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Le bande turche, dopo avere lungo tempo errato, poste ora in fuga, or vittoriose, si avvicinarono alle frontiere comuni dell'Impero franco, e del greco. Le prime loro conquiste, e i primi paesi ove posero stabil dimora, si estesero lungo le rive del Danubio, al di sopra di Vienna, al di sotto di Belgrado, e oltre ai limiti della romana Pannonia, ossia del moderno regno dell'Ungheria101. Su questo vasto e fertile territorio stanziavano i Moravi, tribù di Schiavoni che gli Ungaresi scacciarono, confinandoli entro il ricinto di piccolo territorio. L'Impero di Carlomagno estendeasi, almen di nome, sino ai confini della Transilvania. Ma estinta la linea legittima di questo Monarca, i duchi della Moravia non prestarono oltre obbedienza e tributo ai sovrani della Francia Orientale. Il bastardo Arnolfo si lasciò guidare dal risentimento a chiedere il soccorso de' Turchi, i quali si gettarono a precipizio entro lo steccato che l'imprudenza loro disserrò: onde giustamente questo sovrano della Germania ebbe rimprovero di avere traditi gli interessi della società civile ed ecclesiastica de' Cristiani. Finchè visse Arnolfo, la gratitudine, o il timore tennero in freno gli Ungaresi: ma durante la fanciullezza di Lodovico, figlio e successore di Arnolfo, scopersero ed invasero la Baviera: e tale era la lor prestezza, affatto scitica, che in un sol giorno portavano via, e consumavano lo spoglio di un territorio di cinquanta miglia di circonferenza. Alla battaglia di Haubsburgo, i Cristiani conservarono la superiorità sino all'ora settima della giornata: ma finalmente sorpresi rimasero, e vinti da una simulata fuga della turca cavalleria. L'incendio si dilatò sulle province della Baviera, della Svevia e della Franconia, e gli Ungaresi102, costringendo i più possenti fra i baroni ad ammaestrare nella guerra i proprj vassalli, e ad affortificare le loro castella, divennero la cagion principale dell'anarchia. A questa epoca disastrosa viene assegnata l'origine delle città murate: non v'era lontananza che guarentisse assai da un nemico, il quale, pressochè nel medesimo istante, il monastero di S. Gallo nella Svizzera, e la città di Brema, situata sulle coste dell'Oceano settentrionale, inceneriva. L'Impero, ossia il reame dell'Alemagna, rimase per più di trent'anni soggetto alla umiliazione del tributo, ed ogni resistenza cedè alla minaccia fattasi dagli Ungaresi di condurre schiavi i fanciulli e le donne, e di trucidare tutti i maschi che oltrepassassero i dieci anni. Nè posso, nè bramo seguir queste genti al di là del Reno: accennerò soltanto, maravigliandone, che le province meridionali della Francia sentirono esse pur la burrasca, e che l'avvicinare di questi formidabili stranieri spaventò la Spagna dietro a' suoi Pirenei103. La vicinanza dell'Italia avea eccitate le prime correrie di costoro: nondimeno dal lor campo della Brenta videro con una spezie di terrore la forza e la popolazione apparenti della contrada recentemente scoperta per essi; e la permissione di ritirarsi sollecitarono. Ma il Re d'Italia ne ributtò con orgoglio l'inchiesta; ostinatezza e temerità che a ventimila Cristiani costarono la vita. Di tutte le città dell'Occidente, Pavia, residenza del Governo, era la più celebre pel suo splendore, e in questa fama Roma stessa non la vincea che per le possedute reliquie de' Santi Appostoli. Gli Ungaresi comparvero, e Pavia andò tutta in fiamme: incenerirono quarantatre chiese, trucidarono gli abitanti, nè risparmiarono che circa dugento miserabili, i quali, giusta le vaghe esagerazioni de' contemporanei, pagarono il proprio riscatto con alcune staia d'oro e d'argento, tratte dalle fumanti rovine della lor patria. Intanto che gli Ungaresi partivano ogni anno dal piè dell'Alpi per far saccheggi ne' dintorni di Roma e di Capua, le Chiese non per anco tocche dal ferro de' Barbari, rintronavano di questa lamentevole litania. «Salvateci, e liberateci dai dardi degli Ungaresi;» ma i Santi furono sordi, o rimasero inesorabili, e il torrente barbarico agli estremi confini della Calabria sol si fermò104. I vincitori