In Cerca di Vendetta

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Aus der Reihe: Un Mistero di Riley Paige #10
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CAPITOLO SEI

Il mattino seguente, Riley osservò Blaine preparare la colazione a base di uova alla Benedict, una spremuta di arance fresche e un ricco caffè nero. Pensò che fare l’amore in modo appassionato non si limitasse agli ex-mariti. E si rese conto che svegliarsi, in tutto confort, con un uomo fosse una novità per lei.

Fu grata per quella mattina, e grata per Gabriela, che le aveva assicurato che si sarebbe occupata di tutto, quando Riley le aveva telefonato la sera precedente. Ma non riusciva a smettere di chiedersi se una relazione come quella potesse sopravvivere, date le varie complicazioni della sua vita.

Riley decise di ignorare quella domanda, e concentrarsi sul pasto delizioso. Ma, mentre mangiavano, notò subito che Blaine sembrava essere altrove con la mente.

“Che cosa c’è?” gli chiese.

Blaine non rispose. I suoi occhi sembravano esprimere disagio.

Fu colta dalla preoccupazione. Quale era il problema?

Era per caso pentito per la notte precedente? Era meno soddisfatto di lei?

“Blaine, che cosa c’è che non va?” Riley chiese, con la voce leggermente tremante.

Dopo una pausa, Blaine disse: “Riley, è solo che non mi sento … al sicuro.”

Riley faticò a comprendere il significato di quelle parole. Tutto il calore e l’affetto che avevano condiviso fin dal loro appuntamento la sera precedente erano improvvisamente spariti? Che cos’era accaduto tra loro che avesse cambiato tutto?

“Io, io non capisco” lei balbettò. “Che cosa vuol dire che non ti senti al sicuro?”

Blaine esitò, per poi rispondere: “Penso di dover comprare una pistola. Per protezione a casa.”

Quelle parole colpirono Riley. Non se l’aspettava affatto.

Ma forse avrei dovuto, pensò.

Era seduta di fronte a lui, dall’altro lato del tavolo, e il suo sguardo cadde su una cicatrice sulla sua guancia destra. Se l’era procurata il novembre precedente, nella stessa casa di Riley, provando a proteggere April e Gabriela da un killer in cerca di vendetta.

Riley ricordò il terribile senso di colpa che aveva provato, vedendo Blaine privo di sensi in un letto d’ospedale, dopo la conclusione della vicenda.

E ora, fu investita di nuovo da quel senso di colpa.

Blaine si sarebbe mai sentito al sicuro con Riley nella sua vita? Avrebbe mai pensato che sua figlia sarebbe stata al sicuro?

Ed era davvero una pistola quello di cui lui aveva bisogno per sentirsi più al sicuro?

Riley scosse la testa.

“Non lo so, Blaine” lei disse. “Non sono una grande sostenitrice dei civili in possesso di armi in casa.”

Non appena quelle parole furono pronunciate, Riley realizzò quanto paternalistiche dovevano essere suonate.

Non riuscì a capire dall’espressione di Blaine se fosse offeso oppure no. Sembrava essere in attesa che lei aggiungesse qualcosa.

Riley consumò il suo caffè, raccogliendo le idee.

Infine riprese: “Sapevi che statisticamente, le armi possedute da civili hanno maggiore possibilità di causare omicidi, suicidi e morti accidentali che quella di difendere? In effetti, i possessori di armi corrono in genere un rischio maggiore di diventare vittime di omicidi, rispetto alle persone che non possiedono armi.”

Blaine annuì.

“Sì, ne sono a conoscenza” disse lui. “Ho svolto qualche ricerca. So anche delle leggi sull’autodifesa in Virginia. E che questo stato approva il possesso di armi.”

Riley inclinò la testa con approvazione.

“A dire il vero, sei già meglio preparato della maggior parte delle persone che decidono di acquistare un’arma. Tuttavia …”

Poi, la donna si bloccò. Era riluttante a dire ciò che aveva in mente.

“Dimmi.” Blaine la incitò.

Riley fece un lungo respiro profondo.

“Blaine, compreresti una pistola se non facessi parte della tua vita?”

“Oh, Riley …”

“Dimmi la verità. Ti prego.”

