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La plebe, parte III

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– Io? esclamò spaventato il giovinastro. Se siamo d'accordo che non ci rimarrei più nell'osteria… Ho già detto e fatto sin troppo per compromettere la mia pelle.

– Or bene, disse Barnaba, ciò scoprirò io di per me… Tu, se ci tieni a guadagnare l'oro che ti ho promesso e la vendetta che desideri, potrai servirmi in altro modo; ed è questo: domattina abbandonerai l'osteria e verrai qui dov'io t'attenderò verso le dieci; ti condurrò meco, camuffandoti in guisa da non potere essere da nessuno riconosciuto alla bella prima; ci apposteremo ad una certa cantonata, dove quasi di sicuro ha da passare un cotale, e quando io te lo additi, tu mi dirai – e per l'anima tua, tu m'avrai da dire il vero – se riconosci o no in quell'uomo il medichino. Hai tu capito?

– Signor sì.

– Or va e torna nella bettola, perchè la tua mancanza non ne sia troppo lunga… Prendi questi denari, e guardati bene dal lasciarti sfuggire parola di quanto si disse fra noi, di dove sei stato e che soltanto ci siam visti… Se sarò contento di te, se la tua risposta domani fosse a seconda de' miei voti, tu avrai altrettanto di marenghini, quanto hai avuto adesso. Prudenza adunque, metti all'impegno quel tuo ottuso cervello, e va… Fra un'ora o poco più, capiterò anch'io all'osteria. Bada bene che non un tuo cenno, non uno sguardo tradisca le nostre segrete intelligenze!

Meo s'affrettò a correre all'osteria, dove la sua venuta fu accolta dai più violenti improperii e dalla più violenta tosse di Pelone furibondo. Naturalmente il padrone volle sapere dove fosse stato il suo servitore, ma questi che non aveva in nissuna misura la facoltà della immaginativa, non sapendo inventare la menoma frottola con cui rispondere alle interrogazioni fattegli con insistenza e minaccie, non oppose che il più ostinato silenzio, accompagnato dalla sua insuperabile aria d'imbecille.

CAPITOLO XIV

Frattanto la sera s'inoltrava. Come era avvenuto il giorno innanzi, la schiera degli avventori più eletti che radunavansi nel gabinetto erane venuta fuori ad un punto e si era sparsa per le tavole occupate dello stanzone. Erano i capi-squadra che già avevano ricevute le proprie ed acconcie istruzioni e venivano comunicarle ai loro dipendenti. Dall'uscio a vetri era comparsa un momento con cauteloso contegno la figura acuta di Graffigna che, vista nissuna faccia sospetta nell'osteria, aveva sporto in fuori tutta la testa per chiamare a sè Pelone.

Questi obbedì senza indugio all'appello e nel camerino ebbe luogo fra questi due valentuomini il seguente dialogo:

– Quell'uomo non è ancora venuto? domandò Graffigna.

– Che uomo? disse Pelone guardando le sue enormi scarpaccie.

– Non far lo gnorri, mio caro amico, che tu possa essere impiccato: soggiunse graziosamente colla sua voce in falsetto e col suo tono insinuante il galeotto. Tu sai bene di chi voglio parlare.

– Vi giuro di no, carissimo signor Graffigna – e fra sè l'oste di cattivo umore soggiungeva con tutta sincerità e caldezza d'augurii: potessi tu precipitare nel fin fondo dell'inferno, a farti attenagliare dagli artigli roventi di Satanasso.

– Ebbene, mio bell'amorino da galera: ripigliava vezzosamente Graffigna, voglio dire quel tuo degno amico, infame spia d'un poliziotto birbante, Barnaba, come ho sentito ch'e' si chiama…

– Oh oh mio amico! protestò Pelone con accento indignato.

– Sicuro, stimabile Pelone, furfante matricolato. Rispondi adunque categoricamente, come dicevami l'avvocato fiscale nel suo interrogatorio: è egli già venuto?

– No, non l'ho ancora visto.

– Bene. E ti ricordi ancora quel che ti ho detto quest'oggi?