acconsentirono a negoziar pel riscatto di ciascun individuo italiano, e dieci staia di argento vennero nel campo turco versate; ma la falsità è l'arma che suol naturalmente opporsi alla violenza, e i ladri, così nel numero de' contribuenti, come nel titolo de' metalli, si trovarono delusi. Dalla parte d'oriente, gli Ungaresi ebbero a combattere a forze eguali, e con dubbioso successo, i Bulgari, ai quali la loro religione non permetteva il collegarsi co' Pagani, e che, per la lor situazione servivano di antemurale all'Impero di Bisanzio; ma questo antemurale fu rovesciato; e l'Imperatore di Costantinopoli vide sventolarsi dinanzi agli occhi le bandiere de' Turchi, mentre uno de' più audaci fra lor guerrieri, ardiva colla sua azza da guerra percotere la Porta d'Oro. L'astuzia e i tesori de' Greci tennero lontano l'assalto; nondimeno gli Ungaresi, di avere assoggettati a tributo il valore della Bulgaria, e la maestà de' Cesari105, poteron vantarsi. Le fazioni di questa stagione campale furono tanto rapide ed estese, che fanno parere maggiori ai nostri occhi la forza e il numero de' Turchi; ma tanto più è degno di lode il loro coraggio, perchè un corpo di trecento o quattrocento uomini a cavallo intraprese e sovente mandò a termine le sue corse sino alle porte di Tessalonica, e di Costantinopoli. Epoca disastrosa dei secoli nono e decimo, in cui l'Europa si vide assalita in una volta da Settentrione, da Oriente, e da Mezzogiorno; molte contrade della medesima vennero a vicenda devastate dai Normanni, dagli Ungaresi e dai Saracini, e Omero avrebbe potuto paragonare questi selvaggi nemici a due lioni che ruggiscono sullo sbranato corpo di un cervo106.
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L'Alemagna e la Cristianità andarono debitrici di lor salvezza a due Principi Sassoni, Enrico l'Uccellatore, e Ottone il Grande, che in due memorabili battaglie, fiaccarono per sempre la possanza degli Ungaresi107. Il prode Enrico che giacea infermo, allora quando intese la notizia della invasione, dimenticando il suo debole stato, si pose a capo delle soldatesche, perchè l'animo suo conservava intero il proprio vigore; e il buon successo alle provvisioni che egli diè corrispose. «Miei colleghi, egli diceva ai soldati nella mattina della pugna, ognun di voi stia fermo sulla sua linea: i vostri scudi ricevano le prime frecce de' Pagani, e prima che costoro vengano ad una seconda scarica, colle lancie in resta correte rapidamente sovr'essi». I soldati obbedirono, e furono vincitori. In un secolo d'ignoranza, Enrico ricorse alle Belle Arti per far perpetuo il suo nome, e le dipinture istoriche del castello di Merseburgo, ci hanno trasmesse le sue geste, o almeno quegli atti della sua vita che meglio fanno scorgere l'indole di un tanto monarca108. Venti anni dopo, i figli de' Turchi caduti sotto i colpi di Enrico, invasero gli Stati del figlio del vincitore, e giusta i calcoli più moderati, il costoro esercito a centomila uomini a cavallo sommava. Sollecitati dalle fazioni dell'Impero Alemanno, e, profittando de' passi che loro vennero aperti dai traditori, spintisi oltre il Reno e la Mosa, penetrarono sin nel cuor della Fiandra. Ma il vigore e la prudenza di Ottone la congiura dispersero. I Principi del Corpo germanico avendo compreso, come, non rimanendo fedeli gli uni agli altri, perderebbero inevitabilmente la loro religione, e la loro patria, le forze di tutta la nazione sulla pianura di Augusta assembraronsi. Marciò questo esercito, e combattè distribuito in otto legioni, proporzionate al numero delle province e delle tribù. Le tre prime erano composte di Bavaresi, di Franconj la quarta; la quinta di Sassoni comandati dal lor monarca in persona: la sesta e la settima di Svevi; l'ottava di mille Boemi che militavano al retroguardo. I soccorsi della superstizione, che in siffatte congiunture possono aversi per onorevoli, e salutari109, a quelli della disciplina e del valore si collegarono. Venne prescritto ai soldati purificarsi con un digiuno; il campo ringorgava di reliquie di Santi, e di martiri: e l'eroe cristiano cignendo la spada di Costantino, e