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Il bacio della contessa Savina

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– E il dottore non li vedeva ridere?

– Sai bene che il dottore non vede niente!

– Ma dimmi finalmente la tua opinione.

– Giudica dall'effetto generale… la tragedia riuscì a tutti noiosa.

– Ma io non faccio caso di quel pubblico… idiota. Tu sei più intelligente di tutti coloro… e tu non dormisti.

– Non tieni conto del mio affetto?.. ogni tuo lavoro non può che interessarmi assai… ma altro è l'interesse dell'affezione… altro un giudizio imparziale e spassionato.

– Dunque il tuo giudizio imparziale si è che la mia tragedia è noiosa?

– In complesso è noiosa… è inutile farsi illusioni. Vi sono però varie parti interessanti. Per esempio, quando parli d'amore vi sono espressioni vere, sentite profondamente, veramente ispirate e sublimi!.. ma il resto è troppo lungo, prolisso… insomma noioso.

– Ti ringrazio, – io conchiusi, – apprezzo il valore della tua sincerità, e saprò trarne partito.

– Ma figurati!.. nemmeno per sogno! – e parlammo d'altro.

Ora confesso che non solo m'ero offeso, ma dentro di me avevo giudicato l'Agata una saccentina sconclusionata, incapace di dare un giudizio apprezzabile sopra un simile lavoro. Dissimulai la stizza dell'amor proprio oltraggiato, e presi le mie misure in segreto per ottenere un giudice competente.

Avendo saputo che c'era a Sondrio in quel momento un capocomico generalmente stimato come uomo esperto nell'arte sua non solo, ma altresì di molto merito letterario, gli mandai il manoscritto pregandolo di leggerlo, e di dirmene francamente la sua opinione.

Pochi giorni dopo mi restituì la tragedia, con una lettera cortesissima, ma sincera. Mi diceva in poche parole: « Non voglio ingannarvi, nè adularvi, sarebbe far torto a chi non lo merita. Si vede in voi un giovine ingenuo ed onesto, esaltato da una passione che gl'ispira pensieri elevati, sogni poetici, qualche buon verso. Tutto il resto non ha valore.

« Non siete chiamato pel teatro, ne ignorate completamente l'arte, e tutti gli amminicoli che assicurano il buon successo, e vi manca la scintilla che rischiara la via. Smettete l'immane sforzo che deve costarvi un lavoro letterario; e pensate che la mediocrità si affatica invano per arrivare alla gloria, riservata al solo genio.

« Attribuite la mia severità al desiderio d'esservi utile. Una indulgente reticenza che vi lasciasse nel dubbio potrebbe nuocere al vostro avvenire. Basta talvolta una vana speranza per mantenerci sulla via dell'errore.

« Credendo di saper nuotare, l'uomo s'affoga; invece di fargli animo a proseguire con nuovi tentativi è meglio prenderlo addirittura pei capelli, e gettarlo sulla riva. Il vostro lavoro rivela un intelletto ricco di molti doni di natura. Ogni uomo intelligente e laborioso può raggiungere una meta che ricompensi le sue opere. Voi avete fallato indirizzo, siete entrato in una foresta piena di triboli. Uscite di là, cercate altrove la vostra strada, e vivete felice. »

La parola franca ed onesta di quell'uomo dabbene fece svanire intieramente il sogno de' miei trionfi e della fortuna chimerica che aveva illuso la mia gioventù, e risparmiò al pubblico dei teatri quelle noie alle quali è condannato sovente dalla caparbietà dei mediocri, che, prendendo per genio la loro boria, si ostinano a voli ripetuti, i quali finiscono in vergognose cadute.

Icari della scena, colle ali saldate a cera, e che, per uscire dal labirinto sociale, vanno a cadere nel mare drammatico; gente cui torna più caro un biasimo che la classifica fra le persone in marsina, di un elogio che la metta colle giacchette; vogliono essere piuttosto autori seccanti e fischiati che onesti pizzicagnoli: aristocrazia della democrazia!..

Ma non si deve disputare dei gusti.