– Cioè? domandò il bettoliere guardando per terra in un angolo della stanza.

– Cioè che tu, quando sia capitato quel cotale, l'hai da ritener qui in bel modo, fin dopo la mezzanotte. Mi pare che te lo avevo cantato abbastanza chiaro per non avertelo più da ripetere… Ed ora sai tu proprio ben l'affar tuo?

Pelone fu assalito da quella sua incomoda tosse che gli veniva così comoda per torlo all'imbarazzo di dar certe risposte che gli seccava pronunziare. Ma Graffigna non era uomo da contentarsi così agevolmente; aspettò che la tosse cavernosa fosse finita, e poi insistette:

– Hai tu capito?

– Ho capito: rispose con un fil di voce l'oste, a cui l'accesso della tosse pareva non aver lasciato più fiato in corpo.

– E farai secondo ciò che ti dissi?

Pelone provò di nuovo a ricorrere alla sua tosse: ma si accorse tosto che con quel mariuolo lì lo spediente non serviva a nulla, e ch'egli ci giuntava la fatica.

– Farò: disse con un lievissimo susurro.

– Bada bene che a Graffigna non si manca di parola; disse l'omiciattolo che arrivava appena alle spalle di quella pertica di Pelone, e innanzi al quale pure l'oste aveva un contegno tutto umiltà e paura: – bada bene, ripeteva levando con atto d'intimazione il dito indice della mano destra, che con noi non si scherza!..

– Non ischerzo: mormorò il taverniere con voce da moribondo.

– E perchè guardi sempre costà per terra o sulle tue barcaccie di scarpe? Chè hai paura a mostrarmi la bella pupilla degli occhi tuoi, martuffo d'uno scimione, mio caro compagno?

– No no, disse sollecito Pelone facendo un sorriso da becchino con quella sua faccia da morto: vi guardo benissimo e molto volentieri, compar Graffigna: e fra sè, per corollario: che tu potessi affogare in fondo alla melma d'una fogna!

– Ad ogni modo, ripigliava Graffigna, ricordati che qualcheduno potrà udire i discorsi che tu terrai con quel cotale.

Pelone fece un tentativo, che riuscì poco felice, per dirizzare il suo lungo corpo in un moto d'indignazione.

– Come! esclamò egli; si diffiderebbe di me?

– Si diffida di tutti, e si prendono le precauzioni in conseguenza. È il nostro principio, onesto Pelone, e penso faremo assai bene a non iscartarcene mai.

L'uscio a vetri si socchiuse in quella un pochino e la voce di Maddalena cacciò dentro questa sola parola:

– Sparite!

Graffigna fu d'un balzo alla parete, si curvò a terra, premette ad un certo luogo nello zoccolo del tavolato, e in questo, senza rumore di sorta, s'aprì una cavità bassa e scura, in cui un uomo, anche della piccola statura del galeotto, non poteva entrare senza curvarsi. L'omiciattolo sgusciò per quell'apertura, la quale chetamente e sollecitamente del pari si richiuse dietro di lui, non lasciando ad occhio nissuno, per quanto acuto osservatore, traccia alcuna della sua esistenza.

Un minuto dopo entrava nel gabinetto Barnaba.

– Che fai costì tutto solo? domandò egli a Pelone, che gli mosse all'incontro.

– Io?!.. niente: rispose l'oste. Di là fanno un fracasso che mi tolgon la testa, e passo di quando in quando a riposarmi in questa buco, dove non si viene a cacciare quella canaglia.

– E questa sera i soliti frequentatori di questo camerino non sono venuti?

– Sì… Oh sono dei bravi figliuoli che non dimenticano il povero Pelone… Se ne sono già andati.

– Va bene.

Barnaba sedette e poggiando i due gomiti sulla tavola e sostenendo il mento alle mani chiuse, guardò bene in viso il bettoliere, che, secondo sua usanza, si chinava verso di lui dall'altra parte del desco ad aspettare gli facesse note le sue volontà.

– E quel mio affare? domandò Barnaba a voce bassa.

Pelone ricorse a quel medesimo mezzo diplomatico che aveva usato con Graffigna; finse di non capire.

