Un Caso Irrisolto

Text
Aus der Reihe: Un Mistero di Riley Paige #8
0
Kritiken
Leseprobe
Als gelesen kennzeichnen
Wie Sie das Buch nach dem Kauf lesen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

CAPITOLO CINQUE

“Pronto, Riley” disse una voce femminile, quando alzò la cornetta.

Era una voce dolce, vibrante e debole per l’età, ma amichevole.

“Ciao, Paula” disse. “Come stai?”

La donna dall’altro capo del telefono sospirò.

“Ecco, sai, oggi è sempre dura.”

Riley comprese. La figlia di Paula, Tilda, era stata uccisa quel giorno venticinque anni prima.

“Spero che non ti dispiaccia la mia telefonata” Paula disse.

“Certo che no, Paula” Riley la rassicurò.

Dopotutto, Riley aveva iniziato il loro rapporto piuttosto singolare anni prima. Riley non aveva mai davvero lavorato al caso che riguardava l’omicidio di Tilda. Era entrata in contatto con la madre della vittima tempo dopo, quando il caso era rimasto irrisolto.

Questa telefonata tra di loro era ormai un rito da anni.

Riley trovava ancora strano il fatto di avere quelle conversazioni con qualcuno che non aveva mai incontrato. Non sapeva nemmeno che aspetto avesse Paula. Conosceva però l'età: sessantotto anni. Aveva avuto quarantatré anni, solo tre anni più di Riley, quando sua figlia era stata assassinata. Riley la immaginava come una nonna amorevole e dai capelli grigi.

“Come sta Justin?” Riley chiese.

Riley aveva parlato con il marito di Paula un paio di volte, ma non l’aveva mai conosciuto davvero.

Paula sospirò di nuovo.

“E’ venuto a mancare la scorsa estate.”

“Mi dispiace” Riley disse. “Com’è successo?”

“E’ successo all’improvviso, completamente inaspettato. Ha avuto un aneurisma, o forse un attacco di cuore. Si sono offerti di fare un’autopsia per determinare la causa del decesso. Mi sono detta: “Perché disturbarsi?” Non l’avrebbe di certo riportato in vita.”

Riley si sentì malissimo per la donna. Sapeva che Tilda era stata la sua unica figlia. La perdita del marito non doveva essere una cosa facile.

“Come sta andando?” Riley chiese.

“Un giorno alla volta” fu la risposta di Paula. “Mi sento sola, adesso, qui.”

C’era una nota di tristezza quasi insopportabile nella sua voce, come se fosse pronta ad unirsi al marito nella morte.

Riley trovò tale solitudine difficile da immaginare. Provò un filo di gratitudine all'idea di doversi occupare di qualcuno nella sua vita: April, Gabriela e adesso anche Jilly. Riley era stata assalita dal timore di perderle tutte. April era stata messa seriamente in pericolo più di una volta.

E, naturalmente, c’erano dei meravigliosi vecchi amici, come Bill. Anche lui aveva affrontato la sua bella dose di rischi, più del dovuto.

Non li darò mai per scontati, pensò.

“E che mi dici di te, cara?” Paula chiese.

Forse era per questo che Riley si sentiva di parlare con Paula di argomenti, riguardo a cui non riusciva a confidarsi con molte persone.

“A dire il vero sto per adottare una tredicenne. E’ stata un’avventura. Oh, e Ryan è tornato per un po’. Poi, se n’è andato di nuovo. Un’altra donna giovane ha attirato la sua attenzione.”

“Che cosa tremenda per te!” Paula esclamò. “Sono stata fortunata con Justin. Non si è mai allontanato. E suppongo che anche lui alla fine sia stato fortunato. Se n’è andato rapidamente, senza alcun dolore persistente o sofferenze. Spero che quando giungerà la mia ora …”

La voce di Paula si fermò.

Riley sussultò.

Paula aveva perso una figlia a causa di un killer che non era mai stato consegnato alla giustizia.

Anche Riley aveva subito la perdita di qualcuno, a causa di un killer che non era mai stato trovato.

Parlò lentamente.

“Paula … ho ancora dei flashback al riguardo. E anche incubi.”

Paula rispose in tono gentile e premuroso.

“Non credo che sia una cosa sorprendente. Eri piccola. Ed eri presente quando è successo. Mi è stato risparmiato quello che hai subito tu.”

Quel termine, risparmiato, colpì Riley.