Io invece ringraziai il capocomico con pari sincerità della sua, ed ho avuto mille occasioni di benedirlo. Senza la sua leale franchezza, chi sa di quanti piaceri mi sarei privato nella vita, di quanti ameni passeggi mattinali pei campi, di quante buone letture sul canapè!.. per abortire qualche sconcia tragedia, o qualche dramma turpe e sonnifero! – Benedetto il capocomico che mi ha aperto gli occhi, tenendomi abbassato il sipario.

Cadutomi il velo che mi offuscava la vista e riconosciuto l'acume che avea guidato l'Agata nel suo giudizio, le confessai francamente la colpevole diffidenza che mi spinse al nuovo tentativo; manifestandole in pari tempo l'effetto ottenuto e chiedendole scusa del mio stolto orgoglio, le giurai che la mia prima tragedia sarebbe stata anche l'ultima.

– Ho tracannato un fiasco solenne!.. – le dissi, – e ne sono morto. I fiaschetti ubbriacano, i fiasconi uccidono addirittura. Se almeno mi fossi contentato del tuo giudizio!.. ma la vanità si ribella alle critiche sincere e benevole; l'orgoglioso si ostina a credersi un destriero, fino a che un giudice competente gli dica chiaro: sei un ciuco!.. Ho avuto torto! e ti ringrazio della tua sincerità…

– Ho preferito il coraggio di dirti il vero, quantunque amaro, alla viltà d'una menzogna, – essa mi rispose; e dopo breve pausa, riprese: – ho sempre pensato che questa deve essere la norma costante di coloro che vogliono vivere insieme onestamente, formando una famiglia proba e leale fino allo scrupolo… Del resto, – essa aggiunse, – se ti manca l'attitudine a scrivere pel teatro, ti confesso alla mia volta che non ne sono troppo dolente, e mi pare, da quello che ne dicono i libri e i giornali, che dietro le scene non si tenga scuola di morale, e piuttosto si celino dei pericoli per la pace delle famiglie, che è miglior cosa evitare.

– Saresti forse gelosa?

– Sì… sono molta gelosa, te lo dichiaro. Chi non teme non ama. Non ambisco se non a ciò che ho diritto d'ottenere, ma non ammetto restrizioni ai miei diritti: ad un affetto leale e santo esigo condizioni pari. Le doppiezze e l'inganno nella vita domestica mi paiono delitti; il giorno in cui il cuore vacilla è meglio dirlo francamente, e dividersi subito: preferisco la più atroce lacerazione all'onta d'una finta carezza; la morte non mi fa paura, ma l'oltraggio si!.. – Tutto o niente!.. ecco il mio motto… se non sai custodire il pensiero… siamo ancora in tempo… puoi scegliere altrove altra moglie.

Le baciai la mano con effusione d'affetto, dicendole:

– Ti prometto sull'onore che divido perfettamente le tue idee su questo punto. Ho sempre detestato ogni inganno, ma nel matrimonio lo trovo obbrobrioso. Se il cuore esce di casa, uscite con lui… ma uccidere col ridicolo chi porta il vostro nome, è peggio che uccidere col coltello… No, mai… te lo giuro: sarò fedele per la vita… e caso mai… caso impossibile… ma lo noto per rassicurarti… caso mai non mi sentissi più degno di te… non mi vedrai più!.. saprò scomparire dalla terra… Non ti domando nemmeno se il tuo cuore sarà costante…

– Il mio cuore!.. è tuo per sempre…

– E pel tuo amore io rinunzio a tutto!..

– No, questa sarebbe un'ingiusta pretesa, – soggiunse, – e non l'accetto. Se hai un'attitudine qualunque che possa renderti utile alla società e alla famiglia, non posso che incoraggiarla, e desiderarti la migliore riuscita. La buona moglie divide col marito le pene e gli onori. Studia, lavora, e se ti senti inclinato alle lettere, scrivi dei libri.

