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La plebe, parte III

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CAPITOLO XXVI

Il conte Barranchi era fra quelli che avevano accolto con crudele rallegramento la notizia dell'esito del duello fra il marchesino di Baldissero e l'avvocato Benda. Se n'era egli per più ragioni compiaciuto, e perchè, come nobile, godeva del sopravvento avuto in quella contesa da uno della sua casta, sopravvento che a senno di lui e dei pari suoi doveva essere uno smacco di tutta la borghesia, di tutto quel liberalume che, a dispetto della cappa di piombo dell'assolutismo, voleva pure alzare il capo e le spalle; e inoltre perchè ce l'aveva amara contro quell'insolente di borghesuccio che aveva osato rispondergli con sicurezza, ch'egli battezzava per arroganza, quella sera al ballo della Accademia filarmonica, e cui quando egli s'era già data la soddisfazione di farlo arrestare, aveva dovuto con non poco rammarico rilasciar tosto in libertà. Di tutto ciò gli cuoceva come di una grave offesa personale che ne avesse ricevuta, e la palla piantata nel fianco a Francesco da Baldissero fu per lui come lo strumento provvidenziale della sua vendetta.

– Ma bene, ma benone, ma benissimo! aveva egli esclamato al caffè Fiorio gridando forte, fregandosi le mani e guardando intorno a sè con superba baldanza come per dire: «e se vi ha qualcuno cui le mie parole non garbino, si palesi se ci vale!» Se non che Baldissero ha fatto troppo onore a quel rien-du-tout a battersi con lui… Sì, che codesti galletti hanno bisogno di buone lezioni, ma affè mia vale anche meglio che i nostri ufficiali fiacchin loro le costure con quattro piattonate, e se vogliono voltare i denti, crénom! tagliar loro la faccia.

La sua irritazione s'era ancora accresciuta per ciò che il Re, sdegnato contro il marchesino di Baldissero, aveva voluto che subito fosse tradotto agli arresti in cittadella. Certo il conte Barranchi non osava contrastare menomamente ad un ordine di S. M.: ma nell'orecchio di alcuni fidi amici di sua risma era pur giunto a susurrare che quella del Re era una inesplicabile accondiscendenza a ces malheureux di borghesi.

Più tardi quando Tofi medesimo era venuto a riferirgli quel po' di tumulto che era successo nella fabbrica Benda, egli ci aveva trovato argomento eziandio di soddisfazione.

– Ah! ah! aveva esclamato ridendo con una malignità che era la più villana cosa del mondo. Ci ho proprio gusto. Vorrei che quella fabbrica e la casa di tal gente fossero state sovvertite fin dalle fondamenta. Non ci avrebbero che il fatto loro. E' si vantano amici del popolo, codestoro, liberali dei tacchi de' miei stivali; vogliono far libero il popolo, parlano dei diritti del popolo, e che so io… Tò ben vi sta: ecco di che guisa vi concia il vostro buon popolo… E sarebbe buono davvero se ci sbarazzasse affatto di voi.

S'interruppe e stette un istante come sovraccolto da un'idea. Nato per la nobile missione che compiva di capo supremo degli ammanettatori, che avrebbe voluto ammanettare financo il pensiero, egli aveva nella mente corta, ottusa ed ignorante i lampi d'ispirazione del genio crudele che dettò tutte le infamie dei tiranni dell'umanità, dai Cesari di Roma ai Torquemada dell'inquisizione: gli balenò di subito al cervello l'orrendo concetto che guidò la polizia dell'Austria negli eccidi della Gallizia, appunto in quel torno di tempo: quello di scatenare le turbe ignoranti de' poveri contro i ricchi nemici dell'oppressione straniera, di far distrurre dalla plebe aizzata ed acciecata la classe colta fautrice di libertà.

– Sentite, Tofi: diss'egli dopo una breve pausa, e una mostra di riflessione apparve sulla sua fronte stretta e fuggente all'indietro. Se le cose si rimangono a far qualche danno a que' sciagurati dei Benda, non c'è gran male… Quando avessero dei fastidii privati e finanziarii, quei valenti signori liberaloni non penserebbero più alla politica… Dunque l'affare restando in quei limiti… voi mi capite?