– Che affare? disse cercando cogli occhi spenti in tutti gli angoli della stanza.

Ma lo spediente non gli servì meglio di quello che gli avesse servito con quell'altro.

Barnaba si sollevò a mezzo sul suo sedile per recare le sue labbra al livello dell'orecchio dell'oste chinato innanzi a lui, e susurrò in quel largo imbuto che coronava l'organo auditivo di Pelone alcune parole la cui chiarezza non permetteva più dubbio, nè obblio, nè tergiversazione di sorta.

La risposta di Pelone non fu così chiara e netta.

– Ecco, diss'egli, come ho già avuto l'onore di dirle, io di quella gente cui accenna Lei non ho il vantaggio… voglio dire la sfortuna, la maledetta sfortuna, che il diavolo mi porti, di conoscerne alcuno…

L'agente di polizia fece un gesto.

– No signore: soggiunse con forza Pelone, interpretando quel gesto come una manifestazione di incredulità. Posso dubitare su qualcheduno, congetturare di qualche cosa; ma i dubbi e le congetture non bastano ad autorizzarmi a pensare, a credere, a ritenere…

Barnaba lo interruppe, dicendogli con una calma lentezza che era molto significativa:

– Tu dunque neghi di prestarmi questo servizio?.. Guarda che potresti pentirtene.

– No: riprese vivacemente Pelone, non nego… Mi metto anzi tutto a sua disposizione per quel poco che ci valgo; ma vorrei la si persuadesse che non sono in quelle condizioni ch'Ella crede…

– Insomma; la conclusione?

– Eccola. Quei tali su cui le dico che ho dei dubbi, che ho fatto delle congetture, vengono qui ordinariamente verso la mezzanotte; aspetti fino allora se le piace; io glie li additerò, dirò anche, se vuole, a quei cotali che Lei vuol parlare con loro, e se la vuole abbordarli poi, faccia a suo senno.

Barnaba guardò l'ora al suo orologio.

– Sono le undici: un'ora da aspettare… Va bene; farò così… Intanto, siccome ho ancora da cenare, mandami qui alcuna cosa da mangiare… quello che vuoi, chè a me poco importa. Ah! manda Maddalena a servirmi, chè ho piacere di parlarle.

Pelone uscì per dare gli ordini opportuni.

– Bada, diss'egli a Maddalena, inviandola nel gabinetto, che quello è un demonio di furberia che ti vuol mettere nel sacco.

Maddalena crollò le spalle e fece un sorriso di compassione.

– S'egli è furbo ed io non sono mica un'addormentata. E in punto a finezza una donna val sempre più che un uomo. Lasciate fare che sarò io a metter nel sacco lui.

 

E colla sua aria petulante, in mano un cestino coll'occorrente per apparecchiare, entrò nella stanza dall'uscio a vetri.

Barnaba, appena era rimasto solo nel gabinetto, aveva fatto ciò che già gli abbiam visto fare la sera precedente; sorse sollecito ed andò a toccare e battere sopra l'impiallacciatura di legno nella parete; se non che mentre la sera prima aveva tastato di qua e di là, questa volta fu dritto a quel punto dove il giorno innanzi gli era sembrato di udire sotto le nocca delle sue dita suonare una cavità. Battè di nuovo colà cautamente e pose l'orecchio a quel posto a sentire. Ed egli, guidato dalla sua accortezza, ed in parte si direbbe eziandio dall'istinto del suo mestiere, aveva davvero messo la mano su quella parte del tavolato che mercè una segreta molla s'apriva per lasciar passaggio da penetrare nel sotterraneo corridoio.

Ora, dietro appunto questo dissimulato ed invisibile usciòlo stava ancora in osservazione Graffigna, l'occhio alla piccola apertura e il suo acutissimo orecchio tirato. Egli udì il dialogo fra l'oste ed il poliziotto, scorse i movimenti di Barnaba, e tutto fremette e raccapricciò quando vide costui alzarsi e con passo risoluto, senza incertezza di sorta, venire diritto al luogo della segreta porticina e percuotere con mano cauta ed esperta nel legno di essa.