– Veramente non ne sento proprio il bisogno. I clamorosi successi del teatro mi sorridevano con abbagliante prestigio. Mi elettrizzavo all'idea della folla plaudente in massa, e vedevo in sogno delizioso il bagliore delle faci, lo splendore delle gemme e dei fiori sulle donne eleganti, commosse alle mie parole. Dopo il trionfo, la fama porta il nome dell'autore da un capo all'altro del paese e racconta a tutti quella notte di entusiasmo che fece palpitare il cuore di mille persone, raccolte e frementi davanti la scena.

– Il libro non mi presenta tali attrattive. Dopo le lunghe fatiche che costa la sua composizione, esso si presenta modestamente nelle vetrine dei librai, confuso co' suoi confratelli di tutti i colori, taluno anche più vistoso di lui. La folla passa, e non se ne cura. Chi lo guarda il povero libro?.. qualche raro letterato con pochi soldi in saccoccia, che esamina le novità, e che vorrebbe anche comperarne taluna, se lo stomaco non fosse più esigente del cervello, e il trattore più indispensabile del libraio. Il giornalista non parla che degli amici, il critico volgare non esamina che i libri che gli vengono offerti in dono, l'artigiano vuol leggere a macca, e trova nelle biblioteche popolari, come nelle cucine economiche, da saziare la fame.

Il ricco ha altro per la testa! il lusso dei libri è l'ultimo della casa; esso vien dopo gli arredi, la cucina e la stalla, meno le eccezioni delle famiglie veramente distinte per solida e completa educazione, che sono tanto rare. Come farà dunque il povero libro a farsi largo tra la folla, a farsi conoscere, ad entrare nelle famiglie, e cadere sul tavolo degli sfaccendati, a penetrare nello studio del marito e nel salotto della dama?.. Ci vuol altro!.. è una lotteria; per essere fortunati, bisogna avere un buon numero; ma molti sono i chiamati e pochi gli eletti.

Intanto i nuovi volumi cadono come valanghe sul dorso del povero libro in aspettativa, e il libraio, costretto di far posto ai nuovi venuti, lo relega negli ultimi scaffali della bottega, all'ombra, sotto la polvere e le ragnatele, ove non uscirà dalla nicchia se non per mano d'un modesto bibliofilo, che si contenta di conservarlo intonso nelle sue collezioni; o per bocca d'un ardito sorcio che lo riduce in frantumi.

In conclusione, se la scena m'invitava alle sue lotte, la vita solitaria del libro mi spaventa. Ce ne sono anche troppi, e non so a che cosa potrà un giorno servire tanta carta imbrattata d'inchiostro. Bando dunque anche ai libri… cioè ai miei libri!..

– Hai torto di preferire la vampa alla cinigia. Essa è luminosa come una meteora, ma abbaglia più che non riscaldi, è una baldoria che presto passa, scottando gl'imprudenti, e non lasciando talvolta che l'impressione del fumo… e dopo la sua scomparsa l'aria sembra più fredda di prima…

 

Al contrario la cinigia, più modesta, non abbaglia, è vero, ma non nuoce, nè incomoda, e col blando calore, riscalda lungamente… Con ciò intendo dire che il trionfo d'un dramma può essere clamoroso, ma effimero. Talvolta un'arte sottile lo impone alla folla che cerca forti emozioni, ma il suo rapido effetto non dura. I lumi non sono ancora spenti, la folla plaudente non è ancora dispersa, e già nuovi pensieri la occupano, nuove correnti la travolgono, nuovi piaceri la chiamano. Del dramma non resta altro che una debole memoria, misurata alla stregua d'un'ora perduta.

Il libro invece non fa tanto chiasso, anzi fugge dai luoghi clamorosi, ma, modesto e tranquillo, va a trovare chi lo accoglie come un amico. Esso racconta, istruisce, diverte, riposa dalle gravi fatiche del giorno, fa dimenticare le lunghe sere del verno alla famiglia raccolta, consola il solitario e il derelitto, riempie gradevolmente le notti insonni, distrae l'ammalato da' suoi dolori, il convalescente dalla noia, porta fuori del carcere il prigioniero, fa sopportare al soldato il tedio della vita di guarnigione, al viaggiatore gl'incomodi del viaggio, alle donne la vita casalinga! Onorato dalle lagrime, dai sorrisi, dalla simpatia dei suoi amici, il libro li accompagna dovunque, e sovente riposa con loro sotto al capezzale. Le impressioni che produce, essendo più prolungate, sono maggiormente durevoli di quelle del dramma, e se ha saputo meritarsi la nostra stima e la nostra riconoscenza per le buone ore che ci ha fatte passare, vien legato in pelle con fregi d'oro come un gioiello, e conservato con cura. Finalmente, il libro rappresenta l'autore che sopravvive a sè stesso; è una parte della sua anima che rimane sulla terra dopo la morte, è il suo pensiero che vola attraverso i tempi, e manifesta ai venturi una voce del passato!

