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La plebe, parte IV

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CAPITOLO XXVII

Pensatevi qual rimanesse il marchese di Baldissero quando Maurilio gli ebbe rivelato che il possessore dell'altra metà di quella lettera che Nariccia aveva stracciato per servirsi a dare un contrassegno di riconoscimento dell'abbandonato figliuolo della contessina Aurora, era il giovane conosciuto in Torino sotto il nome di dottor Quercia; che quindi quest'esso era il fanciullo smarrito che le circostanze avevano fatto supporre un istante fosse egli stesso, Maurilio.

Il marchese ben sapeva ciò che ignorava l'infermo, tenuto segregato dal mondo fino allora, mercè il delirio, cioè l'arresto degli assassini della cocca e di Quercia come capo dei medesimi. Sperò che un errore eziandio fosse quello che facesse credere e dire al malato sì fatale novella; ricorse ad autorevoli informazioni sul conto del giovane arrestato e ne riportò la certezza della verità delle cose dettegli da Maurilio, ed ebbe tra mano anzi quello squarcio di carta che combaciava compiutamente col mezzo foglio trovato presso Nariccia e ne costituiva la lettera integrale: squarcio che insieme con tutte le altre carte era stato sequestrato presso Gian-Luigi.

In una perplessità straordinaria d'animo e di mente, il marchese non sapeva a che partito appigliarsi, e l'idea glie n'era venuta di aprirsi con Don Venanzio e consultare le ispirazioni di quell'anima santa di vecchio prete, quando egli medesimo, il buon parroco, fece domandare a S. E. il favore di un colloquio.

Egli era entrato nel palazzo già da un quarto d'ora ed era stato nella stanza del giovane infermo dove un vivace discorso aveva avuto luogo fra loro soli. Quella mattina la sua bella fisionomia piena di candore e di benevolenza era turbata da una pena, da una dolorosa mostra di contrarietà. La cagione si era ch'egli era stato testimonio d'un triste fatto che molto lo aveva amareggiato: ed ecco quale.

Già sappiamo come la povera Margherita, la vecchia nutrice di Gian-Luigi che lo amava più della pupilla degli occhi suoi, udito al villaggio l'arresto del suo diletto, e saputo che il parroco ne veniva in città chiamatovi dalla circostanza del male violento ond'era stato assalito Maurilio, aveva voluto ad ogni modo venirne alla capitale ancor essa, e qui la si era citata a comparire innanzi al giudice istruttore come testimonio e subirne gl'interrogatorii.

Questi parevano una gran cosa alla povera vecchia campagnuola, e presentandosi innanzi alla faccia burbera del giudice, la tremava tutta. Avrebbe tremato in ogni modo ed in ogni occasione; ma tremava tanto più ora che trattavasi della sorte del suo caro, e che a quest'esso poco tempo prima aveva dato promessa di fare quello che non aveva mai fatto in vita sua, quello che non avrebbe creduto mai di pur pensare di fare: dire il falso. Le varie circostanze della favola fattale imparare da Gian-Luigi le si ingarbugliavano nella testa con indicibile confusione; e fu assai peggio, quando il giudice le ebbe fatto prestare il solenne giuramento di dire la verità. La s'imbrogliò talmente, parlò con tanto tremore, la si lasciò tirare in tante contraddizioni che il giudice inquirente concepì su di lei i maggiori sospetti. Pure per quella prima volta essa la passò liscia ed uscì da quella stanza di tribunale più morta che viva, ma sciolta.