Graffigna mandò fra sè un'orrenda bestemmia.

– Questo scellerato, pensò, conosce adunque l'esistenza di Cafarnao e come vi si entra?.. Ma dunque siamo perduti!..

Una nube rossigna passò innanzi agli occhi dell'assassino ed e' non vide più che color di sangue; la sua destra corse al manico del pugnale che portava sotto panni, la sinistra si abbassò verso il punto dove si doveva premere per lo scatto della molla che faceva aprir l'uscio; fu suo proposito slanciarsi di balzo da quel suo nascondiglio sopra quell'uomo che era diventato il più pericoloso dei loro nemici e spegnerlo senz'altro indugio; ma non tardò a sopravvenire una riazione della sua facoltà riflessiva che lo trattenne.

– A me solo riesce impossibile venirgli addosso, impedirgli che strilli e succhiellargli bravamente le budella, infame scellerato d'un esploratore, che l'inferno l'inghiotta… Se fossimo in due! Ah! se avessi meco quel bestione d'un bravo Stracciaferro, sì che il colpo sarebbe fatto!.. Io gli salterei di botto alla gola a serrargliela con tutte due le mani che non avrebbe manco tempo di far quach, e quel toro senza cervella del mio degno amico se lo piglierebbe fra le braccia come una poppatola per portarselo qui dove lo si avrebbe a discrezione da farlo bellamente cantare su quello che si sa e non si sa dei fatti nostri, su quel che ci minaccia e da cui abbiamo da pararci… Se andassi a cercare quel brutto elefante d'un prezioso amico, che gli possa cascare lo zuccone!.. Eh sì, dove pescarlo così subito a quest'ora? E intanto il tempo va… Contentiamoci adesso di non lasciarci scappare codestui e di dargliene il ben servito… Se altri poi di quella razza sapesse eziandio…

A questo solo pensiero sentì fremere tutte le fibre ed i capelli quasi gli si drizzarono sul capo.

– Ah! converrà pensare a codesto… Bisogna che glie ne parli subito al medichino.

Prima d'allontanarsi pose ancora l'occhio alla fessura e vide Barnaba che tornato a sedersi tranquillamente, pareva assorto in importante meditazione, mentre aspettava la venuta di Maddalena.

– Va, va: disse Graffigna coi denti serrati e facendo un atto di minaccia di dietro l'assito: potresti fare il tuo testamento e raccomandarti l'anima, chè questa è l'ultima tua ora, e tu puoi contare di essere in confortatorio.

Scese rapidamente la scala che menava nel corridoio sotterraneo, illuminato, come sappiamo, dalla fioca luce di rade lucerne postate ad una certa distanza fra loro, lungo di esso.

– Come giuns'egli questo birbante a scoprire cotal segreto? seguitava intanto a pensare, mentre colle sue gambe corte s'affrettava quasi di trotto verso il Cafarnao. Che qualcheduno ci abbia tradito? E chi? Pelone forse?.. Ah tanaglie e forca! Se mai fosse!..

Comparve trafelato innanzi a Gian-Luigi, il quale nel suo riposto gabinetto era affondato nelle più importanti occupazioni della sua iniqua carica di capo della cocca.

– Scusi se la disturbo, diss'egli affrettatamente, dimenticando perfino di levarsi di capo il suo frusto e sporco berretto: perdoni illustrissimo se le capito così inopinatamente contro tutte le regole della disciplina e della buona creanza; ma Ella deve già conoscere abbastanza Graffigna, per capire che, se così faccio, si è perchè vi ha una grande ragione, una grandissima ragione…

Il medichino alzò gli occhi dalle carte che aveva dinanzi, li volse mezzo corrucciati su colui che veniva ad interrompere il suo lavoro, e disse con accento di chi vuol presto sbrigarsi d'un impaccioso:

– Ebbene? che cosa c'è?

Graffigna, persuaso quant'altri mai che quello non era momento da far delle frasi, raccontò in poche parole ciò che aveva visto. Il medichino sorse da sedere con un sussulto, la sua ruga minacciosa di subito impressa nella fronte, una fiamma infernale entro gli occhi.