Daniele, essa concluse, dovresti fare un buon libro.

– Preferisco, – io risposi, – passare la vita in pace al tuo fianco, lavorare per la famiglia, contento di sopravvivere nei figli, e di rivivere nell'eternità indiviso dalla mia compagna.

– Così, – ella mi disse, – potrai un giorno servir di modello a qualche autore che voglia descrivere il tipo d'un marito perfetto.

– Non c'è pericolo!.. non si scrivono che le vite degli uomini illustri… e quelle dei bricconi.

– Se fosse possibile scrivere la vita d'ogni persona, io credo che molti terrebbero una diversa condotta, per non passare alla posterità come cattivi arnesi.

– Non lo credo. La pubblicità delle cause celebri non ha impedito un solo assassinio. In quanto al gusto dei lettori, è positivo che le gesta degli assassini vengono sempre preferite a quelle dei galantuomini, e lette col più vivo interesse. Nella vita sociale il galantuomo è stimato, ma in letteratura riesce noioso. Io sono convinto che la vita veramente felice d'un uomo possa raccontarsi in una mezza pagina, in istile epigrafico o telegrafico. Si dicono fortunate quelle nazioni che non hanno storia; io credo parimente fortunate quelle famiglie che non hanno romanzi… o avventure romanzesche.

– È ben vero!.. il turbinìo delle passioni mi spaventa… mi piace meglio l'idillio…

– È un genere falso, ma molte volte è preferibile al vero. Non ti ricordi la nostra lettura sulla rivoluzione francese? Le scene pastorali di Trianon erano false e mi piacevano tanto!.. Maria Antonietta, vestita da pastorella, distribuiva il latte delle sue cascine, pescava nello stagno, leggeva sotto l'ombre profumate del parco fra i figli e il marito… una regina che preferisce la vita rustica agli splendori del trono!.. è falso!.. ma a me piaceva quella falsità. La prigione, gli insulti d'una plebe selvaggia, i processi, il patibolo… furono veri… e mi fecero raccapriccio.

– Prendiamo la vita come viene, – io dissi, – senza forzarne gli avvenimenti. Non sarà nè un idillio, nè un romanzo, ma avrà giorni lieti e tristi come al solito… sarà una vita naturale… senza artifizii.

– E nemmeno questo mi piace, – rispose con vivacità. – Non faremo nè romanzi, nè idilli, ma dobbiamo fuggire il male con fermezza, volere il bene con energia e pertinacia, e prendere per guida d'ogni azione la virtù…

– E l'amore… – io soggiunsi.

– Siamo intesi; – e con dolce sorriso mi porse la mano, ch'io baciai con tale tenerezza ch'ella fu costretta di ritirarla.

E così facevamo sovente lunghe conversazioni, con divagazioni interminabili, e le ore volavano rapide, mentre stavamo predisponendo a modo nostro l'avvenire… l'avvenire sempre incerto, che dipende in parte da forze superiori alla nostra volontà, e ci apparecchia soventi volte sorprese imprevedute.

XX

Mio zio capitò nel mese di luglio, e gli feci quelle festose accoglienze che meritava. In casa Bruni vi furono banchetti d'onore, brindisi, e mille felici pronostici per gli sposi. Il buon canonico si fermò qualche giorno al villaggio, esaminando e lodando i nuovi restauri della casa, e tutte le mie disposizioni pel prossimo matrimonio. Doveva rimanere convinto della mia perfetta conversione, tuttavia non mancò di raccomandarmi di far giudizio, d'essere ragionevole, sodo e ponderato, apparecchiandomi ad una vita positiva ed onesta, senza chimere nè sogni.