Ma frattanto avvenne che di tutte le informazioni prese d'altra parte sul conto dell'infanzia di Gian-Luigi nessuna concordasse con quelle della vecchia, la quale tutti asserivano essere andata a prendere all'ospizio il bambino senz'altro amminicolo. Ben poteva la donna aver tenute celate a tutti quelle circostanze che ora rivelava al tribunale intorno all'origine del fanciullo, ma era poco credibile che codesto avesse taciuto eziandio al suo parroco e confessore Don Venanzio, e questi aveva affermato saper nulla di nulla del romanzo raccontato dalla vecchia, ed anzi, interrogato se lo credesse possibile, aveva ingenuamente confessato di no, e che egli aveva la persuasione che il medico del villaggio non aveva mai avuto attinenza di sorta col bambino dell'ospizio, finchè vistolo intelligente e piacevole, quando grandicello, avevalo preso a ben volere e proteggere, che una fiaba credeva pure la novella della vistosa somma che il medico avrebbe ricevuto dall'incognita famiglia e passata a Gian-Luigi, il quale aveva avuto sì nell'eredità del medico un lascito ch'egli si era affrettato a consumare.

Aggiungasi che la Margherita, struggendosi dal desiderio di vedere il suo figliuolo, chiesto inutilmente di poterlo visitare, s'aggirava presso che tutto il giorno nei dintorni della carcere dove lo sapeva rinchiuso, guardando attentamente ogni finestra, ogni sbarra, ogni buco, ogni mattone della muraglia di quel cupo edificio, quasi sperando la faccia di lui le avesse da comparire ad ogni momento o qua o colà, o dovess'ella vedere una via di passaggio da giungere sino a lui, provando se non altro una certa dolcezza a guardare il luogo dov'egli si trovava, ad essergli così il più vicino che le fosse possibile. Ora Barnaba, che di persona e per mezzo di agenti fidati vigilava con tanta cura intorno al prigioniero, ebbe presto contezza di tali diportamenti di questa vecchia, e dell'esser suo, e quando avvenne il tentativo di fuga da lui mandato a vuoto, egli la denunziò al Tribunale come complice. Il giudice istruttore determinò assicurarsi di lei, confonderla come per ispergiura mercè un confronto con Don Venanzio, e procedere contro di lei per falsa testimonianza e per complicità nel tentativo d'evasione del medichino. E così avvenne che la mattina dopo la sventata fuga, mentre Don Venanzio riceveva invito di recarsi fra un'ora al Tribunale, la vecchia, senza tanti complimenti, era mandata a prendere e condurre in sala di custodia da due arcieri.

Il confronto con Don Venanzio fu per la misera donna il peggior tormento che avesse ancora provato mai. Mentire, e mentire innanzi al suo parroco!.. Il suo aspetto, la sua voce, il contegno dicevano ch'ella si faceva uno sforzo a sostenere le menzogne precedentemente fatte. Se Gian-Luigi avesse potuto avere comunicazione con lei, ben le avrebbe risparmiato questa colpa e questo supplizio che a lui diventavano inutili. Egli s'era preparato quel mezzo di difesa soltanto contro i sospetti che cominciavano a sorgere sulle fonti ond'egli si procacciava denaro, e per illudere la famiglia Benda che avesse cercato informazioni fin nel villaggio dov'egli era stato allevato; ma ora in faccia all'evidenza delle prove dei suoi delitti, ond'egli era schiacciato, a che cosa serviva tutto questo? A un bel nulla; tanto che egli, l'accusato, non aveva detto pur una parola di ciò, e rinchiusosi in un assoluto silenzio, non aveva voluto rispondere pur una parola alle mossegli interrogazioni, per quante minaccie o lusinghe glie ne venisser fatte.

Ma la povera Margherita, che ne sapeva ella di tutto ciò? Aveva promesso al suo Giannino di dir così. Credeva salvarlo così facendo, e lo faceva anche colla paura, anche colla certezza di dannarsi l'anima per lo spergiuro.

Ad un punto il buon Don Venanzio, che ebbe pietà delle angoscie di quella infelice, disse:

– Può esser benissimo che tutto ciò ch'essa dice sia vero, ed io non ne abbia mai saputo nulla… Io ho sempre stimato questa donna incapace di affermare, e tanto più con giuramento, una cosa che non sia.

– Bene! disse il giudice istruttore: avete già giurato che quello che dite voi è la verità. Non dovete avere difficoltà di sorta a ripetere questo giuramento adesso in presenza del vostro parroco.

