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La plebe, parte III

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Il buon amico di Graffigna aveva commentato le parole di costui con un atto silenzioso ma eloquentissimo, levando in su agli occhi degli astanti le due masse nodose che erano i suoi pugni serrati; e innanzi alla figura bestiale e terribile di quel colosso, anche i più ardimentosi s'erano arretrati. Graffigna aveva spartito il bottino fra le sue e le tasche di Stracciaferro.

Codesto era appena finito che una nuova invasione di riottosi precipitavasi con accresciuto rumore sulla misera fabbrica. Erano le altre bande che soprarrivavano e volevano prender parte al saccheggio, alla devastazione. Come accade ad una fiorente campagna su cui s'abbatta ad un tratto una di quelle tremende nuvole di cavallette divoratrici che in pochissimo di tempo la riducono spoglia, nuda e desolata come dal gelo dell'inverno, così in un breve succedersi di minuti avvenne di quella misera officina così ben fornita, ordinata, dalle prospere condizioni pur dianzi. Tutto fu sciupato, tutto distrutto; il torrente irrompitore, colla sua potenza irrefrenabile ed infinita ebbe in un attimo ogni cosa messa a sperpero, portata via, infranta sul suo passaggio: le alte muraglie degli stanzoni vuotati parevano assistere con doloroso stupore a quella ridda infernale, a quella bufera di collera umana che strepitava in mezzo a loro; tutto trasportava frattanto con sè il turbine.

Ma quell'opera riusciva poca e non appagante abbastanza per la suscitata ferocia di quella turba scatenata. Il flagello sociale della rivolta aveva bisogno di ricorrere ad un flagello dato dalle forze della natura per averne collaborazione al suo empio proposito. La medesima idea funesta, come sempre avviene in simili casi, balenò contemporaneamente in più cervelli eccitati, la parola non fu manco pronunziata da labbro nessuno, e la cosa fu fatta in pari tempo da più mani scellerate: il fuoco venne appiccato in varii punti. Graffigna capì sollecito che quando i saccheggiatori non avessero più nulla da sperperare e da rubare negli opificii, si sarebbero gettati ancora mal paghi sull'abitazione del principale, e si affrettò a prendere una determinazione che doveva recargli due vantaggi: fuggire il fuoco che scacciava innanzi a sè gli assalitori, come demone che minaccia afferrare chi lo ha evocato, e giunger primo alla seconda cassa del fabbricante, innanzi che altre mani potessero arrivarla, innanzi che ad impedirgli l'agognato bottino venissero i soccorsi della forza pubblica: raccolse intorno a sè un manipolo dei più fidi e dei più acconci, e con essi accorse alla casa.

Furono arrestati dalla porticina del cortile accuratamente chiusa e solidamente abbarrata.

– Animo, Stracciaferro: disse Graffigna, gettami abbasso quest'uscio.

Il colosso si diede a percuotere nelle imposte con uno dei più grossi di quei martelli di cui si servono a battere il ferro affuocato sull'incudine, martellaccio ond'egli erasi armato, e che maneggiava con tanta facilità con quanta altri farebbe di un bastone.

I poveri assediati, dalle due stanze in cui s'erano rinchiusi, udirono i colpi tremendi e capirono che poco tempo avrebbe potuto resistere l'ostacolo dell'uscio; diffatti di lì a poco le imposte cedevano crocchiando, ed il varco era aperto. Ma in quel punto ecco sopraggiungere dagl'incendiati opifici una nuova frotta accorrente sulle poste di quei primi per prender parte ancor essi al saccheggio della casa. Graffigna che vide un imbarazzo non lieve alle sue mire in questo sorvenire di rinforzi, accorto com'egli era, non tardò a trovarci il rimedio.

– Eh un momento, cari amici che il boia v'impicchi: gridò ai sopravvenuti che tumultuariamente spingendosi tutti insieme verso la non larga apertura dell'uscio scassinato ed infranto facevano tal ressa da impedirsi a vicenda il passo; se facciam così ci schiaccieremo fra noi qui alla porta e non riusciremo a penetrarvi nessuno. C'è un'altra entrata per la scala grande di sotto l'atrio del portone; una parte di voi corra per di là, e dalle due parti verremo più facilmente a capo di renderci padroni della casa.

