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La Calandria

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SCENA VIII

RUFFO solo.

Non deve l'omo mai disperarsi perché spesso vengano le venture quando altri non l'aspetta. Costei, come io pensai, crede che io abbi uno spirito. Ed, essendo fieramente d'un giovane accesa ed altro rimedio non giovandoli, al mio ricorre, pregandomi che io lo stringa andare da lei, di giorno, in forma di donna, promettendomi denari assai se io ne la contento: che credo di sí, per ciò che lo amante è un Lidio greco, amico e cognoscente mio per essere d'un medesimo paese che sono io; ed è anco mio amico Fannio suo servo. Però spero condurre la cosa in paro. A costei non ho promessa cosa certa, se prima con questo Lidio non parlo. La ventura ci piove in grembo, se ella fia presa da Lidio come da me. Orsú! A casa di Perillo mercante fiorentino, ove sta Lidio, me ne vo; ed, essendo ora di pranzo, forse in casa il troverrò.

ATTO II

SCENA I

LIDIO femina, FANNIO servo e la NUTRICE.

LIDIO femina. Assai è manifesto quanto sia miglior la fortuna degli uomini che quella delle donne. Ed io piú che l'altre l'ho per prova cognosciuto: per ciò che, da quel giorno in qua che Modon nostra patria fu arsa da' turchi, avendo sempre io vestito da maschio e Lidio chiamatomi (che cosí nome avea el mio suavissimo fratello), credendosi sempre ognun che io maschio sia, ho trovato venture tali che ben ne son stati li fatti nostri; ove che, se io nel vestire e nel nome mi fussi mostro essere donna, come sono in fatto, né il turco di cui eravamo schiavi ce aria venduti né forse Perillo riscossici, se saputo avesse che io femina fusse, onde in miserabil servitú sempre ci conveniva stare. Ed io or vi dico che, quando fussi maschio come son femina, sempre in tranquillo stato ci viveremmo: per ciò che, credendosi Perillo, come sapete, che io maschio sia, e fidelissimo nelli affari suoi avendomi trovato sempre, me ama tanto che vuol darmi per moglie Verginia unica figliuola sua e di tutti gli beni suoi farla erede. E, dicendomi el nipote che Perillo vuol, doman o l'altro, io la sposi, per conferire la cosa con voi, mia nutrice, e teco, Fannio mio servo, fuora di casa me ne sono venuta; e piena di tanto travaglio quanto io ben sento e voi pensar potete. E non so se…

FANNIO. Taci, oimè! taci; a fin che costei, che afflitta verso noi viene, non attinga quel che parliamo.

SCENA II

SAMIA serva, LIDIO femina, FANNIO.

SAMIA. Te so dir che l'ha ne l'ossa! Dice aver visto Lidio suo dalle finestre e mandami a favellarli. Tirandol da parte, li parlerò. Bona vita, messer.

LIDIO femina. Ben venga.

SAMIA. Due parole.

LIDIO femina. Chi sei tu?

SAMIA. Mi domandi chi sono?

LIDIO femina. Cerco quel ch'io non so.

SAMIA. El saperrai ora.

LIDIO femina. Che vuoi?

SAMIA. La padrona mia ti prega che tu voglia amarla come lei fa te e, quando ti piaccia, venire da lei.

LIDIO femina. Non intendo. Chi è la padrona tua?

SAMIA. Eh! Lidio, tu vuoi straziarmi, sí?

LIDIO femina. Straziar vuoi tu me.

SAMIA. Laudato sia Dio poi che tu non sai chi è Fulvia né me conosci.

Orsú! sú! Che vuo' tu che io le dica?

LIDIO femina. Buona donna, se altro non mi di', altro non te rispondo.

SAMIA. Fingi non intendere, eh?

LIDIO femina. Io non te intendo né ti conosco e manco d'intenderti e conoscerti mi curo. Va' in pace.

SAMIA. Discretamente fai, certo. Alla croce di Dio, che io glie ne dirò bene.

LIDIO femina. Dilli ciò che tu vuoi, pur che dinanzi mi ti levi in la tua mal'ora e sua.

SAMIA. Va' pur lá. Ci starai se crepassi, greco taccagno, ché la mi manda al negromante. Ma, se cosí risponde lo spirito, trionfa Fulvia.

