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I fantasmi: Dramma in quattro atti

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Giulia

(disperatamente) Raimondo, fammi la grazia di strapparti questo pensiero dal cervello!

Raimondo

(gridando) Io mi venderei l'anima per poter morire con la sicurezza assoluta di non essere tradito! (Si getta affranto sulla poltrona.)

Giulia

(sedendo anche lei, abbattuta, scoraggiata, esausta) Che strazio! Che strazio!

(Un lungo silenzio.)
Giuseppe

(sta per entrare dalla comune, ma s'arresta sotto l'arco della porta, chiamando, prudentemente, con poca voce:) Signora! (Pausa) (Poi un po' più forte) Signora!..

Giulia

(scuotendosi, si volta) Dite pure, Giuseppe.

Giuseppe

(entra, avanzandosi.)

Giulia

(gli si accosta.)

Giuseppe

(pianissimo) Quei due di stamattina sono tornati con i loro amici.

Giulia

(titubante e parlando ugualmente piano) Ora non so se…

Giuseppe

Dirò loro di pazientare un poco?

Giulia

Sì, Giuseppe. Pregateli di pazientare.

Giuseppe

(esce.)

Raimondo

(ha visto Giulia confabulare col servo, ma non ha colte le parole. Trasognato, le chiede:) Che voleva Giuseppe?

Giulia

… I tuoi discepoli, che, come ti ho detto, avevano espresso il desiderio di ossequiarti, sono di là e attendono una risposta.

Raimondo

(recisamente) Non li ricevo! (Breve pausa) La loro presenza in casa mia… mi avvilirebbe di più. Io ne avrei la sensazione d'una minaccia. (Con le lagrime agli occhi) Essi sono coloro che, come te, mi sopravviveranno lungamente…

Giulia

Ti adorano.

Raimondo

Che importa! Hanno nell'animo tutto l'ardore dell'età bella e rappresentano dinanzi a me il fascino e le seduzioni della giovinezza, che sarà la mia grande nemica! Appunto dalla giovinezza, Giulia, tu sarai tentata e messa alla prova: dalla giovinezza, che sa amare e sa farsi amare… (Piange.)

Giulia

Raimondo!.. (Lo abbraccia, lo bacia, lo carezza, piange con lui.) Raimondo!..

Raimondo

Sì, baciami, carezzami… Piangi con me… Mi fa tanto bene! (Poi asciugandosi gli occhi) Lo vedi che è meglio quando piangi senza nascondere le tue lagrime? Io divento più ragionevole. Ora, per esempio, convengo che non devo essere cattivo con quei bravi ragazzi. E, non solo li riceverò affettuosamente, ma anche li intratterrò su certe cose molto interessanti, che da qualche tempo avevo l'intenzione di comunicar loro. Vengano, dunque. Io li aspetto.

Giulia

(si avvia verso il fondo.)

Raimondo

(vedendola avviarsi, ha un moto infrenabile, di cui attenua l'espressione nell'accento mitissimo) No… Non andarci tu. Li farò chiamare da Giuseppe.

Giulia

(si ferma.)

Raimondo

(suona il campanello che è sulla tavola.)

Giuseppe

(ricompare sotto l'arco della porta) Sono qui, eccellenza. (E resta discretamente, sulla soglia.)

(Pausa.)

Raimondo

(a Giulia, dopo una reticenza timida, quasi temesse di essere compreso:) Non ti ritiri nella tua stanza?

Giulia

(con bontà) Sì, Raimondo. (Fa per andare.)

Raimondo

E… te ne vai così?

Giulia

(ritorna a lui, gli dà un bacio in fronte con tenerezza compassionevole, e quindi lentamente esce a sinistra.)

Raimondo

(la segue con lo sguardo di sottecchi; e, quando ella è sparita, rivolge la parola a Giuseppe, senza guardarlo, con la voce tremola, a cui cerca di dare una intonazione ferma e serena:) Giuseppe… dite a quei giovani… che possono entrare.

Giuseppe

(esce dal fondo.)

(Sipario.)

