Mariti Nel Mirino

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Aus der Reihe: Un Mistero di Riley Paige #13
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CAPITOLO OTTO

Nelle prime ore del pomeriggio del giorno seguente, Riley era seduta nell’ufficio del capo della polizia di Atlanta, Elmo Stiles. L’uomo, robusto e burbero, non sembrava affatto felice di quello che gli stava dicendo Riley.

Dopo un po’ di silenzio, ringhiò infine: “Sarò chiaro, Agente Paige. E’ venuta fin qui da Quantico per interrogare privatamente Morgan Farrell, che stiamo tenendo in custodia per l’omicidio di suo marito. Ma non abbiamo chiesto aiuto all’FBI. In effetti, il caso ora è facile da risolvere. Abbiamo una confessione e tutto il resto. Morgan è colpevole, ed è tutto. Perciò, come mai si trova qui?”

Riley provò a mostrarsi sicura.

“Gliel’ho detto prima” rispose. “Ho bisogno di parlarle di una questione completamente separata, un caso diverso.”

Stiles strabuzzò scettico gli occhi e replicò: “ Un caso diverso di cui non può dirmi nulla.”

“Esatto” fu la laconica risposta di Riley.

Era una bugia, naturalmente. Per la millesima volta sin da quando era partita da Washington DC quella mattina, si chiedeva che cosa diavolo pensasse di fare. Era abituata a trasgredire alle regole, ma stava andando ben oltre il lecito, fingendo di essere lì in veste ufficiale per conto dell’FBI.

Allora perché aveva pensato che quella fosse una buona idea?

“E se dicessi di no?” Stiles sbottò.

Riley sapeva benissimo che questa era una prerogativa del capo, e, se avesse detto di no, avrebbe dovuto assecondarlo. Ma non voleva dirlo. Doveva prepararsi a fingere seriamente.

Lei rispose: “Capo Stiles, mi creda, non sarei qui se non fosse una questione dell’estrema importanza ed urgenza. Non ho affatto la libertà di dire di che cosa si tratta.”

Il Capo Stiles tamburellò con le dita sulla scrivania per alcuni istanti.

Poi disse: “La sua reputazione la precede, Agente Paige.”

Riley si sentì piccola dentro.

Questo potrebbe essere un bene o un male, pensò.

Era ben nota e rispettata tra le forze dell’ordine, per il suo grande istinto, la sua capacità di entrare nella mente dei killer, e per il suo metodo nel risolvere casi apparentemente irrisolvibili.

Era anche nota per essere talvolta una seccatura e una persona imprevedibile, e spesso finiva per non essere apprezzata dalle autorità locali che dovevano lavorare con lei.

Non sapeva a quale di quelle reputazioni il Capo Stiles si riferisse.

Avrebbe voluto poter leggere meglio la sua espressione, ma l’uomo aveva uno di quei volti che probabilmente non sembravano mai apprezzare nulla.

Ciò che Riley temeva davvero al momento era la possibilità che Stiles facesse la cosa più logica, prendere il telefono e chiamare Quantico, per avere conferma del fatto che lei si trovasse lì per conto dell’FBI. In quel caso, nessuno avrebbe potuto coprirla e sarebbe finita proprio in un bel guaio.

Beh, non sarebbe la prima volta, pensò.

Infine, il Capo Stiles smise di tamburellare con le dita e si alzò dalla scrivania.

L’uomo brontolò: “Beh, chi sono io per intromettermi negli affari dell’FBI. Andiamo, la accompagno alla cella di Morgan Farrell.”

Soffocando un sospiro di sollievo, Riley si alzò e seguì Stiles fuori dal suo ufficio, lungo i corridoi dell’affollata stazione di polizia,

Si trovò a chiedersi se qualcuno dei poliziotti intorno a lei potesse essere Jared Ruhl, l’agente che l’aveva contattata la sera prima. Ovviamente, non l’avrebbe riconosciuto se lo avesse visto. Ma lui poteva sapere chi era lei?

Riley sperava di no, per il bene di entrambi. Ricordò di avergli detto al telefono della morte di Morgan Farrell …

“Francamente, non sono affari miei.”