La vecchia tentò schermirsene. Tremava tutta. Guardava intorno spaventata, come per cercare un buco dove nascondersi, o meglio, come timorosa di vedere saltar fuori Satanasso in persona ad acciuffarla. Pronunziare un falso giuramento in faccia al suo pastore! in faccia a quel sant'uomo!.. Ma pure si trattava del suo figliuolo!.. Si fece forza: provò a stento di levar la mano per metterla sul Vangelo, ma non ci valse: il braccio le cadde, un gemito che pareva un singhiozzo uscì dal suo petto dove parve si rompesse qualche cosa, ed ella si lasciò cascare in ginocchio per terra mezzo svenuta, balbettando:

– Non posso, non posso… Mio Dio! non posso.

Il giudice si drizzò con mossa solenne, e con voce e parola più solenni ancora, fece alla meschina prostrata a terra una filippica violenta, in cui, oltre la vendetta divina, minacciò la collera di quella umana da tradursi in manette, carcere, processo e galera.

La infelice gemeva miseramente, la faccia contro terra, annientata, schiacciata sotto il peso della propria colpa e sotto quello più grave ancora del pensiero ch'ella perdeva Gian-Luigi.

Don Venanzio le si fece presso per sollevarla e confortarla di alcune parole.

– La lasci stare: disse severamente il giudice. Questa mostra di pentimento possa essere sincera e disporne l'animo alla rivelazione di tutta la verità. Ella se ne vada, signor parroco; è libero: questa donna dovrà essere trattenuta in carcere.

Il vecchio sacerdote, commosso, addoloratissimo, disse non molte parole in difesa della disgraziata: ma le disse con tanto sentimento e calore, ma la sua canizie, l'aria sua di solenne virtù loro davano tanta efficacia, che il giudice ne fu tocco, e con accento molto più umano e cortese soggiunse:

– Credo a quanto Ella mi dice, reverendo; credo che c'è più ignoranza che malizia in questa poveretta… ed userò per lei i maggiori possibili riguardi. Ma bisogna assolutamente ch'io la esamini ancora di meglio, e la prego a volersi ritirare.

Don Venanzio uscì, non senza inquietudine sulla sorte della Margherita e si pose a passeggiare nella strada innanzi alla porta del tribunale, attendendo il risultamento dell'interrogatorio.

– Alzatevi: disse il giudice alla vecchia.

Margherita gemeva e singhiozzava sempre nella medesima postura; e, sia che non udisse o non avesse forza da ubbidire, non si mosse.

 

– Fate il piacere, soggiunse il giudice, parlando al segretario che era lì per iscrivere il verbale: alzatela voi.

Il segretario venne di mala voglia presso ella giacente, e come quegli a cui non garbava di molto toccare e brancicare i luridi e stracciati panni onde ella era vestita, la scosse bruscamente ad una spalla, dicendole con voce graziosa come era l'atto:

– Or via, alzatevi, su, e non ci fate perder la pazienza.

La vecchia parve non darsene per intesa.

Allora il segretario la prese sotto le ascelle, e con quel garbo che vi potete immaginare, la tirò su, e siccome ella vacillava sulle gambe mal ferme, la gittò a sedere sur una seggiola che era lì presso.

In questo movimento un oggetto pesante cadde per terra, mandando un suono metallico; il segretario lo raccolse e lo porse al giudice: era un rotolo di napoleoni da far la somma di mille lire: quello che Gian-Luigi aveva mandato alla povera donna per mezzo di Don Venanzio. Margherita, da quando lo aveva ricevuto, lo aveva sempre portato con sè, come una memoria del suo diletto: venuta ora a Torino, tanto più lo aveva seco recato nella speranza di potere spendere quella somma in benefizio del suo diletto.

Nel suo precipitare a terra, nell'essere scrollata dal segretario, il rotolino le era uscito del seno ed era caduto sul pavimento.

