Kostenlos

La plebe, parte III

Text
0
Kritiken
iOSAndroidWindows Phone
Wohin soll der Link zur App geschickt werden?
Schließen Sie dieses Fenster erst, wenn Sie den Code auf Ihrem Mobilgerät eingegeben haben
Erneut versuchenLink gesendet

Auf Wunsch des Urheberrechtsinhabers steht dieses Buch nicht als Datei zum Download zur Verfügung.

Sie können es jedoch in unseren mobilen Anwendungen (auch ohne Verbindung zum Internet) und online auf der LitRes-Website lesen.

Als gelesen kennzeichnen
Schriftart:Kleiner AaGrößer Aa

– E dunque, Lei sa s'egli è vero che l'avvocatino, come lo chiamano laggiù alla fabbrica, sia stato arrestato? E perchè poi? Si dice che c'entra la prepotenza d'un gran signore col quale ieri sera ebbe un battibecco alla festa da ballo… Ma guardiamo un po' se questa è ragione per arrestarlo… ed anche i suoi amici!.. Io era così impaziente, così fuori della grazia di Dio, per codesto, che volevo correre con questo tempaccio fin colaggiù alla fabbrica ad udire un po' che cos'era stato, a rischio anche d'avere un rabbuffo con quello scontroso di mio marito, il più insopportabile uomo di questo mondo… e d'ogni mondo possibile…

Maurilio stava per offendere la brava portinaia, mandandola con ira ai centomila diavoli, ma Don Venanzio intromise colla sua solita dolcezza, col suo sorriso tutto bontà, la sua mite parola.

– Noi non sappiamo nulla di preciso, mia cara signora Ghita; ma certo v'è ogni ragione di credere che, come per Maurilio, così anche per gli altri, l'autorità avrà riconosciuto il suo errore e si affretterà a ripararlo. Errare è una cosa che succede a tutti, anche a chi comanda, perchè da nessuno si può pretendere che sia infallibile, ma quando lo sbaglio si corregge, allora non c'è più nulla da dire.

E con quel suo simpatico e benigno sorriso, spinse gentilmente da una parte la portinaia, e per l'apertura che rimase, s'affrettarono egli e Maurilio a guizzare.

Un quarto d'ora non era trascorso, ed ecco presentarsi alla vista delle comari, sempre ancora intente a chiaccherare, l'allegra figura di Giovanni Selva. E' se ne veniva col suo abituale piglio di buon umore, canterellando un'aria di teatro, un sigaro acceso in bocca, come uomo che se ne torna da una passeggiatina dopo un buon asciolvere. Come già intorno a Maurilio, la portinaia colle sue compagne assaltarono al passaggio il secondo venuto.

Selva, rimasto solo nel carcere, e non osando mai più sperare una sì pronta liberazione, non era senza inquietudine di ciò che in quel momento accadesse al compagno da cui lo avevano separato, di ciò che avesse poi da toccare a lui medesimo. Per fortuna la sua ansiosa aspettazione non fu di lunga durata. Come già erano venuti a prender Maurilio, così accadde di lui, e nella medesima guisa fu egli condotto innanzi alla faccia fieramente burbera del signor Commissario.