Tofi era troppo esperto per non comprendere quanto e più di quello che il suo superiore sapesse o volesse dirgli; e conosceva per prova che certi partiti, specialmente nell'ordine di quelle attribuzioni, non si formulano mai nettamente, e il subalterno accorto e che vuol farsi merito deve prima ancora indovinarli che capire, non lasciarli che leggermente adombrare da chi comanda, ed aver l'audacia, se il caso torni, di eseguirli sulla propria risponsabilità, anche a rischio di vedersi disconfessato e facilmente punito eziandio. Qui per Tofi si aggiungeva un'altra considerazione affatto personale, che lo faceva niente ripugnante al proposito accennato in nube dal comandante della polizia, di cui era conosciuta per prova in tutto lo Stato la predilezione pei provvedimenti estremi e feroci. Il Commissario, come ho già detto, era plebe ancor egli; di là era egli venuto, soffrendo mille stenti, e la sua esistenza, tutt'altro che piacevole ed agiata, era pure per lui il risultamento d'una lotta continua, aspra, irritante colle condizioni del suo stato sociale. Da ciò aveva egli recato seco un astio, che era un'invidia insieme ed un istinto demagogico di povero, contro la classe media che vedeva arrivare alla ricchezza e godere di tutti quei beni onde i suoi erano privi. Per la nobiltà, secondo lui (non già che si divisasse chiaro nella mente questi pensieri, ma li aveva in nube ed agiva anche senza saperlo in conformità dei medesimi); per la nobiltà, dico, quest'ingiustizia aveva ricevuto la sanzione del tempo, era un diritto storico, poteva supporsi che da principio la fosse provenuta da un fatto che la legittimasse; eppoi codesto entrava come elemento di quel regime dello Stato ch'egli serviva, di cui in buona fede non poteva credere esistesse il migliore, e cui volere anche in una lieve parte rimutare, era distrurre sciaguratamente tutto l'equilibrio; ma il ceto medio non poteva agli occhi suoi vantaggiarsi di nessuna di cotali ragioni. Esso era uscito pur ieri dalla massa comune; esso di quella somma di fortune che la classe privilegiata non aveva immobilitate in sè, accaparrava la maggior parte; esso che era uno spicchio così menomo dell'universalità del popolo, lasciando a tutto il resto nient'altro più che la miseria; e di più questa medesima classe ambiziosa ed audace, colle sue aspirazioni politiche minacciava quel reggimento a cui egli era devoto. Vi ho già detto che nel suo modo di trattare coi vari individui che gli cascavano fra le unghie, Tofi adombrava le sue simpatie: coi plebei, fossero pur ladri ed assassini, la sua ruvidezza scontrosa aveva tuttavia qualche cosa di famigliare, colle persone vestite di panni fini, qualunque fosse la causa che glie le menasse dinanzi, era villano, aspro, prepotente senza temperanza di sorta.

Alle parole adunque del Generale, egli ammiccò in un certo modo, e con prudente riserbo, rispose soltanto:

– Farò che V. E. non abbia ad essere malcontenta della condotta che terrò in questo affare.

Tofi uscendo dal Capo della Polizia già s'era fatto il criterio del modo di governarsi, e già si vedeva nella mente non che abbozzato, quasi colorito il disegno che intendeva seguire; ma le informazioni che aveva avute di poi, e propriamente quella mattina medesima, lo avevano chiarito che le cose non si rimanevano in quei limiti che aveva esposti al conte Barranchi, e che perciò occorreva avere con codestui nuove intelligenze e provocarne nuovi ordini; ed ecco perchè, assicuratosi il concorso di Pelone, il Commissario si recava ora di bel nuovo dal Generale Comandante dei Carabinieri.