Era stata la cosa giusta da dire, e sarebbe stato meglio per Ruhl rimanere convinto che Riley fosse fedele alla sua decisione. Avrebbe potuto passare un brutto quarto d’ora, se il Capo Stiles avesse scoperto che era andato a fare domande fuori dal dipartimento.

Quando Stiles l’accompagnò nell’area di detenzione, Riley rimase quasi assordata dal rumore. Le detenute stavano colpendo le sbarre e litigando ad alta voce tra loro; quando videro Riley passare davanti alle loro celle, cominciarono a inveire anche contro di lei.

Finalmente, Stiles ordinò ad una guardia di aprire la cella occupata da Morgan Farrell, e Riley entrò. La donna era seduta sul letto e fissava il pavimento, apparentemente inconsapevole del fatto che qualcuno fosse arrivato.

Riley rimase scioccata dal suo aspetto. Nei suoi ricordi Morgan era estremamente magra e fragile. Lo sembrava ancora di più in quel momento, con indosso una tuta arancione, che sembrava un po’ troppo grande.

Appariva anche esausta.

L’ultima volta che Riley l’aveva vista, Morgan si era presentata ben truccata, elegante come la modella che era stata prima di sposare Andrew Farrell. Senza un filo di trucco, sembrava incredibilmente esile. Riley pensò che qualcuno che non sapesse nulla di lei avrebbe potuto scambiarla per una senzatetto.

In tono piuttosto gentile, il Capo Stile si rivolse a Morgan: “Signora, c’è una visita per lei. L’Agente Speciale Riley Paige dell’FBI.”

Morgan sollevò lo sguardo verso Riley e la fissò, quasi a chiedersi se stesse sognando.

Il Capo Stiles non attese oltre e si rivolse a Riley: “Mi chiami quando ha finito.”

Stiles lasciò la cella e ordinò alla guardia di chiudere la porta dietro di lui. Riley si guardò intorno, per vedere quale tipo di sorveglianza potesse avere la cella. Non rimase sorpresa nel vedere una telecamera. Sperava che non ci fossero anche degli strumenti audio. L’ultima cosa che voleva al momento era che Stiles o chiunque altro ascoltasse la sua conversazione con Morgan Farrell. Ma, ora che era lì, doveva sfruttare quell’occasione.

Appena Riley sedette sul letto accanto a lei, Morgan continuò a strizzare gli occhi verso Riley, quasi incredula.

Con voce stanca, lei disse: “Agente Paige. Non mi aspettavo di vederla. E’ gentile da parte sua venire a trovarmi, ma, davvero, non era affatto necessario.”

Riley iniziò: “Volevo soltanto …”

La sua voce si bloccò, quando si ritrovò a chiedersi …

Che cosa voglio esattamente?

Aveva davvero idea di che cosa ci facesse lì?

Poi, Riley chiese: “Potrebbe dirmi che cosa è successo?”

Morgan sospirò profondamente.

“Non c’è molto da dire, vero? Ho ucciso mio marito. Mi spiace di averlo fatto, mi creda. Ma ora che è fatta … beh, vorrei davvero tornare a casa adesso.”

Riley restò scioccata dalle sue parole. La donna non comprendeva in quale terribile situazione si trovava?

Non sapeva che in Georgia c'era la pena di morte?

Morgan sembrava non riuscire a tenere la testa alzata. Tremò al suono dell’urlo acuto di una donna, proveniente da una cella vicina.

Riprese: “Pensavo che sarei stata in grado di dormire in carcere. Ma ascolti tutto questo chiasso! Non smette mai, ventiquattr’ore al giorno.”

Riley studiò il volto esausto della donna.

Le chiese: “Non ha dormito molto, non è vero? E da molto tempo, suppongo?”

Morgan scosse il capo, confermando.