– Maledizione di Dio! esclamò egli, e tese la destra col dito indice appuntato verso il galeotto, a cui l'aspetto in quel punto veramente terribile del suo capo incuteva un timore pieno di riverenza. Se tu non ci liberi da quell'uomo, Graffigna, se tu non vieni a giurarmi pel cielo e per l'inferno, per la tua gola e per la cocca, che quell'uomo è tolto dal numero dei viventi, guai a te!.. Gli è la tua pelle che me la pagherà.

Graffigna s'inchinò in atto di umilissima sommissione.

– Si farà tutto quel che sarà possibile… e se si fallisce, che un corno del diavolo m'infilzi, non sarà per mancanza di buona volontà, nè di precauzioni; ma sarà perchè il fistolo ci avrà messo la coda… Pur tuttavia Lei ha ragione ed io son contento di pagar la spesa della disavventura.

Gian-Luigi si pose a passeggiare su e giù, le braccia incrociate al petto, la testa china.

– Sarà egli il solo codestui a sapere questo troppo importante segreto? diceva egli, come pensando, ad alta voce.

– È quello che mi sono domandato anche a me: insinuò umilissimamente, colla sua voce più esile, Graffigna, il quale, accortosi di commettere l'irriverenza di tenere il berretto in capo innanzi al suo superiore, se l'era levato con mossa dispettosa di se stesso; e intanto, per lasciar più libero campo ai passi del medichino, s'era ritirato in un angolo della stanza.

– Conviene ad ogni modo prendere qualche provvedimento: continuava il medichino.

– Signor sì, soggiungeva quell'altro. E sono venuto apposta in tutta fretta a dirgliene a Lei, perchè appunto Ella trovasse che cosa farci.

Gian-Luigi s'arrestò ad un tratto in mezzo la stanza; la calma era tornata alle sue belle sembianze; la sua risoluzione era presa.

– Conviene, diss'egli a Graffigna, che quel passaggio sia distrutto, e tosto, e che di questa notte medesima ogni traccia ne sia scomparsa; così che, se quel cotale non porterà seco nella fossa il segreto, gli altri a cui l'abbia comunicato non possano trovare nulla più di vero di quanto egli abbia detto.

Graffigna non parlava, ma i suoi occhietti vivissimi e tutto il suo contegno facevano una domanda: «Come fare per ottener codesto?»

Il medichino non fece aspettare la risposta.

– Prima di tutto darai il fatto suo a quel Barnaba: gli è ciò che più preme. Per maggior sicurezza dell'esito potrai prender teco qualche fido compagno…

– Ci ho già pensato.

– Poi cercherai quelli fra i nostri uomini che lavorano da muratore, farai distruggere nel tavolato dell'impiallacciatura ogni traccia di cardini di porta, di serrami e di molla, e dietro l'usciòlo tolto via e rimpiazzato da una tavola di legno come il resto dell'assito, farai levare il muro così spesso che riempia tutto il vano aperto nelle fondamenta della casa fin sotto dove finisce la scaletta. Chiusa l'osteria di Pelone, si potrà lavorare con tutto comodo senza paura di disturbi fino a domattina. Hai capito?.. Va.

Graffigna s'inchinò e si mosse per partire, ma al momento di varcar la soglia s'arrestò.

– E se il traditore fosse Pelone? disse.

– Non lo credo: rispose il medichino; ma però procureremo di scoprire qualche cosa a questo riguardo; e se mai fosse, lascia a me il pensare come punirlo.

L'omiciattolo guizzò via dal gabinetto. Si fermò in Cafarnao per camuffarsi. Si pose una parrucca di capelli tutto bianchi, si appiccicò alle guancie floscie e sbarbate una barba bianca del pari, compose il suo contegno ed il suo passo come quello d'un vecchio cadente e parve per l'affatto uno di quei mendici che tendono vergognosamente di soppiatto la mano a chi passa, borbottando confuse parole di supplicazione, con voce piagnucolante. Uscì per la bottega di Baciccia e dieci minuti dopo aveva la temerità di entrare per l'uscio della strada nella bettola di mastro Pelone. Andò a sedersi presso la tavola a cui stavano Marcaccio ed Andrea, e con una voce che era tutto diversa dalla sua ordinaria comandò a Meo, che non lo riconobbe menomamente, una mezzina di vino da sedici.