Il modo con cui questi accolse il giovane era tale da far agghiacciare il sangue nelle vene a qualunque che non avesse la calma, la risoluzione e la coraggiosa noncuranza di Giovanni. A costui l'intimata da farsi doveva essere ben più aspra e terribile e romoreggiante di severissime minaccie, perchè egli aveva osato ammaccare de' suoi pugni ribelli le brutte faccie dei poliziotti rappresentanti della legittima autorità. Era pur vero che que' malcreati di scherani colla prepotenza codarda del numero e dell'impunità assicurata se n'erano vendicati coi maltrattamenti che sappiamo; ma tuttavia il solenne principio che il suddito deve lasciarsi battere e dir grazie, porgere le spalle al bastone e baciar la mano che lo regge, principio su cui, secondo il signor Tofi, deve fondarsi ogni ben regolata società, codesto principio, dico, era stato gravemente offeso da que' tali scopozzoni somministrati da Giovanni, e bisognava guarentire da ogni ulteriore contusione la santità del principio e il naso degli sgherri. Un tiranno da dramma di arena in giorno di festa, che ha dietro la quinta il carnefice già bello e pronto coi calzoni rossi e la barbaccia finta al mento per comparire al primo olà muggito in voce di basso profondo, non accoglie più ferocemente il primo amoroso cui sta per mandare al patibolo, di quello che fece il Commissario verso il nostro Giovanni. La voce reboante del signor Tofi, dall'alto del suo cravattino duro tuonò come un temporale dalla montagna. Il colpevole che gli stava dinanzi era degno della galera e peggio; a tanto misfatto l'orrore dei buoni si doveva e la mano vindice del carnefice; del 33 avevano ricevuto un'oncia di piombo nella testa pervicace dei birboni di ribelli che appetto a Selva erano agnellini di candore governativo e d'ubbidienza e rispetto all'augusto legittimo Sovrano5. Ma del feroce discorso quanto più inaspettata, tanto gradita fu la conclusione all'orecchio del giovane: ed era che per intanto gli si dava il largo. Giovanni aveva ascoltato tranquillo le invettive e le minaccie del Commissario, come un modesto ascolta i complimenti che gli si fanno, senza chinar punto gli occhi innanzi alle fiere pupille che lucicchiavano sotto la gran tesa del cappellone che il signor Tofi teneva insolentemente piantato in testa; all'annunzio finale della sua libertà restituitagli, il giovane ebbe la forza di continuare nella medesima apparente impassibilità, ma il cuore gli si mise a saltellare allegramente nel petto, e confessò egli stesso di poi che il giuoco dei polmoni nel rifiatare gli divenne di subito più libero e più facile.

Ma le prove di Giovanni non erano ancora finite. Il signor Tofi ebbe la felicissima idea di volergli far giurare, prima di dargli il volo, ch'egli d'or innanzi sarebbe un esemplare di suddito veneratore del trono e dell'altare, rispettoso d'ogni agente del Governo dal primo ministro al cane dell'usciere, dal cappello gallonato del generale alla cassa dell'ultimo tamburo dell'esercito, dalla toga rossa del senatore alle manette dello sgherro.

Giovanni si dimenticò d'essere un avvocato per ricordarsi soltanto che era un uomo schietto a cui ripugnava un falso giuramento anche imposto dalla prepotenza. Non cercò sotterfugi, non ricorse a restrizioni mentali, non addusse sofismi; guardò ben bene in faccia il Commissario e disse francamente ch'egli apparteneva alla setta dei Quaccheri i quali di giuramenti non ne facevano mai nè anco per salvarsi dalla morte.

Il signor Tofi aveva il più stretto dovere di salire in una collera ufficiale, e non ci mancò. Pensò un momento seco stesso se non aveva da rimandare nel carcere questo sedicente quacchero a maturare una più conveniente risoluzione; ma poi non ardì farlo ricordando le parole del conte Barranchi e l'ordine di liberazione venuto direttamente dal Re. Si contentò di fare scrosciar nuove minaccie sul capo del pervicace: che già l'autorità aveva l'occhio aperto su lui e sui suoi pari, e guardasse bene che al primo piccolo motivo di sospetto avesse dato, l'artiglio della polizia l'avrebbe preso di nuovo e per non lasciarlo più così di piano.

Selva salutò rispettosamente, uscendo, i cannoni che allora stavano appostati sotto l'atrio del Palazzo Madama, e confessò che quando si trovò fuori del portone al fioccar della neve che veniva giù fitta fitta, gli parve che quella giornata fosse più bella che una giornata di sole, e fu con un gusto tutto nuovo che accese il suo sigaro da un soldo in presenza dell'imponente facciata del castello in cui aveva sede l'orco della Polizia.

– Cara sora Ghita: disse Giovanni Selva alla portinaia rinfiancata dalla frotta fedele delle sue comari; sì, eccomi restituito alla libertà, agli amici, alla poesia ed a Lei. Come mi hanno arrestato? Colle manaccie di certi arcieri, più sporche della coscienza di un ladro. Perchè? Perchè quei furbi della Polizia, che leggono i pensieri nel cervello di una mosca, si sono immaginato che io ed i miei amici volessimo portar via le statue che stanno sul Palazzo Madama. Visto che le non ci entravano in tasca, hanno capito che eravamo innocenti e ci hanno mandati con Dio, senza darci manco da colazione. Tenga a mente questa esposizione di fatto, e la tramandi pure ai posteri, se la può, chè la storia ne trasmette loro difficilmente di più esatte e fedeli.