armato dell'invincibile lancia di Carlomagno, fece sventolare la bandiera di S. Maurizio, prefetto della legione tebana. Ma soprattutto affidavasi alla santa lancia110, la punta della quale era stata fatta coi chiodi della vera Croce, lancia che il padre di Enrico avea tolta al Re di Borgogna minacciandolo di guerra, e presentandolo di una provincia. Credeasi che gli Ungaresi assalirebbero di fronte; ma questi, valicato segretamente il Lech, fiume della Baviera che mette foce al Danubio, intrapresero di fianco l'esercito cristiano, ne devastarono le bagaglie, e portarono confusione fra le legioni della Boemia e della Svevia. I Franconj riordinarono la battaglia; il loro Duca, il valoroso Corrado, fu ferito da una freccia nel momento che ritirato erasi del campo della pugna per gustar breve riposo. I Sassoni sotto gli occhi del loro Re combatterono, e tal vittoria ottennero, che per difficoltà superate, e per le conseguenze che ebbe, ogni trionfo de' due trascorsi secoli oltrepassò. Gli Ungaresi perdettero ancora più gente nella fuga che nel durare dell'azione, perchè trovavansi rinserrati fra mezzo ai fiumi della Baviera, nè le passate lor crudeltà lasciavano ad essi alcuna speranza di ottenere misericordia. Tre Principi ungaresi caduti nelle mani de' vincitori vennero appiccati a Ratisbona, gli altri prigionieri o strozzati, o privi di qualche lor membro; que' fuggitivi che osarono tornarsene fra i loro compatriotti, il rimanente di loro vita nella povertà, e nel disonore111 condussero. Però un tale disastro depresse il coraggio, e l'orgoglio di questi Pagani, che munirono di fosse e di baluardi i passi più accessibili dell'Ungheria. L'avversità inspirò loro sentimenti di moderazione e di pace: i devastatori dell'Occidente si rassegnarono a vita sedentaria, e un saggio Principe insegnò alla futura generazione quai vantaggi ella potesse ritrarre dall'agricoltura, e dal commercio delle produzioni di quel fertilissimo suolo. La schiatta primitiva, il sangue turco, o finnico si mescolò con quello di nuove colonie d'origine scitica o schiavona112: migliaia di prigionieri robusti, e industriosi vennero colà trasportati da tutte le contrade europee113. Geisa, dopo essersi stretto in nozze con una principessa di Baviera, concedè dignità, e dominj ai Nobili della Alemagna114. Il figlio di Geisa assunse il titolo di Re, e la dinastia di Arpad diede leggi all'Ungheria per tre secoli. Ma non abbagliati dallo splendor del diadema que' Barbari, nati liberi, accadde che il popolo facesse valere il suo diritto di scegliere, di rimovere e di castigare il servo ereditario dello Stato.
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III. Nel nono secolo, all'occasione di un'ambasceria che Teofilo, Imperator d'Oriente inviò all'Imperator d'Occidente, Luigi, figlio di Carlomagno, il nome di Russi,115 cominciò per la prima volta ad essere conosciuto in Europa; perchè i Greci erano accompagnati dagli Ambasciatori del gran Duca o Sciagan o czar de' Russi. Questi ambasciatori, nel trasferirsi a Costantinopoli, aveano dovuto toccare il territorio di molte popolazioni nemiche al lor paese, e speravano sottrarsi ai pericoli di cui li minacciava il tornare addietro, coll'ottenere dal francese Monarca i modi a fine di restituirsi in patria per mare. Un attento esame fece scoprire l'origine di costoro: discendevano dalla schiatta degli Svevi, e de' Normanni, il cui nome erasi già fatto odioso e formidabile ai Francesi; laonde, nè a torto, si paventò, che questi ambasciatori russi fossero altrettanti esploratori, sotto colore d'amicizia colà venuti. Gli Inviati greci partirono, ma altrettanto non si permise ai Russi, perchè Luigi volea nuovi schiarimenti, prima di risolversi ad attenersi per riguardo loro o alle leggi della ospitalità, o a quelle della prudenza, giusta quanto l'interesse di entrambi gli Imperi avrebbe indicato116. Gli Annali moscoviti e la storia generale del Nort provano con molte dilucidazioni questa origine scandinava del popolo, o almeno de' Principi, della Russia117. I Normanni, per sì lungo tempo sepolti in una impenetrabile oscurità, furono