“Da ormai due o tre settimane, anche prima di finire qui. Andrew era entrato in uno dei suoi momenti sadici e aveva deciso di non lasciarmi sola e di non farmi dormire, giorno o notte. E’ facile per lui farlo …”

Fece una pausa, apparentemente consapevole del proprio errore, poi aggiunse: “Era facile per lui farlo. Aveva quel genere di metabolismo che posseggono gli uomini potenti. Riusciva a dormire tre o quattro ore ogni giorno. E, ultimamente, trascorreva molto tempo a casa. Perciò, mi perseguitava ovunque, senza lasciarmi alcuna privacy, entrando nella mia camera ad ogni ora, facendomi fare … ogni genere di cose …”

Riley si sentì un po’ nauseata al pensiero di quali “cose” non dette si trattasse. Era sicura che Andrew avesse sessualmente tormentato Morgan.

Morgan scrollò le spalle.

“Alla fine, sono esplosa, direi” concluse. “E l’ho ucciso. Da quello che so, gli ho dato dodici o tredici coltellate.”

“Da quello che sa?” chiese Riley. “Non lo ricorda?”

Morgan emise un lieve lamento di disperazione.

“Dobbiamo parlare di quello che ricordo e di quello che non ricordo? Ho bevuto e preso pillole prima che accadesse, ed è tutto annebbiato. La polizia ha continuato a interrogarmi, finché non ho compreso bene che cos’era accaduto. Se vuole conoscere i dettagli, sono sicura che le lasceranno leggere la mia confessione.”

Riley ebbe uno strano formicolio a quelle parole. Non era ancora certa del motivo.

“Vorrei davvero che me lo dicesse” Riley replicò.

Morgan corrugò il sopracciglio, riflettendo per un momento.

Poi disse: “Penso di aver preso una decisione … dovevo fare qualcosa. Ho atteso che andasse in camera sua quella notte. Anche in quel momento, non potevo sapere se si fosse addormentato. Ho bussato leggermente alla porta, e lui non ha risposto. Ho aperto la porta e ho guardato dentro, e lui era a letto, profondamente addormentato.”

La donna sembrava riflettere.

“Credo di aver cercato qualcosa in giro con cui farlo … ucciderlo, voglio dire. Non ho visto niente. Perciò, immagino di essere andata in cucina e di aver preso quel coltello. Poi, sono tornata di sopra e, beh, immagino di essere impazzita, accoltellandolo, perché ho finito con lo spargere sangue ovunque, anche addosso a me.”

Riley prese nota di quanto spesso avesse ripetuto quella parola …

“Immagino.”

Poi, Morgan emise un sospiro di fastidio.

 

“Ero un vero disastro! Spero che il personale abbia ripulito tutto ormai. Ho provato a farlo io stessa, ma, naturalmente, non sono brava in questo genere di cose neppure in condizioni migliori.”

Poi, Morgan fece un lungo e lento respiro.

“E, poi, l’ho chiamata. E lei ha contattato la polizia. Grazie di averlo fatto per me.”

Infine, sorrise curiosamente a Riley ed aggiunse: “E grazie ancora per essere venuta a trovarmi. E’ stato molto dolce da parte sua. Ancora non capisco il motivo di tutto questo, comunque.”

Riley si sentiva sempre più turbata dalla descrizione e dalle azioni di Morgan.

Qui c’è qualcosa che non va, pensò.

Si prese una pausa, riflettendo un istante per poi chiedere …

“Morgan, che tipo di coltello era?”

Morgan corrugò il sopracciglio.

“Un semplice coltello, immagino” rispose. “Non so molto di utensili da cucina. Penso che la polizia abbia detto che fosse un coltello intagliato. Era lungo e affilato.”

Riley era sempre più perplessa, di fronte a tutte le cose che Morgan non sapeva o di cui non era certa.

Benché fosse da tempo che Riley non cucinava più per la sua famiglia, conosceva bene tutto ciò che era nella sua cucina e l’esatto posto di ogni utensile: ciascuno aveva il suo spazio preciso, specialmente da quando Gabriela lavorava per lei. Il suo stesso coltello intagliato era custodito in un supporto in legno insieme agli altri coltelli affilati.

Riley chiese: “Dove ha trovato il coltello?”

Morgan emise una risata nervosa.

“Non gliel’ho appena detto? In cucina.”

“No, voglio dire dove in cucina?”

Gli occhi di Morgan s’incupirono.