ATTO SECONDO

Lo stesso salotto
SCENA I
RAIMONDO e I SUOI DISCEPOLI

(Raimondo è seduto tuttora sulla poltrona accanto alla tavola. Attorno a lui, ma non troppo dappresso, in piedi, sono i suoi discepoli. Una dodicina. Il più discosto è Luciano, la cui figura, appartata, accasciata, immobile, con la faccia bianca, con gli occhi che di sbieco guardano Raimondo senza mai volgersi altrove, si distingue sùbito fra quelle degli altri. Essi hanno atteggiamenti vari, tra di angoscia e di attenzione intensa. Sui loro volti giovanili nessun lume di sorriso; e quel loro aspetto grave e triste contrasta con la gaiezza dei loro abiti primaverili, sui quali spiccano i ciuffetti d'erbe e di fiori pratensi messi all'occhiello o cacciati nelle saccocce delle giacche un po' in disordine.)

Raimondo

(ha già parlato con vivacità, ed ora tace per riprendere lena.)

(Tutti tacciono con lui, in attesa ch'egli continui.)

Raimondo

Concedetemi qualche altro momento di riposo.

Paolo

(mite e premuroso) Voi non dovreste parlare tanto, professore. Vi nuoce.

Raimondo

Vi assicuro di no.

Roberto

(ai compagni, con voce discreta) Ma quest'aria rarefatta gli fa mancare il respiro. Siamo in troppi qui dentro.

Almerico

Si potrebbe aprire la finestra.

Raimondo

E sì: aprite la finestra. Fate che mi prenda anch'io un poco di questa primavera. (Girando lo sguardo sui discepoli) Voi ve ne siete già fregiati.

(Qualcuno, senza far rumore, apre la finestra.)

(Il silenzio si protrae sulla immobilità e sul raccoglimento di tutti.)

Raimondo

(respira allargando il torace. – Quando si sente ben rinfrancato, continua.) Vi dicevo, dunque, che, per mia volontà, voi sarete i miei eredi…

Manlio

(osando d'interrompere) Ma perchè occuparvi oggi di queste cose? Siete ancora così energico! Siete ancora così vivo! Basta guardarvi in faccia per vedere che la vostra energia non sarà esaurita nè domani, nè fra un mese, nè fra un anno…

Raimondo

Credo assai prossima, caro Manlio, una crisi mortale. So bene ciò che dico. Questo deve essere il giorno del commiato. Oggi, nel perfetto dominio della mia ragione, posso disporre lucidamente del mio piccolo tesoro scientifico. Domani, forse, non potrei. Lì (indicando l'uscio a destra), nella mia stanza di lavoro, troverai sulla scrivania un voluminoso manoscritto. Portalo qui.

Manlio

Obbedisco. (Esce, quasi lentamente, a destra. Poi ritorna, e, in atto devoto, porge al professore il grosso manoscritto. – Quindi, si ritrae.)

Raimondo

(mostrando ai discepoli, col braccio un po' levato, lo scartafaccio) Ecco! (Lo pone sulla tavola. Si passa la mano sulla fronte.) Ascoltatemi, ragazzi miei. Un medico che ha modo di studiare sulla propria persona una delle malattie più gravi che affliggono l'umanità, è un medico privilegiato. Questo privilegio è toccato a me, e credo di averne attinto un grande profitto. Lo spirito di conservazione e il bisogno di difesa, che sono insiti nella nostra natura, in me hanno raggiunto proporzioni formidabili. Nessun uomo ha sentito quanto ho sentito io la necessità di prolungare la sua vita, e nessun uomo, per ritardarne la fine, ha mai combattuto con tanto accanimento! Io debbo a questo accanimento le preziose ricerche che ho fatte e la scoperta dei rimedii sperimentati. Per molto tempo, io sono riuscito a vincere il male che tornava all'assalto con un impeto singolare. Vi dico in coscienza che, se non avessi dovuto lottare contro quella violenza a dirittura eccezionale, la vittoria del medico sarebbe stata completa! (Breve pausa) E, chiuso in questo manoscritto, io conto di affidare a voi il frutto dei miei bizzarri studi. (Riflettendo tristamente) Così, sulle mie rovine sarà fiorita un'opera di salute per gli altri. (Indi, con balda animazione) Volete voi assumere il còmpito di utilizzare a pro dei sofferenti la mia eredità con la vostra vigoria giovanile, col vostro ingegno e col vostro fervore? (Dopo avere aspettata invano la risposta) Nessuno risponde?!.. Questo silenzio mi addolora.