Ma la vista di quell'oro cambiò del tutto le disposizioni d'animo del giudice cui le parole di Don Venanzio avevano reso piuttosto benigno alla misera vecchierella. Come spiegare il possesso di tal somma presso quella povera donna così stracciata negli abiti e che si sapeva vivere al villaggio elemosinando? Ella, interrogata, non tacque che quell'oro le veniva da Gian-Luigi e fu creduto il prezzo pagatole per la sua falsa testimonianza e per cooperare all'evasione. Margherita fu condotta alle carceri.

Quando ciò seppe Don Venanzio pensò subito ricorrere alla valida protezione del marchese di Baldissero, e giunto al palazzo avrebbe tosto domandato d'essere ammesso alla presenza dell'autorevole personaggio, se un domestico non lo avesse avvisato che Maurilio era molto impaziente di vederlo e già aveva mandato due volte a cercare di lui.

Il parroco, prima di recarsi dal marchese, volle sapere che cosa avesse il giovane malato che dal giorno prima soltanto era tornato in cognizione di sè.

Maurilio quella mattina, come ogni altra dacchè giaceva infermo, era stato visitato dai suoi amici, Romualdo, Selva e Vanardi, i quali molto si rallegrarono trovandolo di nuovo conscio di se stesso, e colla mente non meno vivace, pronta, potente di quello che fosse prima. Benchè il poveretto avesse avuto questo deplorabile miglioramento di tornare alla coscienza di sè, dei suoi dolori, delle sue sciagure, aveva però tuttavia un ardor febbrile negli occhi, un'irrequieta agitazione nelle membra stanche da parergliene rotte e peste, onde bene appariva che per essere cessato il delirio, non era punto sminuito di gran cosa il male. I suoi amici vollero rimanersi in silenzio presso di lui, e gli dissero tacesse egli pure perchè non si stancasse ad udire e parlare; ma egli aveva troppo desiderio di interrogare e di sapere di tal cosa, intorno a cui tutta notte s'era aggirato con tormentosa insistenza il suo pensiero. Voleva che gli amici suoi cercassero di Gian-Luigi, lo conducessero al suo letto quanto più presto fosse possibile; voleva che dalle sue labbra il suo compagno d'infanzia apprendesse la ventura che gli capitava, ventura ch'egli aveva quasi rimorso d'avergli per un poco momentaneamente rubato, e che si assegnava come una specie d'espiazione di tosto comunicargli.

Quando udirono espresso da Maurilio questo desiderio di vedere il dottor Quercia, gli amici si guardarono in viso alquanto imbarazzati, non sapendo se convenisse dire all'infermo la verità o tacerla; ma insistendo egli, nè conoscendo essi quali attinenze corressero fra il loro compagno e il capo della cocca, non credettero ci fosse pericolo, nè inconveniente alcuno a dirgli come stessero le cose in realtà. Narrarono dunque sommariamente e la scoperta del segreto covo di quella banda, che da più tempo era il terrore della città, e l'arresto di Quercia come capo della medesima, e di tutti i principali componenti della scellerata congrega.

Queste novelle, com'è facile immaginarsi, fecero una grandissima impressione in Maurilio. La sua pena, il suo rammarico, il dolersene furono tutti per Gian-Luigi; pensò che se prima fosse stato scoperto il segreto della nascita di lui, avrebbe egli evitato quell'infelice e vergognoso destino; pensò al cordoglio che doveva provarne il marchese, pensò eziandio a Virginia che non avrebbe forse potuto ignorare quello essere suo fratello. Ma poi il pensiero d'una sventura più personale e quindi una più tormentosa ansia lo assalsero. Gli era stato detto che fra i soci di quella banda si contavano ed erano stati presi i più noti e tremendi malfattori; si volse a Selva e domandò se di questo novero era un certo Michele Luponi detto Stracciaferro.

– Sicuro! gli fu risposto: una specie d'animalaccio bruto, forte come un toro, crudele come una tigre. È uno dei più scellerati e dei più terribili. Prima di poter essere preso accoppò una mezza dozzina di guardie. La forca, quel mostro l'ha meritata non una, ma un centinaio di volte.