Ciò detto, abbracciando scherzosamente la vecchia portinaia, la tirò da parte per aprirsi il varco, e distribuito a manca ed a sinistra alcuni di quei suoi schietti ed allegri sorrisi, corse lesto verso le scale, cui salì a due scalini per volta, seguitando a canterellare allegramente la sua arietta.

Le cose dette da Selva non appagarono così compiutamente la curiosità delle donne che non avessero più materia di chiacchere e d'induzioni da mantenere vivo il colloquio per un'altra buona mezz'ora.

Ed ecco, a capo di questo tempo, presentarsi agli occhi della portinaia una persona la cui presenza era fatta apposta per interessare vivamente la vecchia ciarlona curiosa: il falso operaio della sera innanzi, l'interrogatore astuto ed insinuante, quello sconosciuto cui monna Ghita aveva trovato rassomigliare al fumista di via Santa Teresa, in una parola l'agente di Polizia, Barnaba.

Costui abbiamo visto, uscito dal Palazzo Madama, dopo il colloquio col Commissario, indirizzare i suoi passi verso l'osteria di mastro Pelone. Ciò che colà vi facesse e dicesse questo personaggio è giovevole che sappiamo per comprendere alcuni degli avvenimenti che avremo da narrare.

CAPITOLO VI

Quando Barnaba entrò nell'osteria non vi erano punto avventori; Andrea, Marcaccio e Graffigna n'erano usciti già da un'ora; Pelone stava accoccolato a suo modo dietro il banco in fondo alla bottega; Maddalena, ritta innanzi ad uno specchietto sporco che era appiccato ad un luogo della parete presso la botola da cui si scendeva nelle stanze sotterranee, stava guardandosi con compiacenza ed aggiustandosi un nastro nelle chiome; Meo, mezzo inginocchiato, mezzo seduto presso il braciere, di cui sommuoveva di quando in quando le braci con una paletta di ferro, Meo colla sua aria d'imbecille stava mirando la Maddalena come un gatto mira una polpetta che gli suscita una maledetta voglia, ma cui la paura della cuoca presente gl'impedisce di ghermire.

 

Il bravo mastro Pelone, le ginocchia levate fino a mezzo il curvo petto, le mani sulle ginocchia e il mento sulle mani, gli occhi chiusi e il naso madornale volto a terra, immobile e senza pur mandare uno sbruffo di quella sua tosse cavernosa, avreste detto che dormiva. Il fior di galantuomo invece stava pensando ai casi suoi.

Penetriamo sotto quel cranio color d'avorio ingiallito, coperto da quel berretto sporco, e vediamo che razza di pensieri sobbollano nelle ripiegature di quel cervello.

– La mia condizione non è delle più facili. Sono fra l'incudine e il martello, tenendo per questo e per quello, e corro rischio d'essere picchiato frammezzo a loro. Ho paura di non poter continuare a lungo in questo giuoco di barcamenarmi fra tuttedue; converrà che una volta o l'altra mi getti addirittura e compiutamente, da una parte; ma da qual parte? Eh! la cocca ha pure una gran forza. Ho visto io che ha resistito a tutte le persecuzioni ed a tutte le arti della Polizia; e vi è quel diavolo d'un medichino che ha un talento ed un valore da doverne far caso… Certo se mancasse lui!.. Ma farlo cadere non è mica impresa tanto facile… E poi ci avrei io il mio interesse? Anche tolto lui di mezzo, la cocca esisterebbe; e vi sono certi individui colà dentro che vendicherebbero ad ogni modo ogni danno recato alla Società ed al suo capo… La cocca inoltre mi frutta bene… D'altra parte la Polizia è cosa ancor essa con cui si deve fare i conti; e poi l'è roba di Governo; ed io sono pel Governo… Quel Barnaba è un furbo che mi pare abbia subodorato qualche zinzino del vero… Se la cosa venisse scoperta da altri, e ch'io rimanessi compromesso?.. Sarebbe pur meglio che io allora mi facessi merito presso il Governo, e per virtù di questo merito, salvassi la pancia e le robe!.. Il medichino vuol conoscere di persona Barnaba: s'e' lo conosce, Barnaba è bello e spacciato; Barnaba da lungo tempo viene manovrando per conoscere la realtà dell'esistenza ed anzi le sembianze del medichino: e s'e' lo vede mai, Quercia è fritto… Io posso contentar l'uno o l'altro; e da me dipende la catastrofe… Che cosa ho da fare?.. Se soddisfacessi i desiderii di tutt'e due? Lascierei così che facesse vincere, dei due, quello che vuole la Provvidenza…