Manlio

Questo silenzio, professore, non è che una protesta del nostro affetto. Io sono uno sciamannato a cui non dovrebbe essere permesso di chiamarsi vostro discepolo: tuttavia, ciò che sento io non è certamente diverso da quello che sentono i miei compagni, ed io ve lo esprimo alla meglio, per me e per loro. Il nostro affetto non crede, non può credere che voi dobbiate davvero abbandonarci per sempre. Voi ci parlate già con la serenità con cui ci parlano da un mondo lontano i morti che ci sono più cari; e invece noi vi siamo vicini e vediamo e ascoltiamo un uomo del quale non sapremmo negare la perfetta vitalità e da cui non ci sembra verosimile di doverci separare tra poco. Ma, certo, ogni parola detta da voi, appena uscitavi dalla bocca, diventa il pensiero migliore del nostro cervello, quasi che in noi realmente si trasfondesse qualche cosa di vostro. Questa, professore, è la risposta che possiamo darvi.

 

(Tutti sono commossi. Alcuni stentano a trattenere le lagrime. Manlio porta il fazzoletto agli occhi.)

Luciano

(in una commozione più intensa e complicata, cerca sempre più di nascondersi.)

Raimondo

No, ragazzi miei, non fate così. Se sapeste gli sforzi che mi costa il dedicarmi, in quest'ora, per l'ultima volta, a ciò che fu la mia missione, se sapeste il prodigio che compio per non udire gli urli della bufera che imperversa sugli avanzi della mia esistenza, imparereste a non piangere più mai. E, in quest'ora, io non chiedo lagrime ai miei discepoli. Chiedo bensì una promessa solenne d'uomini onesti, stretti al loro dovere ed a me.

Paolo

Sì, professore, promettiamo.

Ernesto

Promettiamo che sapremo essere degni della vostra fiducia.

Roberto

Nel nome vostro, saremo fieri di arrecare qualche soccorso all'umanità.

Raimondo

E… non mi rifiuterete, spero, un po' di gratitudine.

Roberto

Una gratitudine profonda, una gratitudine eterna…

Raimondo

(animandosi) Continuerete a volermi bene, continuerete a volermene come se io stessi lì, accanto a voi, vivo, palpitante, sensibile al vostro attaccamento… Continuerete a rispettarmi anche, a rispettarmi senza restrizioni…

Roberto

A venerarvi, professore!

Raimondo

Tutti, non è vero?.. Tutti?.. (Guardandoli, conferisce alla parola insistente un significato recondito) Tutti?..

I discepoli

(rispondono molto sommessamente, ma in un tono di sincerità rassicurante:) Tutti!

(Solo Luciano ha taciuto. Egli è paralizzato, atterrito, incapace d'un gesto, incapace d'un moto qualunque.)

Raimondo

(si alza con lentezza, stranamente. – Si accosta ai discepoli, più dappresso ad alcuni, quasi seguendo un'ispirazione. – Li fissa, di nuovo, uno per uno, nel silenzio.)

Luciano

(che è l'ultimo, non può sfuggirgli, ed è costretto a farsi guardare e a guardarlo con gli occhi aperti sul viso di lui, immobili.)

Raimondo

(pervaso da una inquietudine di cui non si rende ragione, mormora quasi a se stesso:) Eppure… chi sa!

Roberto

(dolorosamente e umilmente sorpreso) Voi dubitate di noi, professore?!

Raimondo

Perchè dovrei dubitarne? In voi non vedo che i segni più schietti della bontà.

Roberto

E allora!?..

Raimondo

Pensavo soltanto che la bontà umana è sempre una cosa troppo piccola relativamente a ciò che ogni uomo pretende da un altro uomo. (Torna a sedere) Ma di queste malinconie voi non dovete preoccuparvi. Io fido nella vostra promessa; e voi (cercando ancora Luciano con lo sguardo furtivo)… riceverete l'opera mia… il giorno in cui lo crederò opportuno. Assodato questo fatto, che ci terrà uniti anche quando io non sarò più, possiamo fraternamente salutarci.

Manlio

Ma noi, professore, vogliamo assistervi, vogliamo curarvi. Non ci rinunziamo! Se vi dà noia che la casa sia ingombra, stabiliremo un turno, distribuiremo le ore…

Ernesto

Uno alla volta, se pure fossimo inutili, non vi daremo nessun fastidio.