Questi, alla relazione, breve, sommaria ma lucidissima, di quanto importava sapere, fattagli da Tofi, inarcò le sopracciglia, corrugò la fronte, scosse alquanto la persona impettita nell'uniforme, e parve affondarsi in una meditazione che doveva esser feconda di opportuni provvedimenti. Tofi, secondo soleva, stette immobile nella mossa del soldato senz'armi in presenza del superiore, ad aspettare.

Il Generale non era contento degli spedienti che si presentavano alla sua immaginativa, e lo mostrava colle smorfie della sua faccia più scontrosa ed antipatica del solito. Il brav'uomo non aveva che idee semplici e primitive, non sapeva scorgere in ogni cosa che una strada, la volgare battuta da tutti; e ciò non per manco di volere, ma di capacità. Qui egli ben sentiva che il caso era complesso, che vi doveva essere, che vi era un'occasione da raggiungere in una parecchi fini, da ottenere più d'un efficace risultamento in beneficio delle proprie opinioni, dei proprii intendimenti; ma codesto egli lo travedeva in nube, in digrosso, senza sapere far concreto il concetto ed arrivare a cogliere nessuna particolarità di mezzi. Se ne arrabbiava seco stesso; e tanto di più in quanto sentiva, suo malgrado, che quel subalterno, col suo contegno di subordinazione affatto inappuntabile, colla sua aria rozza e grossolana, il quale gli stava dinanzi aspettando e fissando su di lui uno sguardo che era tanto interrogatore da parergliene persino rispettosamente ironico; quel subalterno, dico, aveva in capo un'idea del da farsi, e dove fosse stato in luogo del superiore non avrebbe avuto bisogno, per prendere una risoluzione, nè di sforzi di cervello, nè di suggerimenti.

– Tofi, diss'egli poi, vedendo che il Commissario impassibilmente trincerato nella sua attitudine di rispetto, non accennava di venire in soccorso alla sua perplessità: voi siete uomo da comprendermi e da saper eseguire i più dilicati còmpiti.

Si fermò a soffiar forte con importanza; il Commissario rimase immobile come un pezzo di legno.

– Qui, abbiamo un caso… un caso che direi speciale, da cui possiamo trarne partito per più e varie conseguenze tutte importanti… Voi mi capite?

Tofi battè leggermente le palpebre di guisa che voleva dire:

– Continui, chè son qui ad ascoltarla tutto orecchi, e vedrò dopo quel che ho da capire.

– Bisogna renderci conto della nostra situazione, continuava Barranchi andando evidentemente a caccia delle parole, senza pure aver la fortuna di cogliere quelle che proprio avrebbe volute: parlo della nostra situazione, come agenti e difensori del Governo… del principio monarchico… di tutti i buoni principii politici e religiosi… come Polizia, insomma… Voi mi capite?

 

Tofi questa volta accennò del capo.

– La nostra situazione, eccola. Abbiamo lo spirito rivoluzionario della borghesia che minaccia il trono e l'altare… Per disgrazia il Re… avanzo di suoi umori giovenili, effetto della generosità della sua grand'anima (s'affrettò a soggiungere)… ha delle velleità conciliative, delle propensioni, direi quasi, verso quelle fatali novità… Che peccato in un Principe così ammodo!.. Sotto tutto questo ci è il popolino, gli straccioni, che salterebbe volentieri addosso agli abbienti della borghesia per isfamarsi colle loro robe… Très bien! Voi seguite il filo del mio ragionamento?.. Sono due parti nemiche, le quali venendo a collisione fra loro, gioverebbero ad una terza… alla nostra… Fra due contendenti profitta il terzo… Se si potesse, se si sapesse sfruttare un movimento, che poi avrebbe ad essere seriamente compresso, si otterrebbe senza fallo: e che il Re, sgomentato dallo spettro rivoluzionario, tornerebbe a scostarsi da quella parte pericolosa verso cui pencola, e che il popolo da quello sforzo efficacemente represso, come un frenetico dopo una cacciata di sangue, riuscirebbe per assai tempo ancora più mogio, e che la borghesia medesima, spaventata da quel tafferuglio, dovrebbe per suo stesso salvamento gettarsi umiliata nel partito de' buoni… il nostro… quello del trono e dell'altare. Avete capito?