Io non avevo bisogno di tali consigli; amavo l'Agata teneramente, d'un amore pieno di stima, avevo rinunziato spontaneamente ad ogni idea che non avesse rapporto diretto col futuro mio stato, m'ero quasi dimenticato il passato… o perchè dunque è venuto fuori a parlarmi di chimere e di sogni?.. Precauzioni balorde!.. parlandomi di ciò che avevo dimenticato, me l'ha fatto tornare in mente.

Mio zio canonico colle sue reticenze irritava il mio carattere, suscitava i miei nervi, mi faceva l'effetto d'una mosca molesta, o d'un indiscreto che con un fuscello stuzzica un uomo che dorme!.. non ci può essere di peggio!.. Quando un cavallo cammina tranquillamente, lasciatelo andare in pace per la sua strada; se lo toccate colla frusta, imbizzarrisce, e forse vi trascina in un fosso!..

Esso evitava di parlarmi della contessa Savina.

Ma di che cosa aveva paura!.. il mio prossimo matrimonio doveva rassicurarlo pienamente. Qualunque notizia m'avrebbe trovato indifferente; invece il suo silenzio provocava i miei sospetti e mi faceva fantasticare.

Finalmente lo zio essendo partito pei bagni di Bormio senza rompere il silenzio su tale soggetto, il mio umore se ne risentì, mi parve una ingiusta diffidenza, me ne crucciai fortemente, e per qualche giorno mi fu impossibile di nascondere l'uggia all'occhio chiaroveggente dell'Agata.

Dovetti giustificarmi con pretesti che vennero accolti freddamente, senza fiducia; ed ecco come un semplice vapore, sollevato dal fondo d'una palude, s'innalza a poco a poco e diventa una nuvola capace d'oscurare anche il sole, se non spira qualche brezza che la disperda.

Le dolci parole della mia fidanzata fecero l'ufficio della brezza: in breve tempo dispersero ogni vapore, e l'animo ritornò sereno e illuminato della luce benefica de' suoi sguardi.

Avendo dato termine anche in quell'anno alla scuola, e messo all'ordine ogni cosa, al ritorno dello zio venne fissato il giorno delle nozze.

Agata manifestò il desiderio di partire dal villaggio appena compiuta la cerimonia, per apparecchiarsi con qualche giorno di raccoglimento alla nuova vita. I parenti approvarono tale divisamento, mio zio ci propose un viaggio in Toscana, perchè non mi venisse l'idea di condurre la sposa a Milano. Io propendeva per Venezia. Le mie letture m'avevano affascinato, io vedevo quella città di marmo sulla laguna, coronata di cupole, cinta di navi, adorna di monumenti insigni. Pensavo alla bruna gondoletta che mi avrebbe condotto colla sposa attraverso quei canali misteriosi, davanti quelle basiliche e quei musei, ove quattordici secoli d'indipendenza e di gloria lasciarono traccie immortali. Sognavo la voluttà di quelle notti rischiarate dalla luna riflessa dalle onde, sentivo l'eco lontano delle serenate, immaginavo le gite sul mare, e il mio cuore palpitava d'ammirazione…

Ma la scelta spettava di pieno diritto alla sposa. Senza esitare un solo istante essa scelse la Svizzera.

La mattina del giorno solenne apersi per tempo la finestra dopo una notte insonne, e respirai con voluttà l'aria refrigerante dell'aurora. Era un bel giorno d'autunno, e mi pareva strano che tutti non celebrassero la mia festa. I pastori uscivano al pascolo col gregge, il belato delle pecore risuonava nella valle, unitamente al tintinnìo dei campanacci delle capre.

Le povere donne colla gerla sulle spalle salivano ai monti, l'operaio si metteva al lavoro, tutti seguivano le loro abitudini quotidiane.

Le abitudini non cambiavano che per me solo, io incominciavo una nuova vita.