Raimondo

Io apprezzo molto la vostra offerta, ma permettetemi di non accettarla. La mia Giulia è così attenta, così vigile, che sarebbe superflua ogni altra assistenza.

Ernesto

Non sarà superfluo per lei un po' d'aiuto.

Roberto

La presenza di qualche persona non del tutto estranea a voi servirà almeno a darle animo. Manlio e Luciano, che ci hanno preceduti, ci dicevano d'averla vista molto sofferente, molto abbattuta. Parla tu, Luciano. E visto che tu sei di casa, nessuno meglio di te può indurlo a concederci un favore, di cui poi non crediamo d'essere immeritevoli.

Luciano

(costretto a parlare, non intende egli stesso il valore delle sue parole e quasi balbetta:) A me pare… che se il professore non vuole…

Raimondo

Finalmente, odo la tua voce, Luciano! Hai taciuto sempre, sinora. Ti sei perfino nascosto.

Manlio

(affrettandosi a intervenire) Era il più scosso di tutti, professore. In lui, che ha lavorato un anno presso di voi partecipando alle vostre ansie, in lui, che era trattato da voi come un figlio, la notizia della vostra malattia non poteva non produrre un urto violento, una desolazione senza confronti…

Raimondo

Ebbene, vieni qua, Luciano. Vieni qua. Io desidero di abbracciarti.

Luciano

(si avvicina a lui con passo incerto, cercando di tenere levata la fronte, e gli si ferma davanti.)

Raimondo

(si alza, lo stringe al petto. Poi, staccandosi, dice con rammarico dolce:) Non ti ho sentito. E ti confesso… che ho avuta una gran pena quando hai dato torto ai tuoi compagni che mi offrivano la loro assistenza.

Luciano

Io so… che la vostra volontà non si piega.

Manlio

Egli ha creduto necessario di secondarvi sùbito. Non per questo voi supporrete…

Raimondo

(interrompendolo) Ma non ti affaticare a difenderlo. Io lo conosco meglio di te. E precisamente perchè mi è nota la sua affezione filiale, mi sono meravigliato ch'egli questa volta non abbia avuto in cuore il bisogno di non secondarmi.

Luciano

Da un'ora in qua, professore… io agisco come un irresponsabile…

Raimondo

A giudicare dal tuo contegno, ho quasi avuta l'impressione che tu avessi qualche rancore con me.

Luciano

Io, qualche rancore con voi?!.. Sarebbe una mostruosità! Voi mi avete schiuse le porte della scienza… voi mi avete insegnato a fare del bene a me stesso ed agli altri… mi avete insegnato le onestà più alte, più pure…

Raimondo

E ti ho insegnato, soprattutto, ad essere leale.

Luciano

(ha un sussulto, e resta interdetto, con un groppo alla gola che gl'impedisce di continuare.)

Raimondo

Lo vedi che non sei stato leale con me?

(Una breve pausa.)
Manlio

(inquieto, guarda, teme, si rode.)

Raimondo

(a Luciano) Oltre il dolore che provi, e che non metto in dubbio, ci deve essere qualche cosa di anormale che ti agita.

Luciano

No, professore.

Raimondo

Non negare, perchè quand'anche tu possedessi la sapienza della finzione più raffinata, tenteresti inutilmente di opporla alla mia chiaroveggenza. È una chiaroveggenza, credimi, di cui talvolta io stesso ho terrore come d'una grande luce che da un momento all'altro possa scoprire ai miei occhi l'abisso che dovrà ingoiarmi.

Luciano

(febbricitante, ansante) Se pure qualche cosa di anormale mi agitasse, ciò non mi giustificherebbe d'esser venuto meno alla mia affezione filiale.

Raimondo

Proprio così.

Luciano

Ma io saprò mostrarvi di meritare ancora la vostra stima, il vostro consiglio, la vostra protezione. Io vi circonderò di tali cure che le vostre sofferenze non potranno non esserne alleviate. Io soffierò tutta la mia vita nella vostra per convincervi che vi siete ingannato!