– Sì, signor conte: rispose allora con accento risoluto il Commissario. Se lasciassimo, prima d'intervenire, saccheggiar parecchie fabbriche?

– Parecchie no: disse il generale. Il danno sarebbe troppo grave, e il Re non ce lo perdonerebbe.

– Qualcheduna soltanto? domandò Tofi, guardando con occhio penetrativo la faccia superba del conte che ora si atteggiava ad una espressione di macchiavellismo che voleva essere indovinato.

– Il meno possibile: rispose Barranchi.

– Una fors'anco basterebbe? soggiunse il Commissario della maniera medesima.

Il conte accennò di sì.

– E sarebbe meglio che questa fosse di qualcheduno che va per la maggiore nel partito rivoluzionario.

– Certo, disse asciutto Barranchi aggiustandosi il collo nel goletto ricamato d'argento della montura.

– E così sarà rovinata del tutto una famiglia nemica al Governo.

Barranchi si degnò di fare un nuovo cenno affermativo.

– Dunque intervenire a cose compiute: soggiunse il Commissario con accento metà insinuativo e metà d'interrogazione.

– Ed allora: disse con forza il generale drizzandosi dell'alta persona: reprimere fortemente per ischiacciare eziandio il capo alla sommossa onde non conservi altra lusinga di potersi ancora levare altrimenti.

Tofi s'inchinò: aveva capito tutto, e il suo medesimo primitivo disegno poteva mettersi in atto, secondo ciò che aveva già seco stesso immaginato. Si partì e in breve ebbe disposto ogni cosa, perchè allo scoppiar dei tumulti tutti gli altri opifizi fossero efficacemente posti al riparo dall'ira della plebe, fuor quello di Giacomo Benda. Non restava che a sapersi il momento in cui la preparata lotta sarebbe avvenuta, e ciò veniva ad apprendere al signor Tofi quella sera medesima, il bravo Pelone, il quale non aveva perduto tempo, e per mezzo di Marcaccio e di Tanasio, mercè alcuni buoni fiaschi di vino, aveva spillato quanto occorreva per adempire a dovere all'assuntosi impegno.

In quel medesimo mentre Gian-Luigi s'adoperava a salvare la famiglia e le sostanze dei Benda, contro cui congiuravano tante ire. Ebb'egli per ciò a sè Graffigna, e senza preamboli, come quegli che non aveva e andava persuaso di non aver punto bisogno di farne, comandò al mariuolo che dovesse tener modo (e questo lo lasciava compiutamente alla scelta di lui), per impedire che alcun guaio più avvenisse, che alcun danno si recasse alla fabbrica di sor Giacomo.

Graffigna colla sua aria d'ipocrita umiltà e di ostentata soggezione rispose grattandosi in capo:

– Ah sor medichino, io nulla desidero di più che obbedirla ciecamente, possano le mie spalle servir d'appoggiatoio alle pantofole di mastro Impicca; ma quello che Lei ora mi comanda, affè mia che gli è proprio difficile, tanto difficile quasi come fermare una palla di cannone una volta sparato: e far intendere ragione a que' birboni di tre cotte, nostri buoni amici, che hanno da essere dell'impresa, ed a quelle c… di operai, brava gente, tutt'oro di coppella, ma ciuchi ed incapati come non si può di peggio… E poi, e poi… La mi permetta, sor medichino, di parlare senza peli sulla lingua, come la sa che è mia usanza, da onest'uomo qual sono che possa frustarmi la pelle alle galere. Dunque le dico, che in quel luogo c'è un troppo buon colpo da fare perchè ci pensiamo e due, e tre, ed anco quattro volle, prima di dare così un calcio alla pignatta…

– Ci ho pensato quanto occorre: interruppe seccamente Gian-Luigi: e basta.

Graffigna non si mosse e continuò a grattarsi in capo, schiudendo ad un sorriso tra melenso e tra malizioso le sue labbra sottili sotto il suo naso appuntato.