Blaine restò seduto, col gli occhi fissi sul suo caffè per un momento.

“No, non lo farei” rispose infine.

Riley si allungò dall’altra parte del tavolo e prese la mano di Blaine.

“E’ quello che pensavo. E sono certa che tu possa capire come la cosa mi fa sentire. Ci tengo molto a te, Blaine. E’ terribile sapere che la tua vita è più pericolosa per colpa mia.”

“Lo capisco” Blaine disse. “Ma voglio che tu mi dica la verità su una cosa. E ti prego di non prenderla nel verso sbagliato.”

Riley si preparò silenziosamente per qualsiasi cosa Blaine avesse intenzione di chiederle.

“I tuoi sentimenti sono davvero un buon argomento contro il fatto che voglia comprarmi un’arma? Voglio dire, non è vero che io sia più in pericolo di un cittadino medio, e che pensi che dovrei essere in grado di difendere me e Crystal, e forse persino te?”

Riley alzò leggermente le spalle. Era triste ammetterlo a se stessa, ma Blaine aveva ragione.

Se una pistola lo avesse fatto sentire più sicuro, allora avrebbe dovuto averne una.

Era anche sicura che sarebbe stato perfettamente responsabile, come possessore d’arma.

“OK” lei esclamò. “Finiamo la colazione e andiamo a fare acquisti.”

*

Più tardi, quella stessa mattina, Blaine entrò in un negozio di armi con Riley. In quel medesimo istante, si domandò se stesse per commettere un errore. Il numero di armi tremende, esposte alle pareti e nelle teche di vetro, superava la sua immaginazione. Non aveva mai utilizzato una pistola prima d’ora, ad eccezione di quella ad aria compressa che aveva avuto quando era bambino.

In che cosa mi sto cacciando? si chiese.

Un grosso uomo barbuto, che indossava una camicia a quadri, si spostava tra gli articoli.

“Come posso aiutarvi?” domandò.

Riley rispose: “Stiamo cercando un po’ di protezione per la casa per il mio amico.”

“Dunque, sono certo che ci sia qualcosa qui che faccia al caso vostro” l’uomo replicò.

Blaine si sentì impacciato sotto lo sguardo del venditore. Immaginava che non accadesse tutti i giorni che una bella donna portasse il suo ragazzo lì per aiutarlo a scegliere un’arma.

Non riusciva a fare a meno di sentirsi in imbarazzo. E si sentiva imbarazzato per il sentirsi così. Non aveva mai pensato a se stesso come il tipo d’uomo insicuro della propria mascolinità.

Mentre Blaine provava a uscire dal suo stato di goffaggine, il venditore osservò l’arma che Riley portava al fianco con approvazione.

“Quella Glock Modello 22 che ha lì è una bell’arma, signora” disse. “E’ un membro delle Forze dell’Ordine, vero?”

Riley sorrise e gli mostrò il distintivo.

L’uomo indicò una fila di armi simili in una teca di vetro.

“Ci sono delle Glock laggiù. Sono delle buone scelte, secondo me.”

Riley guardò le pistole, poi guardò Blaine, come per chiedere la sua opinione.

Blaine non fece altro che alzare le spalle ed arrossire. Avrebbe voluto aver dedicato lo stesso tempo che aveva impiegato a fare ricerche su statistiche e leggi in una ricerca sulle armi.

Riley scosse la testa.

“Non sono certa che una semiautomatica sia quello che stiamo cercando” osservò.

L’uomo annuì.

“Sì, sono piuttosto complicate, specialmente per qualcuno che si approccia per la prima volta alle armi. Le cose possono andare male.”

Riley annuì, d’accordo, aggiungendo: “Sì, cose come incepparsi, canne bloccate, doppia carica, mancata emissione.”

L’uomo disse: “Naturalmente, quelli non sono veri problemi per un’esperta agente dell’FBI come lei. Ma per questo principiante, forse, una revolver è più adeguata.”

L’uomo li accompagnò verso una teca di vetro piena di revolver.

Gli occhi di Blaine puntarono alcune pistole con la canna più corta.

Almeno apparivano meno intimidatorie.

“Che cosa ne pensate di quella?” il venditore disse, indicando una pistola.