d'improvviso infiammati dallo spirito delle avventure così marittime, come terrestri. Le vaste regioni, e, a quanto è stato detto, popolosissime, della Danimarca, della Svezia, e della Norvegia, abbondavano di Capi independenti, e di forsennati venturieri, che incresciosi degli ozj della pace, fra le angosce della morte sol sorrideano. I giovani Scandinavi altra professione non avendo che il corseggiare, in questa unicamente ponevano la loro gloria e la loro virtù. Stanchi di un clima addiacciato, e d'un paese fra stretti limiti chiuso, brandivano l'armi all'uscir d'un banchetto, suonavano il corno, salivano sui lor navigli, e trascorreano tutte le rive, che di bottino, o di miglior soggiorno li lusingavano. Primo teatro delle loro imprese marittime fu il mar Baltico; e col nome di Varagi o Varangi118, o Corsari, approdando alla costa orientale, oscura dimora delle tribù finniche, e schiavone, ricevettero dai Russi del lago Ladoga un tributo di pelli di scoiattoli bianchi. Superiori ai nativi e per maestria nelle armi, e per disciplina, e per celebrità, timore e rispetto a quelli ispiravano: e quando portarono la guerra fra i Selvaggi dimoranti nelle parti più interne di que' paesi, i Varangi non dissentirono dal combattere con loro, come collegati, e ausiliari, e fosse per elezione de' Russi, o per conquista, pervennero a poco a poco a dominar sopra un popolo che in istato erano di proteggere. Per praticata tirannide si fecero poi discacciare, e pel valore che li rendea necessarj, richiamati furono di bel nuovo. Intanto che Ruric, Capo scandinavo, divenne fondatore di una dinastia che più di settecento anni regnò, i fratelli di Ruric ne dilatarono la possanza: solleciti di secondarlo i suoi compagni d'armi, ne imitarono anche la usurpazione nelle province australi della Russia; e le diverse loro conquiste, consolidate, giusta l'uso, dalla guerra e dagli assassinj, in una possente Monarchia per ultimo si congiunsero.
I discendenti di Ruric vennero lungo tempo riguardati come stranieri e conquistatori. Governando eglino colle armi de' Varangi, presentavano di dominj e di sudditi i fidi lor capitani, e nuovi venturieri venendo dalle coste del Baltico, aumentavano ad essi il numero de' partigiani119. Ma poichè la dominazione de' Capi scandinavi ebbe acquistata stabilità, essi alle famiglie russe s'imparentavano; ne assunsero la religione e la lingua; e Valadimiro I ebbe la gloria di liberare da mercenarj stranieri la patria. Costoro lo avean posto sul trono; ma le ricchezze del Principe, non bastando alle loro pretensioni, egli giunse accortamente a persuaderli a cercarsi un padrone, non più grato di lui, ma più dovizioso, e di veleggiare alle greche rive, ove il loro valore troverebbe compenso, non di pelli di scoiattolo, ma d'oro e di seta. In questo mezzo, il Principe russo avvertiva l'Imperator di Bisanzo di disperdere qua e là, di tenere in faccende, di ricompensare, ed anche frenare questi impetuosi figli del Settentrione. Gli Autori greci contemporanei descrivono questo arrivo dei Varangi; da essi sotto questo nome additati, e ne danno a conoscere l'indole. Il fatto è che ogni giorno si acquistarono maggiore stima e confidenza, e raccolti a Costantinopoli, ebbero ivi l'incarico della guardia del palagio; accresciuti di poi da una banda numerosa di loro compatriotti, gli abitanti di Thule; denominazione di paese generale e vaga, che in tal circostanza alla Inghilterra si riferisce. Erano pertanto i nuovi Varangi una colonia di Inglesi e Danesi al normanno giogo sottrattisi. La consuetudine del migrare e del corseggiare avea riuniti i diversi popoli della terra: questi esuli, ben ricevuti alla Corte di Bisanzo, ivi conservarono, sino agli ultimi anni dell'Impero, una lealtà immune da taccia, e l'uso delle lingue inglese e danese. Armato l'omero della loro larga azza da guerra a due tagli, accompagnavano l'Imperatore al tempio, al senato e all'Ippodromo; alla fedele loro guardia ei doveva la tranquillità de' suoi sonni e de' suoi conviti; fra le lor mani, sicure del pari e coraggiose, le chiavi del palagio, dell'erario e della Capitale si stavano120.