Ma non le sembrava affatto che Paula fosse stata risparmiata in alcun modo.

Vero, Paula non era stata costretta a guardare sua figlia morire.

Ma senz’altro, perdere la propria unica figlia era peggio di ciò che Riley aveva sofferto.

La capacità di Paula di provare empatia altruista colpiva sempre Riley.

Paula continuò a parlare con una voce rassicurante.

“Il dolore continua a restare, immagino. Forse non dovremmo volere che fosse così. Che cosa saremmo se io dimenticassi Justin o tu dimenticassi tua madre? Non vorrei mai diventare così dura. Fino a quando proverò dolore e lutto, mi sentirò umana… e viva. Fa parte di quello che siamo entrambe, Riley.”

Riley scacciò una lacrima.

Come sempre, Paula le stava dicendo esattamente ciò che aveva bisogno di sentire.

Ma, come sempre, non era facile.

Paula continuò: “E pensa a ciò che hai fatto nella tua vita: proteggere gli altri, fare giustizia. La tua perdita ti ha aiutato a diventare quello che sei, una campionessa, una brava e rassicurante persona.”

Dalla gola di Riley venne fuori un singolo singhiozzo.

“Oh, Paula. Vorrei che le cose non fossero andate così, per nessuna di noi due. Vorrei aver potuto ...”

Paula interruppe.

“Riley, ne parliamo ogni anno. Il killer di mia figlia non sarà mai consegnato alla giustizia. Non è colpa di nessuno, e non biasimo qualcuno. Tanto meno te. Tanto per cominciare, non era un tuo caso. Non è una tua responsabilità. Gli altri hanno fatto del loro meglio. La cosa migliore che tu possa fare è semplicemente parlare con me. E la cosa migliora di gran lunga la mia vita.”

“Mi dispiace per Justin” Riley disse.

“Grazie. Significa tanto per me.”

Riley e Paula si accordarono per risentirsi l’anno dopo, poi misero fine alla telefonata.

Riley rimase seduta, tranquillamente, da sola nel suo studio.

Parlare con Paula era sempre emotivamente difficile, ma per la maggior parte del tempo faceva sentire meglio Riley.

Quel giorno, Riley si sentiva anche peggio.

Ma perché?

Troppe cose stanno andando male, pensò Riley.

In quel momento, tutti i problemi nella sua vita sembravano essere collegati tra loro.

E, in qualche modo, non riusciva a fare a meno di incolparsi per tutte le perdite, tutto il dolore che stava vivendo.

Almeno, non aveva più voglia di piangere. Piangere certamente non avrebbe risolto nulla. Inoltre, aveva del lavoro di routine da svolgere quel giorno. Si sedette alla scrivania, e provò a lavorare.

*

Più tardi, quel pomeriggio, Riley guidò da Quantico alla Brody Middle School. Jilly stava ancora aspettando sul marciapiede, quando Riley accostò.

Jilly entrò in auto, accanto a lei.

“Ti sto aspettando da un quarto d’ora!” la rimproverò. “Presto! Faremo tardi alla partita!”

Riley rise sommessamente.

“Non faremo tardi” la donna rispose. “Faremo giusto in tempo.”

Riley guidò fino al liceo di April e, intanto, cominciò a preoccuparsi di nuovo.

Ryan era andato in casa durante il giorno a raccogliere le sue cose?

E quando e come avrebbe dato la notizia alle ragazze, rivelando loro che se n’era andato?

“Che cos’hai?” Jilly domandò.

Riley non si era resa conto che il suo viso esprimesse il suo vero stato d’animo.

“Niente” rispose.

“Non è vero” Jilly disse. “Lo so.”

Riley soffocò un sospiro. Come April e lei stessa, Jilly era dotata di spirito d’osservazione.

Doveva dirglielo ora? Riley si chiese.

No, non era quello il momento giusto. Stavano andando ad assistere alla partita di calcio di April. Lei non voleva rovinare il pomeriggio con cattive notizie.

“Non è niente, dico davvero” disse.

Riley parcheggiò davanti alla scuola di April, pochi minuti prima dell’inizio della partita. Lei e Jilly si diressero agli spalti, che erano già piuttosto affollati. Riley comprese che Jilly aveva ragione, forse avrebbero dovuto arrivare prima.

“Dove ci sediamo?” Riley domandò.

“Laggiù!” Jilly disse, indicando dei posti in alto, dove c’era ancora spazio disponibile. “Sarò in grado di stare appoggiata alla ringhiera posteriore e vedere tutto.”