“Perché me lo chiede?” disse con voce gentile ed implorante.

“Non sa dirmelo?” Riley ribatté con gentile insistenza.

Morgan stava cominciando a sembrare stressata adesso.

“Perché mi sta facendo queste domande? Come le ho detto, è tutto nella mia confessione. Può leggerla, se non l’ha ancora fatto. Davvero, Agente Paige, non è gentile da parte sua. E vorrei davvero sapere che cosa ci fa qui. In qualche modo, non penso che sia solo per cortesia.”

La voce di Morgan era scossa da una leggera rabbia. “Ho già dovuto rispondere ad ogni genere di domande, molto più di quanto possa ricordare. Non merito più nulla di tutto questo, e non posso dire che mi piaccia.”

Si raddrizzò e aggiunse: “Ho fatto ciò che doveva essere fatto. Mimi, la moglie che mi ha preceduta, si è suicidata, lo sa. Era su tutti i giornali. E lo stesso ha fatto suo figlio. Le sue altre mogli, non so quante fossero, hanno resistito soffrendo, finché non hanno mostrato su di sé delle rughe, e lui ha deciso che non andavano più bene per essere mostrate, e se ne è sbarazzato. Che tipo di donna accetta questo? Che tipo di donna pensa di meritarlo?”

Poi, con un basso ringhio, aggiunse …

“Non sono quel tipo di donna. E penso che Andrew questo ora lo sappia.”

Infine, il suo volto s’incupì di nuovo per la confusione.

“Questo non mi piace” sussurrò. “Penso che farebbe meglio ad andarsene.”

“Morgan …”

“Ho detto che voglio che se ne vada adesso.”

“Chi è il suo avvocato? E’ stata esaminata da uno psichiatra?”

Morgan quasi gridò: “Dico davvero. Vada via.”

Riley avrebbe voluto fare molte più domande. Ma si rese conto che non sarebbe servito a nulla provarci. Chiamò una guardia, che la fece uscire dalla cella. Poi, tornò davanti all’ufficio del Capo Stiles e guardò all’interno: la porta era aperta.

Stiles alzò gli occhi dai suoi incartamenti, con un’espressione sospettosa.

“Ha scoperto quello che voleva sapere?” chiese a Riley.

Per un momento, Riley non seppe che cosa dire.

Voleva tenersi aperta la possibilità di parlare di nuovo con Morgan.

Fu tentata di rispondere …

“No, e dovrò tornare a parlare ancora.”

Ma questo avrebbe potuto innervosire Stiles, che magari sarebbe arrivato a contattare Quantico dopotutto.

Così, rispose …

“Grazie per la sua collaborazione, signore. Me ne vado.”

Quando si trovò fuori dalla stazione, ripensò alla strana conversazione che aveva appena avuto con Morgan sul coltello e a quanto la donna si fosse messa sulla difensiva a riguardo …

“Perché mi sta facendo queste domande?”

Riley era sicura di una cosa. Morgan non aveva idea di dove fosse conservato il coltello nella cucina. E, se avesse realmente faticato a trovarlo, sarebbe stata in grado di dire a Riley dove fosse.

Ricordò anche ciò che Morgan le aveva detto al telefono …

“Il coltello giace proprio accanto a lui.”

In quel momento, senz’altro Morgan non sapeva da dove fosse venuto.

Lei non è colpevole, Riley comprese, mentre entrava nella sua auto a noleggio.

Ne era istintivamente sicura, anche se Morgan stessa non ci credeva.

E nessun altro avrebbe messo in discussione la sua colpevolezza. Erano tutti felici che la questione fosse stata risolta.

Spettava a Riley rimettere tutto a posto.

CAPITOLO NOVE

Mentre sorseggiava il caffè, Riley si chiese …

Che cosa faccio adesso?

Con la mente affollata di domande, aveva guidato fino ad un fast food, e ordinato un hamburger e del caffè. Aveva trovato un posto in cui sedersi distante dagli altri clienti, in modo da poter riflettere sul da farsi.

Riley era abituata a trasgredire alle regole, e a lavorare in strane circostanze. Ma questa situazione era nuova persino per lei. Si trovava in territorio inesplorato.

