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Villa Glori – Ricordi ed aneddoti dell'autunno 1867

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Prendiamo dunque la direzione dell'Eterna Città sotto la scorta dei gendarmi. Entriamo per la Porta del Popolo che troviamo barricata con ogni cura, e ci fermiamo davanti la Caserma di gendarmeria ch'è presso la Porta. In quei pochi momenti di fermata quanti pensieri mi passarono per la mente indebolita: prima soavi, poi tristi, cocenti quai ferri roventi! Tali rimembranze, rimembranze di cari momenti passati col mio Enrico nelle altre due visite fatte a Roma. Se dirigo lo sguardo all'Obelisco, corre alla mente il ricordo di quelle sere in cui dopo lunghe passeggiate sul Corso ci fermavamo a riposare sui gradini che gli fan corona, a riposare contemplando l'effetto sui monti dell'astro della sera. Se guardo al Pincio, mi rammento le passeggiate nell'ora del crepuscolo, i discorsi animati che tra noi si facevano contemplando dal terrazzo lo stupendo panorama di Roma; discorsi sul passato, sulle grandi memorie dell'Eterna Città, sull'avvenire, sul prossimo avvenire. – A questo punto del discorso i nostri sguardi sempre convergevano su Castel S. Angelo e più animata facevasi la conversazione. Ma lasciamo la triste memoria ch'è troppo fissa, perchè possa già contenere alcunchè di soave; è rimembranza che arrovella il cuore.

Riprendiamo il cammino e per Ripetta dopo non breve tratto si taglia a destra, si passa sul Ponte S. Angelo e si fa sosta al Castello. Qui discendono e vengono rinchiusi Campari e gli altri due compagni sani.

Noi procediamo per l'Ospedale di S. Spirito. Vi troviamo gran movimento cagionato dal nostro arrivo; gente alla porta, monache, infermieri, soldati sotto l'atrio. – Quel po' di confusione ritarda l'operazione del trasportare all'interno i feriti. Passò per certo più di mezz'ora prima che ad ognuno fosse assegnato il letto; s'ebbe il riguardo di raccoglierci tutti in una sola camera. – Grande era per me il bisogno di riposo, avendo il capo molto addolorato specialmente per le scosse della vettura. I medici quasi subito ci passarono la visita e ci medicarono. Mi si trovarono quattro ferite tutte però abbastanza leggere; due al capo, di baionetta e di palla strisciante, due altre di baionetta al dorso… quelle che m'erano state regalate quand'era già a terra privo di forze.

Poco dopo i medici ebbimo visite di frati e preti; ad uno di questi (il Cappellano dell'Ospedale) parlai di ciò che tanto m'era a cuore, il trasporto della salma del mio Enrico, e lo trovai dispostissimo ad interessarsene. Fra le numerose persone che accorsero a vederci, ma che però non s'intrattennero con noi, mi venne additato il Cardinal De Merode24.

25. – Passai una notte agitatissima: oltre all'immensa inquietudine morale dipendente dal continuo pensiero della perdita del mio Enrico, una febbre ardente m'ha pure tenuto il corpo in grande orgasmo. I medici, dopo aver viste le ferite, mi ordinarono un salasso che poco dopo mi vien fatto dalle Suore di Carità. – Rivedo il Cappellano dell'Ospedale che mi assicura d'avere scritto al Capitano dei Gendarmi sull'argomento che tanto m'è a cuore, il trasporto del mio Enrico. – Più tardi entra nella nostra camera il Generale Zappi accompagnato dallo stesso Capitano dei Gendarmi; mi dice di star pienamente tranquillo circa al supremo argomento: l'autorizzazione m'è accordata. Ciò mi consola assai. Chiedo mi si permetta d'assistere ai funerali. N'ho risposta negativa.

Alla sera mi vien fatto dalla suora un altro salasso.