Marcaccio ed Andrea avevano già innanzi a loro un bel numero di bottiglie vuote, il primo, più robusto, resisteva di molto all'ebbrezza; il secondo, indebolito dai patimenti fisici ed anco dalla passione dell'animo, cui voleva obliare e si può dire veramente annegare nel vino, era già di nuovo ubbriaco del pari e più che la sera innanzi.

Graffigna sedutosi, come dissi, presso di loro, aspettò che Marcaccio il quale neppure non lo aveva riconosciuto, avesse gli occhi rivolti verso di lui e poi gli fece un segno convenzionale che nel linguaggio di gesti noto agli affigliati della cocca soltanto, voleva dire: «Sono uno dei vostri ed ho qualche cosa da dirvi.» Marcaccio pose allora tutta la sua attenzione ad osservare quel vecchio pezzente, e riconobbe alla fine in lui il benemerito Graffigna, rispose col medesimo linguaggio di gesti, com'era suo dovere, di aver capito e d'esser pronto ad ogni cenno. Il falso vecchio parve non pensare ad altro che a bere tranquillamente la mezzina che Meo gli aveva portata. Ma quando l'orologio a contrappesi che si drizzava a lato del banco di Pelone segnò le undici e tre quarti, Graffigna fece un altro segno a Marcaccio che non lo perdeva di vista, pagò lo scotto ed uscì dall'osteria senza parlare e senza guardar manco in viso nessuno. Il compagno d'Andrea si chinò verso quest'ultimo e gli disse:

– Aspettami qui che vengo subito, sai?

E diviato uscì ancor egli sulle traccie del finto mendicante.

– Buona sera, signor Barnaba, aveva detto Maddalena entrando nel camerino, con accento non soverchiamente rispettoso.

– Buona sera: rispose il poliziotto, facendo un sorriso, il più grazioso che fosse concesso alla sua faccia asciutta di color terreo, di guancie infossate: voi state bene, bella giovane?

– Benissimo.

La fanciulla crollò le spalle e guardò l'uomo con una certa espressione che voleva dir chiaro:

– Che v'importa a voi di codesto? M'accorgo bene che sono altre cose che mi volete dire; fate dunque presto a entrare nei discorsi che vi premono.

Barnaba parve comprendere il significato di quell'occhiata e di quell'atto.

– Sedetevi costà vicino a me, cara e leggiadra Maddalena, e datemi retta per un poco. Ve l'ho detto quest'oggi che avevo da parlarvi di cose che v'interessano di molto…

– Ed io le ho risposto che non sapevo proprio in che modo Lei avesse di tali cose da dire a me.

– Eh! lo saprete appena avrete cominciato a darmi ascolto.

Maddalena non sarebbe stata figliuola di Eva se non avesse avuta la sua buona dose di curiosità. Sotto l'ostentata sua indifferenza per le comunicazioni di Barnaba cominciava pure in lei a farsi sentire l'influsso di quella dote essenzialmente femminina; onde la ragazza sedette al medesimo desco dell'uomo che annunziava volerle dire le cose interessanti, e dispose ad ascoltare il suo udito e la sua attenzione.

Il poliziotto aveva giudicato che il miele con cui si prendono siffatte mosche gli è la lusinga della vanità e l'amore dell'oro; aveva quindi preparato in conseguenza il suo disegno di assalto, e cominciò in questo modo a metterlo in esecuzione.

– Voi siete una delle più belle e delle più piacenti ragazze ch'io abbia visto mai, Maddalena: diss'egli con un tentativo abbastanza ben riuscito per dare alla sua faccia un'espressione affettuosa ed ammirativa ed alla voce un accento di sincerità insieme e di calore; ed io vi assicuro che fra quante signorone rinomate per bellezza vi hanno al mondo non ce ne sarebbe pur una che potesse starvi al paro, quando voi foste sfarzosamente vestita coi fiocchi e fronzoli come van loro.