L’uomo aprì la teca, estrasse l’arma e la porse a Blaine. La pistola sembrava strana nella mano di Blaine. Non riusciva a stabilire se fosse più pesante o più leggera di quanto si aspettasse.

“Una Ruger SP101” l’uomo disse. “Buona forza d’arresto. Niente male come scelta.”

Riley osservò dubbiosa l’arma.

“Credo che stiamo cercando qualcosa con forse una canna di dieci centimetri” disse. “Qualcosa che assorba meglio il rinculo.”

Il venditore annuì di nuovo.

“D’accordo. Credo di avere qualcosa del genere.”

Infilò la mano nella teca, ed estrasse un’altra pistola più grande. La porse a Riley, che la esaminò con approvazione.

“Oh, sì” esclamò lei. “Una Smith e Wesson 686.”

Poi, rivolse un sorriso a Blaine, e gli diede l’arma.

“Che cosa ne pensi?” gli chiese.

Quella pistola più grande sembrava persino più strana nella sua mano, rispetto a quella più piccola. Non riuscì a fare altro che sorridere impacciato a Riley, che ricambiò il sorriso. Lui si rese conto dalla sua espressione che la donna aveva finalmente registrato quanto si sentisse impacciato.

Poi, Riley si rivolse al venditore e disse: “Credo che prenderemo questa. Quando costa?”

Blaine rimase sbalordito dal prezzo dell’arma, ma era certo che Riley sapesse se l’uomo stesse indicando il prezzo giusto.

Fu piuttosto sbalordito di quanto fosse stato facile fare quell’acquisto. Il venditore infine gli chiese due documenti d’identità, e Blaine gli porse la patente e la sua tessera elettorale. Blaine compilò un breve e semplice consenso per un controllo generale, di tipo computerizzato, che durò soltanto un paio di minuti, e a quel punto a Blaine fu consentito di acquistare la sua arma.

“Che tipo di ammonizioni vuole?” l’uomo chiese, mentre cominciava a battere la vendita alla cassa.

Riley disse: “Ci dia una scatola di Federal Premium Low Recoil.”

Alcuni secondi dopo, Blaine era un frastornato proprietario di un’arma.

 

Si limitò a guardare la sua spaventosa pistola, che giaceva sul bancone in una custodia in plastica aperta, coperta da una pellicola protettiva. Blaine ringraziò l’uomo, chiuse la teca e si voltò per andarsene.

“Aspetti un attimo” il venditore disse allegramente. “Vuole provarla?”

L’uomo accompagnò Riley e Blaine attraverso una porta, sul retro del negozio, che si aprì su uno spazio interno da tiro, incredibilmente ampio. Poi, li lasciò da soli. Blaine era contento che nessun altro fosse presente al momento.

Riley indicò la lista di regole alla parete, e Blaine le lesse attentamente. Poi, scosse nervosamente la testa.

“Riley, voglio dirti …”

Riley sommessamente.

“Lo so. Sei un po’ sopraffatto. Te ne parlerò.”

Lo portò ad una delle cabine vuote e gli fece indossare protezione per orecchie ed occhi. Blaine aprì la custodia che conteneva la pistola, prestando attenzione a tenerla puntata verso il basso, ancora prima di impugnarla.

“La carico?” chiese a Riley.

“Non ancora. Faremo prima un po’ di pratica ad arma scarica.”

L’uomo prese la pistola tra le sue mani, e Riley l’aiutò a trovare la posizione appropriata: entrambe le mani sul grilletto dell’arma, ma con le dita lontane dal cilindro, gomiti e ginocchia leggermente piegati, allungato leggermente in avanti. In pochi istanti, Blaine si trovò a puntare la pistola contro una figura vagamente umana su un bersaglio di carta, posto a circa ventidue metri di distanza.

“Ci eserciteremo con la doppia azione, prima” Riley esclamò. “E’ quando non tiri giù il martello con ogni colpo, farai tutto il lavoro con il grilletto. Il che ti farà capire come funziona il grilletto. Abbassa il grilletto regolarmente, poi lascialo andare in modo altrettanto regolare.”