26. – La notte fu più tranquilla della precedente, solo fisicamente però, s'intende. Gli altri amici feriti in complesso migliorano, fuorchè Moruzzi, che mi dà qualche pensiero. Scrivo all'intimo amico di me e del povero mio Enrico, Minoja, l'informo dettagliatamente della tristissima digrazia e di quanto mi concerne. Tale sfogo servì a sollevarmi un poco l'animo. Fin dal giorno innanzi, mi scordai dirlo più indietro, aveva scritto all'amico deputato Cadolini, raccontandogli il tutto; l'impegnava a voler mandare al più presto qualche stretto conoscente a Roma per combinare il trasporto delle preziose salme. – Lo scopo principale che mi spinse a scrivere le prime mie lettere a questi due amici si fu di fare in modo che la sciagurata novella della subita perdita immensa arrivasse il meno possibile crudamente a Mammina e a Benedetto. – In giornata altre persone vengono a visitarci tra le quali una signora inglese che sebbene di principii avversi ai nostri, mostrò molto interesse pei nostri mali. Non tutti certamente sanno anteporre i doveri d'umanità a ogni altra idea; quando trovo perciò di tali persone, amo render loro pubblica lode per ogni mezzo mi si presenti. – Debbo però dire che dessa, la suddetta signora, mi rivolse subito parole tali che certo non s'attagliavano alla reciproca nostra posizione di tribolato cioè (moralmente anzitutto) e di consolatore. – Mi disse: – «Fu commesso l'altro ieri (22) un atto di barbarie contro i nostri soldati; fu fatta diroccare col mezzo d'una mina una caserma di zuavi…». – Tutto ciò con tal tono che voleva certo farmi comprendere il rimprovero al partito al quale io appartengo, al partito dell'indipendenza e del mio paese. – «Signora» – risposi – «se si dovesse formalizzarsi di certi atti isolati, darne tutta la colpa ad un intiero partito, noi ne avremmo per certo maggior diritto per quanto ci accadde l'altra sera nel combattimento in cui restammo feriti. La maggior parte di noi ebbimo ferite di bajonetta quando già per altre ferite eravamo stesi al suolo privi di forze. Come può Ella, signora, qualificare tale condotta dei nostri nemici? condotta forse di leali soldati?» – «Non posso dar loro torto» – mi rispose con grande mio stupore la signora – «comprendo come nel bollor dell'azione tali scene possano succedere senza grave colpa di chi le commette». – «Noi non ne siamo capaci» – ripresi con forza. – «Il nemico ferito per noi è sacro». – Non replicò, certamente comprendendo com'io avessi piena ragione e si parlò d'altro. – Verso l'imbrunire sentimmo parlare di trasporto in altro ospedale di qualcuno di noi; tre, si aggiungeva. Poco dopo i medici vennero a visitarci e ci dichiararono tutti non trasportabili. – Nel mentre ci rimettiamo dall'apprensione di essere separati gli uni dagli altri, in cui quella notizia di traslocazione ci aveva gettato, alcuni gendarmi entrano nella sala a chiamare i n. 1, 3 e 7, me, cioè, Bassini e Castagnini. – Temendo il trasporto ad altro luogo non riuscisse fatale a Bassini ch'era in quel momento il più aggravato di noi tre, pensammo far avvisati i medici dell'ordine strano, che contro il loro consiglio ci era stato dato.25

NELLE CARCERI PONTIFICIE

[Queste parole sono scritte sulla copertina del «Libretto-Giornale» scritto nelle Carceri Nuove di Roma.]

… Sono prigioniero solo in una segreta, porto nel cuore lo strazio della recentissima perdita d'un diletto fratello, l'atroce ricordo del momento in cui me lo vidi cadere sotto gli occhi coperto di ferite e spirare. Non scorre dunque lieto per me questo giorno. Ma quanto più tetro a te!.. Pure oltre al respirare la pura aria che ci ha dato Iddio, oltre al vederti d'attorno tutta la tua famiglia, altri assai su di me hai di que' vantaggi che fan lieta la vita. Un nome glorioso: di qual gloria non te lo vo' ancor dire… ma pur glorioso od almeno famoso per tutta Europa, pel mondo, mentre io non son noto che alla mia città natale. Sommo potere ti sta nelle mani sopra molti milioni di uomini, mentre io non ho potere che sul cuore de' miei diletti.