Raggiunsero le tribune e occuparono i loro posti. Nell’arco di pochi minuti, la partita iniziò. April era una centrocampista e svolgeva molto bene il proprio ruolo. Riley notò subito che era una giocatrice aggressiva.

Mentre guardavano, Jilly commentò: “April dice che vuole davvero migliorare nello sport nei prossimi due anni. E’ vero che il calcio potrebbe portarla ad ottenere una borsa di studio per il college?”

“Se si impegna davvero” Riley le spiegò.

“Accidenti. E’ bellissimo. Forse posso farlo anch’io.”

Riley sorrise. Era meraviglioso che Jilly avesse una tale prospettiva per il futuro. Nella vita che si era lasciata alle spalle, aveva avuto ben poco in cui sperare. I suoi progetti erano stati cupi. Quasi sicuramente non avrebbe potuto completare il liceo, né tanto meno pensare al college. Un intero mondo di possibilità si stava aprendo per lei.

Immagino di poter aggiustare qualcosa, pensò Riley.

Mentre Riley guardava, April penetrò nelle maglie della difesa e fece uno splendido goal, gonfiando la rete della squadra avversaria. Aveva segnato il primo goal della partita.

Riley saltò in piedi, esultando ed applaudendo.

In quel momento, riconobbe un’altra ragazza della squadra. Era l’amica di April, Crystal Hildreth. Riley non la vedeva da molto tempo ormai. Il solo vederla le suscitò delle emozioni complicate.

 

Crystal e suo padre, Blaine, prima vivevano alla porta accanto a Riley ed alla sua famiglia.

Blaine era un uomo affascinante. Riley si era sentimentalmente interessata a lui ed era stata ricambiata. Ma tutto era finito pochi mesi prima, quando qualcosa di terribile era capitato. Poi Blaine e sua figlia si erano trasferiti.

Riley non voleva affatto ricordare quei brutti eventi.

Si guardò intorno nella folla. Visto che Crystal era in campo, senz’altro Blaine doveva essere lì da qualche parte. Ma, al momento, non riusciva a vederlo.

Sperava di non doverlo incontrare.

*

Giunse l’intervallo, e Jilly corse ad andare a parlare con degli amici che aveva visto.

Riley notò di aver ricevuto un sms. Proveniva da Shirley Redding, l’agente immobiliare che l’aveva contattata, relativamente allo chalet del padre.

Diceva …

Buone notizie! Mi chiami subito!

Riley uscì dagli spalti e digitò il numero dell’agente.

“Ho fatto una ricerca di mercato” la donna disse. “La proprietà dovrebbe valere oltre centomila dollari. Forse persino il doppio.”

Riley fu colta da una scintilla di eccitazione. Quella cifra sarebbe stata un enorme aiuto per i piani scolastici delle ragazze.

Shirley continuò: “Dovremmo parlare dei dettagli. E’ un buon momento questo?”

Non lo era, naturalmente, perciò Riley si mise d'accordo per parlare l’indomani. Non appena la telefonata terminò, vide qualcuno farsi largo in mezzo alla folla, avvicinandosi a lei.

Riley lo riconobbe immediatamente. Era Blaine, il suo ex vicino.

Notò che quell’uomo bello e sorridente aveva ancora una cicatrice sulla guancia destra.

Si sentì imbarazzata. La incolpava per quella cicatrice?

Riley non riusciva a perdonarsi.

CAPITOLO SEI

Blaine Hildreth fu investito da una scarica di emozioni contrastanti, mentre passava in mezzo alla folla. Aveva visto Riley Paige, quando si era alzata in piedi ad esultare. Sembrava vitale e sorprendente come sempre, e lui si ritrovò automaticamente a desiderare di raggiungerla durante l’intervallo. Ora anche lei lo stava guardando, mentre si avvicinava, ma non riusciva a capire molto dall’espressione della donna.

Come si sentiva a vederlo?

E come si sentiva lui a rivedere lei?

Blaine non riusciva a fare a meno di ripensare a quel giorno traumatico, più di due mesi prima …

Era seduto nel proprio salotto, quando aveva sentito un terribile rumore provenire dalla porta accanto.

Si era precipitato a casa di Riley, e aveva trovato la porta d’entrata parzialmente aperta.

Entrato di corsa all’interno, aveva subito visto ciò che stava succedendo.