Maurilio abbandonò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi. Se avesse potuto diventar più scialba la sua faccia di color cadaverico, avrebbe impallidito. Non disse una parola, non fece un atto, ma nei muscoli del viso, intorno alla bocca, avvenne una lieve contrazione che era l'effetto d'uno spasimo interno inesprimibile. Quel mostro era suo padre! Pensò tosto di contar tutto a Don Venanzio, di cercare nelle confidenze a quel sant'uomo un sollievo, nelle ispirazioni di quell'anima onesta un consiglio; epperò, aspettatolo con impazienza, quando il vecchio sacerdote fu venuto, lo accolse colla vivacità d'un desiderio soddisfatto che pareva una speranza, che pareva quasi una gioia, e volle tosto esser solo con lui.

Gli disse ogni cosa. Don Venanzio, esterrefatto, meravigliato, sgomentito da questo fatale garbuglio di casi, impallidito e tremante per emozione, levò le palme al cielo ed esclamò col fervore del credente:

– Oh divina Provvidenza! Oh imperscrutabili vie del Signore! Riconosco la tua mano potente, supremo Iddio! Dio della pietà, ma Dio pure della giustizia! Dio che perdona chi si pente, ma che colpiste cogli effetti della stessa sua opera scellerata il reo. Nariccia abbandonando il fanciullo, creò col suo delitto un assassino, e quest'assassino fu a dargli morte. Un orribil delitto punì un delitto infame. Curviamoci ed adoriamo!..

– Che cosa si deve fare? domandò Maurilio palpitando.

Il vecchio prete nascose fra le mani la sua faccia turbata, e stette un istante in silenzio.

– Pregare che Iddio ci ispiri: disse poi levando al cielo i suoi occhi umidi di pianto. Pregare che Iddio si plachi!.. La giustizia umana è uno stromento anch'essa di quella divina… uno stromento molte volte inefficace od anche fallace, ma conviene rispettarlo e sottoporvisi. Dietro lei c'è la mano onnipossente del Signore dei mondi.

Gli occhi febbrili di Maurilio lampeggiarono più vivamente.

– Mio padre, io voglio vederlo: disse. Voglio conoscere quell'organismo umano imbestialito, in fondo al quale è soffocata o sonnecchia l'anima, soggiogata dagl'istinti della materia. Chi sa che da quello sciagurato letargo io non la possa tuttavia destare! Chi sa che da quella rupe, io non possa, percotendo, sprigionare ancora una scintilla! Da tanti anni ladro ed assassino!.. O cielo! o cielo!.. Ed ebbe pure un'infanzia! Ed ebbe forse desiderio e bisogno di miti affetti e impulsi generosi, ed aspirazioni al bene!.. Li ho pur io, che sono suo figlio… E la sventura gli ha col dolore e coll'ira offuscata la mente; e la società l'ha colle sue crudeli ingiustizie corrotto. Lo so ben io che sono passato per la trafila della miseria!.. Quanti scellerati questa non crea!.. La va a cercarli nelle schiere della plebe e di complicità coll'ignoranza li getta in braccio al vizio, li educa con infame amore al delitto. Miseria! Miseria… Una società che non combatte questo umano flagello con tutti i mezzi che le si possono parare è risponsabile essa stessa del male che nel suo seno si compie… Che cosa ha pei poveri questa moderna accozzaglia d'uomini che noi crediamo regolata da leggi civili? La Chiesa da una parte che loro addita un tardo compenso alle miserie della vita presente in una indefinita felicità quasi impossibile ad arrivarsi in una vita avvenire, il carnefice e il codice penale dall'altra parte che colpiscono troppo spesso alla cieca. Punire! Va benissimo. È forse un diritto che ha la società; ma perchè non si pensa al dovere sacrosanto che le incombe di prevenire? E noi questa la chiamiamo civiltà?.. Verrà un tempo, ed io voglio sperarlo, in cui questa nostra epoca sembrerà ai posteri progrediti altrettanto barbara quanto sembra a noi quella feudale, quella del predominio della forza bruta.

