Galata, ma infruttuosamente; perchè quel Barone che perfidamente mantenea corrispondenza coi Greci, o non potè, o non volle aprirgli le porte della Capitale. All'apparire della successiva primavera, Alessio Strategopolo, generale favorito di Michele, e insignito da questo del titolo di Cesare, attraversò l'Ellesponto conducendo seco ottocento uomini a cavallo, ed alcune truppe d'infanteria171 che servir doveano ad una spedizione segreta. Gli ordini avuti dal ridetto generale erano di avvicinarsi a Costantinopoli, di esplorare attentamente tutte le cose, e curare le occasioni che si potessero offrire ad ultimi tentativi; però di astenersi da ogni impresa o dubbia, o pericolosa contro della città. Abitava nelle vicinanze della Propontide e del mar Nero una schiatta ardimentosa di villani e di malviventi, avvezzi all'armi e di incerta fede, pure e per linguaggio e religione comuni, e per le viste del momentaneo interesse maggiormente affezionati alla parte de' Greci. Nomati venivano i Volontarj172, e come tali offersero servigio al generale di Michele, il cui esercito, accresciuto dagli ausiliari Comani sommò allora a venticinquemila uomini173. Eccitato dall'ardore di questi Volontarj, e dalla sua propria ambizione, il nuovo Cesare trasgredì i comandi del suo Signore, colla fondata fiducia che il buon successo farebbe della inobbedienza le scuse. Pertanto i Volontarj che, qual gente posta continuamente in istato di guatare i Latini, ne conoscevano la debolezza, la stremità, la paura, additarono quel momento come il più propizio a sorpendere e ad occupare Bisanzo. Un giovine imprudente posto ivi da poco tempo al governo della Colonia veneta, partito erane con trenta galee, traendo seco il fiore de' Cavalieri francesi ad una folle impresa contro Dafnusia, città situata in riva al mar Nero, e distante quaranta leghe da Costantinopoli; i rimanenti Latini vi mancavano di forze, e si stavano nella sicurezza. Non che ignorassero il passaggio dell'Ellesponto operato da Alessio; ma dissipati i loro primi timori dall'intendere qual piccola forza lo accompagnasse, non pensarono tampoco a ricercare se questa si fosse aumentata. Nel campo greco le cose erano apparecchiate in tal modo, che Alessio lasciandosi addietro il suo corpo d'esercito ad una distanza opportuna per venirgli all'uopo in soccorso, potea, protetto dalle tenebre, innoltrarsi con una scelta scorta. Nel medesimo tempo che alcuni della spedizione avrebbero poste le scale alla parte più bassa delle mura, di dentro sarebbesi trovato pronto un vecchio Greco, il quale avea promesso introdurre per una via sotterranea fino alla propria casa una parte de' suoi compatriotti; e questi di lì sarebbersi trasferiti alla porta d'Oro che da lungo tempo più non si apriva, ed atterrati dalla parte interna i battitoi, i Greci doveane trovarsi padroni di Bisanzo, prima che i Latini fossero stati avvertiti del loro pericolo. Dopo essere stato perplesso per qualche tempo, Alessio si abbandonò allo zelo dei Volontarj, che ardimentosi, e pieni di fiducia riuscirono, talchè quanto ho narrato sul divisamento dell'impresa, basta ad additarne l'adempimento e il buon successo174. Per vero dire Alessio, oltrepassata appena la soglia della porta d'Oro, tremò egli stesso sulla propria temerità; fermossi, deliberò, ma lo costrinse l'ardir disperato de' Volontarj, che gli mostrarono quasi impossibile in quel momento, e più pericolosa dell'assalto la ritirata. Intanto che Alessio tenea le sue truppe regolari in ordine di battaglia, i Comani si sparsero per tutte le bande: fu sonato a raccolta: e le minacce di saccheggio