Un uomo aveva aggredito April, la figlia di Riley: aveva gettato la ragazza a terra, e lei stava divincolandosi in tutti i modi, respingendolo e prendendolo a pugni.

Blaine si era buttato su di loro e aveva staccato l’assalitore da addosso ad April. Aveva lottato contro l’uomo, provando a sopraffarlo.

Blaine era più alto dell’assalitore, ma non più forte, e nemmeno così agile.

Aveva cercato di colpirlo con i pugni, ma la maggior parte dei colpi era andata a vuoto e quelli che erano andati a segno non sembravano aver avuto alcun effetto.

Improvvisamente, l’uomo aveva colpito l’addome di Blaine con un pugno, facendogli uscire l'aria dai polmoni. Era caduto, non riuscendo a respirare.

Poi, l’assalitore gli aveva sferrato un rapido colpo al volto …

… e il mondo si era offuscato.

Blaine, quando era rinvenuto, si era reso conto di essere all’ospedale.

E ora, mentre si avvicinava a Riley, Blaine tremava a quel ricordo.

Provò a controllarsi.

Quando raggiunse Riley, non seppe che cosa fare. Stringerle le mani sembrava un po’ ridicolo. Doveva abbracciarla?

Vide che il viso della donna era rosso per l’imbarazzo. Neanche lei sapeva che cosa fare.

“Ciao, Blaine” Riley disse.

“Ciao.”

Restarono entrambi lì a guardarsi per un momento, poi risero un po’ per il proprio imbarazzo.

“Tutte e due le nostre ragazze stanno giocando bene oggi” esordì Riley.

“Specialmente la tua” Blaine replicò.

Il goal di April, poc’anzi, lo aveva davvero colpito.

“Sei qui con qualcuno?” Riley chiese.

“No. E tu?”

“Solo Jilly” Riley rispose. “Immagino che tu non la conosca. Jilly è … ecco, è una lunga storia.”

Blaine annuì.

“Ho sentito parlare di Jilly da mia figlia” lui disse. “Adottarla è davvero una cosa grandiosa.”

Blaine ricordò un’altra cosa che Crystal gli aveva detto. Riley stava provando a tornare insieme a Ryan. Blaine si chiese come stesse procedendo. Ma Ryan non era lì ad assistere alla partita.

Piuttosto timidamente, Riley disse: “Ascolta, siamo sedute lì in alto sugli spalti. C’è un po’ di spazio in più. Ti piacerebbe guardare il resto della partita con noi?”

Blaine sorrise.

“Mi piacerebbe” le rispose.

Raggiunsero gli spalti e occuparono i loro posti. Una ragazzina magra sorrise quando vide Riley avvicinarsi. Ma non sembrò felice, quando si accorse che era in compagnia di Blaine.

“Jilly, questo è il mio amico Blaine” lo presentò Riley.

Senza dire nulla, Jilly si alzò dalla panchina, e iniziò ad allontanarsi.

“Siedi con noi, Jilly” Riley la invitò.

“Vado a sedermi con i miei amici” Jilly replicò, facendosi spazio, superandoli e proseguendo giù lungo le scale. “C’è posto per me.”

Riley ne fu scioccata e turbata.

“Mi dispiace” disse a Blaine. “E’ stata molto maleducata.”

“No, va BENE” rispose semplicemente.

Riley sospirò quando si sedettero entrambi.

“No, non va BENE”ribatté lei. “Molte cose non vanno BENE. Jilly è arrabbiata, perché sono seduta insieme a qualcuno che non è Ryan. Era tornato a stare con noi, e lei si è molto legata a lui.”

Riley scosse la testa.

“Ora Ryan se ne andrà di nuovo” spiegò. “Non ho avuto ancora la possibilità di dirlo alle ragazze. O forse, non ho trovato il coraggio di farlo. Ne saranno entrambe devastate.”

Blaine si sentì un po’ sollevato allo scoprire che Ryan era tornato fuori dai giochi. Aveva incontrato il bel ex marito di Riley un paio di volte, e la sua arroganza l’aveva allontanato. Oltre a questo, dovette ammettere che sperava che Riley fosse libera da relazioni sentimentali.

Ma si sentiva anche in colpa per quei pensieri.

La partita riprese di nuovo, rapidamente. April e Crystal stavano giocando bene, e Blaine e Riley esultavano di tanto in tanto.