Nel decimo secolo le geografiche cognizioni che si aveano sulla Scizia erano assai più estese di quelle degli Antichi; e la monarchia dei Russi tiene una importante sede nel ragguaglio offertone da Costantino sulle diverse nazioni del globo121. Il figlio di Ruric dominava la vasta provincia di Wolodimir o Moscovia, e se i Russi da questo lato aveano per impedimento ad estendersi di più le orde orientali, verso occidente il loro Impero fino al mar Baltico e alla Prussia si dilatava. Verso tramontana, oltrepassava il sessantesimo grado di latitudine di quelle regioni iperboree che la nostra immaginazione ha empiute di mostri, o di una notte eterna coperte. Dalla parte di ostro seguivano il corso del Boristene fino in vicinanza all'Eussino. Le tribù dimoranti, o errabonde in questa vasta contrada, allo stesso vincitore obbedivano, e a poco a poco una medesima nazione formarono. La lingua russa attuale non è che un dialetto della schiavona; ma nel decimo secolo, questi due idiomi erano ben distinti l'uno dall'altro, e poichè lo schiavone ha prevalso ne' climi australi, v'è luogo a credere che i Russi boreali, soggiogati sulle prime dal General de' Varangi, alla schiatta finnica appartenessero. Le migrazioni, le unioni, o le separazioni delle tribù erranti, hanno cambiato continuamente il quadro mobile del deserto della Scizia; pur trovansi nella carta più antica della Russia tai luoghi che non hanno mai cambiato di nome. Novogorod122, e Kiovia123, le due Capitali, fin dai primi tempi della Monarchia hanno esistenza. Novogorod però non veniva ancora intitolata la Grande; non per anche erasi confederata colla Lega anseatica, che le ricchezze e i principj della libertà ha diffusi in Europa. Kiovia non superbiva ancora de' suoi trecento tempj, di quella innumerevole popolazione, di quel grado di magnificenza e splendore, onde la paragonavano a Costantinopoli coloro che non aveano mai veduta la residenza de' Cesari. Le due città non erano sulle prime che campi, o fiere, soli ritrovi che s'avessero i Barbari per concertarsi sulle bisogne della guerra, o del commercio. Pure queste assemblee annunziano alcuni progressi nella civiltà. Venne tratta dalle province del Mezzogiorno una razza di animali, gli animali cornuti; e lo spirito di commercio, per terra e per mare, si dilatò dal Baltico all'Eussino, dalla foce dell'Oder al porto di Costantinopoli. Sotto il regno del Paganesimo e della barbarie, i Normanni aveano arricchita la città schiavona di Giulino, dalle loro cure ridotta a ricettacolo di commercio124. Da questo porto situato alla foce dell'Oder, i corsari e i mercatanti giugnevano in quarantatre giorni alle coste orientali del Baltico. Quivi le popolazioni più rimote si mescolavano fra loro, e i boschi sacri della Curlandia vedeansi, narrano, ornati dell'oro della Grecia, e della Spagna125. Una comunicazione facile, fra Novogorod e il mare, venne scoperta: durante la state attraversavansi un golfo, un lago, un fiume navigabile: nel verno la superficie solida di una immensa pianura di diaccio offeriva ai viaggiatori il cammino. Dai dintorni di questa città, i Russi calavansi per li fiumi che vanno a cader nel Boristene; le loro navicelle formate di un solo albero portavano schiavi d'ogni età; pellicce d'ogni specie, il mele delle loro api, le pelli de' loro animali, e tutte le derrate del Settentrione, condotte venivano, e raccolte trovavansi ne' magazzini di Kiovia. Il mese di giugno era per ordinario il tempo in cui la navigatrice carovana partivasi. Il legno di quelle navicelle serviva indi a fabbricar remi, e tavole per battelli più ampj, e di maggiore durata; e questi nuovi navigli scendeano senza ostacolo giù pel Boristene, fino a sette o tredici catene di roccie, che, opponendosi al letto del fiume, ne mandano precipitando le acque. Se di minor conto erano queste cateratte, bastava l'alleggerire i battelli; ma le più rilevanti essi non potevano superare; i navicellai allora vedeansi costretti a trasportare per terra le barche e gli schiavi, e durante questo penoso viaggio di sei miglia, stavano in continuo pericolo di essere assaliti dai malandrini del deserto126. Alla prima isola che trovavano al di sotto delle cateratte, i Russi celebravano con una festa la buona sorte che dal rischio gli avea campati; ad una seconda isola più vicina alla foce del fiume, risarcivano i battelli per metterli in istato di ricominciare più lunga e più perigliosa corsa che aspettavali sul mar Nero. Costeggiando in appresso, raggiugneano senza fatica la bocca del Danubio; e se il vento li favoriva in trentasei o quaranta ore approdavano alle rive della Natolia, d'onde a Costantinopoli si trasferivano. Di ritorno nella Russia, vi portavano un abbondante carico di biade, vini, olj, lavori della Grecia e aromi dell'India. Alcuni de' loro compatriotti si stanziavano nella Capitale e nelle province dell'Impero greco, e la persona, i beni e i privilegi del mercatante russo dai negoziati fra le due nazioni veniano guarentiti127.