Avrebbe voluto chiamare Bill, il suo partner storico. O poterne discutere con Jenn Roston, la giovane agente con cui aveva lavorato a casi recenti. Ma questo avrebbe significato coinvolgerli in una situazione, a cui neanche lei avrebbe dovuto lavorare.

C’era qualcuno con cui parlare sul posto?

Non posso di certo chiedere nulla al Capo Stiles, Riley pensò.

Naturalmente, aveva alcuni contatti, altrove, a cui si rivolgeva talvolta, per risolvere delle situazioni non convenzionali. Uno era Mike Nevins, uno psicologo forense di Washington DC, che lavorava come consulente indipendente su alcuni casi dell’FBI. Riley aveva chiesto l’aiuto di Mike molte volte, inclusi alcuni casi che non aveva esattamente gestito da manuale. L’uomo aveva anche aiutato lei e Bill a superare i loro attacchi di DPTS. Mike era sempre stato discreto, ed era anche un buon amico.

Aprì il suo portatile, indossò gli auricolari, avviò il programma per videochattare e chiamò l’ufficio di Mike. Lui apparve immediatamente sullo schermo: un uomo elegante e raffinato, che indossava camicia e gilè costosi.

“Riley Paige!” Mike salutò, con voce baritonale calma e tranquilla. “Che bello vederti. E’ passato un po’ di tempo. Come posso aiutarti?”

Riley era felice di vedere il suo viso. Tuttavia, si chiese improvvisamente …

Come può aiutarmi?

Che cosa avrebbe dovuto dirgli?

“Mike, che cosa puoi dirmi sulle false confessioni?” gli chiese.

Mike inclinò la testa incuriosito.

“Ecco, potresti essere più specifica?” domandò.

“Non intendo quelle che arrivano da persone subito dopo un omicidio e che confessano per pubblicità. Mi riferisco alle persone che lo fanno perché credono davvero di essere colpevoli.”

“Stai lavorando ad un nuovo caso interessante?”

Riley esitò, e Mike sogghignò.

“Oh Dio” l’uomo esclamò. “Sei di nuovo a briglia sciolta, non è così?”

Riley rise nervosamente.

“Temo di sì, Mike” lei rispose.

“Stai davvero infrangendo la legge stavolta?”

Riley rifletté per un secondo. Rimase sorpresa, quando constatò di non aver infranto alcuna legge, almeno non ancora.

Disse: “No, certamente no.”

Mike sorrise, rassicurato.

“Beh, in tal caso, non vedo perché non dovresti parlarmene. Anche se stai violando le regole dell’FBI, non è affar mio. Non sono il tuo capo, sai. Non posso di certo licenziarti. E non ho alcun desiderio particolare di fare la spia su di te.”

Enormemente sollevata, Riley lo aggiornò sull’intera storia, iniziando dal primo incontro con Morgan Farrell avvenuto a febbraio. Descrisse quanto si fosse sentita sicura, in allora, che la donna subisse violenza dal marito. Infine, raccontò a Mike del suo viaggio ad Atlanta e della conversazione che aveva appena avuto con Morgan.

Dopo aver ascoltato attentamente, Mike chiese: “E sei certa che Morgan sia davvero innocente?”

“Ne ho una forte sensazione” Riley rispose.

Mike sogghignò di nuovo.

“Beh, hai l’istinto più affidabile nel tuo settore. Sono portato a crederti. Eppure … non posso dire di aver mai sentito di una situazione esattamente come questa. E’ piuttosto atipica. Una falsa confessione di solito avviene in modo piuttosto diverso.”

“Come?” fu la domanda di Riley.

Mike rifletté per un momento.

Poi riprese: “Da un lato, Morgan Farrell è sembrata entusiasta di confessare subito, nel momento in cui ti ha contattata, persino prima che la polizia arrivasse. I sospettati di solito rilasciano delle false confessioni dopo essere stati sottoposti a considerevole coercizione e grande stress.”

Riley intuì dove volesse arrivare Mike.

Morgan aveva confessato senza alcuna coercizione.