Blaine praticò con l’arma scarica un po’ di volte. Poi, Riley gli mostrò come aprire il cilindro e riempirlo di proiettili.

Blaine mantenne lo stesso atteggiamento di prima. Si preparò, sapendo che la pistola avrebbe avuto un forte rinculo, e mirò attentamente al bersaglio.

Premette il grilletto e sparò.

L’improvvisa rinculo lo sorprese, e la pistola sobbalzò nella sua mano. Abbassò dunque l’arma, e guardò verso il bersaglio. Non vide alcun foro al suo interno. Si chiese brevemente come qualcuno potesse sperare di usare un’arma che rimbalzava così bruscamente.

“Occupiamoci del tuo respiro ora” Riley disse. “Inspira lentamente, mentre prendi la mira, poi respira lentamente, premendo il grilletto, così da sparare esattamente, quando hai completamente esalato. E’ allora che il tuo corpo sarà al massimo immobile.”

Blaine sparò di nuovo. Fu sorpreso di quanto fosse più controllato.

Guardò di nuovo davanti a sé, e vide che aveva almeno colpito il bersaglio di carta stavolta.

Ma mentre si preparava a sparare ancora una volta, un ricordò gli passò per la mente: un flash del peggior momento della sua vita. Un giorno, mentre era ancora il vicino di casa di Riley, aveva sentito un terribile frastuono provenire proprio dalla porta accanto. Si era precipitato a casa di Riley e aveva trovato la porta parzialmente aperta.

Un uomo aveva gettato la figlia di Riley sul pavimento, e la stava aggredendo.

Blaine si era precipitato a spingere via l’aggressore. Ma quest’ultimo era troppo forte perché lui potesse sopraffarlo, e Blaine era stato brutalmente picchiato prima di perdere infine conoscenza.

Era un brutto ricordo, e per un momento, fece riaffiorare in lui un senso di tremenda impotenza.

Ma quella sensazione svanì improvvisamente, mentre sentiva il peso di una pistola tra le sue mani.

Lui respirò e sparò, respirò e sparò, altre quattro volte finché il cilindro non divenne vuoto.

Riley premette un pulsante, e riportò il bersaglio di carta nella cabina.

“Non male per essere la tua prima volta” Riley esclamò.

Infatti, Blaine si accorse che gli ultimi quattro colpi sparati erano almeno finiti all’interno della sagoma umana.

Ma si rese conto che il cuore stava battendo forte, e che era sopraffatto da uno strano miscuglio di sensazioni.

Una di queste era paura.

Ma paura di che cosa?

Potere, Blaine realizzò.

Il senso di potere nelle sue mani era sconcertante, era qualcosa che non aveva mai provato prima.

Si sentiva così bene, che la cosa lo spaventava davvero.

Riley gli mostrò come aprire il cilindro ed estrarre i proiettili vuoti.

“E’ sufficiente per oggi?” lei chiese.

“Neanche per sogno” Blaine disse a perdifiato. “Voglio che m’insegni tutto ciò che c’è da sapere.”

Riley lo guardò sorridente, mentre l’uomo ricaricava l’arma.

Blaine la immaginò sorridergli, mentre lui mirava ad un nuovo bersaglio.

Poi, sentì squillare il cellulare di Riley.

CAPITOLO SETTE

Quando il cellulare di Riley cominciò a squillare, gli ultimi colpi di Blaine le riecheggiavano ancora nelle orecchie. Con riluttanza, tirò fuori il telefono. Aveva sperato di avere una mattina da dedicare esclusivamente a Blaine ma, guardando lo schermo del cellulare, comprese che la sua speranza sarebbe rimasta vana: la chiamata era di Brent Meredith.

Si era sorpresa, accorgendosi di quanto si stesse divertendo a insegnare a Blaine a sparare con la sua nuova pistola. Qualunque cosa Meredith volesse, Riley era sicura che stesse per interrompere la migliore giornata che stava vivendo da molto tempo.

Ma non poteva ignorare la chiamata.

Come al solito, Meredith andò dritto al punto.

“Abbiamo un nuovo caso. Ci serve lei. Quanto le ci vuole per arrivare a Quantico?”