Ma non andò guari che si abusò, convertendola a danno dell'uman genere, di una comunicazione apertasi col fine di vantaggiarlo. In un intervallo di cento novanta anni i Russi tentarono per quattro volte di saccheggiare i tesori di Costantinopoli: e benchè queste spedizioni navali non ottenessero tutte un eguale successo, i motivi e i fini ne erano sempre stati i medesimi, e i modi dell'imprenderle eguali128. I maravigliosi racconti de' mercatanti russi che aveano veduta la magnificenza e assaporato il lusso della città dei Cesari, alcuni saggi di queste ricchezze che essi portavano in patria, destarono la cupidigia de' lor selvaggi concittadini. Incominciarono questi ad invidiare quelle beneficenze che la natura ricusava al lor clima, e a vagheggiare que' lavori dell'arte che, nè attesa la lor dappocaggine poteano imitare, nè attesa la lor povertà, procacciarsi. I Principi varangi innalzarono bandiera di corsari, e trassero i migliori loro marinai dalle nazioni che abitavano le isole settentrionali dell'Oceano129. Abbiam veduta nel trascorso secolo una immagine di tale armamento nelle flotte de' Cosacchi che uscirono fuori del Boristene per correre i mari colle intenzioni medesime130. Il nome greco monoxyla, barca di un solo pezzo, ben addiccasi alla chiglia de' lor navigli, che era un lungo tronco di faggio o di betulla incavato; e su questa leggiera e stretta base, continuata col mezzo di assi, lunghe fino a sessanta piedi, si alzavano gli orli della navicella, alti in circa dodici piedi. Privi di ponte questi navigli aveano due governali, ed un albero, e movendosi col ministero di remi e di vele, portavano fra i quaranta e i settanta uomini, forniti delle armi necessarie, e provveduti di acqua dolce, e di pesce salato. Nella prima loro spedizione, i Russi non adoperarono più di dugento di questi battelli; ma quando tutte le forze di lor nazione spiegavano, poteano condurre e mille, e mille dugento navigli sotto le mura di Costantinopoli. La loro flotta non era per nulla inferiore a quella di Agamennone; i Greci spaventati la supponeano, dieci, o quindici volte, più forte e più numerosa. Con qualche previdenza e vigore, non sarebbe stato difficile agli Imperatori il chiudere con una flotta la foce del Boristene. Ma, mercè alla loro indolenza, le coste della Natolia furono in preda a' corsari, che più non s'incontravano da sei secoli sul Ponto Eussino; e sintanto che la Capitale fu rispettata, i disastri di una remota provincia sfuggirono all'attenzione de' Principi e degli Storici. Finalmente poi la procella, che devastata avea le rive del Fasi e di Trebisonda, scoppiò sul bosforo Tracio, stretto di quindici miglia, ove un avversario più abile avrebbe potuto arrestare e distruggere l'informe naviglio de' Russi. Nella prima loro intrapresa condotti dai Principi di Kiovia131, non trovarono ostacolo alla loro navigazione, e mentre l'Imperatore Michele, figlio di Teofilo, era lontano, occuparono il porto di Costantinopoli. Il ridetto principe, dopo avere affrontati mille pericoli, pervenne finalmente a sbarcare alla scala del palagio, trasferitosi tosto ad una chiesa consacrata a Maria Vergine132. Per consiglio del Patriarca fu tolta da quel Santuario una reliquia preziosa, l'abito della stessa Madonna; e tuffatolo indi nel mare venne divotamente attribuita alla protezione della madre di Dio una tempesta che, giunta a proposito, persuase ai Russi la ritirata133. Il silenzio de' Greci fa nascere dubbj sulla verità o certamente sull'importanza del secondo tentativo operato da Oleg, tutore dei figli di Ruric134. Una sbarra ben affortificata e guernita di soldati, a que' giorni, il Bosforo difendea: i Russi superarono un tale ostacolo, come a ciò erano soliti, trascinando le loro barche al di sopra dell'istmo, e le Cronache nazionali parlano di questo semplicissimo espediente, come