LIDIO femina. Misera e trista la fortuna di noi donne! E queste cose inanzi mi si parano perché io tanto piú cognosca e pianga il danno del mio esser donna.

FANNIO. Io arei pure voluto intendere il tutto da costei; ché nocer non potea.

LIDIO femina. La cura piú grave tutte l'altre scaccia. Pur, se piú mi parlasse, piú grato me le mostrerrei.

FANNIO. Io cognosco costei.

LIDIO femina. Chi è?

FANNIO. Samia serva di Fulvia gentildonna romana.

LIDIO femina. Oh! oh! oh! Anch'io la cognosco, ora. Pazienzia! Ella ben nominò Fulvia.

SCENA III

LIDIO femina, FANNIO servo, RUFFO negromante.

RUFFO. Oh! oh! oh!

LIDIO femina. Che voce è quella?

RUFFO. Vi sono andato cercando un pezzo.

FANNIO. Addio, Ruffo. Che c'è?

RUFFO. Buono.

FANNIO. Che?

RUFFO. Or lo saperrete.

LIDIO femina. Aspetta, Ruffo. Odi, Tiresia. A casa te ne va' e vedi quel che fa Perillo nostro padrone circa al fatto di queste nozze mie; e, quando verrá lá Fannio, mandami per lui a raguagliare quello che vi si fa perché intendo oggi non lassarmi trovare per vedere se in me verificar si potesse quel che il vulgo dice: «Chi ha tempo ha vita». Va' via. Or di' tu, Ruffo, quel buon che ci porti.

RUFFO. Benché novellamente vi cognoschi, pur molto vi amo, sendo tutti d'un paese; e li cieli occasion ce dánno che insieme ce intendiamo.

LIDIO femina. Certo, da noi amato sei e teco sempre ce intenderemo volentieri. Ma che ce di' tu?

RUFFO. Dirò brevemente. Udite. Una donna, di te, Lidio, innamorata, cerca che tu suo sia come ella è tua e dice che, non giovandoli altro mezzo, al mio ricorre. E la causa per che essa de l'opera mia mi richiede è perché, buttando de figure e punti e avendo pure ben la chiromanzia, tra le donne, che credule sono, ho fama d'essere un nobil negromante; e tengan per certo che io abbia uno spirito col quale elle s'avvisano che io faccia e disfaccia ciò che voglio. Il che io volentieri consento per ciò che spesso grandissimo utile e talor di belli piaceri con queste semplicette ne traggo: come si fará ora con costei, se savio sarai; però ch'ella vuole che io ti costringa andar da lei ed io, pensando teco intendermi, glie n'ho data qualche speranza. Se tu or vorrai, ricchi insieme diventeremo e tu di lei diletto trar potrai.

LIDIO femina. Ruffo, in queste cose assai fraude intendo si fanno ed io, inesperto, facilmente potria esserci gabbato. Ma, fidandomi di te che sei il mezzano, non me ne discosterò allora che delibererò di farlo. Ci penseremo Fannio ed io. Ma dimmi: chi è costei?

RUFFO. Una detta Fulvia, ricca, nobile e bella.

FANNIO. Oh! oh! oh! La padrona di colei che or ora ti parlò.

LIDIO femina. Vero dici.

RUFFO. Come! La serva sua t'ha parlato?

LIDIO femina. Or ora.

RUFFO. E che le rispondesti?

LIDIO femina. Me la levai dinanzi con villane parole.

RUFFO. Non fu fuor di proposito. Ma, se piú ti parla, mostratele piú piacevole, se alla cosa attender vorremo.

LIDIO femina. Cosí si fará.

FANNIO. Dimmi, Ruffo: quando aría Lidio ad esser con lei?

RUFFO. Quanto piú presto, meglio.

FANNIO. A che ora?

RUFFO. Di giorno.

LIDIO femina. Oh! io saria visto.

RUFFO. Vero. Ma la vole che lo spirito ti costringa andarvi in forma di donna.

FANNIO. E che vuol far di lui, se la pensa lo spirito lo converta in donna?

RUFFO. Penso volessi dire in abito, non in forma di donna. Pur ella cosí disse.

LIDIO femina. È bella trama: hai tu notato, Fannio?

FANNIO. Benissimo. E piacemi assai.

RUFFO. Be', volete darli effetto?

LIDIO femina. Da qua ad un poco te ne diremo l'animo nostro.