– Non dovrei parlar più: diss'egli: non parlo più… Sa bene Vossignoria se gli è quel buon diavolo di Graffigna che è capace di contrastare a un ordine del suo superiore. È un brigante di tre cotte, un famoso arnesaccio quel galantuomo, ci sto; ma per la subordinazione, per l'adempimento dei suoi doveri verso chi è da più, oh oh! non c'è chi gli vada a paro… Ma con tutto ciò il busille si trova nella maniera di fare a senno di Vossignoria. Qui sta l'intoppo! Pensi che nella cassa di ferro… nelle casse di ferro devo dire, perchè so di buona fonte che ce n'è un'altra nello studiòlo particolare del principale, nell'alloggio della famiglia… in quelle casse di ferro adunque pensi che vi sono le belle centinaia di migliaia di lire: tutti denari lampanti e sonanti che la è una benedizione il solo vederli.

Gli occhietti del tristo omaccino scintillavano come carboni accesi.

– Pensi che gusto cacciarvi dentro le mani! E come avere il coraggio di dire a quella brava gente dei nostri uomini, fior di ladri ed assassini: «Alto là, e' non vi si ha da toccar più?» Sì eh! va a levare dalle zanne della gatta il topo acchiappato! Io la capisco, sa, sor medichino. Oh! io non sono come quegli arfasatti, grossolani più che una pialla: sono capace di capirla io! Quella infelice famiglia è degna di compassione e di riguardo: l'unico figliuolo moribondo… una ragazza giovane e bella.

Gian-Luigi si riscosse e corrugò la fronte; Graffigna s'affrettò a soggiungere:

– Ma il sentimento è una cosa e l'interesse è un'altra; e la cocca vive di quest'ultimo… Se rinunziamo a tutti i bei colpi che ci si affacciano, possiamo addirittura vestire il saione da frati e farci beatificare. Si ricorda che ho avuto l'onore di dirle, come dopo avere studiato maturamente in proposito, avevo trovato fuori la possibilità di tre bei colpi: Benda, il marchese Baldissero e Nariccia.

Il medichino fece un soprassalto.

– Ah! Nariccia, diss'egli con qualche esitazione: mi hai pur detto qualche cosa di più, riguardo a lui.

E Graffigna sollecito, avvicinandosi di più ed abbassando la voce, quantunque fossero fuori dell'arrivo di ogni udito umano.

– Le ho detto che ci avevamo le chiavi da penetrare nel covo di quel bestione selvatico, miserabile avaraccio d'un usuraio, quando che sia.

– Ah!

Questa esclamazione di Gian-Luigi aveva tanto significato che Graffigna, con un vivo lampo di gioia negli occhi soggiunse:

– E dunque la cosa si ha da fare… (E più basso ancora) stanotte se vuole…

– No: disse bruscamente il medichino. Se mai occorresse… più tardi… non parliamo di ciò adesso.

– Come le piace.

Dopo una brevissima pausa, Gian-Luigi con accento di comando che vuol essere indiscusso, riprese a dire:

– Siamo dunque intesi, e ricordati bene le mie parole: ai Benda non ha da succeder nulla, e se la mia volontà non sarà obbedita guai a te!.. Ora vattene.

Il mariuolo avrebbe ancora voluto aggiunger qualche cosa, ma il tono con cui il medichino l'aveva congedato e l'aspetto del volto di lui erano tali che Graffigna, espertissimo conoscitore dalle mostre esterne delle disposizioni dell'animo nel suo superiore, non credette per nulla conveniente l'avventurarsi a parlare ancora e rimanere. Si allontanò adunque; ma seco stesso pensava:

– Giusto! Bravo! Aspetti ch'io vada a serrarmi innanzi il più bel campo di raccolta, ad impedirmi la più fruttuosa rivalsa che io abbia avuto mai dinanzi… Già! Gli è un uomo prezioso questo medichino, ma delle volte il gran bizzarro… Eh! so ben io dove il basto lo ammacca… C'è una ragazza per colà… Poh! gran che!.. Le cose avverranno come devono avvenire, e il povero Graffigna proverà chiaro come la luce del sole che non ci ha potuto cica, e quella ragazza medesima sarà mezzo a placare la collera di questo matto… Sicuro!.. Quando la si prenda e glie la si porti nella sua casetta, ed e' se la trovi colà a sua disposizione, oh che la collera gli vorrà sfumare senz'altro…

Gian-Luigi pensava da parte sua:

– Sì, voglio ch'e' sien salvi…

Fece un amaro sorriso, in cui si sarebbe potuto notare un certo disprezzo di se medesimo.

– E le loro sostanze eziandio.

Prese il capo fra le mani, e stette immobile come se l'anima gli fosse fuggita dal corpo.

– Sono alla vigilia d'un gran momento che ho preparato con tanto travaglio, che ho agognato con tanta passione, che ho aspettato con tanta ansietà: ed ora, presso all'effettuamento, non mi sorride più lusinga alcuna di speranza! Mi sento mancare le forze di sotto mano. Saremo vinti: è inevitabile; ed io e le mie idee vinti e perduti!.. Debbo io lanciarmi nella voragine e lasciarmi rapire dalla bufera della catastrofe?.. E perchè?.. L'avvenire, un prossimo avvenire è forse per noi… Mario mi disse che la questione sociale non è matura tuttavia per ottenere l'anelata soluzione nell'ordine dei fatti. Ciò può esser vero; ah sì, è vero pur troppo per l'oggi; ma domani?.. Perchè non mi conserverei per questo domani? Tutto questo ribollir di passioni nelle plebi di tutta Europa avrebbe da finire come un fuoco fatuo, come una fiammata di paglia che un po' d'acqua smorza? La repressione dell'oggi farà formarsi in segreto, concentrata e tanto più forte, nuova lava nella cavità del vulcano popolare… Sì, sì, sì per dio! Un giorno o l'altro eromperà tremendo.

Sorrise d'un orribil sorriso, quale un pittore potrebbe mettere sulle labbra di Satana ch'e' dipingesse in atto di superbamente allietarsi nel pensiero della sua ribellione contro Dio. Trasse di sotto i panni un fine, affilato pugnale di antica fabbrica fiorentina, un gioiello archeologico del medio evo ed una terribil arma in un pugno audace, nel delitto, e si pose a tempestare di piccoli colpi della sua punta la tavola che aveva dinanzi.

– E aspettando questo giorno, che farò io? Continuerò ad aggirarmi in questo mondo sotterraneo, scavando sempre più la mina sotto l'edifizio sociale?.. Ah! quella pure è una schiavitù al mio libero spirito: di questa terribile associazione io sono capo, ma essa a sè mi lega con istretti vincoli che in fin de' conti duramente mi costringon le membra… Potessi sciormene!..

Tornò ad appoggiare il capo alle mani colle cui palme si stringeva la vasta fronte.

– Perchè ho visto le sembianze ingenue di quella ragazza?.. Avrei creduto io forse d'essere tuttavia così novellino?.. Que' miti sguardi, mi condussero il pensiero alla soglia d'un paradiso terrestre, di cui non avrei pensato mai ch'io potessi desiderare le gioie modeste: quello della domestica felicità… Ma la mia anima inquieta è dunque condannata ad aver bramosa sete di tutto? ad anelare a tutto? a tutto volere stringere e possedere?.. Voglio penetrare in quell'orto Esperide a dispetto del mio passato. E se volessi romperla davvero con questo mio passato, lo potrei?.. Sì, sento in me tanta forza anche da ciò… L'uomo dev'essere padrone sempre del suo destino… Io riconquisterei la libertà intera, assoluta del mio essere, a prezzo anche d'un…

La parola che doveva seguire non pronunziò più: parve essa rifiutarsi alle sue labbra che lievemente si contrassero.