Riley soffocò un sospiro. Con Bill in licenza, Riley aveva sperato di avere ancora tempo, in modo che il dolore causato dalla perdita di Lucy si riducesse.

Non ho molta fortuna, lei pensò.

Era indubbio che avrebbe dovuto a breve lasciare la città. Aveva tempo a sufficienza per correre a casa, salutare tutti e poi cambiarsi i vestiti?

“Le va bene tra un’ora?” Riley chiese.

“Cerchi di fare prima. Ci vediamo nel mio ufficio. E porti la valigia con sé.”

Meredith terminò la telefonata, senza neanche attendere una risposta.

Blaine era lì ad aspettarla. Si tolse la protezione ad occhi e orecchie e chiese: “Qualcosa che ha a che fare col lavoro?”

Riley sospirò ad alta voce.

“Sì, devo andare immediatamente a Quantico.”

Blaine annuì senza lamentarsi, e scaricò l’arma.

“Ti ci accompagno io” le disse.

“No, devo passare a prendere la valigia. Ed è nella mia auto, a casa. Temo che dovrai riportarmi lì. E temo anche di dover andare un po’ di fretta.”

“Nessun problema” Blaine rispose, riponendo cautamente la sua nuova pistola nella custodia.

Riley lo baciò su una guancia.

“A quanto pare, dovrò lasciare la città” lei disse. “Odio doverlo fare. Mi stavo davvero divertendo.”

Blaine sorrise e la baciò anche lui.

“Anch’io mi sono divertito molto” le disse. “Tranquilla. Riprenderemo dove abbiamo interrotto, non appena tornerai.”

Quando lasciarono l’area di tiro ed uscirono dal negozio d’armi, il negoziante li salutò calorosamente.

*

Non appena Blaine la lasciò davanti a casa, Riley entrò per informare tutti della sua partenza imminente. Non aveva tempo per cambiarsi, ma almeno aveva fatto la doccia a casa di Blaine quella mattina.

Si rese conto con sollievo che la sua famiglia sembrava tranquilla, nonostante il suo improvviso cambio di piani.

Si stanno abituando ad andare avanti senza di me, pensò. Non era certa che tale idea le piacesse davvero, ma sapeva che era necessario in una vita come la sua.

Riley controllò che tutto il necessario fosse nella sua auto, e poi guidò fino a Quantico. Giunta alla sede del BAU, si incamminò verso l’ufficio di Brent Meredith. Con sgomento, incontrò Jenn Roston, che si muoveva nella stessa direzione.

Riley e Jenn si guardarono per un istante, poi entrambe accelerarono il passo in silenzio.

Riley si chiese se Jenn si sentisse a disagio quanto lei al momento. Solo il giorno prima, avevano avuto un disagevole incontro, e Riley ancora non sapeva dire se avesse commesso o meno un terribile errore nel dare a Jenn quella chiavetta USB.

Ma probabilmente Jenn non ne era affatto preoccupata, Riley immaginò.

Dopotutto, la giovane agente aveva avuto un asso nella manica da giocare in quell’incontro. Aveva controllato brillantemente la situazione a proprio vantaggio. Riley aveva mai conosciuto qualcuno in grado di manipolarla in quel modo?

Dovette ammettere che la risposta era sì, naturalmente.

Quella persona era Shane Hatcher.

Continuando a camminare, e guardando dritto davanti a sé, la giovane agente disse tranquillamente. “Non ho avuto successo.”

“Come?” Riley chiese, senza fermarsi.

“I dati finanziari sulla chiavetta USB. Hatcher aveva dei fondi in quei conti. Ma il denaro è stato tutto trasferito, ed i conti sono chiusi.”

Riley fece fatica a non rispondere: “Lo so.”

Dopotutto, Hatcher aveva detto tanto il giorno prima, nel suo messaggio minaccioso.

Per un momento, Riley non seppe che cosa dire. Continuò a camminare senza fare alcun commento.

Jenn pensava che Riley le avesse giocato un tiro mancino, dandole un file fasullo?

Alla fine rispose: “Quel file era tutto ciò che avevo. Non ti sto nascondendo altro.”

Jenn non replicò.

Riley avrebbe voluto avere qualcosa da proporre, per essere creduta.