RUFFO. Ove ci troverremo?

FANNIO. Qui.

LIDIO femina. E chi prima arriva l'altro aspetti.

RUFFO. Ben di'. Addio.

SCENA IV

FANNIO servo, LIDIO femina.

FANNIO. Li cieli ci porgono occasione conforme al pensier tuo di non te lassare trovare oggi, con ciò sia che, andando tu da costei, Iove non ti troverrebbe. Ed oltra di questo, scoprendola tu puttana, spesso da lei beccherai danari per pagarti il silenzio tuo a non parlarne. Oltra questo, è cosa da crepar delle risa. Tu donna sei; ella in forma di donna te adomanda; da lei anderai. Al provar quel che cerca, troverrá quel che non vuole.

LIDIO femina. Vogliam farlo?

FANNIO. Per altro nol dico.

LIDIO femina. Be'. Va' a casa, intendi quel che vi si fa e trova li panni per vestirci. E me troverrai nella bottega di Franzino e risolveremo Ruffo al sí.

FANNIO. Levati ancor tu di qui, perché colui che lá appare essere potria uno che Perillo mandasse per te.

LIDIO femina. Non è de' nostri. Pur tu hai ben detto.

SCENA V

FESSENIO servo, FULVIA.

FESSENIO. Voglio andare un poco da Fulvia, ché comparita su l'uscio la vedo, e mostrarle che Lidio vuol partirsi per vedere come se ne risente.

FULVIA. Ben venga, Fessenio caro. Dimmi: che è di Lidio mio?

FESSENIO. Non mi pare quel desso.

FULVIA. Eimè! Di' sú: che ha?

FESSENIO. Sta pure in fantasia di partirsi per cercare Santilla sua sorella.

FULVIA. Eh lassa a me! Vuol partirsi?

FESSENIO. Ve è vòlto, in fine.

FULVIA. Fessenio mio, se tu vuoi l'util tuo, se tu ami il ben di Lidio, se tu stimi la salute mia, trovalo, persuadilo, pregalo, stringilo, suplicalo che per questo non si parta, perché io farò per tutta Italia cercar di lei; e, se avvien che si ritrovi, da mò, Fessenio mio, come t'ho detto altre fiate, li do la fede mia che io la darò per moglie a Flaminio mio unico figliuolo.

FESSENIO. Vuoi che cosí gli prometta?

FULVIA. Cosí ti giuro e cosí mi obligo.

FESSENIO. Son certo che volentieri l'udirá perché è cosa da piacergli.

FULVIA. Spacciata sono, se tu con lui non mi aiuti. Pregalo che salvi questa vita che è sua.

FESSENIO. Farò quanto mi commetti; e per servirti vo a trovarlo a casa ove ora si trova.

FULVIA. Non men farai per te, Fessenio mio, che per me. Addio.

 

FESSENIO. Costei sta come pò; e, per Dio, ormai è d'aver compassione di lei. Fia bene che Lidio oggi, da donna vestito, come suole, venga da lei. E cosí fará perché non meno lo desidera che costei. Ma far prima bisogna la cosa di Calandro. Ed eccolo che giá torna. Dirogli avere ultimato il fatto suo.

SCENA VI

FESSENIO servo, CALANDRO.

FESSENIO. Salve, padron, che ben salvo sei da che la salute ti porto.

Dammi la mano.

CALANDRO. La mano e i piedi.

FESSENIO. Parti che i pronti detti gli sdrucciolino di bocca?

CALANDRO. Che c'è?

FESSENIO. Che, ah? El mondo è tuo; felice sei.

CALANDRO. Che mi porti?

FESSENIO. Santilla tua ti porto, che piú te ama che tu non ami lei e di esser teco piú brama che tu non brami; perché gli ho detto quanto tu se' liberale, bello e savio. Uh! uh! uh! Tal che la vuol, in fine, ciò che tu vuoi. Odi, padrone. Ella non sentí prima nominarti che io la viddi tutta accesa de l'amor tuo. Or sarai ben, tu, felice.

CALANDRO. Tu di' il vero. E' mi par mille anni succiar quelle labra vermigliuzze e quelle gote vino e ricotta.

FESSENIO. Buono! Volse dir sangue e latte.

CALANDRO. Ahi, Fessenio! Imperator ti faccio.