e d'incendio che si udivano per ogni dove obbligarono gli abitanti ad appigliarsi a un partito. I Greci di Costantinopoli manteneano affetto agli antichi loro Sovrani. I mercatanti genovesi rispettavano la recente lega che la loro Repubblica col Principe greco aveva contratta ed odiavano i Veneziani; in tutti i rioni si presero l'armi; l'aere risonò di una acclamazione generale: «Vittoria e lunga vita a Michele e a Giovanni, gli augusti Imperatori de' Romani.» Queste grida svegliarono Baldovino; ma l'imminenza stessa di un tanto pericolo non valse a fargli sguainare la spada in difesa di una città, dalla quale gli era forse più conforto che rincrescimento l'allontanarsi. Corse alla riva, ove scorse per sua ventura le vele di quella flotta che tornava addietro dalla sua vana spedizione contro Dafnusia. Vedendosi che Costantinopoli era perduta senza riparo, Baldovino, e le primarie famiglie latine s'imbarcarono sulle galee veneziane, che dopo avere veleggiato all'isola di Eubea, di lì condussero in Italia l'augusto fuggitivo, che trovò presso il Pontefice romano un'accoglienza in cui la compassione e lo sprezzo si avvicendavano. Dal momento della perduta sua capitale, fino a quel della morte, Baldovino impiegò tredici anni in sollecitazioni alle Potenze cristiane, affinchè si collegassero per rimetterlo in trono; supplica che gli era già famigliare; nè si mostrò in quest'ultimo esilio, o più indigente o più avvilito di quello che egli era apparso nelle sue tre prime peregrinazioni alle Corti d'Europa. Il figlio di lui, Baldovino, ereditò dal padre il vano titolo d'Imperatore, e Catterina figlia di questo, divenuta sposa di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello Re di Francia, gli portò in dote le sue pretensioni. La linea femminina della casa di Courtenai trasportò successivamente le avite prerogative titolari in diverse famiglie, sintantochè il titolo d'Imperatore di Costantinopoli, apparso troppo fastoso e sonoro per essere unito al nome di un privato, modestamente si spense nel silenzio e nella dimenticanza175.

145Acropolita (cap. 14) afferma che Pietro Courtenai morì di ferro (εργον μαχαιραε γενεσθαι) stravagante frase che corrisponde all'italiana, divenne fattura della spada; ma le oscure espressioni di questo scrittore danno a credere che prima di una tal morte ei fosse stato prigioniero, ως παντας αρδκν δεσματας ποιησαι συν πασι σαευεσι furon fatti tutti prigionieri con tutte le navi. La Cronaca di Auxerre, paese posto ne' dintorni di Courtenai, assegna per epoca a questa morte l'anno 1219.
146V. quanto si riferisce al regno e alla morte di Pietro di Courtenai nel Ducange (Hist. di C. P. l. II, c. 22-28 ), che fa deboli sforzi per iscusare Onorio III circa l'indifferenza mostrata sull'infelice destino dell'Imperatore.
147Marino Sanuto (Secreta fidelium crucis, l. II, part. IV, c. 18, p. 73) trova sì ammirabile questa scena d'orrore, che la trascrive in margine, siccome bonum exemplum. Nondimeno egli riconosce la donzella per moglie legittima di Roberto.
148V. il regno di Roberto nel Ducange (Hist. di Costantinopoli l. III, c. 1-12).
149Rex igitur Franciae, deliberatione habita respondit nuntiis, se daturum hominem Syriae partibus aptum; in armis probum (prode), in bellis securum, in agendis providum. Johannem comitem Brennensem (Sanut., Secret. fidel., l. III, part. XI, c. 4, p. 205, Mattia Paris, p. 159).
150Il Giannone (Istoria civile, t. II, l. XVI, p. 380-385) parla lungamente intorno al maritaggio di Federico II colla figlia di Giovanni di Brienne, e la doppia unione delle corone di Napoli o di Gerusalemme.