 

Maddalena era venuta a quel colloquio corazzata bravamente dal sospetto e dalla diffidenza contro ogni parola di quel personaggio: ma qual tempra di simil corazza intorno a petto di donna resiste all'invincibil forza di simili complimenti? La giovane trovò che quell'uomo non aveva mai parlato così bene; levò gli occhi su di lui e per la prima volta le parve che quella faccia scura, terrea, dai lineamenti immobili come una maschera, avesse pure alcun che di simpatico; disse fra sè e sè ch'egli aveva grandemente ragione, e benchè la si sforzasse a mantenersi in quella indifferenza che s'era proposta, non potè tanto padroneggiare il movimento intimo del suo animo che un lieve sorrisetto non venisse a sbocciare sulle sue labbra rosse e carnose.

– Che? diss'ella però con finta ruvidezza crollando le spalle. La parla per chiasso Lei, la è di buon umore stassera e le salta di prendersi giuoco di me.

– Niente affatto… Parlo da maledetto senno: ripigliò il poliziotto cercando sempre di dare alla sua voce fredda, monotona e quasi direi sorda, la vibrazione d'un forzato calore di sentimento. Gli è da lungo tempo, sapete, Maddalena, che ho osservato codesto, che ci vengo pensando e che mi è venuto in animo di parlarvene.

Maddalena fissò i suoi occhi sgranati, pieni di petulanza, sul volto del suo interlocutore.

– Ah sì? diss'ella. In fede mia che non avrei mai più sognato una cosa simile.

E intanto fra sè andava ella pensando:

– A che cosa vuol far capo costui? Parla egli per suo proprio conto?.. Peuh! potrebbe risparmiare il fiato… o per quello d'altri?.. E in questo caso di chi?

L'occhio acuto di Barnaba sembrò leggesse questi pensieri nella mente della giovane; poichè, quasi per risponder loro, egli soggiunse:

– Non vi figurate mia cara figliuola, ch'io vi parli con delle intenzioni interessate e con delle mire personali… Oibò! Vi parlo proprio per solo vostro bene e per vantaggio del vostro avvenire, che non so manco io la ragione, mi sta a cuore, come se voi foste qualche cosa di mio.

– Oh! oh! pensò Maddalena: egli parla per conto altrui… – Fa eziandio questo bel mestiere… Ma chi mai l'avrà mandato?

– Grazie tante: diss'ella forte in risposta a Barnaba; quest'avvenire sarà quello che vorranno Dio e la Santa Vergine della Consolata.

– Sarà quello che vorrete voi, furfantella; ed io vi dico che per vivere da signora, con quel visino, con quegli occhi lì, non avrete che da volerlo.

Maddalena colla petulante vivacità della sua natura, affrontò risolutamente, senza reticenze, il nodo della quistione.

– Buono! diss'ella: e chi, secondo Lei, mi darà da scialarla come una signora?

Barnaba credette aver in pugno l'anima della donna e si rallegrò seco stesso.

– Chi? rispose: colui che vorrete voi. Su cento ricchi libertini non avreste che da scegliere a vostro gusto e secondo vostra convenienza. Quel matto famoso d'un Principe di Lucca, se vi vedesse soltanto, non tarderebbe ad impazzire per voi.

Maddalena sentì per la sua epidermide di cortigiana passare un lieve fremito di soddisfazione. L'amor proprio lusingato aggiunse una nuova luce ai suoi occhioni brillanti d'audacia e di ardore sensuale.

– Viene Lei a nome del Duca? chiese vivacemente, curvandosi sulla tavola verso il suo interlocutore, con una mossa piena d'aspettazione.

Barnaba esitò un momento a rispondere: il suo sguardo, per gli occhi della giovane volle e credette penetrare nell'animo di lei; fu persuaso più che mai d'averglielo afferrato e per non lasciarselo sfuggir più si decise ad una implicita menzogna.

