Prima Che Brami

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Prima Che Brami
Prima Che Brami
Hörbuch
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CAPITOLO DUE

Nonostante avesse puntato la sveglia alle otto, Mackenzie fu destata dalla vibrazione del suo cellulare alle 6:45. Si svegliò lamentandosi. Se questo è Harry che si scusa per qualcosa che non ha nemmeno fatto, lo uccido, pensò. Ancora mezza addormentata, afferrò il cellulare e lesse il display con gli occhi annebbiati.

Fu sollevata nel vedere che non si trattava di Harry, bensì di Colby.

Perplessa, rispose. Colby non era tradizionalmente una tipa mattiniera ed era da più di una settimana che non si sentivano. Rompipalle fino al midollo, Colby probabilmente stava dando di matto per il diploma e per l’incertezza del futuro. Colby era l’unica amicizia femminile che Mackenzie aveva lì a Quantico, perciò aveva fatto tutto quello che poteva per accertarsi che l’amicizia reggesse – anche se questo significava rispondere a una telefonata all’alba il giorno del diploma, dopo che Mackenzie era riuscita a farsi soltanto quattro ore e mezza di sonno la notte prima.

“Ehi, Colby” disse. “Che succede?”

“Stavi dormendo?” chiese Colby.

“Già.”

“Oddio, scusa. Credevo che fossi in piedi all’alba stamattina, con tutto quello che sta succedendo.”

“È solo il diploma” disse Mackenzie.

“Ah! Magari fosse solo quello” disse Colby con voce leggermente isterica.

“È tutto a posto?” chiese Mackenzie, mettendosi lentamente a sedere sul letto.

“Lo sarà” disse Colby. “Senti... credi che ci potremmo incontrare allo Starbucks in Fifth Street?”

“Quando?”

“Prima che puoi. Io sto uscendo in questo momento.”

Mackenzie non voleva andarci – in realtà non voleva nemmeno scendere dal letto. Però non aveva mai sentito Colby in quello stato. E in una giornata importante come quella, pensò che avrebbe dovuto sforzarsi per la sua amica.

“Dammi una ventina di minuti” disse Mackenzie.

Con un sospiro, scese dal letto e si preparò facendo solo le cose essenziali. Si lavò i denti, infilò una felpa con cappuccio e pantaloni da tuta, legò i capelli in una coda e uscì di casa.

Mentre percorreva a piedi i sei isolati che la separavano da Fifth Street, iniziò a percepire il peso di quella giornata. Quel giorno si sarebbe diplomata dall’accademia dell’FBI, appena prima di mezzogiorno, piazzandosi nel cinque percento dei migliori della sua classe. Al contrario della maggior parte dei compagni che aveva conosciuto nelle ultime venti settimane, per lei non ci sarebbe stato nessun famigliare ad attenderla per celebrare insieme quel traguardo. Sarebbe stata sola, come lo era stata per quasi tutta la sua vita, da quando aveva sedici anni. Cercava disperatamente di convincersi che non le importasse, invece le importava eccome. Non le provocava tristezza, ma una strana sorta di angoscia, così antica che aveva gli angoli smussati.

Mentre raggiungeva lo Starbucks, notò che anche il traffico era più intenso del solito – probabilmente a causa di famigliari e amici dei diplomati. Cercò di lasciarsi scivolare tutto addosso. Aveva passato gli ultimi dieci anni della sua vita cercando di fregarsene di quello che sua madre e sua sorella pensavano di lei, quindi perché iniziare ora?

Quando entrò da Starbucks, vide che Colby era già arrivata. Stava sorseggiando da una tazza, osservando pensierosa fuori dalla vetrina. Davanti a lei c’era un’altra tazza; Mackenzie immaginò che fosse per lei. Prese posto di fronte a lei e non nascose quanto fosse stanca, stringendo gli occhi in un’espressione scontrosa mentre si accomodava.

“Questa è mia?” chiese Mackenzie, afferrando la seconda tazza.

“Sì” disse Colby. Aveva l’aria stanca, triste e scontrosa.

“Allora, che c’è che non va?” chiese Mackenzie, troncando ogni possibile tentativo di Colby di girare intorno alla questione.

“Io non mi diplomo” disse Colby.

“Che?” chiese Mackenzie, sinceramente sorpresa. “Credevo che avessi superato tutti i test a pieni voti.”