Si trovò a domandarsi se, rendendo disponibili quelle informazioni prima, avrebbe consentito di imprigionare o addirittura uccidere Hatcher.

Quando raggiunsero la porta dell’ufficio di Meredith, entrambe si fermarono.

Riley iniziò ad agitarsi.

Jenn era ovviamente diretta anche lei nell’ufficio di Meredith.

Perché era presente anche a lei a questo incontro? Aveva riferito a Meredith delle informazioni nascoste da Riley?

Ma Jenn rimase semplicemente lì, continuando a non guardarla.

Riley bussò alla porta del capo, e poi entrambe entrarono nella stanza.

Il Capo Meredith era seduto dietro alla sua scrivania e il suo aspetto intimidiva come sempre.

Disse: “Sedetevi.”

Riley e Jenn obbedirono, occupando le sedie di fronte alla scrivania.

Meredith restò in silenzio per un istante.

Poi, aggiunse: “Agente Paige, Agente Roston, vorrei che deste il benvenuto al vostro nuovo partner.”

Riley soffocò un sussulto. Guardò Jenn Roston, i cui occhi castani si erano spalancati alla notizia.

“Sarà meglio che non sia un problema” Meredith riprese. “Il BAU è oberato  di casi al momento. Con l’Agente Jeffreys in licenza e gli altri impegnati, voi lavorerete insieme. Consideratelo un ordine con effetto immediato.”

Riley comprese che il capo aveva ragione. L’unico altro agente con cui avrebbe davvero voluto lavorare era Craig Huang, ma al momento era impegnato a sorvegliare la sua casa.

“D’accordo, signore” Riley si rivolse a Meredith.

Jenn aggiunse: “Sarà un onore per me lavorare con l’Agente Paige, signore.”

Quelle parole sorpresero un po’ Riley. Si chiese infatti, se la giovane fosse proprio sincera.

“Non si ecciti troppo” l’uomo commentò. “Probabilmente, questo caso non sarà troppo impegnativo. Proprio questa mattina, il corpo di un’adolescente è stato trovato sepolto in un terreno coltivato vicino ad Angier, una piccola cittadina dell’Iowa.”

“Omicidio singolo?” Jenn chiese.

“Perché questo è un caso per il BAU?” Riley aggiunse.

Meredith tamburellò con le dita sulla scrivania.

“Immagino che probabilmente non lo sia” l’uomo esclamò. “Ma un’altra ragazza è scomparsa, qualche tempo prima, nella stessa cittadina, e non è ancora stata ritrovata. E’ un posto davvero piccolo, dove questo genere di cose in genere non avviene. La gente del luogo dice che nessuna di quelle ragazze era il tipo che scappava o andava con estranei.”

Riley scosse dubbiosamente la testa.

“Dunque, che cosa fa credere a tutti che sia l’opera di un serial killer?” domandò. “Senza un altro corpo, non è un po’ prematuro?”

Meredith alzò le spalle.

“In effetti, è così che la penso anch’io. Ma il capo della polizia di Angier, Joseph Sinard, è nel panico.”

La fronte di Riley si corrugò al suono di quel nome.

“Sinard” disse. “Dove ho già sentito quel nome?”

Meredith sorrise e disse: “Forse sta pensando all’assistente esecutivo del direttore dell’FBI, Forrest Sinard. Joe Sinard è suo fratello.”

Riley quasi roteò gli occhi. Ora aveva senso. Qualcuno in cima alla piramide alimentare dell’FBI era stato infastidito da un parente che aveva chiesto l’intervento del BAU. Aveva incontrato in passato casi in cui la politica aveva imposto la sua volontà.

 

Meredith aggiunse: “Dovete uscire da qui e scoprire se ci sia davvero un caso di cui occuparsi.”

“E che ne è del mio lavoro al caso Hatcher?” Jenn Roston chiese.

Meredith rispose: “Sono in tanti ad occuparsene al momento: tecnici, inquirenti e altri. Immagino che abbiano accesso a tutte le sue informazioni.”

Jenn annuì.

Poi Meredith aggiunse: “Possono fare a meno di lei per qualche giorno. Sempre che questo caso richieda tanto tempo.”

Riley stava provando davvero un misto di emozioni.