Ma, in tutto questo, Blaine continuava a pensare all’ultima volta che aveva visto Riley. Era stato subito dopo essere tornato a casa dall’ospedale. Aveva bussato alla sua porta per dirle che lui e Crystal stavano per traslocare. Blaine aveva fornito a Riley una noiosa scusa. Le aveva detto che la città era troppo distante dal ristorante che possedeva e gestiva.

Lui aveva anche provato a far sembrare che il trasferimento come un evento poco importante.

“Sarà come se nulla fosse cambiato” le aveva detto.

Naturalmente, non era vero, e Riley non se l’era affatto bevuta.

Ne era rimasta molto dispiaciuta.

Questo sembrava un buon momento per tirare fuori l’argomento.

Con voce esitante, iniziò: “Ascolta, Riley, mi spiace per come sono andate le cose l’ultima volta che ci siamo visti. Quando ti ho detto che stavo per trasferirmi, intendo. Non ero al mio meglio.”

“Non mi devi alcuna spiegazione” Riley rispose.

Ma Blaine non era d’accordo.

Le disse: “Ecco, penso che sappiamo entrambi il motivo per cui io e Crystal ci siamo trasferiti.”

Riley alzò le spalle.

“Sì” Riley rispose. “Temevi per l’incolumità di tua figlia. Non ti biasimo, Blaine. Dico davvero. Sei stato solo saggio.”

Blaine non sapeva che cosa dire. Riley aveva ragione, naturalmente. Aveva temuto per la sicurezza di Crystal, non per la sua. E anche per il benessere mentale della ragazza. L’ex moglie di Blaine, Phoebe, era una violenta alcolizzata, e Crystal stava ancora affrontando le cicatrici emotive di quel rapporto. Non aveva bisogno di ulteriori traumi nella sua vita.

Riley sapeva tutto di Phoebe. In realtà, aveva salvato Crystal da uno degli attacchi di rabbia della madre ubriaca.

Forse comprende davvero, pensò.

Ma non riusciva a capire come si sentisse davvero lei.

Proprio allora, la squadra delle loro figlie segnò un altro goal. Blaine e Riley applaudirono ed esultarono. Poi tornarono a guardare la partita in silenzio per alcuni istanti.

Infine Riley riprese: “Blaine, ammetto di essere stata delusa da te quando te ne sei andato. Forse ero persino un po’ arrabbiata. Mi sbagliavo. Non è stato giusto da parte mia. Mi dispiace per quello che è successo.”

Fece una pausa e poi proseguì.

“Mi sento malissimo per quello che ti è successo. E in colpa. Ancora oggi. Blaine, io …”

Per un momento, sembrò lottare con i suoi pensieri e sentimenti.

“Sento che non riesco a fare altro che portare pericolo a chiunque incroci il mio cammino. Odio questo del mio lavoro. Odio questo di me stessa.”

Blaine tentò di negare.

“Riley, non devi …”

Riley lo fermò.

“E’ vero, ed entrambi lo sappiamo. Se io fossi il mio vicino, vorrei trasferirmi altrove. Almeno, fino a quando avessi un’adolescente in casa mia.”

In quel momento, ci fu un brutto momento per la squadra delle loro figlie. Blaine e Riley si lamentarono con il resto dei tifosi.

Blaine stava cominciando a sentirsi in qualche modo rassicurato. Riley sembrava sincera quando diceva di non essere in collera con lui per via del trasferimento, almeno non più.

Potevano forse rialimentare l’interesse che una volta nutrivano l’uno per l’altra?

Blaine si fece coraggio e disse: “Riley, mi piacerebbe moltissimo invitare te e le tue ragazze al mio ristorante. Puoi portare anche Gabriela. Io e lei potremmo scambiarci delle ricette del Centro America.”

Riley rimase seduta in silenzio per un momento. Sembrava quasi che se non avesse sentito.

Infine, rispose: “Penso di no, Blaine. Le cose sono davvero fin troppo complicate in questo momento. Grazie di avermelo chiesto, comunque.”

Blaine si sentì un po’ deluso. Non solo Riley lo stava rifiutando, ma sembrava anche non voler lasciare aperte delle possibilità future.

Ma non c’era nulla che si potesse fare al momento.

Guardò il resto della partita con Riley in silenzio.

*

Quella sera, a cena, Riley stava ancora pensando a Blaine. Si chiese se avesse commesso un errore. Forse avrebbe dovuto accettare il suo invito. Le piaceva e le mancava.