“È così. Solo che... non so. Stare in accademia mi ha consumato.”

“Colby... non puoi dire sul serio.”

Il tono di voce le era uscito un po’ forte, ma non ci badò. Quella non era la solita Colby. Quella decisione era arrivata dopo una profonda introspezione. Non era una farsa, non era la messinscena melodrammatica di una donna sull’orlo di una crisi di nervi.

Come può lasciar perdere?

“Sono seria, invece” disse Colby. “Sono almeno tre settimane che non ci metto più passione. Certi giorni me ne andavo a casa a piangere da sola perché mi sentivo in trappola. Non ne posso più.”

Mackenzie era attonita; non sapeva proprio cosa dire.

“Be’, prendere una decisione del genere il giorno del diploma è da pazzi.”

Colby si strinse nelle spalle e guardò fuori dalla vetrina. Sembrava abbattuta. Sconfitta.

“Colby... non puoi ritirarti. Non farlo.” Quello che era sulla punta della lingua ma che non disse era: Se ti ritiri adesso, le ultime venti settimane non avranno alcun significato. Diventerai una perdente.

“In realtà non mi ritirerò” disse Colby. “Oggi verrò alla cerimonia di diploma. Devo farlo. I miei genitori arrivano dalla Florida, quindi sono obbligata, in un certo senso. Ma dopo oggi, basta.”

Quando Mackenzie aveva iniziato l’accademia, gli istruttori li avevano avvisati che la percentuale di abbandono tra i potenziali agenti durante la sessione dell’accademia di venti settimane era circa del venti percento – e in passato era arrivata anche al trenta. Ma pensare che Colby facesse parte di quella percentuale non aveva senso.

Colby era troppo forte – troppo determinata. Come accidenti poteva prendere una decisione del genere così alla leggera?”

“E cosa farai?” chiese Mackenzie. “Se ti lasci tutto questo alle spalle, che lavoro pensi di fare?”

“Non lo so” disse. “Forse lavorerò nella sezione per la prevenzione della tratta di esseri umani. Ricerca e sviluppo, o altro. Insomma, non devo diventare un’agente, no? Ho tante altre opzioni. Non voglio essere un’agente.”

“Quindi sei seria” disse Mackenzie asciutta.

“Sì. Volevo solo fartelo sapere adesso perché dopo il diploma i miei mi saranno sempre appiccicati.”

Oh, poverina, pensò Mackenzie sarcastica. Dev’essere terribile.

“Io non capisco” disse Mackenzie.

“Non mi aspetto che tu capisca. Tu sei bravissima. A te piace questo mestiere. Secondo me sei nata per questo, sai? Io invece... non lo so. Sono un disastro.”

“Dio, Colby... mi dispiace.”

“Non devi” disse. “Una volta che avrò rispedito mamma e papà in Florida, tutta questa pressione svanirà. Dirò loro che non ero tagliata per gli incarichi che mi volevano affibbiare. Poi potrò fare quello che voglio, immagino.”

“Be’... buona fortuna, allora” disse Mackenzie.

“Oh, ti prego” disse Colby. “Ti stai per diplomare tra i migliori oggi. Non azzardarti a sentirti giù di morale a causa mia. Sei stata una buona amica, Mac. Volevo che lo imparassi da me, piuttosto che notare la mia assenza tra qualche settimana.”

Mackenzie non fece nulla per nascondere la propria delusione. Detestava ricorrere ad espedienti infantili, ma rimase comunque in silenzio, sorseggiando il suo caffè.

“E tu?” chiese Colby. “Ci sarà qualcuno della tua famiglia o degli amici?”

“Nessuno” disse Mackenzie.

“Oh” disse Colby, un po’ in imbarazzo. “Scusa, non sapevo...”

“Non c’è bisogno che ti scusi” disse Mackenzie. Adesso era il suo turno di guardare fuori dalla vetrina con sguardo perso. Poi aggiunse: “Credo di preferire così.”

***

La cerimonia non fece né caldo né freddo a Mackenzie. Non era altro che una versione più formale del diploma delle superiori, ma non elegante e formale quanto lo era stata quella della sua laurea. Mentre attendeva di essere chiamata, ebbe parecchio tempo per ripensare a quelle cerimonie e a come la sua famiglia era sembrata svanire sempre più dopo ognuna.