Appunto in quella entrava Barnaba, il quale, non ostante la forza ch'egli possedeva su se medesimo e l'abitudine che aveva di padroneggiarsi, era tuttavia sconvolto nelle sembianze pel profondo e vivissimo scotimento che aveva avuto nel suo colloquio col Commissario. Nel venire in quel luogo egli aveva un disegno non ancora ben definito, ma fissato nelle generali, del quale era precipuo elemento il potere trovarsi un momento da solo con quell'imbecille di Meo, su cui aveva fatto alcun fondamento, abile com'egli era a sapersi giovare degl'interessi e delle passioni degli uomini come d'altrettanti stromenti.

Appena entrato, vide che per quel momento la cosa gli era impossibile. La presenza di Pelone e di Maddalena era un ostacolo insuperabile. Non mostrò il menomo disappunto, ed avanzandosi verso il bettoliere gli disse con accento di premura e di conturbamento che niuno, per quanto acuto osservatore, avrebbe potuto dire se sincero e reale:

– Ho bisogno di parlarvi, e subito.

Pelone si alzò lento lento a modo suo, guardando intorno coi suoi occhi semispenti dal fondo delle occhiaie infossate.

A Barnaba era nato in mente di botto un subito e nuovo disegno.

– Parlarmi! pensava l'oste: lo conduco dunque di là. Bell'occasione pel medichino di vedere, come desidera, codestui… Se lo mandassi ad avvertire?.. Ah sarebbe un tradire la promessa che ho fatto e la confidenza che in me fu posta… Mi pronunzierei con ciò addirittura per la cocca ad ogni costo… Eh! ci avrei la Maddalena da mandarvi.

In quella incontrò appunto col suo lo sguardo di Maddalena, la quale aveva negli occhi un lampo, un ammicco d'intelligenza cui Pelone comprese benissimo.

– Quella sgualdrina, figliuola di Satanasso che Dio la benedica, ha avuto la medesima idea… Sono certo che appena saremo entrati nell'altra stanza, essa se ne corre in Cafarnao passando per la bottega di Baciccia. Dovrei impedirglielo?.. Eh sì; come fare? A meno di rinchiuderla… E d'altronde, se glielo impedissi, ella mi denunzierebbe senza fallo al medichino; e allora… povera la mia pelle!.. Uhm! uhm! sarà forse meglio lasciar andare le cose come vogliono andare.

S'accostò col suo passo silenzioso e colla sua tosse profonda a Barnaba, e gli disse quasi in confidenza:

– Sono ai vostri ordini.

Barnaba passò primo nella stanza dell'uscio a vetri colle tendoline rosse, e l'oste lo seguì; ma nell'entrare egli potè vedere colla coda dell'occhio la Maddalena, che sgusciava fuori della porta d'entrata.

– La pettegola ci va davvero! Pensava Pelone: ora sì che mi trovo proprio fra l'incudine e il martello. Bisogna ch'io parli con costui di guisa da non destarne il menomo sospetto, e bisogna che chi mi ascolterà di dietro l'assito non possa arguirne tutto il tenore dei miei rapporti colla Polizia… Basta! Non sono poi così novellino da lasciarmi facilmente intascare.

Ma il discorso che di botto incominciò il suo interlocutore fu tale e così inaspettato per Pelone, che egli non potè a meno di rimanerne tutto sbalordito.

– Sai tu quello che mi capita, vecchio Pelone? Una cosa inaspettata, inaudita, una scelleraggine che non può aver la compagna… Oh va e frustati la vita, beccati il cervello e consuma i tuoi migliori anni e corri ogni maggior pericolo per servire a dovere i potenti ed il Governo… Ecco il bel compenso che te ne danno! Ecco la bella gratitudine che hai da aspettarti!.. Sai tu quel che mi capita, Pelone?