FESSENIO. Con che grazia l'amico accatta grazia!

CALANDRO. Or andianne da lei.

FESSENIO. Come da lei? E che? pensi tu ch'ella sia di bordello? Andar vi ti bisogna con ordine.

CALANDRO. E come vi si anderá?

FESSENIO. Coi piedi.

CALANDRO. So bene. Ma dico: in che modo?

FESSENIO. Hai a sapere che, se tu palesemente vi andasse, saresti visto. E però sono rimasto con lei, perché tu scoperto non sia e perché ella vituperata non resti, che tu in un forziero entri e, portato in camera sua, insieme quel piacere prendiate che vorrete tutti a due.

CALANDRO. Vedi che io non v'andrò coi piedi come dicevi.

FESSENIO. Ah! ah! ah! accorto amante! Tu di' il vero, in fine.

CALANDRO. Non durerò fatica, non è vero, Fessenio?

FESSENIO. Non, moccicon mio, no.

CALANDRO. Dimmi: il forziero sará sí grande che io possa entrarvi tutto?

FESSENIO. Mò che importa questo? Se non vi entrerai intero, ti farem di pezzi.

CALANDRO. Come di pezzi?

FESSENIO. Di pezzi, sí!

CALANDRO. Oh! come?

FESSENIO. Benissimo.

CALANDRO. Di'.

FESSENIO. Nol sai?

CALANDRO. Non, per questa croce.

FESSENIO. Se tu avesse navigato, il saperresti: perché aresti visto spesso che, volendo mettere in una piccola barca le centinara delle persone, non vi enterriano se non si scommettesse a chi le mani, a chi le braccia e a chi le gambe secondo il bisogno; e, cosí stivate, come l'altre mercanzie, a suolo a suolo, si acconciano sí che tengano poco loco.

CALANDRO. E poi?

FESSENIO. Poi, arrivati in porto, chi vuol si piglia e rinchiava il membro suo. E spesso anco avviene che, per inavvertenzia o per malizia, l'uno piglia el membro dell'altro e sel mette ove piú gli piace; e talvolta non gli torna bene perché toglie un membro piú grosso che non gli bisogna o una gamba piú corta della sua, onde ne diventa poi zoppo o sproporzionato, intendi?

CALANDRO. Sí, certo. In buona fé, mi guarderò bene io che non mi sia nel forziero scambiato il membro mio.

FESSENIO. Se tu a te medesimo non lo scambi, altro certo non te lo scambierá, andando tu solo in nel forziero: nel quale quando tu intero non cappia, dico che, come quelli che vanno in nave, ti potremo scommettere almen le gambe; con ciò sia che, avendo tu ad essere portato, tu non hai adoprarle.

CALANDRO. E dove si scommette l'omo?

FESSENIO. In tutti e' luoghi ove tu vedi svolgersi: come qui, qui, qui, qui… Vuo' lo sapere?

CALANDRO. Te ne prego.

FESSENIO. Tel mosterrò in un tratto, perché è facil cosa e si fa con un poco d'incanto. Dirai come dico io; ma in voce summissa, per ciò che, come tu punto gridasse, tutto si guasteria.

CALANDRO. Non dubitare.

FESSENIO. Proviamo, per ora, alla mano. Da' qua. E di' cosí:

Ambracullac.

CALANDRO. Anculabrac.

FESSENIO. Tu hai fallito. Di' cosí: Ambracullac.

CALANDRO. Alabracuc.

FESSENIO. Peggio! Ambracullac.

CALANDRO. Alucambrac.

FESSENIO. Oimè! oimè! Or di' cosí: Am…

CALANDRO. Am…

FESSENIO. … bra…

CALANDRO. … bra…

FESSENIO. … cul…

CALANDRO. … cul…

FESSENIO. … lac…

CALANDRO. … lac…

FESSENIO. Bu…

CALANDRO. Bu…

FESSENIO. … fo…

CALANDRO. … fo…

FESSENIO. … la…

CALANDRO. … la…

FESSENIO. … ccio…

CALANDRO. … ccio…

FESSENIO. … or…

CALANDRO. … or…

FESSENIO. … te la…

CALANDRO. … te la…

FESSENIO. … do.

CALANDRO. Oh! oh! oh! ohi! ohi! oimè!