Don Venanzio vedendo l'esaltazione assalire il malato e crescere via via, lo volle interrompere e indurre alla calma: il giovane gli si rivolse con maggiori l'impeto ed il calore.

– E la vostra religione che fa ella in proposito? Nulla che valga, od ascetica inculca un rinunciamento ai beni del mondo, impossibile alla natura umana, fuori che a qualche morbosa eccezione, e che se si propagasse, sarebbe distruttore d'ogni coltura, d'ogni progresso, d'ogni ricchezza, val quanto dire d'ogni società; o complice, benedice ai ricchi e li esime dai loro doveri verso i miseri; o timida, inintelligente soccorritrice di questi ultimi, non sa trovar rimedio che nell'antieconomica virtù dell'elemosina che umilia e fa sottomesso chi la riceve, che si converte in fin dei conti in premio dell'ozio e in incoraggiamento all'impostura…

– Tranquillizzati, non ti affaticare con questi, per ora troppo gravi pensieri, la mente: disse con pietoso accento il parroco. Più tardi potrei teco discorrere anche di ciò, dirizzare colle deboli forze della mia intelligenza le storte idee che tu hai in proposito, mostrarti quanto conferirebbe al miglioramento sociale la nostra santa religione, se fosse ben intesa ed applicata da tutti… Ma ora non è occasione opportuna da ciò. Sta in quiete…

– In quiete! disse l'infelice sobbalzando in letto sotto un evidente ripigliare della sua febbre. Com'è possibile? Mio padre è un assassino… E sta per essere condannato a morte… Ha ucciso e lo uccideranno, lui… Sempre la legge del taglione!.. Il sangue ch'egli ha sparso ed il suo che spargeranno devono ricadere su di me… Già lo sento… Già mi piomba addosso l'eredità del delitto e dell'infamia.

Si diede ad agitarsi nel letto con moti convulsi; il prete spaventato corse alla porta per domandare i domestici venissero in suo soccorso a contenere lo spasimante; ma una gentile, pietosa apparizione si mostrò ai suoi occhi. Era Virginia che veniva ella medesima a saper novelle del malato. Aveva appreso che questi non era suo fratello, ma la pietà del suo cuore non consentiva ch'ella per ciò di botto cessasse dall'interessarsi e sentì compassione per lui. L'amore medesimo, quasi complemento delle egregie facoltà di quell'anima eletta, l'amore che la fanciulla aveva in cuore la rendeva ancora più facile ed inchinevole ai generosi sentimenti, alle pietose ispirazioni, al desiderio di recar bene a chi più potesse. Le disordinate parole dal misero a lei dette parecchi giorni prima, quando la sua infermità lo aveva assalito, ella aveva perdonate, aveva attribuite al delirio soltanto, aveva quasi del tutto obliate. Udito la buona novella che dalla sera innanzi Maurilio era tornato in possesso della sua cognizione, ella veniva a rallegrarsene, a fargliene coraggio con una sua parola, colla sua presenza, prova irrefragabile d'un generoso interessamento. Quella stessa mattina inoltre ella aveva compita l'opera pietosa di visitarlo, verso un altro infermo, Francesco Benda, e riferirò fra poco i modi, e le circostanze, e gli effetti di quella sua visita alla disgraziata famiglia, della quale sarà questa appunto un'occasione per dire le novelle; ed all'anima sua così squisitamente dilicata parve un dovere quella medesima pietà che l'amore l'aveva spinta ad usare verso Francesco, usarla eziandio verso l'infelice che dolorava sotto il medesimo tetto da lei abitato, le sembrò che così legittimasse quasi quella sua visita all'officina Benda, alla quale aveva dato per pretesto soltanto il desiderio di vedere e confortare l'amica compagna d'educandato e la novella amica, l'infelice Maria.