Mike continuò: “Per esempio, un interrogatorio medio della polizia dura da trenta a sessanta minuti. Per provocare una falsa confessione, i poliziotti in genere devono insistere incessantemente con un sospettato per molto tempo, fino a quattordici ore. Devono annientare la volontà del sospettato. Quest’ultimo confessa solo per farla finita, immaginando di poter sistemare le cose in seguito. Le circostanze non combaciano esattamente nel tuo caso … ad ogni modo …”

Mike fece una pausa per un istante, poi aggiunse: “Hai detto che Morgan si lamentasse perché non le veniva permesso di dormire.”

“Esatto” rispose. “Il marito la tormentava tenendola sveglia. Ha detto che è andata avanti così per due o tre settimane.”

Mike si grattò il mento e disse: “Probabilmente sai che la mancanza di sonno è una comune tecnica di tortura, o, come oggi viene chiamata, ‘interrogatorio potenziato’. Può portare a una terribile confusione, e persino ad allucinazioni. Il soggetto finisce per non avere idea di cosa sia reale o cosa sia immaginario. Dirà tutto ciò che ci si aspetta che dica e può persino crederci. Può persino sentirsi deluso da se stesso, e riesce a liberarsi da questa sensazione solo con una confessione.”

Riley ripensò ad una frase che Morgan aveva detto …

“Vorrei davvero tornare a casa, adesso.”

Per quanto fosse sembrato strano a Riley quella volta, quel commento adesso aveva senso.

Riley disse: “Cioè, stai dicendo che Morgan ha subito delle procedure che spesso sono utilizzate per ottenere una confessione, sebbene non fosse per quello scopo.”

Mike annuì e disse: “Esatto. Le medicine e l’alcol che ha consumato senz’altro si sono aggiunte alla sua confusione. Ha detto che avresti potuto leggere la sua confessione se volevi conoscere l’accaduto. Per rilasciare la confessione, probabilmente ha subito una preparazione da parte dei poliziotti, che non si sono resi conto di farlo. Le hanno fatto raccontare una plausibile serie di eventi. Quando lei l’ha firmata, tutti hanno creduto che fosse vera, inclusa lei.”

Riley ricordò anche Morgan dire …

“La polizia ha continuato a interrogarmi, finché non ho compreso bene che cos’era accaduto.”

Adesso la sua mente stava vacillando.

“Mike, come devo muovermi adesso?” chiese. “Persino Morgan è convinta di essere colpevole. E tutti lo sono. Inoltre, non dovrei nemmeno occuparmene io.”

Mike alzò le spalle.

“Se fossi in te, comincerei a parlare con il suo avvocato. Se è bravo nel suo lavoro, non gli importerà che non stai esattamente giocando secondo le regole. Tutto ciò che gli interesserà è fare il meglio per la sua cliente.”

Riley ringraziò Mike per il suo aiuto e terminò la videochat.

Ricordò quando Morgan si era rifiutata di dire chi fosse il suo avvocato. Beh, non sarebbe stato difficile scoprirlo.

Andò online, e fece una ricerca sull’omicidio di Andrew Farrell. Come immaginava, si era diffusa una ridda di voci, e c’erano numerose ipotesi scandalistiche in merito al perché Morgan fosse impazzita e avesse ucciso il marito. Finora, l’avvocato di Morgan non aveva rilasciato alcuna dichiarazione relativa alla sua cliente.

 

Ma il suo nome era stato diffuso nei notiziari: Chet Morris, un socio dello studio legale Gurney, Dunn e Morris di Atlanta. Riley prese il cellulare e contattò il numero dello studio legale. Quando una receptionist rispose, Riley chiese di parlare con Chet Morris.

“Potrei sapere di che cosa si tratta?” la receptionist chiese.

Per un secondo, Riley non seppe che cosa dire. Dopotutto, non era lì in veste ufficiale per conto dell’FBI.

Ma poi ricordò di quello che Mike aveva detto in merito all’avvocato di Morgan …

“Se è bravo nel suo lavoro, non gli importerà che non stai esattamente giocando secondo le regole.”

Così già apertamente: “Sono l’Agente Riley Paige dell’FBI. Ho delle informazioni urgenti per lui e la sua cliente, Morgan Farrell.”