Il consiglio era buono; e lo resero ancora più efficace alcuni sergozzoni che Stracciaferro distribuì con assoluta imparzialità ai più ostinati che volevano cacciarsi innanzi. La turba maggiore si precipitò sotto l'atrio e salì come un uragano lo scalone; Graffigna co' suoi fidi s'introdusse per la scaletta.

Giunti gli scellerati a quel pianerottolo, in cui abbiamo visto poche notti innanzi Francesco Benda di ritorno dal ballo dell'Accademia filarmonica fermarsi per accendervi il lume, ed incontrarvi sua madre che lo aspettava con inquieta sollecitudine, Graffigna si alzò in punta de' piedi tanto da mettere le sue labbra sottili più vicine all'orecchia di Stracciaferro, e gli fece scivolare nel padiglione auditivo le seguenti parole:

– Due cose preziose da portar via: la cassa e la ragazza… Io m'incarico della prima, tu della seconda… Fatto il colpo, lesti tutti due a gambe… E ci ritroveremo colla nostra preda rispettiva in Cafarnao.

Stracciaferro che aveva già ricevute precedentemente le istruzioni apposite, fece un cenno affermativo; e mentre il suo compagno con Marcaccio soltanto prendeva la direzione del gabinetto di sor Giacomo, gli altri, fra cui anche Andrea, atterrando ad un per uno gli usci si avvicinavano alle stanze in cui erano la misera famiglia e i suoi pochi difensori. Prima che vi giungessero, gli assalitori passati dallo scalone erano penetrati nell'appartamento ancor essi, e le due frotte si univano in una massa sola a dar l'assalto a quel debole uscio che soltanto più separava gl'invasori dalle loro vittime.

E frattanto l'incendio, non combattuto, favoreggiato anzi dall'aspro vento della notte, s'avanzava tremendo verso le rimesse e le scuderie, dalle quali poi avrebbe facilmente potuto arrivare la casa di abitazione.

Quando udirono la stanza precedente a quella in cui si trovavano invasa dal tumulto di quella turba briaca di ferocia, quando i primi colpi furono percossi contro i battenti dell'uscio per atterrare anche questo come avevano fatto degli altri, i cinque uomini che stavano colà, si guardarono in volto più pallidi che un cencio lavato e i più si fecero il segno della croce: erano come infelici condannati a morte che hanno udito l'annunzio dell'ultima ora.

Giacomo accorse sollecito a congiungersi a loro. Aveva abbracciato suo figlio e gli aveva susurrato all'orecchio:

– Tu sei un uomo, tu che hai avuto la temerità d'affrontare la morte per un pregiudizio, lontano dagli occhi de' tuoi genitori, devi avere coraggio in queste brutte emergenze che ci manda il destino. Coraggio adunque e freddezza per te e per quelle poverette lì, che sono tua madre e tua sorella.

– Oh ne ho di coraggio: disse il ferito con quel po' di voce che gli lasciava la grave infermità. Solo mi duole di non poter far nulla in difesa dei miei!..

Giacomo abbracciò eziandio la moglie e la figliuola.

– Voi altre pregate, disse loro.

Bastiano e i capi operai stavano facendo dietro l'uscio una barricata di tutti i mobili della stanza. Il padre di Francesco pose mano ancor egli a questo lavoro che fu in breve compiuto, come si potè meglio. Nessuno aveva armi, e le mani convulse degli aggrediti non istringevano a difesa che poco efficaci arnesi onde s'eran muniti in quel luogo medesimo: le legna che erano destinate ad ardere nel camino, gli alari di questo, il noto randello del portinaio.

Al secondo colpo battuto nell'uscio dalla poderosa mazza di Stracciaferro, la serratura s'infranse, i cardini si staccarono e i battenti sarebbero caduti se dietro di essi non ci fosse stato il serraglio dei mobili accatastati. Il bandito diede un tal urto della sua spalla contro le disgiunte imposte, che fece arretrare d'alquanto la barricata e ne riuscì un'apertura fra i battenti dell'uscio non tale da dar passo ad un uomo, ma sufficiente da lasciare apparire la faccia bestiale del galeotto scelleratamente animata in quel punto dall'ebbrezza dei liquori tracannati e dalla concitazione dell'iniqua opera intrapresa.