Con un atto che gli era abituale quando voleva fermare più specialmente l'attenzione della persona a cui parlava, strinse il braccio del bettoliere e soggiunse a voce più bassa:

– Io sono mandato via dal servizio senza un nè due, sono cacciato sul lastrico come si caccia fuor della porta a calci un cane che ha il torto di non piacer più ad un malvagio padrone. Che diventi arrabbiato, o crepi di fame, o gli uomini del municipio gli facciano tirar le cuoia col boccone avvelenato. Che importa?.. Io, io stesso, ne sono a quella, Pelone.

Questi non dissimulò punto il grandissimo stupore che gli cagionò un simile discorso di cui non avrebbe mai più sognato avesse da sentir l'uguale.

– Davvero!.. Possibile!.. Voi privato dell'impiego?

– Scacciato come un servo inutile od infedele, ti dico: ripetè Barnaba dando alla sua fisionomia tutte le sembianze d'un'ira e di un dolore che in realtà non aveva da far molto sforzo nè impiegar molta arte per fingere.

Ma in Pelone, che a prima giunta era stato preso dalla sorpresa della meraviglia soltanto, erano ora entrati il sospetto e la diffidenza.

– Uhm! diss'egli fra sè: adagio Biagio; qui c'è qualche tranello…

Tossì per due minuti di seguito affine di non aver da parlare, e intanto fissò ben bene quel suo sguardo affondato nella faccia dell'interlocutore; non potè a niun modo penetrare in costui, al di là di quella sembianza esteriore, maschera o verità che fosse, cui mostrava nell'espressione del viso.

– Ma come!.. Ma perchè successe egli codesto? domandò poscia Pelone quand'ebbe finito di tossire.

– Come? rispose con amarissima ironia il poliziotto. Perchè? Nella più semplice maniera e per la più legittima ragione del mondo. V'è per costà un'illustre cortigiana venuta su dal fango del trivio alla suntuosità d'un appartamento di primo piano, grazie alla corruttela di ricchi e potenti viziosi, fra cui primo un principotto dal cervello di passero e dal cuore di lucertola…

– Oh oh! esclamò scandolezzato Pelone; messer Barnaba, come parlate voi?

E intanto il furbo di bettoliere pensava:

– Questo è un tranello, gli è certo; in guardia. Pelone!

Barnaba da canto suo ficcò lo sguardo entro le affondate occhiaie dell'oste.

– C'è qualcheduno che possa udire le nostre parole qui? domandò egli bruscamente.

– Nessuno, nessuno affatto: rispose l'oste con premura; e mentre il poliziotto girava intorno uno sguardo scrutatore che pareva voler penetrar le muraglie. Pelone soggiungeva fra sè e sè:

– Ci sei tu, carino, che il diavolo possa torcerti il collo, maladetta d'una spia… e basta!

– Se dunque nessuno ci può sentire, lasciami parlare a modo mio, corpo di mille diavoli, chè la bile mi affoga: ripigliava Barnaba. Una sì nera ingratitudine non grida ella vendetta?.. Essi credono di potersi sbarazzare d'un uomo della mia fatta, come d'un babbeo qualunque: e s'ingannano. Darei non so quanto e sarei capace di non so che cosa per farla loro pagare…

Tornò a mettere la destra sul braccio dell'oste.

– Dà un po' retta, Pelone: aggiunse abbassando la voce. Ad un'associazione di individui coraggiosi e senza scrupoli che si vogliano ricattare col fatto loro dei torti che subiscono dalla sorte e dalla società, oh non ti pare che sarebbe un acquisto niente affatto disprezzevole quello d'un uomo come son io?

Pelone tossiva e guardava in terra.

– Non vi capisco: rispose di poi quando il suo compagno si fu taciuto ed ebbe aspettato per un poco la risposta.

Barnaba ricorse allo spediente d'un apologo.