La receptionist mise Riley in attesa, e alcuni istanti dopo sentì una voce maschile.

“Sono Chet Morris. Come posso aiutarla?”

Riley si presentò di nuovo.

Morris disse con voce piatta: “Oh, sì. Il nome è familiare. La mia cliente le ha telefonato dopo aver ucciso il marito? Credo che fosse lei la persona che ha contattato la polizia per prima.”

Riley disse: “Ho davvero una buona ragione per credere che la sua cliente sia innocente.”

Ci fu silenzio. Per un momento, Riley si chiese se la chiamata fosse stata disconnessa.

Finalmente, Morris disse: “Proprio non capisco che cos’è questa storia, Agente Paige. Sono sicuro che sia consapevole che la mia cliente ha confessato. Proprio grazie alla sua collaborazione, sono certo di poterle evitare la pena di morte.”

Riley era confusa.

Non capisce quello che sto dicendo?

Decise dunque di essere più esplicita.

Disse: “Ho conosciuto Morgan lo scorso febbraio a casa sua, quando il marito era ancora vivo. Allora sospettavo che lui fosse violento con lei, e le ho offerto il mio aiuto se fosse stato necessario. Come lei sa, mi ha telefonato subito dopo che il marito è stato ucciso. Poi, ieri sera ho ricevuto una telefonata da un poliziotto di Atlanta. Preferirei non farne il nome, ma faceva parte della squadra che si è recata sulla scena del crimine. Mi ha detto che non credeva che Morgan avesse ucciso il marito.”

“E gli ha creduto?” Morris chiese.

“Non sapevo che cosa credere. Sono venuta ad Atlanta, sono qui ora. Ho appena fatto visita a Morgan in cella ed ho parlato con lei.”

Morris emise un grugnito di sgomento.

L’avvocato disse: “Agente Paige, avrei davvero preferito che mi avesse contattato prima di farlo. Francamente, non glielo avrei permesso, se lo avessi saputo.”

Riley ebbe un altro lampo di confusione.

Disse: “Signor Morris, non sono sicura che lei capisca. Sono quasi del tutto certa che sia innocente.”

“E’ quello che le ha detto?” Morris chiese.

“No, ma …”

“Allora perché lo pensa?”

Riley era davvero perplessa, adesso. Quella telefonata non stava andando affatto come lei si era aspettata.

Disse: “Ho appena parlato con uno psicologo forense, molto esperto. Ha spiegato tutte le ragioni per cui Morgan potrebbe aver fornito una confessione falsa. Ecco, se soltanto potessi venire nel suo ufficio, potremmo discutere …”

Morris interruppe: “Non penso proprio, Agente Paige. E non apprezzo affatto che molesti la mia cliente, portandole ulteriore confusione. E’ già abbastanza traumatizzata da quello che ha fatto. La ringrazierò se vorrà evitare di immischiarsi nella questione. Se lo farà, non avrò altra scelta che farle rapporto e forse anche muoverle delle accuse.”

Prima che Riley potesse aggiungere altro, Morris terminò la chiamata.

Riley restò a fissare il cellulare, esterrefatta.

Ricordò un’altra frase che Mike aveva detto sull’avvocato di Morgan …

“Tutto ciò che gli importerà è fare il meglio per la propria cliente.”

Ma questo non sembrava affatto vero.

Chet Morris sembrava completamente indifferente alla possibilità che la sua cliente fosse innocente.

Che cosa sta succedendo qui? si chiese.

Tutto quello che sapeva era che le serviva l’aiuto di qualcun altro. Era consapevole di non poter coinvolgere nessuno dei suoi soliti alleati a Quantico. Ma si ricordò di conoscere qualcuno a cui potersi rivolgere in situazioni come questa.

Lo scorso gennaio, quando lavorava ad un caso a Seattle, aveva incontrato un analista tecnico dell’FBI molto intelligente. Da allora, si era dimostrato pronto ad aiutarla più volte e in circostanze in qualche modo non convenzionali.

Lei cercò il numero e lo digitò, e poco dopo sentì la voce roca e profonda di Van Roff.