Fu tale l'effetto da quella vista prodotto sugli assaliti che tutti sei retrocessero spaventati. Stracciaferro mandò una voce che pareva un ruggito, e passando le sue braccia nerborute traverso l'ottenuta apertura dell'uscio si pose a scuotere colle mani i mobili che facevano barricata, tentando gettarli abbasso e levarli di mezzo.

– A me! a me! gridò Bastiano, che primo di tutti superò quel senso di paurosa sorpresa che aveva loro fatto l'apparire di quel terribile mostaccio; e s'avanzò levando il bastone affine di percuoterne con tutta la sua forza quell'arruffata, orribile, lurida testa che si sporgeva al di sopra della barricata. Ma Giacomo che capì come un atto di sì viva ostilità avrebbe senza manco nessuno distrutto compiutamente ogni ombra di speranza (e ne aveva pur poca) di poter uscir vivi dalle mani di que' forsennati, trattenne il colpo al portiere e gli disse ratto:

– Sta, lascia ch'io parli; vediamo prima se non si può patteggiare con codestoro.

Bastiano abbassò il suo randello, ma crollò il capo e mandò un sospiro che dinotavano la sua poca fiducia nei mezzi pacifici.

Giacomo si rivolse al brutto ceffo di Stracciaferro.

– Gli è alla mia roba che ne volete; ebbene in queste due camere non c'è nulla che pochi mobili. Prendete tutto ciò che si trova nel resto dell'alloggio, ma lasciateci tranquilli qui dentro e vi saremo ancora riconoscenti.

Stracciaferro non rispose che mandando di nuovo quel suo ruggito e dando un nuovo colpo di spalla ai mobili che vacillarono e cedettero; dietro di lui ruggiva pure la frotta che lo seguitava, ed un urto di tutti venne pure a percuotere la debole barricata. I mobili accatastati si rovesciarono, i sei difensori dovettero ritirarsi per non essere offesi dalla loro caduta, il passo fu aperto e in un attimo la stanza fu invasa da una dozzina e più di quella canaglia.

 

– Ah ah! esclamò l'ubbriaco Andrea trovandosi in faccia al suo antico principale, la non mi volle accettar più come operaio nella sua fabbrica?.. Ecco che cosa ho fatto della sua fabbrica io!.. Ecco come vengo a casa sua a trovarlo io!..

Giacomo non rispose parola; il suo sangue freddo per fortuna non l'abbandonò nemmanco in quel terribile frangente; si slanciò d'un balzo alla soglia della camera di suo figlio, gridando ai suoi compagni:

– Qui qui! per amor di Dio!

I suoi difensori, aimè, non erano più che in quattro: uno si era trovato innanzi a quella belva di Stracciaferro e giaceva lungo e disteso per terra col cranio frantumato dal pesante martello che quel mostro maneggiava.

– Lasciateci la vita, lasciateci la vita! si misero a gridare supplicando due dei capi operai, e in questo momento dietro le spalle dei cinque contro cui stavano per precipitarsi gli assassini, comparvero le figure pallidissime di Teresa e Maria supplicanti ancor esse.

Stracciaferro, a quella vista, abbassò il suo martellaccio e trattenne l'impeto de' suoi. Aveva da recare incolume per preda quella giovinetta nel misterioso recesso di Cafarnao, e non voleva che in un tumultuoso irrompere si facesse danno anco a lei.

– Piano! Cheti! gridò colla sua voce rauca, accennando colla mano: intendiamoci. Mettete pure alla ragione gli uomini; le donne nessuno le tocchi; me ne incarico io; chi volesse fare altrimenti avrebbe da aggiustarla meco.

Ciò detto si spinse verso Maria; ributtò Giacomo ed Ambrogio che le stavano dinanzi e tese la sua manaccia a ghermirla. Maria mandò un grido di spavento e fuggì nella camera di suo fratello fin presso il letto di lui: la madre le venne accosto pronta ad ogni cosa per difenderla, ed il galeotto, non potuto trattenere da alcuno, la seguì e già colla mano tesa era per afferrarla vicino al capezzale medesimo del povero Francesco fatto impotente a difenderla.