151V. Acropolita, c. 27. Lo storico, allor fanciullo, ebbe in Costantinopoli la sua educazione. Aveva undici anni, quando il padre del medesimo per sottrarsi al giogo dei Latini abbandonò ricchi possedimenti, riparando alla Corte di Nicea, ove il figlio di lui ai primi onori venne innalzato.
152Filippo Mousches vescovo di Tournai (A. D. 1274-1282) ha composto una spezie di poema, in antico dialetto fiammingo, o piuttosto una cronaca in versi degl'Imperatori di Costantinopoli; e il Ducange in fine alla storia di Villehardouin, (V. p. 224), le imprese di Giovanni di Brienne. N'Aie, Ector, Roll'ne Ogiers Ne Judas Machabeus li fiers Tant ne fit d'armes en estors Com fist li rois Jehans cel jors Et il defors et il dedans La paru sa force et ses sens Et li hardiment qu'il avait.
153V. il regno di Giovanni di Brienne nel Ducange, Hist. di C. P. l. III, c. 13-26.
154V. il regno di Baldovino II fino al momento in cui fu scacciato da Costantinopoli, nel Ducange (Hist. C. P. l. IV, c. 1-34; l. V, c. 1-33).
155Mattia Paris racconta le due visite fatte da Baldovino II alla Corte d'Inghilterra (p. 396-637), il ritorno in Grecia armata manu (p. 407), le lettere dello stesso Baldovino e il nomen formidabile, ec. (p. 481); espressione cui non ha posto mente il Ducange (V. l'espulsione di Baldovino p. 850).
156Chiamano i teologi soddisfazione le opere penose, fatte con umiltà da' peccatori, ed imposte dalla Chiesa, in riguardo al fervore de' penitenti, o ad altre buone opere, ch'ella loro prescrive; queste indulgenze poi sono principalmente date dal Papa anche per eccitare i credenti a certe azioni, od intraprese. Se poi alcune volte si ha fatto uso non conveniente delle indulgenze, sarà cosa da disapprovarsi. (Nota di N. N.)
157Luigi IX si oppose, disapprovandola, alla vendita di Courtenai (Ducange l. IV, c. 23). Questa Signoria fa oggidì parte de' dominj della Corona; ma è stata ipotecata per un certo tempo alla famiglia di Boulainvilliers. Courtenai, giurisdizione di Nemours nell'isola di Francia, è una città che contiene in circa novecento abitanti: vi si vedono tuttavia gli avanzi d'un castello (Mélanges tirés d'une grande Bibliothèque, t. X, l. V, p. 74-77).
158Un principe Comano, morto senza battesimo, fu sepolto innanzi alle porte di Costantinopoli, e in compagnia di lui un certo numero di Schiavi e di cavalli vivi.
159Sanut., Secret. fidel. crucis, l. IV, c. 18, p. 73.
160Non era immaginario quel valore pei credenti. (Nota di N. N.)
161È vero che le mummie erano pure un pegno di grande importanza pegli Egizj, ma non doveva farsi questo paragone. (Nota di N. N.)
162Il Ducange interpreta col vocabolo vago monetae genus le parole perparus, perpera, hyperperum. Dopo avere consultato un passo del Gunther (Hist. C. P. c. 8, p. 10) mi do a credere che il perpera sia il nummus aureus o la quarta parte d'un marco di argento, circa dieci scellini sterlini; se si fosse inteso di marco di piombo troppo tenue sarebbe stata la somma.
163Intorno al trasporto della Santa Corona da Costantinopoli a Parigi, V. Ducange (Hist. C. P., l. IV, c. 11-14, 24-35) e Fleury (Hist. eccl. t. XVII, p. 201-204).
164Mélanges tirés d'une grande bibliothèque, t. XLIII, p. 201-205. Il Lutrin di Boileau mostra l'interno, gli uffizj, le consuetudini de' ministri della Santa Cappella; i comentatori Brossette e Saint-Marc hanno uniti e spiegati molti fatti che alla istituzione della medesima si riferiscono.