Come mai dunque saran più tetre a te le ore di questa giornata? Ecco. – Io sono prigioniero, ma la stessa causa della mia cattività m'è di grande conforto… chè dessa fu l'aver obbedito ai doveri di cittadino. Piango un fratello, ma lo stesso genere di cruda sua morte m'è di conforto: sul campo dell'onore combattendo per la Patria. – Il mio nome è noto a pochi, ma so di certo che suona onestà. Non ho potere, ma mi basta l'affetto de' miei cari e i pensieri che da questo luogo di solitudine rivolgo ad essi ad ogni istante, sono un altro conforto, che assieme a quelli che t'ho già enumerato scema d'assai la tristezza delle ore che qui vo passando prigioniero. – E tu?.. Io so che l'alba di questo giorno (2 dicembre) t'ha portato intorno una luce insopportabile, attraverso la quale ti si fan vedere larve da far raccapricciare anche un cuore incenerito, il tuo. – Più di tutte si fan rimarcare due figure di donna! desse formano il fondo importante del quadro, il fondo della tetra tua visione. Non t'impedisce, no, di distinguerle perfettamente il bagliore delle dorate pareti, nè d'udirne la voce l'eco del tuo nome ripetuto da tutti i confini della Europa, da ogni costa di mare ai monti, cieli… Eccole quelle due larve. – Belle tutte due queste figure di donna… ma di aspetto indebolito e triste. L'una ha le impronte d'una felicità trascorsa ed una tal qual aria di natural gaiezza di vanitosa baldanza traspare attraverso quel velo di tristezza: le smunte sue labbra sembra che conoscano il riso! Forse ieri stesso, la notte scorsa dessa ha passato tra i gaudi e tra le danze, e solo da stamane è ridotta d'aspetto sì triste. Ma perchè? Eccolo, ella stessa lo dice. – Guardandoti cupamente ti mostra una data che ha scolpito nei ceppi che le legano le belle membra, quei ceppi che, strana cosa per vero! non le riescono gravi tra i piaceri in cui passa l'ordinaria sua vita. – Ma quella data l'hai letta?.. Sì, perchè hai impallidito. – 2 Decembre! – Ella ti parla! Udiamola. – Me misera! Che solo in questa giornata sappia accorgermi dell'abisso in cui m'hai gettata? Che solo questa funebre data valga a farmi sentire il peso delle catene di cui m'hai avvinta, e farmi scorgere le macchie di sangue di cui i miei figli, per te uccisi, m'hanno tinta? terribile prostrazione questa in cui da tanti anni nella giornata d'oggi sono caduta! Più ancora che quel sangue, quest'oggi io ho a rinfacciarti la corruzione che m'hai gettata nell'animo, la malnata ambizione che vi hai instillata colle tue tenebrose arti. Queste splendide vesti di cui mi hai adorna nascondono ai miei occhi le obbrobriose catene di cui vo carca, e la finta parola di Gloria, Gloria, che ad ogni tratto vai abilmente sussurrandomi all'orecchio, m'hanno spinto più d'una volta, (insensata!) a guidare i miei figli alla morte per sgozzare i figli delle mie sorelle. Prima intendeva comprendere la santa parola di libertà, anzi fui quella che prima la proferii, che la proclamai all'universo, attraverso le fitte tenebre del dispotismo. – Ora, me misera, solo a brevi [intervalli] ne comprendo il magico senso; che tu ti sei dato ogni cura di confonderla nella mia mente con parole che altro non significano se non turpitudini. Un tuo parente m'ha pur una volta legata e come te colla violenza; ma poi, più che colle strette dei ceppi ed il veleno dei mali consigli, m'ha tenuta per varii anni soggiogata col fascino dell'alto suo Genio e dell'indomabile energia. – Errai anche allora, anche sotto la guida del parente tuo più volte ho stretto di ceppi diverse mie sorelle.