FESSENIO. Tu guasteresti il mondo. Oh che maladetta sia tanta smemorataggine e si poca pazienzia! Ma, potta del cielo, non ti dissi pure ora che tu non dovevi gridare? Hai guasto lo 'ncanto.

CALANDRO. El braccio hai tu guasto a me.

FESSENIO. Non ti puoi piú scommetter, sai?

CALANDRO. Come farò, dunque?

FESSENIO. Torrò, in fine, forziero sí grande che vi entrerai intero.

CALANDRO. Oh! cosí sí. Va' e trovalo in modo che io non mi abbia a scommettere, per l'amor di Dio! perché questo braccio m'amazza.

FESSENIO. Cosí farò in un tratto.

CALANDRO. Io anderò in mercato, e tornerò qui subito.

FESSENIO. Ben di'. Addio. Sará or ben ch'i' trovi Lidio e seco ordini questa cosa della quale ci fia da ridere tutto questo anno. Or vo via sanza parlare altrimenti a Samia che lá su l'uscio veggo borbottare da sé.

SCENA VII

SAMIA serva, FULVIA.

SAMIA. Come va il mondo! Non è ancora un mese passato che Lidio, della mia padrona ardendo, voleva ad ogni ora esser seco; e poi che vidde lei bene accesa di lui, la stima quanto il fango. E, se a questa cosa remedio non si pone, certo Fulvia ci fará drento error di sorte che tutta la cittá ne sará piena. E ho fantasia che li fratelli di Calandro, fin da mò, alcuna cosa non abbino spiato, perché altro non stima, altro non pensa e d'altro non ragiona che di Lidio. Bene è vero che chi ha amore in seno sempre ha li sproni al fianco. Or voglia il cielo che a bene ne esca.

FULVIA. Samia!

SAMIA. Odila che di sopra mi chiama. Ará dalle finestre visto Lidio, ché lá lo vedo parlare con non so chi. O forse vorrá rimandarmi a Ruffo.

FULVIA. Saaamia!

SAMIA. Veeengo.

SCENA VIII

LIDIO femina, FANNIO servo.

LIDIO femina. Cosí t'ha detto Tiresia?

FANNIO. Sí.

LIDIO femina. E del parentado mio come di cosa conclusa si parla in casa?

FANNIO. Cosí sta.

LIDIO femina. E Virginia ne è lieta?

FANNIO. Non cape in sé.

LIDIO femina. E si preparano le nozze?

FANNIO. Tutta la casa è in faccende.

LIDIO femina. E credeno che io ne sia contenta?

FANNIO. Lo tengano per fermo.

LIDIO femina. Oh infelice Santilla! Quel che ad altri giova solo a me nuoce. Le amorevolezze di Perillo e della moglie verso me mi sono acutissimi strali per non poter fare el desiderio loro né quel che sarebbe il ben mio. Deh! me avesse Dio dato per luce tenebre, per vita morte e per cuna sepultura allor che io del materno ventre uscii; da che, in quel punto che io nacqui, morir dovea la ventura mia. Oh sanza fin beato, fratello dulcissimo, se, come io credo, nella patria morto restasti! Or che farò io, meschina Santilla? ché cosí omai chiamar mi posso, e non piú Lidio. Femina sono, e conviemmi esser marito! Se io sposo costei, subito cognoscerá che io femina e non maschio sono; e, da me scornati, el padre e la madre e la figlia porriano farmi uccidere. Negar di sposarla non posso; e, se pur niego di farlo, sdegnati, a casa maladetta me ne manderanno. Se paleso esser femina, io medesima a me stessa fo il danno. Tener cosí la cosa piú non posso. Misera a me! ché, da uno lato, ho il precipizio; da l'altro, e' lupi.

FANNIO. Non te disperare, ché forse e' cieli non te abbandoneranno. A me par che si segua el parer tuo di non te lassar trovare oggi da Perillo; e lo andare da colei viene a proposito; e io li panni da donna, per vestirti, ho in ordine. Chi scampa d'un punto ne schiva mille.

LIDIO femina. Ogni cosa farò. Ma dove è quel Ruffo?

FANNIO. Rimanemo che chi prima arrivava l'altro aspettassi.

LIDIO femina. Meglio è che Ruffo aspetti noi. Leviamoci di qui, perché colui che è lá non ci veda, se fusse alcuno che per ordine di Perillo me cercasse: se ben de' sua non mi pare.