Si ricordò di come fosse stata sul punto di piangere mentre saliva sul palco per il diploma di scuola superiore, rattristata per il fatto che suo padre non l’avrebbe mai vista crescere. Lo aveva saputo durante tutta l’adolescenza, ma quel fatto la colpì come una pietra in mezzo agli occhi mentre saliva a ritirare il diploma. Durante l’università invece non ne era più così turbata. Quando era salita sul palco per ritirare la laurea, non c’era nessun membro della sua famiglia tra il pubblico. Adesso si rese conto che era stato quello il momento della svolta, quello in cui aveva deciso una volta per tutte che preferiva affrontare i vari aspetti della vita da sola. Se la sua famiglia non mostrava alcun interesse per lei, allora anche a lei non sarebbe importato di loro.

La cerimonia giunse al termine senza tanto clamore e, quando fu finita, vide Colby che si scattava fotografie in compagnia della madre e del padre, dall’altro lato dell’ampio atrio dove i diplomati e gli ospiti si erano riversati. Da quello che poteva vedere Mackenzie, Colby stava facendo un ottimo lavoro a celare il proprio malcontento ai genitori, i quali erano raggianti d’orgoglio.

Sentendosi impacciata e senza niente da fare, Mackenzie iniziò a chiedersi quanto ci avrebbe messo a uscire dalla riunione, andare a casa, sfilarsi l’abito da cerimonia e aprire la prima di una serie di birre per quel pomeriggio. Appena si avviò verso le porte, sentì una voce familiare alle spalle, che la chiamava.

“Ehi, Mackenzie” disse la voce maschile. Seppe all’istante di chi si trattava – non soltanto dalla voce, ma dal fatto che in quell’ambiente erano poche le persone che la chiamavano Mackenzie, invece che solamente White.

 

Era Ellington. Indossava un completo e pareva a disagio almeno quanto Mackenzie. Ciononostante, il sorriso che le rivolgeva era fin troppo sicuro. Eppure in quel momento non le dispiacque.

“Salve, Agente Ellington.”

“Credo che in una situazione del genere tu possa chiamarmi Jared.”

“Preferisco Ellington” disse rivolgendogli a sua volta un sorriso.

“Come ti senti?” le chiese.

Lei si strinse nelle spalle, accorgendosi di quanto desiderasse andarsene. Poteva raccontare a se stessa tutte le bugie che voleva, ma il fatto che lì con lei non ci fossero né famigliari né amici iniziava a pesarle.

“Tutto qui? Una scrollata di spalle?” fece Ellington.

“Be’, come mi dovrei sentire?”

“Realizzata. Orgogliosa. Emozionata. Tanto per fare qualche esempio.”

“Mi sento tutte quelle cose” disse lei. “È solo che... Non lo so. La cerimonia è troppo per me.”

“Ti capisco” disse Ellington. “Dio, quanto odio indossare un completo.”

Mackenzie stava per replicare che l’abito gli stava proprio bene, quando vide McGrath arrivare alle spalle di Ellington. Anche lui le rivolse un sorriso, ma al contrario di Ellington, il suo pareva quasi forzato. Le tese la mano e lei la strinse, stupendosi di quanto fosse fiacca la sua stretta.

“Mi fa piacere che ce l’abbia fatta” disse McGrath. “So che ha una carriera brillante e promettente davanti.”

“Non per fare pressioni, eh?” commentò Ellington.

“Nella fascia dei migliori” disse McGrath, senza lasciare a Mackenzie l’occasione di spiccicare parola. “Davvero un ottimo lavoro, White.”

“Grazie, signore” disse lei, sorpresa di quell’insolita manifestazione di supporto.

Lui sorrise, le strinse ancora una volta la mano, quindi si dileguò rapidamente tra la folla.

Una volta che McGrath se ne fu andato, Ellington le rivolse uno sguardo perplesso e un gran sorriso.

“Era di buon umore. Credimi, non accade molto spesso.”

“Sai com’è, oggi immagino che sia un gran giorno per lui” disse Mackenzie. “Adesso ha un bel gruppo di nuovi talenti dal quale attingere.”

“È vero” convenne Ellington. “Comunque, a parte gli scherzi, quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.”

Tra loro scese un silenzio impacciato; era un silenzio al quale si erano abituati e che era alla base della loro amicizia – o comunque si potesse definire il rapporto che li legava.