se la flotta russa, protetta da un vento favorevole, avesse navigato per terra. Igor, figlio di Ruric, comandante della terza spedizione, avea scelto un momento di debolezza e d'impaccio pe' Greci, allorchè le armate navali stavano difendendo l'Impero dai Saracini; ma ove non manca il coraggio, rare volte mancano i modi della difesa. Vennero arditamente lanciate contro il nemico quindici galee disordinate ed infrante; ed invece di una sola bocca di fuoco greco che collocar solevasi sulla prora, furono abbondantemente provveduti di questa fiamma e i fianchi e le poppe di tutti quindici i navigli. Abili erano gli artefici, propizio l'aere. Migliaia di Russi che preferirono l'annegarsi al cader vittima dell'incendio, si gettarono in mare: tutti quelli che alle coste della Tracia si ripararono, vennero inumanamente trucidati dai soldati e dai contadini. Nullameno, un terzo di naviglio russo si sottrasse alla distruzione, guadagnando le basse acque, e nel successivo anno Igor si apparecchiò a vendicare la ricevuta sconfitta135. Dopo una lunga pace, Jaroslao pronipote di Igor, avendo tentata una quarta invasione, il fuoco greco rispinse nuovamente all'ingresso del Bosforo una flotta che il figlio di Iaroslao comandava. Ma l'antiguardo de' Greci dato essendosi ad inseguire senza cautela i fuggitivi, fu preso in mezzo da una moltitudine di barche russe; forse in quel punto il fuoco greco mancò di alimento; e ventiquattro imperiali galee, vennero quali prese, quali mandate a fondo, quali in altra guisa distrutte136.
Più spesso colle negoziazioni che colle armi l'Impero greco cercava sottrarsi ai pericoli, o ai disastri del guerreggiare coi Russi. E per vero, in queste marittime ostilità stava contro i Greci ogni svantaggio. Doveano battersi con un popolo feroce, di cui non era stile il conceder quartiere, povero sì che speranza di bottino non offeriva; e affidato per le sue ritratte ad inaccessibili asili, che ogni speranza di vendetta al vincitore toglievano. Laonde, fosse orgoglio, o debolezza, prevalse una opinione che il continuarsi a cimentare con questi Barbari, non potea far crescere, nè sminuire di gloria l'Impero. Costoro posero sulle prime partiti immoderati, e non ammissibili, qual si era quello di pretendere tre libbre d'oro per ogni soldato o marinaio della loro flotta. La gioventù russa ostinavasi nella brama delle conquiste, mentre i saggi vegliardi raccomandavano loro la moderazione. «Contentatevi, essi diceano, delle grandiose offerte di Cesare. Non è egli meglio ottenere senza combattere l'oro, l'argento, i drappi di seta e tutto quanto è scopo dei nostri desiderj? Siam noi sicuri della vittoria? Possiamo noi conchiudere un trattato col mare? Noi non camminiamo per terra, ma galleggiamo sull'abisso delle acque, e la morte ai capi di ognun di noi sovrasta egualmente137». La ricordanza di queste artiche flotte che dal Cerchio polare pareano scendere, profonda impressione di terrore lasciò nella Capitale degli Imperatori. Il volgo di tutte le classi assicurava, e credea, che una statua equestre, posta sulla piazza del Tauro, predicesse, con misteriosa iscrizione, dover finalmente venir giorno, in cui i Russi diventerebbero padroni di Costantinopoli138. Son pochi anni che una squadra russa, in vece di uscir del Boristene, ha fatto il giro d'Europa: abbiam veduta la Capitale degli Ottomani, minacciata da grandi e forti vascelli di linea, de' quali un solo, e per l'abilità de' suoi marinaj, e per la forza delle sue terribili artiglierie, avrebbe bastato a mandare a fondo, o disperdere cento navigli simili a quelli che gli antenati de' Russi adopravano: onde i Turchi hanno ogni ragion di temere che la generazione presente, non veda compirsi una tal profezia; profezia che si toglie dalle ordinarie perchè lo stile non ne è equivoco, nè può esserne rivocata in dubbio la data.