Ma sopra un'altra persona aveva prodotto un grande effetto la comparsa delle due donne; e questa persona era Andrea. Non ostante i fumi della sua ebbrezza, quando si vide innanzi la faccia di Teresa che tante volte lo aveva soccorso nella miseria, quella di Maria, la quale pochi dì prima ancora era venuta nella squallida di lui soffitta, come angelo consolatore disceso dal cielo, Andrea capì tutta la tristizie dell'opera a cui s'era lasciato indurre. Visto Stracciaferro penetrare nella stanza di Francesco inseguendo la fanciulla, ed egli pure si gettò colà, senza ben saper tuttavia quel che avrebbe fatto. Giacomo e gli altri, investiti e circondati da ogni parte dagli assalitori, non potevano a niun modo venire a difesa delle donne, e disputavano in una lotta disuguale, col coraggio della disperazione, la loro vita agli assassini.

Teresa erasi gettata innanzi a Maria per farle scudo del suo corpo.

– Lasciate stare mia figlia! gridò essa con quel coraggio che ha l'agnella eziandio per difendere i nati suoi.

Stracciaferro la guardò con aria di sprezzosa compassione che ha un mastino per un cagnuolo avanese che gli venga ad abbaiare alle gambe: la prese ad un braccio e la mandò a rotolare lontano. Sarebbe caduta, se non si fosse incontrata in Andrea, che sopraggiungeva e la sostenne.

– Voi, voi qui, Andrea!.. esclamò la desolata madre. Oh difendete mia figlia!

Stracciaferro aveva afferrata Maria, che si dibatteva come un augellino negli artigli d'un falco, mandando strazianti grida ad implorar soccorso.

Francesco trovò tanta forza da potersi levare a seder sul letto, più bianco d'un cadavere, ma gli occhi larghi, fiammeggianti d'indegnazione, i capelli ritti, le labbra frementi. Voleva parlare, ma la voce gli mancava; voleva scendere di letto, ma si sentiva come se avesse legate le membra.

Ad un tratto due mani vigorose afferrarono pel collo il bandito, che già aveva sollevato fra le sue braccia la fanciulla. Stracciaferro volse i suoi occhi pieni di sangue a questo suo assalitore e vide la faccia di Andrea, che gli si era slanciato addosso con tutto il vigore ond'era capace.

– Lascia stare quella signorina: disse Andrea: o t'impicco com'è vero Iddio.

Stracciaferro rispose a suo modo con un ruggito della sua rauca voce, che ora era fatta anche più rauca dalla stretta delle mani che lo serravano al collo; fece come fa il toro addosso a cui saltarono i mastini, il quale con una scossa violenta li slancia lontano da sè, diede un tal sobbalzo colle spalle e colla persona che si liberò dalla presa di Andrea e mentre deponeva a terra la ragazza, pur tenendola tuttavia afferrata ad un braccio colla sua mano sinistra, colla destra scaraventava un pugno tale nel petto del difensore di lei che il marito di Paolina andava indietro barcollando tre o quattro passi e finiva per cadere supino per terra.

L'assassino ghermì di nuovo la fanciulla. Chi avrebbe potuto venir più in soccorso della misera? Il padre e i pochi rimasti fedeli a quella famiglia erano avviluppati dall'onda degli assalitori e stavano per soccombere non ostante gli sforzi sovrumani della loro difesa. La madre di Maria che poteva ella se non piangere, pregare, gridare? E nè grida, nè preghiere, nè lagrime non potevano in modo alcuno commuovere quello scellerato in cui ottuso era fatto tutto quanto ha di dilicato e di soave la natura umana. Teresa si trascinava per terra, afferrata ai panni, alle membra del rapitore di sua figlia, come fa la madre di Polissena nel bel gruppo del Fedi; ma a che cosa valeva egli codesto? E il misero Francesco doveva, impotente, incatenato al suo letto di dolore, assistere a questa scena tremenda! No; non poteva a niun modo restarsene inoperoso. Il sangue che la ferita e i salassi gli avevano lasciato nelle vene ribollì furibondo; una nuova forza venne dall'animo supremamente indignato ad invigorire le sue membra; saltò d'un balzo giù dal letto e corse con impeto contro il rapitore che oramai era giunto alla soglia della camera; ma non potè fare che pochi passi, le forze gli mancarono ad un tratto, sentì come rompersi qualche cosa entro il petto, agitò le braccia, mandò un grido, e cadde lungo disteso, battendo un gran colpo per terra con quel fianco appunto dove era aperta la sua ferita.