– Libertà, libertà!.. È egli l'uomo libero mai?.. Noi siamo i giocattoli d'un balordo o d'un burlone di destino, che ci mena dove forse non sa neppur egli, tirandoci i fili colle circostanze… È ella libera l'anima umana nella vita tranquilla e monotona della famiglia? Oibò! L'inevitabile sempre vi afferra e vi tiene in ogni dove, ognisempre, legati alla fatalità inesplicabile. Ci ho un esempio nella famiglia Benda. Eppure… ah gli è vero che l'uomo è un continuo essere diverso che si viene scambiando dì per dì, e diventando altro ora per ora; e da ciò il supremo bisogno di cambiamento a lui connaturato… Eppure ora mi sorride così lieta al pensiero la gioia d'una domestica pace, d'un amore senza rimorsi!..

 

A quest'ultima parola si riscosse e fece un atto di dispetto, quasi di scherno.

– Rimorsi! esclamò. Che vocabolo ho io pronunziato cui ho voluto ed ho detto tante volte cancellato dal mio linguaggio come l'idea che rappresenta dal mio pensiero? Lasciamo quelle debolezze alla femminetta in cui la carne lottò colla paura del confessore e vinse. Un uomo che, in presenza delle vicende della vita, assecondò arditamente l'impulso della sua natura, quindi le leggi dell'esplicamento del proprio individuo, non deve avere nè pentimenti nè rimpianti. Incontrò nel suo cammino la necessità del male e dovette con essa procedere come con un compagno di viaggio… Il male? (Crollò le spalle con una disdegnosa impazienza). Una parola di convenzione anco quella. È una relatività delle nostre apprensioni. Esiste esso il male nell'assoluto?.. Incontrò delle difficoltà al suo passo, e dovette superarle affine di proseguire. Alcuno rimase schiacciato. E con ciò? Tutta la natura è una lotta per la vita. L'animalità è un immenso fratricidio. L'uomo al fastigio della piramide di questa creazione organica, che nella sua stessa distruzione attinge gli elementi della vita, è condannato, più ancora d'ogni altro animale, per vivere, per pensare, per esplicarsi, a servire, invocare, gridare la legge di morte. Non ho rimorsi; non voglio averne. Posto di nuovo al principio della mia giovinezza, pressato dalle circostanze che mi spingevano, io sceglierei ancora la medesima strada. Fu fatale; anche i Numi della Grecia subivano il Fato.

«Ed ora una nuova forza, nata non in me, ma che in me si ripercuote, vuole spingermi fuori di questa via che gli uomini chiamano del delitto. È fatale anche ciò? Sì certo sarà, dove io ci riesca.»

Fece una nuova pausa: la ruga della sua fronte si mostrava profondamente incavata, e dalle ciglia abbassate usciva pur tuttavia una fiera luce dagli occhi suoi.

– La natura, che è nostra grande maestra universale, ci dà un terribile insegnamento. Quando un mezzo qualunque le è diventato inutile… non aspetta nè anco che sia diventato dannoso… certe volte, per una specie di capriccio, soltanto quando esso le torna meno gradito, spietatamente lo distrugge. L'uomo forte, l'uomo superiore, nella sua azione sul mondo ambiente, ha il còmpito della natura, attua ancor egli un'opera creativa, nell'ordine materiale, così bene come, e più, in quello intellettivo e morale. È un coadiutore consciente della madre natura; ha diritto, ha dovere d'imitarla. Io, la cocca, non dovrei con atto positivo distruggerla per mia opera medesima; non avrei che da lasciarla schiacciare: le circostanze mi si offrono operatrici esse stesse… non ho che da volere… non ho che da aiutarle…

Fu scosso come da una specie di brivido. Battè sulla tavola un colpo più forte del pugnale che vi si piantò, e sorse in piedi per una subita spinta di irrequietudine. Una voce che pareva estranea gli aveva gridato all'orecchio quella parola sotto a cui le labbra gli si erano irrigidite poc'anzi.

– Ma questo è un tradimento!

Andò su e giù della stanza con passo concitato, i pugni chiusi, gli occhi atterrati, le mascelle contratte.