– Ci sono due eserciti che combattono: un capitano, un soldato anche solamente, se vuoi, maltrattato da quelli per cui espone la vita, abbandona le insegne e si reca nel campo nemico ad arrecare in servizio di quelli che furono sin'allora suoi avversari un valore che gli sarà di meglio ricompensato. Quando questo nuovo combattente potesse in realtà giovare di molto alla parte a cui è rifuggito, non avrebbero gran torto coloro ai quali si offrisse, di respingerlo?.. Hai tu capito adesso?

Il bettoliere stette di nuovo un po' di tempo senza rispondere, poscia tentennando il capo ed osando guardare in faccia il suo compagno, disse tranquillamente:

– Io capisco poco. Le cose mi piacciono dette apertamente, senza arzigogoli e avvolgimenti. Se dunque volete ch'io vi possa fare una categorica risposta, abbiate la compiacenza di spiegarvi pianamente, da buon cristiano, senza favole ed esempi.

Il poliziotto che aveva preso e tenuto sino allora un tutto nuovo contegno di famigliarità amichevole, quasi da camerata, ritornò di presente in quello che sempre aveva avuto per l'innanzi verso il bettoliere: un contegno di superiorità autorevole insieme e motteggiante, di superbia e di scherno.

– Cospetto! Non l'avrei mai supposto che fosse così duro il tuo comprendonio. Tu vuoi dunque che io metta, come si suol dire, i punti sopra gl'i?.. Bene! Stammi a sentire. Che tu sei un fior d'onest'uomo, questo si sa. Preso una volta, giovanetto ancora, a rubare con poca prudenza, assaggiasti del carcere; ma codesto fu per te di un meraviglioso profitto. La prudenza ti venne. Comprendesti che colla Polizia era cosa da pazzo l'urtare di fronte. Le diventasti amico e servitore; continuando nelle antiche attinenze coi ladri facesti intanto per essa onestamente la spia.

Pelone mostrava con evidenza di trovarsi in un poco gradevole momento. Dimenava sulla panca su cui erasi seduto, la sua lunga persona dinoccolata; ed un istante il suo sguardo si volse spaventato verso un punto della parete, tutt'intorno coperta sino ad una certa altezza di tavole di legno. Fu un movimento ratto come un baleno, ma pur tuttavia l'occhio esperto ed osservatore di Barnaba che stava intentissimo a scrutare le sembianze del suo compagno, quell'occhio da uccel di rapina lo vide. Scoccò ancor egli, il poliziotto, una guardata verso quella parte. Pelone s'accorse dell'errore a cui s'era lasciato andare, e curvato più giù il suo corpo macilento, ruppe in una tosse più forte, più violenta e di maggior durata del solito. Barnaba lo guardò a tossire in silenzio: quando l'oste ebbe finito riprese con tutta tranquillità il discorso come se non fosse stato in alcun modo interrotto.

– Tu dunque da una parte porgi una mano soccorrevole ai ladri che la sanno unger bene, dall'altra prendi dalla Polizia denaro e tolleranza per certe maccatelle, al prezzo di darle di quando in quando tra mano qualche miserabile che tu vendi.

Un altro accesso di tosse assalì il povero Pelone che si trovava ad un vero supplizio; e anco una volta un intimo impulso più forte di lui gli fece correre lo sguardo a quel certo punto della stanza.

– Cospetto! che razza di tosse maligna che tu hai quest'oggi!

– Ah! la ho sempre pur troppo: rispose con tono dolente e colla sua voce più cavernosa che mai l'oste, i cui sguardi esprimevan insieme spavento e supplicazione; ma oggi la mi tormenta ancora di più. Gli è questo tempo così freddo che mi rovina. Se sapeste quanto soffro! Son di belle notti che dormo punto o poco; e giusto la notte scorsa fu per me una delle più triste…

 

– Mi rincresce tanto: interruppe con beffarda insolenza Barnaba; ma siccome non ci so che fare, lasciami riprendere il nostro discorso.

– Il diavolo che lo strozzi, brutto arnese da forca, diceva fra sè stesso, masticando colle denudate gengive la sua stizza, il bravo bettoliere; che sì che là dietro vi può essere qualcheduno della cocca, che udendo codesto è capace di farmi qualche brutto complimento.

– Or dunque, continuava il poliziotto, io vengo da te, che hai sì buone attinenze dall'una parte e dall'altra, che vai coi santi in chiesa e coi ghiottoni all'osteria…

– Ho capito: disse vivacemente Pelone agitando la testa dall'alto in basso come un bamboccio chinese: ho capito perfettamente ciò che mi volete.