La infelice madre udì il tonfo, vide giacere privo di sensi, coll'aspetto di morto suo figlio, e un grido straziante le ruppe dal fondo dell'anima. Che doveva ella fare? A quale delle sue creature consacrarsi. Aimè! Forse ambedue erano perdute per lei… Ma la sua Maria in mano di quell'assassino!.. Oh non poteva abbandonarla finchè una stilla sola di sangue fosse rimasta nelle sue vene. Si riattaccò più tenacemente di prima al rapitore cercando piantare le sue deboli unghie nel risalto dei muscoli di bronzo di quell'uomo.

Maria non riluttava più, non gridava nemmanco, ogni vigore, quasi ogni sentimento era smarrito in lei: la si sentiva come chi è trascinato dalla corrente giù dell'abisso, le pareva dover morire all'istante, il cuore le si stringeva così che non aveva più battito; chiuse gli occhi e fu sul punto di perdere i sensi e la ragione. Pure nell'intimo penetrale del suo essere stava ancora, come istinto di conservazione, un voto, una supplicazione, una speranza. Ah! v'era un uomo al mondo ch'ella sentiva sarebbe stato capace di salvarla, se fosse stato lì presente, un uomo che due giorni prima le aveva detto volerla difendere da ogni pericolo, salvarla ad ogni costo, voler mettere la sua vita per risparmiarle un affanno, una lacrima! Oh! s'egli potesse venire! Ella pregava dal Cielo mentalmente, ma con fervore glie lo mandasse; e l'impossibile speranza di vederlo comparire non era ancora del tutto scancellata dal suo cuore…

Impossibile speranza! Ah no! Il suo rapitore aveva appena tocca col piede la soglia della camera in cui Giacomo e i suoi lottavano ancora, ma vicino ad essere oppressi, che Maria si riscosse tutta, e una nuova forza le venne ad animarla.

– Aiuto! Aiuto! gridò ella, dibattendosi di nuovo tra le braccia di Stracciaferro. A me; a me. Luigi!

Ella aveva sentito avvicinarsi l'uomo che amava: e diffatti tosto dopo, come piovuto dal cielo, coll'impeto d'un arcangelo ministro dello sdegno divino, piombava in mezzo agli assalitori, bello e fiero di collera, terribile ed imponente nell'aspetto, brandendo colla mano destra una corta mazza impiombata, Luigi Quercia che gridava con una voce tremenda di comando e di rampogna:

– Fermi tutti!.. Il primo che si muove, giuro al cielo, che l'ammazzo io di mia mano.

CAPITOLO XXIX

Il medichino, arrivato al galoppo del cavallo della carrozza da nolo, al cocchiere della quale la mancia promessa non aveva lasciato risparmiare sferzate e voce di animazione alla povera bestia, s'era cacciato traverso gli opifici incendiati (chè il portone era ancora chiuso e non si aveva altra via di penetrare colà dentro) non s'era arrestato a contemplare nè a volere arrestare le scene di vandalismo che succedevano, ed era corso alla stanza, ch'egli ben conosceva, del ferito, così da arrivare, come abbiam visto, nel punto in cui l'intravvento d'un salvatore era il più necessario a quella povera famiglia.