Quando il vecchio parroco si vide dinanzi la bella persona della nobile donzella, giunse le mani come per pregare, in atto che gli era abituale ogni qual volta una profonda commozione lo possedesse, ed esclamò:

 

– Misericordia! Ho paura che sia da capo col delirio, questo poveretto, e che ci siamo rallegrati troppo presto.

La fanciulla entrò più ratta, come sollecitata da queste parole, e venne risoluta presso il giacente.

All'intelligenza di Maurilio avveniva come al sole in quelle giornate di primavera, in cui le nubi grosse e scure, ma interrotte, passeggiano pel cielo e ad intervalli passano davanti all'astro di splendore e ne offuscano i raggi, spandendo una mesta e cupa oscurità su tutta la natura; e ad un tratto poi ne lasciano giunger libera alla terra la luce, che pare ancor più viva, più brillante, più calda. Egli sentiva a quando a quando salirgli al cervello una vera nube, come un ammasso di vapori sanguigni, che tutta gli ottenebrava la mente; in mezzo a questi vapori scorgeva immagini inesprimibili di cose tanto strane che erano impossibili, forme e sembianze che non appartenevano alla creazione terrena, e gli pareva come se dal fondo di quella tenebra uscisse una granfia che afferrasse la sua ragione nel suo cervello e la tirasse a sè facendola distendersi come un filo sempre più sottile, che non tenesse più che per un picciol capo alle meningi della sua cavità cerebrale, e l'avvolgesse, questo filo, nel labirinto di quelle forme mostruose della notte tanto da perdercelo; poi ad un tratto, la nebbia vaporosa spariva, il filo sfuggiva alla mano misteriosa, che si affondava nell'ombra, e per gioco di elasticità ritornava a raggomitolarsi tutto nella sostanza grigia del suo cervello; la intelligenza lucida, potente, maggiore che nelle condizioni ordinarie della sua vita, brillava al di sopra della pienamente riacquistata coscienza.

La vista della fanciulla parve fare più splendida che mai in Maurilio questa luce d'intelletto. Vide più chiaro, più lontano e più giusto; comprese con ambito più vasto le varie manifestazioni del vero, conobbe meglio in sè e fuori di sè; dietro gli adombramenti delle forme discernè la sostanza; capì la ragione e l'idea degli uomini e dei fatti; giudicò e seppe.

Il suo volto, in cui le grossolane sembianze dell'uomo inferiore della plebe erano pure animate dal tocco divino del Prometeo che è l'ingegno, s'illuminò d'un barlume ineffabile, come brulla montagna del carezzevole raggio rosato dell'aurora; nel suo pallore di cadavere, il fronte parve divenuto fosforescente come diamante impregnato di luce solare, gli occhi ebbero lo sguardo d'aquila del genio, le labbra il sorriso dei beati; la sua bruttezza si trasfigurò in un'espressione di sovrumano idealismo.

Virginia! esclamò egli con voce che aveva essa pure una nuova e straordinaria melodia, che era un grido dell'anima, che pareva la suprema aspirazione d'un morente: con quella voce con cui Goethe all'agonia domandava la luce; poi chiuse gli occhi, volendo sottrarsi alla troppa e troppo acuta dolcezza di quella visione di bellezza divina, volendo fare che dalla retina degli occhi s'imprimesse nell'intima compage del cervello l'immagine di quella testa angelica dall'aureola delle chiome d'oro, tutto leggiadria, benignità e splendore.

– Gran Dio! esclamò la donzella curvandosi sul giacente: egli è svenuto.

Maurilio bevve colle orecchie l'armonia di queste parole, rialzò le ciglia a berne cogli occhi assetati la dolcezza dello sguardo pietoso che cadeva su di lui, come si berrebbe una manna celeste.

– No, diss'egli: ben vorrei esser morto in quest'istante, ma è troppo lieta fortuna perchè mi sia concessa.

Fece scorrere il suo sguardo animato da Virginia a Don Venanzio che lo stavan mirando con interesse.