A. D. 555-673
Men formidabili per terra che sul mare, erano i Russi; soliti quasi sempre a combattere a piedi, avvi motivo per credere che le irregolari loro legioni sieno state sovente rovesciate, e dalla cavalleria delle orde scitiche poste in rotta; ma le nascenti loro città, comunque in uno stato di imperfezione si ritrovassero, offerivano asilo ai sudditi, ostacolo tremendo al nemico. La monarchia di Kiovia, sintanto che non venne smembrata, a tutto il Settentrione diè legge; e Swatoslao139 figlio d'Igor, figlio di Oleck, figlio di Ruric, le nazioni poste tra il Volga e il Danubio, ora rispinse, or debellò; perchè le fatiche di una vita militare e selvaggia, in questo principe il vigore dello spirito e dell'animo fortificarono. Vestito di una pelle d'orso, sul terreno ignudo per lo più coricavasi, e guanciale ad esso era una sella; nel nudrirsi di cibi semplici e grossolani agli eroi di Omero non la cedea140, e tai cibi erano per lo più carne di cavallo arrostita, o sugli ardenti carboni abbrustolata. La consuetudine della guerra addestrava e istruiva il suo esercito, ed è credibile che non fosse permesso a quelle soldatesche lo sfoggiare d'un lusso ignoto al loro generale. Un'ambasceria venutagli per parte dell'imperatore Niceforo indusse Swatoslao ad intraprendere la conquista della Bulgaria, intanto che un donativo di millecinquecento libbre d'oro servivagli alle spese già fatte, o che per quella spedizione far si dovevano. Imbarcati sessantamila de' suoi che, usciti dalla foce del Boristene a quella del Danubio volser le vele, alle coste della Mesia approdò, ove dopo sanguinosa battaglia le spade russe sulle frecce della cavalleria de' Bulgari ebber trionfo. Il Re vinto scese nel sepolcro; i figli di lui caddero in potere del vincitore; e i nortici guerrieri, sino alle falde dell'Emo, i suoi Stati devastarono o saccheggiarono. Il principe varangio, anzichè abbandonar la sua preda e mantenere le date promesse, più propenso a maggiormente innoltrarsi che a retrocedere si mostrava; onde se il buon successo avesse coronato il fine della sua impresa, già nel decimo secolo la residenza dell'Impero russo sarebbe stata sotto un clima più temperato e più fertile trasferita. Swatoslao divisò godere de' moltiplici vantaggi che ben sentiva essere al suo nuovo stato inerenti, potendo già, sia col commercio, sia colla rapina, attrarre a sè le diverse produzioni di tutta la Terra. Una facile navigazione gli arrecava le pellicce, la cera e l'idromele della Russia. Di cavalli e delle spoglie d'Occidente l'Ungheria lo forniva, la Grecia abbondava d'oro, d'argento, e di tutti quegli arredi di lusso, de' quali, in sua povertà, disdegnoso ostentavasi il vincitore. Numerose bande di Patzinaciti, di Cozari, e di Turchi accorreano da ogni lato sotto le bandiere di un principe vittorioso. In questo mezzo, l'ambasciatore di Niceforo, tradendo il suo padrone, vestì la porpora, e promise ai nuovi confederati dell'Impero di spartirsene seco loro i tesori. Il principe russo continuò intanto la militare sua corsa dalle rive del Danubio sino ad Adrianopoli; e quando intimato vennegli di sgomberare la provincia romana, diede una disdegnosa risposta aggiugnendo che la stessa Costantinopoli dovea fra poco aspettarsi l'arrivo del suo nemico e padrone.