Indossati gli abiti da sposo, corsi in casa Bruni. Agata era pronta; il pallore del suo volto, il languore de' suoi occhi, l'aspetto esitante raddoppiavano la sua bellezza. Il velo nuziale, assicurato ai capelli da qualche fiorellino d'arancio, le scendeva sulla candida veste, avvolgendo l'elegante persona. Il suo sguardo, inumidito da una lagrima, chiedeva pietà e tenerezza. Le baciai la mano tremante, col rispetto con cui da fanciullo baciavo la Madonna. Essa, trattomi nel vano d'una finestra, mi mostrò la medaglia di mia madre che teneva sul seno, dicendomi con tremula voce:

– Essa ci accompagna… quando saremo davanti l'altare, tua madre ci guarderà dal cielo… Daniele!.. preghiamola insieme che ci benedica.

I miei occhi si gonfiarono di lagrime.

Di quel giorno non ricordo con precisione che quel momento. So che in chiesa mi pareva di vedere mia madre fra gli angeli, e pregai l'Essere Supremo di purificare la mia anima, e di rendermi degno della sposa che il cielo mi aveva destinata. Poi non mi rammento più nulla.

Alla nostra partenza le lagrime e i singhiozzi di tutti ci accompagnarono; i parenti non potevano distaccarsi dalla figlia; mio zio, impaziente, coll'orologio alla mano, ci dava premura, dicendoci che la vettura ci aspettava da un pezzo, che l'ora si faceva tarda, che non era prudente trovarsi fra le montagne di notte, e parve felice quando, entrati in carrozza, chiuse lo sportello, accennando al cocchiere di partire, e salutandoci colla mano e colle benedizioni del cielo.

Dalla Valtellina, attraversando lo Spluga, entrammo nel Cantone dei Grigioni. Agata piangeva, io cercava di consolarla senza impedire le sue lagrime, sfogo necessario del dolore che provava lasciando i genitori e la casa paterna, ove aveva vissuto fino allora felice. Guardando attraverso lo sportello, io non vedeva che squallide rupi pendenti minacciose sul nostro capo, e precipizi spaventosi ai nostri piedi.

Incominciavo la vita matrimoniale fra gli orrori di nude e brulle giogaie, trascinato a gran fatica da cavalli ansanti che salivano l'ardua montagna.

Io mettevo le Alpi fra il celibato e il matrimonio, deciso di difendere con vigore il mio nuovo stato dalle invasioni dell'antico. Ahimè!.. io pensava, le Alpi non furono riparo sufficiente alla patria contro gli stranieri, potranno esse salvarmi dalle insidie delle passioni che assalgono l'anima umana?.. In ogni caso sono deciso a vincere o morire, piuttosto di darmi prigioniero al nemico. La leggiadria che spirava da tutta la persona della mia sposa convalidava i miei santi propositi.

Chi ha viaggiato nelle regioni pastorali della Svizzera con una donna adorata al fianco crederà facilmente alla sincerità delle mie risoluzioni e all'entusiasmo della mia luna di miele.

Le aride montagne e i torrenti hanno un termine anche nella Svizzera… come le lagrime sul ciglio delle spose. Allora si rivede il sole. Varcata l'ultima gola, spariscono le roccie ferrigne, le nevi perpetue e i ghiacci eterni, e si scoprono le vallate ridenti di verdura, irrigate da limpidi ruscelli, sparse di casolari, circondate da boschi, popolate d'armenti vaganti sui pingui pascoli.

Nei deliziosi pellegrinaggi pei monti e per le valli, la natura alpina lussureggiante eccitava la nostra ammirazione fino all'entusiasmo. Quando un sito incantevole ci attirava gli sguardi, volevamo raggiungerlo ad ogni costo, « quali colombe dal desio chiamate, » si saliva, e si arrivava trafelati, ma contenti, alla meta. Seduti sull'erba al rezzo d'un antico albero scapigliato, in qualche sito aprico, davanti allo stupendo panorama delle Alpi, si dimenticava la vita mortale, si respirava in un etere superiore alle umane miserie, lo spazio ci appariva infinito come il firmamento, il tempo non aveva più misura, e il sole soltanto, scendendo dietro le rupi, ci annunziava la prossima fine d'un giorno felice, e ci avvertiva di ritornare fra gli uomini, per non smarrirci di notte tempo fra i precipizi.