– Non temete di nulla… Sento, so che ho ancora da compire qualche cosa su questa terra, prima d'abbandonarla… Qualche cosa di ignorato, che non troverà eco nessuna nei rumori del mondo; ma che pure, non sarà forse men grande delle opere famose di glorificati eroi… Far felice alcuno, fare che risplenda a menti offuscate il vero, non è forse opera di missione divina?.. Ed io farò felice voi, o Virginia; ed io devo scioglier dai ceppi delle passioni della materia due anime… Non morirò dunque ancora… Mi rialzerò di qua, non dubitate, per abbandonare questo miserabile ed odiato involucro, allora soltanto, quando avrò compito il mio ufficio… Ah! non sarà questo la superba missione che ho sognato un istante, quando parve il destino volermi porre in mano la potenza… Che importa? Nessuno ha diritto di lamentarsi della sua sorte; perchè, come saprebbe egli a quali precedenti di vite anteriori e d'altri mondi corrisponde la sua attuale esistenza?.. Se io non sarò passato disutile affatto; se le mie sofferenze avranno portato per frutto una sola ombra di vantaggio, un sol momento di bene ad un mio simile, sarò pago abbastanza, sarà spiegata abbastanza anche alla corta vista del mio scontento egoismo, la ragione di questa breve vicenda nella mia vita immortale.

Parlava calmo, pacato, lento; ma con una vibrazione contenuta di voce che rivelava un'energia interiore, con una certa solennità che imponeva, quasi come un'autorevolezza. Virginia sentiva la sua compassione far luogo ad un sentimento poco meno che di deferenza e di rispetto; Don Venanzio insieme alla tenerezza ed all'ammirazione che gl'ispiravano i concetti del suo pupillo, provava un sentimento di dolore, perchè comprendeva che in quella superiorità morale ed intellettiva più chiaramente manifestantesi, in quella profetica rassegnazione, era l'effetto della mano della morte che già aveva tocco quell'organismo, che lasciava penetrare a quello spirito incarnato un guizzo della luce stessa dell'infinito.

Maurilio si rivolse al domestico, che stava appiè del letto ad aspettare gli ordini, e gli disse con accento di dolce preghiera:

– Fatemi il piacere, tiratemi un pocolino più in su.

Il servitore lo prese sotto alle braccia e lo sollevò alquanto; in questo movimento uno dei guanciali andò per traverso, e quando il giacente fece per abbandonar di nuovo sovr'esso il suo capo fu la mano di Virginia che sollecita e lieve raddrizzò il cuscino; e in quell'atto cortese la fine, liscia, profumata pelle della mano di lei incontrò e toccò la fronte ardente del giovane. Un lieve sussulto scosse a lui le membra, uno sguardo d'ineffabile dolcezza, di supremo diletto ringraziò la pietosa fanciulla.

– Don Venanzio, diss'egli poi, il marchese può aver bisogno di lei, ed ella ha pur bisogno di parlare al marchese.

– È vero, rispose il parroco, che in quel momento si ricordò eziandio della povera Margherita.

– Non indugi adunque di più.

Il prete si mosse per uscire, Virginia accennò volerlo seguitare.

– Un istante: disse vivacemente Maurilio e con accento di caldissima preghiera. Vorrei dirle due parole, Virginia.

Ella si fermò senza esitazione, non esprimendo nè cogli atti, nè cogli sguardi, nè in modo nessuno il menomo dubbio o diffidenza.

– Eccomi: disse con semplicità, tornando ad accostarsi all'infermo.

Il domestico s'era ritirato in fondo alla camera e stava colà come se quello non fosse fatto suo. Maurilio, abbassando la voce in modo che il suono delle parole giungesse solamente all'orecchio della donzella, così prese a dire:

– Ella mi ha da perdonare gli atti e le parole che ora mi ricordo aver usati con lei, l'altro dì quando primamente mi fu tolta la volontà dalla mano della follia.

– Le ho tutto perdonato: disse dolcemente Virginia a cui quel discorso rincresceva, e che stimava doverlo interrompere anche in vantaggio del malato. Non se ne preoccupi dell'altro, e non parliamone più.