“Agente Riley Paige, in carne ed ossa. In che guaio stai per mettermi oggi?”

Riley sorrise mentre immaginava il tecnico, sovrappeso e socialmente disadattato, leggere il suo nome sul display del telefono.

“Mi serve il tuo aiuto, Van” gli disse.

“Nulla a che fare con il demonio di cui non farò il nome?”

Riley era stupita. L’unica ricerca che Roff si era rifiutato di fare per lei coinvolgeva un genio del male di nome Shane Hatcher.

“No, è ancora in prigione.”

“Si tratta di qualcosa di legale?”

“Non esattamente, temo.”

Van Roff emise uno sbuffo di approvazione.

“Allora conta su di me” ribatté. “Le cose sono state piuttosto noiose qui di recente.”

Riley lo aggiornò su quanto avvenuto finora. Quando terminò di raccontargli della conversazione con l’avvocato, il tecnico disse: “Aspetta un attimo. Sei sicura di non aver chiamato il pubblico ministero per errore?”

“Sono sicura” Riley rispose.

“Che cos’ha che non va quel tizio?”

“Speravo che potessi aiutarmi a capirlo. Dev’esserci una ragione per cui Chet Morris sta agendo in questo modo.”

Van Roff rimase silenzioso per un istante. Poi Riley sentì le sue dita danzare sulla tastiera.

Infine, disse: “Huh. Questo è interessante.”

“Cos’hai scoperto?” Riley chiese.

“Lo studio legale di Chet Morris, il Gurney, Dunn e Morris … rappresentava Andrew Farrell quando era vivo. Tutti e tre gli avvocati erano i suoi legali. Che cosa ne pensi?”

Riley rimase colpita dalla notizia.

Disse: “Quindi l’avvocato difensore di Morgan Farrell rappresentava lo stesso uomo ucciso. E’ davvero strano.”

Riley sentì le dita di Roff digitare ancora.

Poi, l’uomo disse: “C’è dell’altro. Il procuratore distrettuale di Atlanta, Seth Musil sta seguendo il caso. Anche lui ha lavorato con lo Studio Gurney, Dunn e Morris. Mentre era lì, lavorava anche ai casi per Andrew Farrell. Quindi, il pubblico ministero aveva un intimo rapporto con l’avvocato difensore. Quanto è sospetto tutto questo? Pensi che forse ci sia una sorta di cospirazione?”

Riley rifletté per un momento.

“No, ne dubito” rispose. “Non mi sorprende molto il fatto che Morgan ricorra allo stesso studio legale che usava il marito. Non è affatto una mossa intelligente da parte sua, in ogni caso. Potrebbero esserci numerose ragioni per cui la Gurney, Dunn e Morris voglia archiviare il caso senza fare troppo rumore. Hanno ragione ad essere felici per la confessione di Morgan.”

La sua mente era sconvolta alla sola idea. Il fato di Morgan Farrell giaceva nelle mani di un gruppo di amici di merende del marito. E un misogino come Farrell poteva benissimo essersi sfogato con loro sulle proprie frustrazioni del suo attuale matrimonio. Non erano probabilmente le persone più adatte a difendere Morgan.

Roff riprese: “Sembra che abbiamo a che fare con un grave caso di incompetenza professionale, se non di negligenza.”

“Di certo lo è” Riley intervenne. “Ma la domanda è, che cosa devo fare? Non mi trovo esattamente nella posizione adatta ad aggiustare le cose.”

Roff emise un basso sogghigno.

“Heh. Non lo direi. Limitati a sistemare le cose alla vecchia maniera. Cattura il vero killer. Non hai il permesso? Questo non ti ha mai fermata in passato.”

Riley era contenta. Si era rivolta senz’altro all’uomo giusto per farsi aiutare.

Rifletté per un momento, poi disse: “Van, mi è venuta un’idea …”

Roff interruppe: “Sì, e penso di avere la stessa. Dammi soltanto un minuto.”

Lei lo sentì digitare di nuovo i tasti della tastiera.

Riley sorrise.

Era bello lavorare con qualcuno che era completamente sulla sua stessa lunghezza d’onda.

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