La sua presenza e le sue parole negli affigliati della cocca che lo conoscevano, produssero il più subito e il maggiore effetto: ed anco negli altri la voce, il tono, l'aspetto, bastarono per farli stare a tutta prima. Il passaggio traverso le fiamme dell'incendio, la rapidità della sua corsa avevano guasta la eleganza della sua signorile acconciatura, ma questo nuovo disordine dei panni e delle chiome, insieme collo sdegno che ne improntava i lineamenti riusciva a dare alla caratteristica di lui figura una forza ed un'efficacia assai maggiori. La fronte alta, d'un candore quasi splendente, denudato di cappello, intorno alla quale si drizzavano le brune chiome inanellate che parevano mosse da un vento di collera, mostrava nel suo mezzo fra le due sopracciglia, profondamente incavata la ruga abituale dei momenti di furore, di abbandono della sua anima alla foga di qualche tremenda passione; gli occhi erano due fiamme vive; il respiro concitato, mandava un suono profondo fra le labbra semiaperte più rosse che il sangue.

Per un istante tutti quelli che si trovavano in quella stanza stettero immobili, guardando questo nuovo venuto che affermava così superbamente la sua potenza. Stracciaferro depose per terra la fanciulla che portava; ed essa corse a ripararsi al seno della madre, la quale la strinse a sè e la baciò piangendo.

Gian-Luigi fece scorrere intorno il suo sguardo d'aquila. Nel mezzo della stanza giaceva sanguinoso il cadavere dell'uomo ucciso da Stracciaferro; in un angolo s'era trascinato carponi ed ora cercava sollevarsi Tanasio, a cui un colpo ammodo di Bastiano aveva gettato a terra metà i denti e rotta la faccia mandandolo a gambe in aria. Il portinaio l'aveva amarissima con Tanasio perchè lo sapeva uno degli istigatori principali della sommossa, perchè a lui doveva quella certa botta che due giorni prima gli aveva spaccato la testa; e il tristo operaio da parte sua non aveva perdonato a Bastiano il pugno famoso per cui portava ancora livida l'occhiaia; un mutuo rancore li aveva dunque spinti l'uno contro dell'altro ad un certame singolare, come quegli eroi delle battaglie omeriche i quali trascurano ogni altro nemico per misurarsi a vicenda, tratti dalla fama del valore che illustra l'uno e l'altro; e la conseguenza del certame, come ho già detto, era stata poco propizia a Tanasio che aveva, al primo urto, ricevuto di santa ragione il fatto suo.

– Uscite di qua tutti; gridò in tono di comando il medichino, accennando la porta; lo voglio, ve lo impongo.

Stracciaferro che aveva imparato pochi giorni prima quanto fosse poco acconcio partito il resistere ai cenni di quell'uomo, diede per primo l'esempio dell'ubbidienza, e si avviò lentamente per partire, colla mossa e l'aspetto d'un mastino cui la mazza del padrone costringe ad abbandonare una buona preda addentata ed a ritirarsi la coda tra le gambe per paura delle botte. Egli non capiva nulla in questo subitaneo ed inaspettato intervento del medichino; l'impresa era stata da lui proposta, ordinata e concertata: il ratto della ragazza, come episodio della medesima, gli era stato detto doversi eseguire per desiderio e commissione di lui, ed ora ecco che egli medesimo veniva ad interrompere l'opera e ad opporsi a quel fatto che si voleva compiere in suo vantaggio; ma quell'animalaccio d'uomo, nella sua offuscata intelligenza, fatta sempre peggio ottusa dalla più volgare ebbrezza, non si crucciava gran che di capire più o meno le cose. Quell'uomo, oltre l'autorità morale dal consenso dei complici accordatagli e da lui colla sua superiorità acquistata, autorità contro cui la imbestialita natura di Stracciaferro non era la più disposta a piegarsi: quell'uomo, dico, gli si era imposto eziandio coll'autorità materiale della forza; e la belva in forma d'uomo, compiutamente domata, era decisa a sottostargli senza punto ragionare il perchè degli ordini.