– Mistero! Mistero! Mistero! gridò egli con una esplosione di rabbia profonda. Tutto è mistero in noi e fuori di noi. Dicevo che l'uomo è sempre via via diverso nella successione delle sue ore di vita. Gli è peggio: esso non è nemmanco mai uno nel suo essere, in un suo momento d'esistenza. Ecco, in che stanno ora due tendenze, due spiriti, due individui: l'uno è quello che ha scosso il fastello de' pregiudizi di quella grettezza di concetto, che gli uomini chiamano superbamente la morale; l'altro invece si sente riprendere a poco a poco dall'influsso di quella pretesa legge. Che sarei io, se non avessi infranto mai codesta legge, e camminato per la mia via ubbidiente all'ordine del contingente, al concetto dell'umanità presente effettuato nel reale? Quest'altro Luigi che ne sarebbe restato, io lo sento in me, lo porto meco in potenza, me lo vedo davanti nel campo oscuro e confuso della mia coscienza; e sono pur tutt'altro, e penso insieme in due modi diversi, e quel che voglia non so…

Crollò il capo nell'amaro sorriso dello scettico.

– Stolto! stolto! tre, quattro, cento volte stolto!.. Noi non siamo che un risultamento. Non abbiamo neppure il diritto di chiamarci individui. L'universo può continuamente su noi, siamo l'opera sua incessante; materialmente o moralmente esso ci fa e ci disfa, atomi d'un nembo infinito di polvere, goccie d'un oceano sterminato. Noi non siamo nè una volontà, nè un disegno prestabilito, nè una monade indivisibile; siamo un aggregato in un oscillamento continuo de' suoi elementi… Va al fondo di tutto questo, distruggi quella misteriosa forza di turbinio che chiama, agglomera e rigetta via via le varie molecole dell'eterno ambiente, che cosa ci trovi?.. Il nulla!

Entrò nel riposto suo gabinetto che teneva sempre chiuso a chiave. Accese una dozzina di lumi, che sparsero colà un vivo chiarore rossigno, trasse da una specie di stipo un portaliquori in cui parecchie fiaschette di liquidi che a quella luce smagliavano con diversi e brillanti colori, lo pose sulla tavola innanzi a cui soleva sedere lavorando, e riempitosi un piccolo bicchierino di un liquore colore di smeraldo, lo tracannò d'un fiato. Si volse poscia ad una donna, che, discinta nelle vesti, mezzo nuda il seno, le chiome disciolte, pallida in viso, ma con occhi ardenti e labbra color di sangue, al veder entrare il medichino s'era sollevata alquanto della persona, appoggiandosi col gomito sul sofà dove giaceva distesa, e stava seguitando con isguardo sottomesso insieme e appassionato il giovane in ogni sua mossa.

– Maddalena! le disse Gian-Luigi con voce metallica, stranamente vibrante: ho bisogno di stordirmi, ho bisogno d'obliare, non fosse che un'ora. Questi liquori e tu dovete fare cotal miracolo anche questa volta… Te ne senti tu capace? Anche tu, povera donna, sei un inconscio elemento della mia vita. Segui la legge della tua natura e dàmmi quel che può dare il tuo essere. Il mondo lo chiama vizio e corruzione; lite di parole: è il frutto dell'albero, quale lo volle l'inconcepibile azzardo… Tu non mi comprendi?.. Che importa? Ora mi piaci; e ti basti. Percossa, scacciata da me, tu sei venuta trascinandoti sulle ginocchia a domandare perdono e la grazia di sedermi ai piedi… Ebbene, ti accetto, e ti rivoglio. Questo liquore m'inebria… ed anche il tuo bacio da vampiro, il tuo alito di fuoco m'inebriano… Sono in faccia alla sfinge, sono in faccia all'abisso, sono in procinto di lottare coll'inevitabile… Ho bisogno d'ebbrezza.

Maddalena schiuse le voluttuose labbra al sorriso della Sunamite, e Gian-Luigi si precipitò fra le braccia che gli si protendevano, quasi direi palpitanti.