Raimondo

(freddo, meditativo, quasi diffidente) Senti, Luciano. Le tue buone parole mi bastano, e non avertelo a male se non accetterò da te l'assistenza che non ho accettata dai tuoi compagni. Ma affinchè tu ti rassereni, io ti do immediatamente, dinanzi a loro, la prova maggiore della mia stima e della mia tenerezza inalterata. Faccio quello che avrei già fatto se tu col tuo contegno non me lo avessi impedito. (Con solennità) Tu sei il mio erede più immediato. Questo manoscritto ti spetta. Tu controllerai le mie ricerche, perfezionerai i miei studii, e farai da guida a questi giovani, sostituendoti degnamente alla mia persona. (Stendendo il braccio e porgendogli il manoscritto) Io ti auguro di averne gloria. Prendi.

Luciano

(reggendosi a stento, cadaverico in volto, prende il manoscritto con la mano tremante, e non riesce che a mal pronunziare:) Grazie.

Raimondo

(lo ha fissato acutamente e, a quel pallore, a quel tremito, a quel laconismo, si accende d'ira; e, come Luciano prende il manoscritto, glie lo strappa con violenza brutale dalle fiacche dita, gridando:) Ah no, vivaddio, non è così che avresti dovuto accogliere il dono con cui ti trasmettevo veramente una parte di me stesso! (Getta sulla tavola il manoscritto. – Indi, abbattuto, preso da una profonda amarezza, conclude:) Sta bene. Confesso che non ti capisco. (Ha un brivido.) E basta ora… (Col cervello annebbiato) Non ti voglio più capire! (Gli volge le spalle, e, spettrale, col pensiero errante come in una oscurità sinistra, parla agli altri) Sono stanco, ragazzi miei!.. Ma, prima di separarci, debbo rivolgervi un'ultima preghiera… Non tornate più nella mia casa. (Quasi piangendo) non ci tornate, non ci tornate… nemmeno per coprire di fiori il mio letto di morte.

(Tutti, eccetto Luciano, hanno una istantanea espressione di meraviglia dolorosa mista di timido affettuoso risentimento.)

Raimondo

(continua, implorante, in un tono insolito di umiltà, cercando le parole, pauroso egli stesso di ascoltarle:) E… se davvero volete rispettarmi, come avete detto… astenetevi dal ricercare le cause di questo mio strano desiderio… che, sono, del resto, anche per me, molto confuse… e perdonatemi! (Tenendosi la testa fra le mani, esce a destra precipitosamente.)

SCENA II
I DISCEPOLI. Poi GIULIA, indi RAIMONDO

(Alcuni discepoli restano attoniti, sbigottiti, costernati. Altri, agitandosi un po', vanno verso Luciano, interrogandolo e redarguendolo con voce severa e sommessa.)

Roberto

Ma perchè, ma perchè, Luciano?!..

Almerico

È inconcepibile!

Ernesto

Io non mi ci raccapezzo! Io non ti riconosco!

Roberto

Da quale fisima, da quale ossessione ti sei lasciato pigliare?

Manlio

(intervenendo energicamente) Signori miei, non è questo il momento e non è questo il luogo per scalmanarsi intorno a ciò che riguarda Luciano!

Roberto

Ma noi abbiamo il dovere…

Manlio

(spezzandogli la parola) Il nostro primo dovere è di non rimanere qui un minuto di più!

Giulia

(entra dalla sinistra.)

(Tutti tacciono rispettosamente, chinando un po' il capo in un accenno di ossequio.)

Luciano

(cerca di non guardarla e di non mostrarsi.)

Giulia

(ansiosa) Dov'è Raimondo?

Manlio

Ci ha congedati, signora, e si è ritirato nel suo studio.

Giulia

Si è sentito male?

Manlio

No…

Giulia

Mi sono impensierita perchè mi è parso di udire ch'egli parlasse molto concitatamente…

Manlio

Difatti, sì… ma è stata una concitazione passeggera.

Giulia

(inquieta, si affretta a raggiungere Raimondo nello studio.)

(Com'ella sparisce, si ode la voce di lui, scattante ed acre.)

La voce di Raimondo

Perchè sei uscita dalla tua stanza? (Breve pausa) No! Resta qua, ora!

Paolo

(cautamente, ai compagni) Andiamo, andiamo! Ha ragione Manlio: non un minuto di più! (Si avvia.)