“Allora” disse Ellington. “Volevo solo congratularmi con te. E dirti che puoi chiamarmi in ogni momento se le cose si fanno troppo reali. So che sembra una cosa stupida da dire, ma arriverà un momento in cui persino Mackenzie White avrà bisogno di qualcuno con cui sfogarsi. Le cose ti possono travolgere in un attimo.”

“Grazie” disse lei.

Poi, all’improvviso, voleva chiedergli di restare lì con lei. Non in senso romantico, ma solo per avere un volto familiare al suo fianco. Lo conosceva relativamente bene e, anche se i sentimenti che provava per lui erano contrastanti, voleva che le stesse accanto. Detestava ammetterlo, ma iniziava a sentire di dover fare qualcosa per festeggiare quel giorno e quel momento della sua vita. Anche se si fosse trattato di passare qualche ora di imbarazzo con Ellington, sarebbe sempre stato meglio (e forse più produttivo) che starsene a bere da sola autocommiserandosi.

Invece non disse niente. E anche se avesse trovato il coraggio, non sarebbe servito; Ellington la salutò rapidamente con un cenno del capo, poi, come McGrath, tornò a disperdersi nella folla.

Mackenzie rimase lì ferma un momento, facendo del proprio meglio per scacciare la sensazione di essere completamente sola.

CAPITOLO TRE

Quando Mackenzie si presentò al primo giorno di lavoro il lunedì, non riusciva a scacciare dalla mente le parole di Ellington, che si ripetevano come un mantra: Quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti. Tienilo a mente quando andrai a parlare con lui lunedì.

Cercò di sfruttare quel consiglio per prepararsi psicologicamente, anche perché doveva ammettere di essere nervosa. Non l’aiutò che la giornata iniziò con uno degli uomini di McGrath, Walter Hasbrook, adesso supervisore del suo dipartimento, che l’accompagnava all’ascensore come se fosse una bambina. Walter sembrava sulla sessantina ed era in sovrappeso di una decina di chili. Era un uomo senza personalità e, anche se Mackenzie non aveva nulla contro di lui, non le piaceva il modo in cui le spiegava ogni cosa come se fosse stupida.

Lo fece anche mentre l’accompagnava al terzo piano, dove un labirinto di postazioni si dipanava come uno zoo. In ogni postazione c’era un agente, alcuni che parlavano al telefono, altri che digitavano al computer.

“E questa è la sua” disse Hasbrook, indicando una postazione al centro di una delle file esterne. “Questo è il centro di Ricerca e Sorveglianza. Riceverà delle e-mail che le forniranno l’accesso ai server e la lista dei contatti di tutto il dipartimento.”

Mackenzie entrò nella postazione, sentendosi un po’ delusa ma ugualmente nervosa. No, quello non era il caso eccitante con cui sperava di iniziare la carriera, però era comunque il primo passo verso tutto ciò per cui aveva lavorato fin da quando era uscita dalla scuola superiore. Tirò a sé la sedia con le rotelle e ci si afflosciò sopra.

Il portatile che aveva davanti ora era suo. Era uno degli oggetti che le aveva elencato Hasbrook. La scrivania era sua, la postazione era sua, tutto quello spazio. Non era esattamente esaltante, ma era il suo spazio.

“Nelle e-mail troverà anche i dettagli del suo primo incarico” disse Hasbrook. “Se fossi in lei, inizierei subito. Le conviene chiamare l’agente supervisore del caso per coordinare il lavoro, ma ad ogni modo entro oggi dovrà essere già al lavoro.”

“D’accordo” disse lei, voltandosi verso il computer. Una parte di lei era ancora arrabbiata per essere stata relegata al lavoro d’ufficio. Lei voleva agire sul campo. Dopo tutto quello che le aveva detto McGrath, era quello che si aspettava.

Non importa quanto sia brillante il tuo passato, si disse, non puoi aspettarti di partire da fuoriclasse. Forse questo è il modo in cui devi pagare i tuoi debiti – oppure è il modo in cui McGrath ti mostra chi comanda e qual è il tuo posto.

Prima che Mackenzie potesse dire altro in risposta alle istruzioni secche e monotone di Hasbrook, lui si era già voltato per andarsene. Si diresse verso l’ascensore in fretta, come se fosse contento di aver concluso quel minuscolo compito.

Una volta sola nella sua postazione, Mackenzie accese il computer e si domandò perché fosse tanto nervosa.