 

Gli altri fra i presenti che appartenevano eziandio alla cocca, e quindi conoscevano la persona e l'impero del capo di essa, erano disposti ad ottemperare agli ordini di lui; ma la massima parte di quei rivoltati, estranei a quella scellerata associazione, oppure aderenti alla medesima negli ultimi gradi, senza aver visto mai la misteriosa persona del supremo duce, non si rendevano, e non si volevano render ragione del come questo sconosciuto avesse da venire con tanta audacia a dar loro l'alto-là, ed essi dovessero obbedirgli; onde, passata quella prima impressione che la comparsa, le sembianze, la voce di Gian-Luigi avevano fatta su di loro, visto che gli era un uomo solo ad opporsi alla tumultuosa frotta di tanti, e senza il menomo contrassegno di pubblica autorità, non tardarono a prendere, tutti di tacito accordo, il partito di non dargli retta menomamente, e se l'incauto volesse persistere in quella sua ridicola pretesa di comando, avvolgerlo anche lui nel numero delle vittime, e soffocarlo insieme cogli altri sotto il fiotto della loro sommossa. Con parole ed atti di minaccia, di scherno, di offesa, i riottosi per ciò si serrarono e mossero di nuovo all'assalto anche contro il nuovo venuto. Questi s'era posto risolutamente a lato del signor Benda e dei quattro suoi difensori che ancora rimanevano più o meno offesi dalla corta, ma terribile ed inegual lotta già sostenuta; ed erano di nuovo sei uomini contro una ventina e più di assassini ferocemente eccitati. Quei della cocca, che conoscevano il medichino, rimanevano infra due, non osando certo muovere ad atti ostili contro di lui, rincrescendo loro dover lasciare la preda sul migliore, poco disposti ad ogni modo ad unirsi ai pochi, per farsi ancor essi opprimere dai molti; si ritiravano quindi o parevano disposti a sostenere la parte di spettatori indifferenti nella nuova fase che aveva presa quello sciagurato dramma di violenza e di sangue.

La sorte dei Benda, malgrado l'intervento di Gian-Luigi pareva oramai perduta, perchè contro tanti assalitori qual probabilità di felice successo poteva avere la difesa, per quanto eroica, di sì pochi? Quando la Provvidenza fece loro arrivare un nuovo e più efficace aiuto.

Venne esso annunziato da una mezza dozzina di giovinotti che in quel punto si precipitarono nella stanza, campo di sì disgraziata lotta, i quali si schierarono rattamente dalla parte degli assaliti, gridando nello stesso tempo con quanto ne avevano in gola:

– Coraggio! coraggio! Son qui che arrivano i bersaglieri, i carabinieri e le guardie a fuoco.

A capo di questi giovinetti erano Giovanni Selva e Romualdo, e la schiera componevasi di quei generosi ed imprudenti congiurati, i quali, secondo il primitivo progetto della cospirazione, quella sera medesima dovevano compire nel Teatro Regio un atto così importante della preparata e sognata rivoluzione. Benchè, come abbiamo visto, a quei matti disegni si fosse rinunziato, codestoro, attratti dalla curiosità, erano pur tuttavia intervenuti a quello spettacolo in cui essi avrebbero dovuto compire sì arrischiata e matta parte; e colà perciò avevano udito ancor essi le novelle che vi erano giunte dell'assalto e del saccheggio dato alle officine del sig. Benda, il cui figliuolo, per tanti rispetti in quei giorni degno d'interesse, era ancora loro specialissimo amico e compartecipe delle loro idee e dei propositi. Senza por tempo in mezzo, col generoso slancio che è proprio della gioventù, erano corsi a difesa dell'amico; e venendo verso la fabbrica di galoppo avevano incontrato e sopravanzato i drappelli della forza pubblica, che pure di buon passo si affrettavano verso il luogo del tumulto.

La subita irruzione di codestoro, e più le parole da essi pronunciate, mutarono di nuovo apparenza alla scena. I riottosi tornarono ad arrestarsi, balenarono alquanto, i meno infuocati si diressero solleciti verso la porta d'uscita. Al di sopra del rumore che faceva nel cortile, negli opifizi e nel resto della casa la turba dei saccheggiatori, si udì il suono aspro delle trombe dei bersaglieri che suonavano la carica. Negl'insorti fu un salva chi può generale; si slanciarono nel corridoio che menava alle scale, precipitarono giù di queste, spingendosi, urtandosi, accavallandosi, montando uno sopra gli altri come un gregge di pecore spaventate che vuol fuggire il lupo ond'è inseguito.