 

Ma pur al male che allora ho fatto andò mischiato gran bene nei colpi che ho dato al dispotismo: in quel vorticoso mio giro pel mondo, è sempre grandezza! Allora insomma, già te lo dissi, sentiva legata la mia libertà dal fascino che m'ispirava l'Uomo di Genio, traviato sì, ma pur spesso generoso; ora quando so scorgerle, le ritorte che m'avvinghiano m'ispirano ribrezzo… mi sembrano le spire d'un serpente. – Ah vo' terminare il confronto. Quel tuo parente quanto generosamente ha chiusa la grande e colpevole sua carriera! Pensa qual parola l'animo suo seppe dettare a Fontainebleau in un momento di sublime infortunio… qual parola ha scritto per troncare i mali che addosso ei mi aveva attirati. – Abdicazione! – Ne saresti tu capace? – Il sogghigno che, anche in questo momento, in cui sei torturato da rimorsi, tu rivelasti a traverso il pallore del tuo viso, mi risponde di no.

E lo so bene… nè su ciò confido per riprendere la libertà che in questa funesta giornata m'hai rapita. – Fuvvi un momento in cui sperai acquistar vera gloria sotto la tua guida, anzi per fermo l'ho acquistata ed ho fatto benedire il mio nome: quando al tuo cenno condussi i miei figli, or sono otto anni, a liberare una loro sorella, questa che ora mi vedi d'accanto e che unisce su te i suoi sguardi di rimprovero ai miei per torturarti il cuore. Allora fu vera, santa gioia la mia, ben diversa da quella che ora spesso, non so come, vo dimostrando; stolto tripudio imparato alla tua scuola, che somiglia a un fuoco fatuo. Pure piansi allora sul sangue versato da' miei figli. Ma qual pianto! qual conforto vi andò mischiato dal pensiero della morte loro veramente gloriosa! – Però fu corto quell'istante che a tanta speranza m'aveva animato… alla suprema speranza di vederti lealmente procedere nel sentiero di libertà su cui t'eri posto, e perfino sperai che, dopo avermi guidato a dar la completa indipendenza alla mia sorella, m'avresti restituito quel tesoro che barbaramente in questa giornata tu mi hai rapito… Illusa! Ma, lo dissi, fu breve l'illusione! Assai presto potei comprendere che quel tuo atto, che aveva ogni apparenza di generosità, non poteva pur chiamarsi un lucido intervallo, che era dettato, come ogni altro de' tuoi precedenti, da precetti di tenebrosa politica.

Diffatti, proprio il giorno appresso di quello in cui fu versato dai miei figli gran copia di sangue per la redenzione della sorella, tu me li arresti sulla gloriosa via, e stringi la mano all'oppressore di essa. Prova ancora il rossore di quell'istante! Eccomi da quel momento da te introdotta in una via incerta, enigmatica, per diversi anni nei rapporti colla sorella, cui aveva prestato aiuto, finchè… ma Ella stessa ti riparlerà tra poco del male, che in questi ultimi tempi m'hai costretto a farle, ti rinfaccierà il dardo che m'hai costretto a lanciarle contro.

Io n'ho vergogna! Parlandone mi s'infiammerebbe il viso per l'ira d'averti obbedito nella fratricida missione.26

Dicembre

3. – Sono al termine del quarantesimo giorno di prigionia. – Nulla di nuovo – Tutta la giornata passai nell'attesa di quella dichiarazione, cui è necessario apporre la firma per ottenere la libertà. Forse mi verrà mostrata domani. Dubito assai ch'io possa trovarla accettabile; in ogni modo però desidero, per dare una favorevole risposta, di leggerla attentamente; così, qualunque sarà la mia decisione, mi resterà la soddisfazione d'averla data in piena cognizione di causa.