Aveva persino invitato Gabriela, il che era un pensiero dolce. Da ristoratore, aveva apprezzato la cucina di Gabriela, in passato.

La governante aveva preparato un pasto guatemalteco tipico, veramente delizioso, pollo in salsa di cipolla. Le ragazze lo avevano apprezzato molto e stavano chiacchierando riguardo alla vittoria nella partita di calcio pomeridiana.

“Perché non sei venuta alla partita, Gabriela?” April chiese.

“Ti sarebbe piaciuta” Jilly intervenne.

“Sí, mi piace il futbol” Gabriela promise. “Verrò la prossima volta.”

A Riley sembrò un buon momento per parlare di qualcosa.

“Ci sono buone notizie” esordì. “Oggi ho parlato con l’agente immobiliare, e pensa che vendere lo chalet di vostro nonno dovrebbe farci incassare una buona cifra. Potrebbe davvero aiutare a pagare il college, per entrambe.”

Le ragazze ne furono contente, e ne parlarono per un po’. Ma, dopo poco, l’umore di Jilly parve peggiorare.

Infine, Jilly chiese a Riley: “Chi era quell’uomo che era con te alla partita?”

April rispose: “Oh, era Blaine. Era il nostro vicino. E’ il papà di Crystal. L’hai incontrata.”

Jilly restò in silenzio, visibilmente irritata, per qualche istante.

Poi, domandò: “Dov’è Ryan? Perché non era alla partita?”

Riley deglutì ansiosamente. Aveva notato poco prima che Ryan era venuto in casa durante il giorno, a raccogliere le sue cose. Era giunto il momento di dire la verità alle ragazze.

 

“C’è qualcosa che devo dire a tutti” esordì.

Ma faticava a trovare le parole giuste.

“Ryan … dice che ha bisogno di spazio. E’ …”

Non riuscì ad aggiungere altro. Si rese conto dalle espressioni delle ragazze che non ne aveva affatto bisogno. Comprendevano fin troppo bene quello che intendeva.

Dopo qualche secondo di silenzio, Jilly scoppiò in lacrime e scappò dalla stanza, correndo di sopra. April la seguì immediatamente per consolarla.

Riley si rese conto che April era abituata alle attenzioni altalenanti di Ryan. Queste delusioni dovevano ancora farle male, ma sapeva gestirle meglio di quanto potesse fare Jilly.

Seduta a tavola ormai soltanto con Gabriela, Riley cominciò a sentirsi in colpa. Era incapace di mantenere una relazione seria con un uomo?

Come se le leggesse la mente, Gabriela osservò: “Smetta di accusarsi. Non è colpa sua. Ryan è uno stupido.”

Riley sorrise tristemente.

“Grazie, Gabriela” le rispose.

Era esattamente ciò che aveva bisogno di sentire.

Poi Gabriela aggiunse: “Le ragazze hanno bisogno di una figura paterna. Ma non di qualcuno che va e viene in quel modo.”

“Lo so” Riley si limitò a dire.

*

Più tardi quella sera, Riley andò dalle ragazze. Jilly era in camera di April, impegnata a fare i compiti in silenzio.

April sollevò lo sguardo e la rassicurò: “Stiamo BENE, mamma.”

Riley si sentì davvero sollevata. Per quanto fosse triste per le ragazze, era orgogliosa che April stesse confortando Jilly.

“Grazie, tesoro” le rispose, e chiuse tranquillamente la porta.

Pensava che April le avrebbe parlato di Ryan quando fosse stata pronta. Ma, quasi certamente, le cose erano più difficili per Jilly.

Tornò di sotto, ripensando alle parole di Gabriela.

“Le ragazze hanno bisogno di una figura paterna.”

Guardò il suo telefono. Blaine le aveva fatto chiaramente capire che avrebbe voluto riprendere di nuovo la loro relazione.

Ma che cosa si aspettava in realtà da lei? La sua vita era colmata dalle ragazze e dal lavoro. Avrebbe davvero potuto far entrare un’altra persona nella sua vita al momento? Lo avrebbe deluso?

Ma, ammise, mi piace.

E chiaramente, i suoi sentimenti erano ricambiati. Senz’altro, doveva esserci spazio nella vita per…

Prese il telefono e compose il numero di casa di Blaine. Rimase delusa, quando le rispose la segreteria telefonica, ma non sorpresa. Sapeva che il suo lavoro al ristorante spesso lo teneva lontano da casa di notte.