Quasi al fondo della scaletta si intopparono in un ostacolo che loro sbarrava il passo. Erano Graffigna e Marcaccio, i quali dopo molti sforzi e molta fatica erano riusciti a staccare dalla parete a cui stava infissa la cassa di ferro, e venivano giù lentamente, portandola non senza disagio. Ma l'onda precipitosa dei fuggitivi superò quell'inciampo. I due ladri furono urtati, avvolti, trascinati, per poco non gettati a terra e calpesti: la cassa cadde loro di sulle spalle, rotolò giù degli scalini, e i fuggenti la saltarono via man mano senza che alcuno tentasse pure fermarsi per raccattarla. Il grido che mandavano parecchi: «Sono qui i bersaglieri,» il suono delle trombe che si avvicinava diedero ragione di questo panico a Graffigna ed a Marcaccio, i quali, con una rabbia da non dirsi, bestemmiando nel più scellerato modo del mondo, dovettero piantar lì la loro preda e non pensarono più che a mettersi in salvo ancor essi: impresa questa che ad uno dei due non doveva riuscire.

Il portone era stato spalancato dai saccheggiatori medesimi, i quali s'erano così aperto il varco ed alla fuga ed al trasporto delle derubate masserizie; per esso entrarono al passo di corsa, la baionetta a capo degli schioppi, i bersaglieri che si diedero alla caccia dei saccheggiatori fin tra le fiamme dell'incendio.

Dietro i bersaglieri arrivavano i carabinieri e le guardie a fuoco, che tosto si accinsero all'opera loro salvatrice ponendo in moto le trombe idrauliche che avevano condotto seco e quelle della fabbrica tuttavia incolumi e non tardava ad arrivare di poi anche un battaglione di linea che coadiuvava i bersaglieri ed i carabinieri nella caccia ai fuggiaschi e le guardie a fuoco nel periglioso lavoro di combattere il terribile incendio.

Nelle camera frattanto, dov'era ricoverata la famiglia Benda, così provvidenzialmente salva nel momento appunto in cui non pareva più possibile uno scampo, succedeva la più tenera e commovente scena del mondo. Teresa e Maria, dopo essersi con passione abbracciate, s'erano gettate al collo del marito e del padre, il quale, tranne alcune contusioni che gli allividivano le carni, non aveva per fortuna altro maggior danno, e con lagrime e rotte parole rendevano grazie a Dio dell'insperato salvamento; Giacomo ringraziava commosso i suoi dipendenti che per lui avevano esposto i loro giorni e de' quali alcuno sanguinava per ricevute ferite, e i giovani accorsi a loro difesa, di cui primo, e agli occhi di quella famiglia più meritevole, il dottor Quercia, al quale anche le donne in mezzo al loro turbamento esprimevano la più viva riconoscenza. La povera Maria sopratutto ebbe pel giovane uno sguardo, che nella sua rapidità di baleno diceva di più e con maggior eloquenza che non avrebbe saputo e potuto dir mai parola nessuna.

Tutto codesto era passato in un attimo, Teresa confusa, aggirata, non aveva ancora avuto il tempo di riaversi, di riacquistare il pieno possesso di sè, della sua ragione, della sua memoria. Ma ad un tratto, appena ebbe abbracciato la figliuola e il marito, vivamente, con forza, impetuosamente, fu ella assalita dal pensiero di suo figlio – di suo figlio che mancava a quell'amplesso – di suo figlio che testè aveva co' suoi occhi veduto essa stessa cadere come corpo morto a terra; mandò un grido, si gittò le mani nei capelli e corse disperatamente, come forsennata, verso il corpo di suo figlio, sul quale precipitò, quasi ella stessa cadesse abbandonata dalla vita. Francesco rimaneva immobile e insensibile a quel posto; la fronte e il viso aveva ghiacci come quelli di un cadavere, gli occhi richiusi; la ferita nel petto eraglisi riaperta e una larga macchia di sangue sgorgatone appariva sul candore della sua camicia. La madre lo prese di sotto le ascelle e fece a sollevarlo; ma la forza ne mancò alle sue braccia tremanti.