 

Un giorno fra gli altri, uscimmo a passeggiare lungo la riva sinistra del lago di Zurigo. Graziose villette suburbane fiancheggiano la strada adorne di aristolochie, di bignonie, di glicini, che salgono sulle colonnette delle loggie, corrono sui ballatoi, circondano di festoni i terrazzini, e tappezzano i muri fino alle cornici. I giardini spiegano gran lusso di fiori in eleganti canestri che spiccano sul verde smeraldo dei prati e sul fondo cupo degli alberi, sotto alle cui ombre si perdono tortuosi sentieri.

Ammirando quelle dimore campestri, e le acque cerulee del lago, e le punte acuminate dei campanili sul fondo violetto delle montagne, e quelle gradazioni infinite di colori e di tinte armoniose, ci siamo allontanati assai dalla città e siam giunti stanchi, sfiniti, in un piccolo paesello che si specchiava nell'acqua.

Seduti sotto un rustico pergolato, che sorgeva davanti un'osteria, si fece colazione all'aperto, con cibi semplici, ma con appetito complicato.

Non si vedeva degli abitanti del villaggio che la nostra ostessa e il suo gatto, che faceva il chilo sopra un tavolo. Tuttavia ci parve che il luogo fosse ancora troppo popolato, e finita la refezione ci siamo allontanati per cercare la solitudine completa. L'abbiamo trovata sotto un salice piangente, in un angolo romito, ove l'acqua lambiva i ciottoli ai nostri piedi. Il sole era splendido, l'aria olezzante, la natura incantevole; il silenzio non era interrotto che dal lieve mormorio delle onde che si frangevano sulla riva, e dallo stormir delle foglie agitate dalla brezza. Gli uccelli svolazzavano sui cespugli vicini senza timore, pascolavano sui greti saltellando d'intorno, mandando qualche allegro garrito a mezza voce, mentre il capinero solfeggiava sugli alberi e l'allodola intuonava un a solo melodioso innalzandosi sull'orizzonte.

Le acque erano limpide come l'aria, azzurre come il cielo, dolcemente agitate come le anime che contemplavano quello spettacolo. Una sublime armonia univa i nostri sensi alla natura esterna; i nostri pensieri, la nostra anima rispondevano unisoni al creato. Non potevamo rompere quella malìa, nè abbandonare quel posto. Io manifestava alla mia giovane sposa la pienezza delle emozioni: essa mi rispose:

– Tu mi esprimi benissimo tutto quello che sente il tuo cuore e che pensa la tua mente; se la tua anima potesse custodire come un tesoro le impressioni di questo giorno, la mia felicità sarebbe assicurata…

E ritornando verso Zurigo, osservò:

La vita sarebbe troppo bella se potesse scorrere sempre così, a contemplare le meraviglie della natura, ad amare teneramente, ad essere amati ardentemente, davanti a questo lago, a questi monti in un'eterna verdura, senza nuvole, senza uragani, e senza inverno. Tuttavia si può essere felici anche in condizioni assai più semplici e modeste. La felicità nasce in noi, si espande nel mondo esterno, e lo abbella co' suoi raggi; ma la natura più splendida non ha il potere di riscaldare il nostro entusiasmo se la felicità si è spenta nel suo focolare. Il sorriso della natura fa oltraggio alle lagrime degli infelici, esso non può trovare ricambio che nelle anime soddisfatte, le quali però, quantunque predisposte favorevolmente ad ammirare gli spettacoli più sublimi, sanno anche contentarsi delle cose più schiette. Un breve angolo di terra abbellito dalle nostre mani può bastare alla felicità, se l'affezione costante ci conserva la serenità dell'anima. A tale patto si soffrono con rassegnazione anche le disgrazie; senza di ciò tornano vane tutte le delizie del mondo.

A Friburgo passammo trepidando sul ponte di fil di ferro sospeso fra due montagne; io le dissi:

– Guarda… fa raccappriccio a pensare che la rottura d'una corda ci potrebbe precipitare nell'abisso!..