4. – Allo svegliarmi fui sorpreso stamane dal rimbombo di molte cannonate. – Ne chiesi la causa al custode e mi disse essere oggi S. Barbara, la festa d'Artiglieria. Mi scosse questo annunzio. – Quanto fausto gli altri anni mi scorreva questo giorno tra l'allegra comitiva dei compagni alternata alla gioia quasi infantile dei miei bravi soldati… Nel 60 passai questa giornata in Accademia, pure in una specie di prigionia, ma quanto diversa da questa! – Nel 61 ancora in Torino, mentr'era alla Scuola d'Applicazione, da mattina a sera assieme al mio amatissimo Adolfo, che doveva dopo due anni essermi rapito da morte quasi improvvisa. – Nel 62 a Pavia nel Reggimento Pontieri. Che liete ore tra la famiglia e buoni compagni! – Nel 63 a Salò. Mi ricordo che fu imbandito un pranzo ai bravi pontieri della Compagnia, che era la 5ª. – Nel 64 a Casale. – Nel 65 mi trovava in permesso a Firenze col mio Enrico. – Nel 66 a Verona. Mi sovvengo che non fu combinato il solito pranzo di tutti gli ufficiali dell'arma onde non essere costretti dalle leggi di militare convenienza ad invitare gli ufficiali austriaci rimasti in Verona per la consegna del materiale; il che sarebbe riuscito un brutto spettacolo per i buoni cittadini. – Nel 67: nella segreta N. 10 delle Carceri nuove di Roma! – Nel 68? – Finora, come abbiamo visto, da un anno all'altro vi fu variazione di località; è ben sperabile dunque che questa legge abbia a mantenersi ancora per poco, cioè ch'io abbia a trovarmi alla fine del nuovo anno in luogo diverso. – Vorrei quasi sperare anche al principio… ma no, comprimiamo i battiti del cuore, freniamo le speranze cotanto dubbie.

5. – Stamane venne monsignor Stonor a trovarmi. Il degno uomo, pieno per me d'interessamento, mi parlò ancora della promessa che tra poco mi verrebbe presentata da firmare ed insistè perchè lo facessi, aggiungendo i consigli dell'amico Colloredo. Gli esposi la mia riconoscenza per tanta premura, lo pregai di ringraziar pure l'amico, ma in merito alla questione dissi che sentiva di dovere star fermo in proposito altra volta mostratogli. Un dovere di più che agli altri compagni, aggiunsi, mi incombe circa a tale argomento: la memoria santa del mio diletto Enrico! Del resto, non debbo dar formale risposta finchè possa leggere quel foglio.

Più tardi fui chiamato in cancelleria una seconda volta; appunto la sospirata carta mi veniva portata da un impiegato all'Auditorato militare. Il suddetto signore mi parlò subito d'una certa istanza che dovevasi rivolgere credo al Direttore della Polizia per ottenere l'autorizzazione di rimpatriare. Credei volesse parlare della promessa, onde gli chiesi in quali termini dovesse essere concepita tale istanza. Dalla risposta capii essere questa una semplice domanda per soddisfare ad una formalità, onde gli venni subito a parlare della promessa.

– «Ah, mi rispose, la conoscerà già, ritengo: è la stessa che fu firmata dagli altri suoi compagni già partiti».

– «N'ho sentito a parlare, ma desidero conoscerla perfettamente; favorisca dunque a leggermela».

Me la lesse: n'è questo il senso:

«Liberato in seguito alla grazia accordatami da Sua Santità dalla prigionia in cui m'ha gettato l'aver fatto parte delle bande che hanno invaso il Territorio Pontificio, m'impegno sulla mia parola d'onore di non portare più le armi contro il suo legittimo governo».

Mi feci consegnare il foglio e lo rilessi attentamente.