Non sapeva dire se voleva o meno lavorare con Jenn Roston ed inoltre non intendeva perdere tempo su un caso che probabilmente non avrebbe dovuto neppure arrivare al BAU.

Avrebbe preferito continuare ad insegnare a Blaine a sparare.

O fare altre cose con Blaine, pensò, soffocando un sorriso.

“Allora, quando partiamo?” Jenn chiese.

“Il prima possibile” Meredith rispose. “Ho chiesto al Capo Sinard di non spostare il corpo, finché non arriverete lì. Volerete fino a Des Moines, dove gli uomini del Capo Sinard v’incontreranno e vi accompagneranno fino ad Angier. E’ a circa un’ora da Des Moines. Dobbiamo riempire il serbatoio dell’aereo, e prepararlo alla partenza. Nel frattempo, non allontanatevi troppo. Il decollo avverrà in meno di due ore.”

Riley e Jenn lasciarono l’ufficio di Meredith. Riley andò dritta al suo ufficio, si sedette per un momento, guardandosi intorno senza scopo.

Des Moines, pensò.

Ci era stata soltanto qualche volta, ma era lì che sua sorella maggiore, Wendy, viveva. Le due sorelle, che si erano tenute lontane l’una dall’altra per anni, si erano rimesse in contatto il precedente autunno, quando il padre stava morendo. Era stata Wendy, e non Riley, ad essere accanto all’uomo quando era morto.

Pensare a Wendy fece riemergere in lei il senso di colpa, insieme ad altri brutti ricordi. Il padre era stato duro con Wendy, che era scappata di casa quando aveva solo quindici anni. Riley invece ne aveva cinque. Dopo la morte del padre, si erano promesse di tenersi in contatto, ma finora erano riuscite soltanto a videochattare.

Riley sapeva che avrebbe dovuto far visita alla sorella, quando le fosse stato possibile. Ma ovviamente, non subito. Meredith aveva detto che Angier distava un’ora da Des Moines, e che la polizia locale sarebbe andata a prenderle all’aeroporto.

Forse posso andare a trovare Wendy prima di tornare a Quantico, pensò.

Al momento, aveva un po’ di tempo da perdere prima che l’aereo del BAU decollasse.

E c’era un’altra persona che desiderava incontrare.

Era preoccupata per il suo partner storico, Bill Jeffreys. Viveva vicino alla base, ma erano diversi giorni che non lo vedeva. Bill soffriva della sindrome di PTSD, e Riley sapeva, per sua stessa esperienza, quanto era difficile riuscire a riprendersi.

Tirò dunque fuori il cellulare, e digitò un messaggio.

Pensavo di passare per qualche minuto. Sei a casa?

Attese per qualche minuto. Il messaggio risultava “spedito”, ma non era ancora stato letto.

Riley sospirò. Non aveva tempo di aspettare che Bill controllasse i suoi messaggi. Se lei voleva vederlo, prima di partire, doveva passare a casa sua subito, e sperare che ci fosse.

*

Il piccolo appartamento di Bill distava solo pochi minuti dall’edificio del BAU, nella città di Quantico. Quando, parcheggiata l’auto, si incamminò verso l’edificio, fu colpita ancora una volta da quanto quel posto fosse deprimente.

Non c’era nulla di particolarmente sbagliato nel condominio: era un ordinario edificio in mattoni rossi. Ma Riley non poteva fare a meno di ricordare quanto fosse bella la casa in periferia, dove Bill aveva vissuto prima del divorzio. Al confronto, quel posto non aveva alcun fascino, e ora lui ci viveva da solo. Non era una situazione felice per il suo migliore amico.

Riley entrò nell’edificio, e si diresse all’appartamento di Bill, posto al secondo piano. Bussò alla porta e aspettò.

Non ci fu alcuna risposta. Allora, bussò di nuovo e ancora nessuno rispose.

Tirò fuori il cellulare e constatò che il messaggio risultava ancora non letto.

Fu assalita da un senso di preoccupazione. Era successo qualcosa a Bill?

Mise la mano sulla maniglia della porta, e la girò.

Con suo grande sconcerto, la porta, che non era stata chiusa a chiave, si aprì.