– Pensa, – mi rispose, – che anche la felicità non è attaccata che a un filo!..

Nel viaggio da Losanna a Ginevra, passando vicino a Coppet, siamo venuti naturalmente in discorso di Madama di Staël. Io manifestavo la mia ammirazione per questa donna insigne, che sotto al giogo napoleonico fece vergognare gli uomini della loro bassa servilità ed ebbe il coraggio virile di protestare contro la tirannide, spronando le nazioni alla libertà.

Agata mi ascoltava in silenzio, non osando contraddire ai miei sentimenti; ma, eccitata a dirmi francamente la sua opinione, rispose:

– Riconosco il genio di Madama di Staël, ma come donna mi è antipatica. Essa amava il rumore e gli splendori della gloria, io il silenzio e l'ombra del focolare domestico. Non ho stolti pregiudizi sulle letterate, non nego alle donne il diritto d'avere dell'ingegno e d'impiegarlo in onore della patria; i soli letterati gelosi possono dire il contrario: ove il genio risplende è un delitto il mettere lo spegnitoio. Non trovo strano che ogni rosa d'odore esali il suo profumo, ma come il fiore olezza al suo posto, così penso debba fare la donna.

Abbiamo esempi d'illustri poetesse, che furono ottime madri di famiglia e mogli affettuose. Madama di Staël mise per condizione del suo matrimonio l'obbligo del marito svedese di non costringere la moglie a seguirlo in Isvezia. Vedi che non è la letterata che mi sciupa la donna, è la moglie bizzarra che mi disgusta della letterata.

A Ginevra nuove discussioni intorno Rousseau. D'accordo entrambi nell'ammirare il profondo sentimento della natura del filosofo, non potevamo intenderci sulle altre qualità. L'Agata mi diceva:

– Un uomo che mette all'ospizio dei trovatelli i propri figli non ha cuore.

Io, deplorando questa macchia della sua vita, difendevo il cuore di lui, citando le sue passioni amorose.

– Troppe donne!.. – essa mi rispondeva, – troppe donne!.. Rousseau fu un giovane leggiero… e divenne un vecchio pazzo. È sempre così!.. ogni causa ha i suoi effetti: l'uomo non è altro che la continuazione del giovane, la vita è una catena, il primo anello trascina all'ultimo, le abitudini della vecchiaia sono la legittima conseguenza delle abitudini giovanili; il giovane è il fiore, il vecchio è il frutto; l'uomo rimane sempre quello che è: il serpe resta serpe, e così l'uccello; chi ha volato in gioventù continua a svolazzare fino alla fine!..

Dovetti tacere, e ripiegarmi sopra me stesso meditando sulla mia sorte.

Attraverso il Lago Maggiore, siamo passati a Como e arrestandoci qualche giorno in Tremezzina, andavamo vagando nei paesi più pittoreschi del Lario. La nostra vita era un sogno delizioso nel paradiso terrestre.

Finalmente il bisogno di riposo ci spingeva verso il nido, ed avendo annunziato il nostro ritorno, siamo giunti al villaggio una bella sera al tramonto del sole.

I parenti, che ci aspettavano sulla porta del Casino, si gettarono nelle nostre braccia, mentre Bitto, esaltato da parossismo di gioia, mugolava correndo su e giù per le scale, le stanze e la strada, saltando addosso ai passanti, ed entrando dai vicini con latrati convulsi per manifestare la sua immensa gioia del nostro felice ritorno. Poi si slanciava sopra di noi dimostrandoci in mille modi la sua irrefrenabile contentezza.

La Rosa mi raccontò che i primi giorni della nostra partenza egli rifiutava gli alimenti, vagava continuamente dal casino a casa Bruni, e sulla sera si gettava sulla soglia collo sguardo fisso dalla parte dalla quale eravamo partiti e ci aspettava tristamente mandando qualche gemito che faceva pietà.

Dopo il nostro arrivo non abbandonò più la casa all'ora del mezzogiorno; egli vedeva i suoi amici riuniti sotto un medesimo tetto, e viveva contento.

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