Al suono del bip, Riley lasciò un messaggio.

“Ciao, Blaine. Sono Riley. Ascolta, mi dispiace se sono stata un po’ distante alla partita oggi pomeriggio. Spero di non essere sembrata sgarbata. Voglio soltanto dirti che, se il tuo invito a cena è ancora valido, accettiamo volentieri. Chiamami quando puoi, per farmi sapere.”

Si sentì immediatamente meglio. Andò in cucina e si versò da bere. Mentre era seduta sul divano del soggiorno, si ritrovò a pensare alla conversazione con Paula Steen.

Paula sembrava avere accettato il fatto che il killer di sua figlia non sarebbe mai stato consegnato alla giustizia.

“Non è colpa di nessuno e non incolpo nessuno” la donna aveva detto.

Quelle parole colpirono Riley.

Sembrava davvero ingiusto.

Riley finì il suo drink, fece una doccia ed andò a letto.

Era appena riuscita ad addormentarsi, quando cominciarono gli incubi.

*

Riley era solo una bambina.

Stava camminando in mezzo ad un bosco di notte. Era spaventata, ma non ne conosceva il motivo.

Dopotutto, non si era davvero persa nel bosco.

Il bosco era vicino ad un’autostrada, e lei riusciva a vedere le auto andare e venire. Il bagliore proveniente da un lampione e dalla luna piena illuminava il percorso in mezzo agli alberi.

Poi, i suoi occhi si posarono su una fila composta da tre fosse poco profonde.

La terra e le pietre che coprivano le fosse erano mutevoli e ondeggianti.

Le mani delle donne spuntavano fuori dalle fosse.

Riuscì a sentire le loro voci soffocate dire …

“Aiutaci! Ti prego!”

“Sono soltanto una bambina!” Riley rispose in lacrime.

Riley si svegliò di soprassalto nel letto. Stava tremando.

E’ stato solo un incubo, si disse.

E non era affatto sorprendente che avesse sognato le vittime del Killer della Scatola di Fiammiferi, la notte dopo aver parlato con Paula Steen.

Fece diversi respiri profondi. Presto, si sentì di nuovo rilassata, e la sua coscienza cominciò a scivolare nel sonno.

Ma poi …

Era ancora soltanto una bambina.

Era in un negozio di dolci con la mamma, che le stava comprando tanti dolci.

Un uomo spaventoso, con indosso una calza sulla testa, si avvicinò a di lei.

Puntò una pistola contro la mamma.

“Dammi i tuoi soldi” le disse.

Ma la donna era troppo spaventata per muoversi.

L’uomo sparò alla mamma nel petto, e lei cadde proprio di fronte a Riley, che cominciò a gridare e si girò intorno, cercando qualcuno che l’aiutasse.

Ma, improvvisamente, si ritrovò di nuovo nel bosco.

Le mani delle donne si stavano ancora agitando fuori dalle tre fosse.

Le voci stavano ancora gridando …

“Aiutaci! Ti prego!”

Poi, Riley sentì un’altra voce accanto a lei. Le sembrava familiare …

“Le hai sentite, Riley. Hanno bisogno del tuo aiuto.”

Riley si voltò e vide la mamma. Era proprio lì, con il petto insanguinato per la ferita causata dal colpo inferto dal proiettile. Il suo volto era mortalmente pallido.

“Non posso aiutarle, mamma!” Riley gridò. “Sono soltanto una bambina!”

La mamma sorrise.

“No, non sei soltanto una bambina, Riley. Sei un’adulta. Voltati e guarda.”

Riley si voltò e vide la sua immagine riflessa in uno specchio a figura intera.

Era vero.

Era una donna ora.

E quelle voci la stavano ancora chiamando …

“Aiutaci! Ti prego!”

Riley si svegliò di soprassalto per la seconda volta.

Stava tremando ancora più di prima, e annaspava per respirare.

Ricordò una frase che Paula Steen le aveva detto.

“Il killer di mia figlia non sarà mai consegnato alla giustizia.”

Paula aveva anche detto …

“Tanto per cominciare, non era un tuo caso.”

Riley sentì un nuovo impulso in sé.

Era vero: quello del Killer della Scatola di Fiammiferi non era mai stato un suo caso.

Ma non poteva più lasciarlo irrisolto.

Finalmente, il Killer della Scatola di Fiammiferi sarebbe stato consegnato alla giustizia.

Adesso è un mio caso, pensò.