– Benone! Che sì che l'intelligenza ti si è svegliata in buon punto!

– Ma quello che voi volete, è impossibile, perchè nell'apprezzare la mia condotta voi mi calunniate stranamente. Io protesto e riprotesto che con quei tristi arnesi a cui voi fate allusione, non ho relazione di sorta.

– Eh via! vuoi tu pigliarmi per uno sciocco? Sai che da lungo tempo ti conosco.

Pelone fece un movimento.

– Tu dubiti della sincerità delle mie parole, riprese Barnaba con vivacità. Hai ragione. Farei lo stesso anch'io nei panni tuoi; certo dubiteranno ancora più di te quelli a cui comunicherai le mie proposte…

– Ma io non comunicherò nulla a nessuno, interruppe l'oste agitando la mano e il capo in una mossa protestatrice, perchè io non conosco nessuno, perchè io non so nulla di codesti affari.

Barnaba continuò come se la interruzione non avesse avuto luogo.

– Di' loro, a quei cotali, che io sono pronto, quando vogliano, a dar prove tali della mia buona fede, innanzi a cui ogni dubbio ed ogni sospetto deve sparire.

– Vi ripeto…

– Siamo intesi… Ti lascio tempo a pensare alle mie parole, a deciderti e fare la mia commissione… Questa sera sul tardi passerò di qua, come al solito Sarà assai bene per te se mi potrai già fare una risposta; e meglio ancora se quella risposta sarà secondo il mio desiderio…

– Impossibile, impossibile, caro sor Barnaba, perchè proprio, in coscienza, in santa e vera verità io con quella gente non…

– Che se tu non vuoi fare a mio talento in codesto, sappi che non mi mancheranno altri modi per giungere al mio scopo, che so già fin d'ora quali altre strade aprirmi per arrivarci, e che a te la falò pagare ad ogni costo.

– Ma…

– Ora basta… Andiamo di là che ho due parole da dire alla tua Maddalena…

Nella stanzaccia non c'era che Meo, il quale tirava dei sospironi grossi, curvo sopra il braciere.

– E Maddalena? domandò Barnaba. È forse costì sotto?

Meo scosse la testa coll'aria addolorata d'un uomo che ha mal di denti.

– No.

– Dov'è?

– Fuori.

Pelone finse una gran collera.

– Sempre così quella sgualdrina d'una sgualdrina, pettegola, che Dio le mandi un accidente… Appena io ho voltato le spalle, la mi sguscia via per andare a chiaccolare… e far peggio.

Meo trasse un sospiro più forte di tutti i precedenti.

– L'aspetterò un momento: disse Barnaba. Frattanto che aspetto, tu, bel giovane, vai dal tabaccaio e mi compri un paio di sigari; tò un da quattro soldi.

Il giovinastro si alzò a malincuore, prese la moneta ed uscì con evidentissima mala voglia.

Barnaba stette ancora pochi minuti e poi fece l'atto d'un uomo che si ricorda di colpo d'una cosa cui aveva obliato. Guardò il suo oriuolo e disse:

– Per bacco! Non pensavo più che avevo un affare a cui provvedere proprio adesso. Conviene ch'io vada. Parlerò altra volta a Maddalena.

S'avviò all'uscio.

– E Meo coi sigari? domandò Pelone.

– Lo incontrerò per via, e se non l'incontro, mi terrete voi i sigari in disparte e serviranno per un'altra volta.

Quello di mandar Meo in commissione era stato uno spediente immaginato da Barnaba per aver modo di poter dire due parole a quello scimunito senza che le udisse il padrone nè Maddalena, i quali vegliavano con molta cura su di lui. Uscendo dall'osteria prima che Meo fosse rientrato e fermandolo per la strada, Barnaba sarebbe pur finalmente riuscito a ciò per cui dopo il colloquio col Commissario aveva pensato di venire a quella taverna.

Ma mentre egli stava per partirsene, ecco soprarrivare correndo la Maddalena. Entrò coll'impeto d'una bomba, si tolse di capo un fazzolettino con cui aveva riparato le sue chiome dalla neve e si scosse dalle spalle e dalle braccia quella che vi era caduta su.