Appena terminata la lettura risposi all'impiegato: – «Non posso firmare». – Discretamente sorpreso ei mi replicò: – «In tal caso, credo, si formulerà dal Tribunale un'altra intimazione» – «Favorisca a far sentire, s'Ella lo può, ch'io sarei disposto a firmare, avvece di quella promessa che ora ha letto, una dichiarazione in cui m'impegnassi ad essere sottoposto alla pena di diversi anni di carcere, quando fossi colto un'altra volta colle armi alla mano entro lo Stato Pontificio». – «Sarà difficile che si possa combinare in tal maniera…». – In ogni modo or conchiudo ripetendo che questa non la posso firmare, e per certo n'ho dispiacere. – Fui ricondotto alla mia segreta dopo aver esaminato gli oggetti statimi sequestrati all'epoca della mia entrata alle Carceri Nuove dall'Auditorato Militare, ed ora riconsegnati alla Cancelleria delle prigioni per mezzo dell'impiegato sunnominato. – Lo sguardo appassionato che potei gettare sulle ciocche di capelli del mio Enrico e dell'amico perduto, mi consolarono assai del dolore cagionatomi dall'aver dovuto rifiutare la cara libertà. – Ritornato alla solitudine della segreta, mi trovai l'animo più tranquillo d'assai dei giorni precedenti, durante i quali, per quanto io facessi, non potè a meno l'animo mio di trovarsi in preda ad un vago turbamento per l'ansietà di leggere quel foglio, da cui poteva dipendere la sospirata liberazione. – Era cagionato da una lieve (lievissima!) speranza che quella promessa potesse essere formulata in termini accettabili dalla mia coscienza, mista ad un vago timore che io potessi in un momento di vertigine cagionata dal vivissimo desiderio d'abbracciare i miei cari firmarla anche se, com'era probabilissimo, quella promessa fosse tale da doversi respingere.

Giorno 5

Vidi monsignor Stonor, e gli dissi il mio rifiuto. – Se ne mostrò assai addolorato, il degno uomo, ma finì per mostrar d'approvare la mia condotta. – Volle udire in quali parti io non trovassi accettabile quella promessa. – «La frase sulla grazia» – ripresi – «l'epiteto legittimo al Governo Pontificio e quella parte che si riferisce alla parola d'onore».

Giorno 6

La situazione è radicalmente cambiata, rischiarata perfettamente la prospettiva. – Posso tornare tra le braccia dei miei senza alcuna condizione contraria ai miei principii. – Avvece di firmare una dichiarazione ebbi una intimazione.

Domattina all'alba partirò. Il giorno 7 Decembre mi resterà sempre scolpito in cuore.

Mia Mammina, Benedetto, Minoja. – Come anelo di abbracciarvi!27

 
24Segue a questo punto una pagina tutta cancellata, nella quale sono scritte con poche varianti alcune righe che già si leggono nella pag. 194: probabilmente il Cairoli, avendole scritte per errore qui, le ha poi cancellate e poste al loro luogo. Si riprende quindi il racconto con la pagina seguente, che è la 74ª.
25Qui finisce il «Giornaletto di Campo» di Giovanni Cairoli: consta di 82 pagine e due righe ed è scritto tutto a lapis.
26Qui, a metà della pag. 10 del «Libretto-Giornale» scritto nelle Carceri Nuove, si interrompe la visione: il Cairoli lasciate in bianco alcune pagine, certo con l'intenzione di condurre a termine più tardi il suo sogno politico, va alla pagina 21 e riprende la continuazione del suo diario.
27Qui, colla pagina 32, finisce il «Libretto-Giornale» scritto dal Giovanni Cairoli nelle Carceri Nuove. Arrivato a casa, pareva che le ferite dessero speranza di guarigione; invece formatosi un ascesso per le ferite di baionetta ricevute a Villa Glori dopo che già era caduto, morì l'11 settembre 1869. Un anno dopo, nel medesimo mese di settembre, Roma era ricongiunta all'Italia ed il voto, per cui egli ed il fratello avevano fatto sacrificio della vita, era compiuto!