165Questa cura venne operata ai 24 di Marzo dell'anno 1656 sopra la nipote del celebre Pascal. Quest'uomo di altissimo ingegno, Arnaud e Nicole erano presenti per vedere ed attestare un miracolo che confuse i Gesuiti e salvò Portoreale, (Oeuvres de Racine, t. VI, p. 176-187, nell'eloquente storia di Portoreale).
166Se per antidoto s'intende una ragionevole critica intorno ai fatti di questa specie, particolarmente quando non sono stati assoggettati al processo solito a farsi, non sarebbe da condannarsi, bisognava spiegarsi meglio. (Nota di N. N.)
167Il Voltaire (Siècle de Louis XIV, c. 37, Oeuvres, t. IX, p. 178, 179) mette il suo studio a distruggere la verità de' fatti: ma l'Hume (Saggi, vol. II) con maggiore abilità e buon successo impadronendosi della batteria volta il cannone contra i nemici.
168Possono vedersi ne' libri 3, 4, 5 della compilazione del Ducange, le perdite successivamente sofferte dai Latini; ma questo storico si è lasciato sfuggire molte circostanze che si riferiscono alle conquiste de' Greci, e che giova il rintracciare nella più compiuta storia di Giorgio Acropolita, e ne' tre primi libri di Niceforo Gregoras, due scrittori della storia bisantina, ai quali è toccata la buona sorte di avere per editori Leone Allazio a Roma, e Giovanni Boivin Membro della Accademia delle iscrizioni a Parigi.
169V. Giorgio Acropolita, c. 78, p. 89, 90, edizione di Parigi.
170I Greci, vergognando di avere avuto ricorso agli stranieri, dissimularono la Lega coi Genovesi e gli aiuti che ne ricevettero; ma il fatto è provato dalle testimonianze di Giovanni Villani (Cron. l. VI, c. 71), del Muratori (Script. rer. ital. t. XIII, p. 202, 203) e di Guglielmo di Nangis (Annali di S. Luigi, p. 248, nel Joinville del Louvre); tanto Nangis quanto Joinville, stranieri alla disputa, poteano parlare con imparzialità. Urbano IV minacciò i Genovesi di privarli del loro arcivescovo.
171Fa d'uopo di non poca diligenza a conciliare le sproporzioni di numero; gli ottocento soldati di Niceta, i venticinquemila di Spandugino (Duc. l. V, c. 24), gli Sciti e i Greci di Acropolita, il numeroso esercito di Michele, quale apparirebbe dalle lettere di Papa Urbano IV (1-129).
172Θεληματαριοι, Volontarj. Pachimero ne gl'indica e descrive nel medesimo tempo (l. II, c. 14).
173A che ricercare questi Comani ne' deserti della Tartaria, o anche nella Moldavia? una parte di essa tribù si era sottomessa a Giovanni Vatace, e probabilmente avea posto un vivaio di soldati in qualche deserto della Tracia (Cantacuzeno, l. I, c. 2).
174I Latini raccontano brevemente la perdita di Costantinopoli la cui conquista è stata in modo più soddisfacente descritta dai Greci, vale a dire da Acropolita (c. 85), da Pachimero (l. II, c. 26-27), da Niceforo Gregoras (lib. IV, c. 1, 2). V. Ducange, Hist. C. P., l. V, c. 19-27.
175V. i tre ultimi libri (l. V-VIII) e le tavole genealogiche del Ducange. Nell'anno 1382, l'Imperatore titolare di Costantinopoli era Giacomo di Bangs Duca di Andria, nel regno di Napoli, figlio di Margherita, figlia di Catterina di Valois, figlia questa di un'altra Catterina, che avea per padre Filippo figlio di Baldovino II (Ducange, l. VIII, c. 37,38). Ignorasi se egli abbia lasciato posterità.