È perché è arrivato il momento, pensò. Ho lavorato sodo per arrivare qui e adesso ci sono. Ho tutti gli occhi puntati addosso, non posso fallire – nemmeno se si tratta solo di un lavoro d’ufficio.

Controllò la posta elettronica e inviò le dovute risposte che le avrebbero permesso di iniziare l’incarico. Nel giro di un’ora, aveva tutti i documenti e le risorse necessari. Era determinata a fare del proprio meglio, per far capire a McGrath che era sprecata dietro una scrivania.

Analizzò mappe, tabulati telefonici e dati del GPS per individuare due potenziali sospettati coinvolti in un giro di traffico sessuale. Dopo un’ora che era immersa nel lavoro, si scoprì coinvolta e dedicata. Il fatto che non si trovasse in strada a dare attivamente la caccia a quei tizi non la infastidiva in quel momento. Era concentrata e aveva un obiettivo in mente, ed era tutto ciò che le serviva.

Vero, era un compito misero e quasi noioso, ma non avrebbe permesso che ciò intralciasse il proprio lavoro. Fece una pausa per il pranzo poi si rimise all’opera, lavorando con fervore per ottenere risultati. Quando la giornata stava per finire, inviò per e-mail quello che aveva scoperto al supervisore del dipartimento e se ne andò. Non aveva mai avuto un lavoro d’ufficio prima, ma quell’impiego pareva proprio così. L’unica cosa che mancava era il cartellino da timbrare.

Quando raggiunse l’auto, si permise di crogiolarsi nella delusione. Un lavoro d’ufficio. Bloccata dietro un computer e intrappolata tra le pareti di un cubicolo. Non era quello che si era immaginata.

Nonostante ciò, era orgogliosa di essere arrivata lì. Non avrebbe permesso al suo ego o alle sue alte aspettative di distogliere la sua attenzione dal fatto che adesso era un’agente dell’FBI. Però non riusciva a non pensare a Colby. Si chiese dove fosse adesso e cos’avrebbe detto se avesse scoperto che Mackenzie aveva esordito nella carriera con un lavoro d’ufficio.

E una piccola parte di Mackenzie non poté fare a meno di chiedersi se Colby, avendo deciso di andarsene, non fosse stata la più furba tra le due.

Sarebbe rimasta relegata a quella scrivania per anni?

***

Mackenzie si presentò il giorno seguente decisa a passare una bella giornata. Il giorno prima aveva fatto ottimi progressi sul suo caso e sentiva che se fosse riuscita ad ottenere risultati rapidi ed efficienti, McGrath se ne sarebbe accorto.

Subito scoprì che le era stato appioppato un caso diverso. Stavolta riguardava una frode sui permessi di soggiorno. Gli allegati delle e-mail contenevano più di trecento pagine di testimonianze, documenti governativi e gergo legale come risorsa. Sembrava incredibilmente noioso.

Furente di rabbia, Mackenzie guardò il telefono. Aveva accesso ai server, il che significava che poteva ottenere il numero di McGrath. Si domandò come avrebbe reagito se lo avesse chiamato per chiedergli il motivo di quella punizione.

Invece si dissuase dal farlo e procedette a stampare tutte le pagine degli allegati e suddividere i fogli in varie pile sulla scrivania.

Dopo venti minuti di quell’attività soporifera, udì qualcuno bussare all’ingresso della sua postazione. Quando si voltò e vide McGrath in piedi sulla soglia, rimase di stucco per un attimo.

McGrath le sorrise allo stesso modo che aveva fatto durante la cerimonia del diploma. Qualcosa in quel sorriso le diceva che davvero lui non avesse idea che lei si potesse sentire umiliata bloccata dietro una scrivania.

“Mi dispiace di averci messo così tanto a contattarla” disse McGrath. “Sono passato per vedere come se la cava.”

Lei trattenne la sfilza di risposte che aveva in mente. Fece una scrollata di spalle incerta e disse: “Bene, solo che... be’, sono un po’ confusa.”

“Come mai?”

“Be’, in più di un’occasione mi aveva detto di non vedere l’ora che diventassi un’agente attiva. Non credevo che questo implicasse starmene seduta ad una scrivania a stampare documenti sui permessi di soggiorno.”

“Oh, lo so, lo so. Ma si fidi di me, c’è una valida ragione per tutto questo. Si limiti a procedere con la testa bassa. Arriverà il suo momento, White.”