(Gli altri lo seguono. Prendono i loro cappelli sparsi in questa camera e nel salottino contiguo, e, silenziosi, oppressi, annichiliti, qualcuno scrollando il capo, qualche altro con gli occhi velati di lagrime, chi un po' in fretta, chi lentamente, escono.)

 
Luciano

(intanto, trattiene Manlio per un braccio e gli parla all'orecchio, cupamente, urgentemente) Io temo che egli sospetti!

Manlio

La verità non può sospettarla.

Luciano

Fra me e lui c'è un magnetismo irresistibile che scambievolmente ci rivela.

Manlio

Ma che magnetismo! Il tuo stato morboso doveva per forza impressionarlo.

Luciano

Te l'avevo detto che non lo avrei potuto affrontare!

Manlio

Visto che il caso non si replicherà, non pensiamoci più.

Luciano

E se poi vorrà chiedermi altre spiegazioni?

Manlio

Ma tu mi hai promesso di partire…

Luciano

Sì, sì, partire! fuggire! È necessario!

(Si avviano, seguendo i loro compagni.)
Raimondo

(entrando di botto e vedendoli sul punto di varcare la soglia, chiama:) Luciano!

(Luciano e Manlio con un soprassalto si voltano.)

Raimondo

Sono contento, Luciano, di trovarti ancora qui. Venivo appunto con questa speranza.

Manlio

(si sofferma con l'animo sospeso.)

Raimondo

(a Manlio:) Ti preme molto che egli non resti da solo a solo con me?

Manlio

Credevo che…

Raimondo

Fammi il favore, Manlio: va via.

Manlio

(trepidante, guardando Luciano con la coda dell'occhio, esce dal fondo,)

SCENA III
RAIMONDO e LUCIANO
Raimondo

(senza por tempo in mezzo, mettendosi dinanzi all'uscio di fondo quasi che Luciano gli potesse sfuggire, gli parla non con rudezza, ma con commozione implorante.) Malauguratamente, Luciano, fra noi due s'è cacciato uno spettro che oramai ci divide e che ci tiene nondimeno l'uno di fronte all'altro. Io non ti lascerò andare, e so che tu non vorrai andartene, sino a quando non mi avrai detto quello che hai sentito nel prendere dalle mie mani il premio che io ti destinavo.

Luciano

(gli è di faccia e indietreggierà a misura che sarà investito dalle interrogazioni.) Voi mi costringevate a considerare come inevitabile una sciagura spaventevole, di cui io non voglio nemmeno ammettere la possibilità… Ciò mi faceva un gran male… E poi io sapevo… io sapevo che non avrei potuto adempiere all'alto ufficio che mi assegnavate.

Raimondo

Chi te lo avrebbe impedito?

Luciano

Nessuno. Ma io dovrò allontanarmi da questa città… Sicchè, mi sarebbe mancata la possibilità di fare da guida ai miei compagni… nè, d'altronde, avrei voluto sfruttare da solo la vostra opera benefica…

Raimondo

Tu hai da partire?!

Luciano

Sì.

Raimondo

Per non ritornare?!

Luciano

Per non ritornare.

Raimondo

E troncherai la tua carriera, cominciata qui così bene? Lascerai i tuoi amici? Abbandonerai tua madre, di cui hai sempre esaltata l'adorazione?

Luciano

Se lo crederò necessario…

Raimondo

Questa necessità è collegata, evidentemente, a quella qualche cosa di anormale che tanto ti agitava…

Luciano

No! No!.. Si tratta di tutt'altro.

Raimondo

Cioè?

Luciano

(non trova sùbito una menzogna da rispondere e si confonde.)

Raimondo

Sta tranquillo. Non insisto. (Pausa) Potrai dirmi almeno fra quanto tempo partirai.

Luciano

(con l'impulso istintivo di rassicurarlo) Al più presto possibile.

Raimondo

È urgente?

Luciano

Sì, è urgente.

Raimondo

Eppure, poco fa ti proponevi di assistermi, ti proponevi di alleviare le mie sofferenze…

Luciano

Ma voi ci avete perfino pregati di non venire mai più in casa vostra…

Raimondo

E per questa preghiera che ho rivolta a tutti, la tua partenza è diventata urgente?

Luciano

«Urgente» per modo di dire… Io ho deciso di affrettarla, ecco.

Raimondo

Perchè?