– Dove sei stata? donde vieni disgraziatella che… Dio ti benedica! le disse Pelone a cui la debolezza dalla voce non consenti di gridare.

– Vengo da fare una commissione, oh bella! rispose la giovane correndo di nuovo innanzi allo specchietto a raggiustarsi i capelli.

– C'è qui il signor Barnaba che ti vuol parlare…

Maddalena s'interruppe nella sua opera d'acconciatura, si volse a mezzo della persona sulle sue anche bene sviluppate e guardando con istupore il poliziotto si mise una mano sul seno per additarsi e disse meravigliata.

– A me?

– Si, Maddalena; e di cose che molto v'interessano e per cui mi sarete riconoscente, ne sono sicuro.

La ragazza fece spalluccie ed allungò il labbro inferiore in una smorfietta che significava:

– Non so a niun modo che cosa possiate dirmi voi che abbia alcun interesse per me.

– Ma ora, continuava Barnaba, non ho più il tempo. Verrò stassera: ed allora vi toglierò per dieci minuti ai vostri soliti adoratori.

Maddalena fece un cenno d'acconsentimento indifferente, e Barnaba uscì.

– Se crede trarmi nelle sue panie quel pocaccorto li; disse la giovane guardando con ischerno dietro il poliziotto che partiva; e' la sbaglia di grosso.

Pelone si fece accosto accosto alla giovane e le disse con voce tanto sommessa che non era più che un soffio:

– Dove sei tu andata cara figliuola?.. (che il diavolo la porti): soggiunse fra le gengive.

Maddalena volse verso il padrone il suo muso impertinente.

– Dove? diss'ella… To': ecco là qualcheduno che ve lo dirà per bene.

L'oste si voltò a quella parte che Maddalena gli additava. L'uscio a vetri dello stanzino s'era socchiuso senza rumore di sorta, e frammezzo alla apertura compariva la faccia da faina di Graffigna che faceva cenno a Pelone andasse a parlargli.

Maddalena era corsa con tutta la possibile velocità alla bottega del Baciccia, e colà aveva domandato la si lasciasse introdursi nel sotterraneo dove aveva roba di gran premura da fare e dire, e dove per quel momento non si poteva penetrare dalla taverna.

Baciccia che conosceva le strette ed intime attinenze che passavano fra costei e il capo della cocca, non fece la menoma difficoltà per lasciarla penetrare dal segretissimo usciuolo nell'andito che sotto il suolo del cortile e le fondamenta delle case conduceva nel cosidetto Cafarnao: e dieci minuti dopo essersi partita dall'osteria, la giovane entrava impetuosa e sollecita nel vasto stanzone che vi ho descritto nella seconda parte del mio racconto.

Colà poco prima di lei era entrato eziandio Andrea il fabbro, il povero marito di Paolina. Ma egli v'era penetrato nel modo seguente:

Uscito dall'ospitale in cui dolorava senza cognizione di sè la misera sua moglie; uscito dall'asilo in cui erano stati accolti i suoi figli sui quali egli aveva pianto e i quali avevano pianto con lui, come se un'eterna separazione dovesse aver luogo fra loro, Andrea aveva raggiunto Marcaccio, risoluto ad ogni cosa; ed animato com'egli era tuttavia dal vino, dal dolore vivissimo, dal furore contro lo spietato Nariccia, facilmente, senza più il menomo riluttare, era stato condotto dal perfido amico là dove li attendeva Graffigna, nella bottega da rigattiere di Baciccia.

– Caro mio, aveva detto Graffigna ad Andrea colla sua voce fessa e il tono dolcereccio, qui conviene prestarsi ad una piccola formalità: quella di lasciarvi bendar gli occhi e camminare così, tenuto per mano, un dieci minuti o un quarto d'ora, che tanto ci vuole ad arrivare all'entrata di quel luogo in cui devo introdurvi. Lo volete?

5Oggi codeste maniere dei graziosi Commissarii di polizia d'un tempo sembreranno favole ed esagerazioni; ma io faccio appello alla memoria di chi ebbe il disavantaggio d'esser giovane prima del 1848, e ognuno di essi son persuaso dirà che io sto ancora al di qua del vero.