Nella mente sentì ancora la voce di Ellington. Quell’uomo sa come impiegare al meglio i nuovi agenti.

Se lo dici tu, pensò.

“Ci metteremo in contatto con lei presto” disse McGrath. “Fino ad allora, abbi cura di sé.”

Come Hasbrook il giorno prima, anche McGrath pareva avere una gran fretta di allontanarsi da quelle postazioni. Lo osservò allontanarsi, domandandosi che genere di lezione o abilità si aspettava che lei imparasse. Odiava credere di sapere tutto, ma Dio...

Quello che Ellington aveva detto di McGrath... davvero doveva crederci? A proposito di Ellington, si chiese se lui sapesse a cosa stava lavorando. Poi pensò a Harry, sentendosi in colpa per non averlo chiamato negli ultimi giorni. Harry se n’era rimasto in silenzio perché sapeva che lei non amava le pressioni. Era uno dei motivi per cui continuava a uscire con lui. Nessun uomo prima era mai stato tanto paziente con lei. Persino Zack era arrivato al limite e l’unica ragione per cui erano durati così a lungo come coppia era perché ormai erano abituati l’uno all’altra e non volevano affrontare la seccatura del cambiamento.

Mackenzie terminò di impilare i fogli a mezzogiorno. Prima di immergersi in quel mare caotico di moduli e appunti, pensò di andare a pranzare e prendersi una bella tazzona di caffè.

Attraversò il corridoio per andare all’ascensore. Quando l’ascensore arrivò e le porte si aprirono, si stupì di vedere Bryers. Anche lui pareva sorpreso di vederla, ma le rivolse un gran sorriso.

“Che ci fai qui?” gli domandò.

 

“In realtà stavo venendo a trovarti. Ho pensato che ti andasse di andare a mangiare qualcosa.”

“Proprio quello che stavo per fare. Perfetto.”

Scesero insieme con l’ascensore e si sedettero al tavolo di una piccola rosticceria un isolato più avanti. Mentre si accomodavano con i sandwich, Bryers le rivolse una domanda impegnativa.

“Come vanno le cose?” chiese.

“Be’... vanno. Sono bloccata dietro una scrivania, intrappolata in un cubicolo a leggere infinite scartoffie. Non è esattamente quello che avevo in mente.”

“Se a dirlo fosse un qualunque altro nuovo agente, potrebbe suonare presuntuoso” disse Bryers. “Invece si dà il caso che sia d’accordo con te. Sei sprecata. Ed ecco perché sono qui: sono venuto a salvarti.”

Lei lo guardò, pensierosa.

“In che modo?”

“Con un altro caso” rispose Bryers. “Naturalmente capirò se preferirai restare sul tuo attuale caso a studiare frodi sull’immigrazione. Tuttavia, credo di avere qualcosa che si addice di più ai tuoi interessi.”

Mackenzie sentì il cuore accelerare.

“Riusciresti a togliermi dal mio caso così facilmente?” gli chiese sospettosa.

“Certo che posso. Al contrario dell’altra volta, adesso hai il pieno appoggio di tutti. McGrath mi ha chiamato mezz’ora fa. Non è esattamente entusiasta all’idea che tu ti butti subito in azione, ma io ho insistito.”

“Sul serio?” chiese lei, sentendosi sollevata e, proprio come aveva detto Bryers, un po’ presuntuosa.

“Se vuoi posso mostrarti il mio registro delle chiamate. Voleva telefonarti per dirtelo di persona, ma gli ho chiesto come favore di lasciare che fossi io a comunicartelo. Credo che sapesse già da ieri che saresti stata coinvolta, ma volevamo essere certi di avere un caso solido.”

“E lo avete?” gli chiese. L’eccitazione iniziò a crescerle dentro.

“Sì. Abbiamo rinvenuto un cadavere in un parco a Strasburg, in Virginia. Somiglia molto ad un cadavere che abbiamo trovato nella stessa zona circa due anni fa.”

“E credi che le due morti siano collegate?”

Lui ignorò la domanda e addentò il sandwich.

“Te ne parlerò per strada. Per ora mangiamo. Goditi questo silenzio finché puoi.”

Lei annuì e piluccò il sandwich, anche se improvvisamente non aveva più tanta fame.

Provava eccitazione, ma anche terrore e tristezza. Qualcuno era stato assassinato.

E sarebbe toccato a lei sistemare le cose.