Luciano

Certo, nulla come il mio allontanamento può garantirvi la mia scrupolosa obbedienza.

Raimondo

Cosicchè, a te sembra che io debba esserti grato del tuo allontanamento?

Luciano

Non ho detto questo.

Raimondo

In fondo, questo hai detto.

Luciano

Mi sarò espresso male.

Raimondo

Ma, insomma, che ci hai visto nella mia preghiera, nella mia raccomandazione? Che ci hai visto tu che non sia stato visto dagli altri?

Luciano

(attanagliato, tace, con la fronte china.)

Raimondo

Rispondi. A nessuno dei tuoi compagni sarebbe saltato in mente di affrettare una partenza per garantirmi di non venire più nella mia casa. Come va che è saltato in mente proprio a te? (Pausa) Continui a tacere?!..

Luciano

(incapace di reggere più a lungo all'incubo che lo soffoca) Se io parlassi, se io vi dicessi tutto, voi forse mi giudichereste con una severità… che non merito.

Raimondo

(colpito dal senso di queste parole, comincia a dare una più cosciente direzione al suo pensiero.) Non si prevede un giudizio severo se non si sa d'avere una colpa.

Luciano

Ma vi sono delle colpe che restano chiuse nell'anima e di cui la sola vittima è la persona stessa del colpevole.

Raimondo

Tuttavia, se la tua colpa non toccasse me, non è al mio cospetto che te la sentiresti pesare di più sulla coscienza, e nemmeno riconosceresti in me il diritto di giudicarti.

Luciano

(prorompendo) Tutte le mie angosce e tutti i miei istinti, intolleranti d'ogni transazione dello spirito, mi spingono a chiedere un giudizio vostro, perchè, anche se troppo severo, io ne avrei un sollievo, ne avrei un po' di quiete, me ne sentirei come purificato!

Raimondo

(con impeto furibondo) E dunque che cosa aspetti per confessarti a me?!

Luciano

Le mie labbra vi si ribellano!

(Un lungo silenzio.)
Raimondo

(cercando di coordinare idee, fatti e parole, sempre obbedendo alla sua chiaroveggenza e pur diffidandone un poco, riflette. Indi, gli si fa dappresso e gli dice quasi all'orecchio in un misterioso tono confidenziale) Vuoi… vuoi che io ti aiuti a vincere la tua riluttanza?

Luciano

(esausto, sedendo) Io non ho più nessuna volontà. Sono un uomo inerte, e sono vostro! Potete fare di me quello che voi volete.

Raimondo

(accosta una sedia a quella di Luciano, sicchè le due sedie sono a contatto, e, sedutosi proprio accanto a lui ma un po' più indietro, continua a parlargli, quasi sulla spalla, in tono di mistero e d'intimità, suggestivamente.) Nel provarmi ad aiutarti un poco, ho, anzitutto… non so perchè… l'ispirazione di richiamare alla tua memoria un episodio dell'anno passato. Era… la festa di mia moglie. Abitavamo in città; ed io m'ero recato apposta, la mattina, qui, in campagna, per cogliere con le mie mani le rose più belle del mio giardino. Non ne avevo trovate che cinque degne di lei, e glie le avevo offerte. La sera, tu e gli altri miei discepoli veniste a vedermi per fare gli auguri a lei ed a me. Mia moglie si era adornata di quelle cinque rose. Se l'era messe alla cintola, e per tutta la serata le tenne. Verso il tardi, però, qualche minuto avanti che voialtri vi congedaste, io notai ch'ella aveva una rosa di meno. Non sospettai neppure per un istante che l'avesse donata. Sapevo bene di non dover concepire un sospetto così ingiurioso. Dissi fra me: «sarà caduta». E quando tutti eravate usciti, io mi detti a farne ricerca. Fu una ricerca paziente, minuziosa, come se si fosse trattato d'una perla rarissima. Impossibile trovarla! Quella rosa era sparita. E allora?.. Donata, no, indubbiamente no. Ne ero sicuro come della vista dei miei occhi. Risultava quindi chiaro che uno di voi aveva raccolta la rosa caduta. (Breve pausa) Ed ora fammi tu il favore di aiutare me nella ricostruzione di questo episodio. La vedesti tu, nella sera stessa, quella rosa, sul petto di qualcuno dei tuoi compagni?