– E se così fosse, diss'egli, che rispondereste? che cosa vorreste fare?

La pupilla dell'occhio nero di Maddalena si dilatò un istante e parve mandare più vividi raggi; una avida cupidigia si dipinse per un momento nella faccia invasa dal rossore, nella bocca semi aperta, come anelante. Ma codesto non durò che un minuto. Quella fiamma si spense negli occhi, quel rossore sparì dalle guancie; e la Maddalena chinò lentamente il capo, assorta di botto in altro e tutto diverso pensiero.

Vedete di che miracoli non è capace l'amore! Un tempo, prima che le avesse preso il cuore quella infuocata e tenace passione cui avevale ispirata Gian-Luigi, Maddalena avrebbe accolto le parole di Barnaba come una felicissima ventura, ed alla sorte fattale intravedere per esse, la si sarebbe appigliata con tutto l'ardore della sua naturale ambizione, della sua vanità eccitata, della sua foga desiosa di piaceri e di lusso; ora invece l'influenza seduttiva passò appena un istante alla superficie della sua anima tutta occupata da un profondo, potentissimo affetto, e si dileguò ratta, scacciata dalla memoria, dal pensiero, dall'ardore dell'amor suo. Ella non poteva essere d'altri che del medichino: ella non poteva, non voleva avere altra sorte che quella non fosse di seguitare la sorte di lui, di rimanere sommessa a ciò ch'egli comandasse di lei. Ricordò le parole che quella mattina medesima Gian-Luigi le avea dette: «Lena, tu potresti avere e belle vesti ed ogni cosa che hanno le ricche, e potrei procurartene io stesso; ma tu sai che mi sei utile rimanendo in queste umili condizioni in cui ti ho trovata.» Ah! non ella avrebbe tradita mai l'aspettazione e la fiducia del suo amante.

Il poliziotto s'accorse del cambiamento che avveniva nell'animo della giovane, sentì sfuggirsi di mano quella presa ch'egli credeva aver fatto, ed affine di riguadagnarla, disse con tutto il calore che egli era capace di fingere:

– Non rispondete? Esitate?.. Come! Sareste tanto ingrata verso la sorte da respingere una simil fortuna che la vi manda?.. Ma, infelice e sconsigliata che siete! pensate che voi non avreste più desiderio di sorta che non vedreste subito appagato. Voi povera fanciulla siete nata e avete vissuto finora più o meno in mezzo agli stenti: ma certo avete visto dal basso delle vostre misere condizioni le gioie di quelle fortunate che si crogiolano in mezzo alle sete, alle trine, ai velluti, agli ori della ricchezza. Non sareste donna se non le aveste invidiate, se non sentiste in voi che siete fatta anche voi per quelle gioie, che colà al loro posto, in quelle carrozze, in quei saloni, con quegli abiti sareste più bella, più ammirata, più corteggiata, più adorata di tutte loro… La vostra invidia è giusta, Maddalena; il vostro intimo sentimento, il vostro istinto ha ragione. Voi sareste a mille doppi superiore a tutte in bellezza: voi vedreste tutti gli uomini ai vostri piedi.

Maddalena teneva sempre chino il capo, e lo scosse leggermente come tra per negare, tra per dire che non glie ne importava niente affatto.

– La ricchezza, continuava Barnaba con pari calore, è la prima e l'unica potenza del mondo… Voi avreste la ricchezza, Maddalena!.. Vi piacerebb'egli sciuparla, gettandola per la finestra nella strada, alla faccia della gente meravigliata? E voi quanto ne consumereste follemente di denaro, tanto e più ritrarreste a vostro capriccio da un vostro sorriso, da una vostra lusinga. Vorreste invece pensare ai vostri anni avvenire e prepararvi un'esistenza sontuosa e tranquilla per la maturità della vostra esistenza? Ma in poco di tempo voi avrete radunato i guadagni di tutta una vita laboriosa di fortunato banchiere… Ebbene, ditemi ora: che cosa decidete?

La giovane tornò a scuotere la testa, e disse freddamente con voce sommessa, sorda, per così dire, ma risoluta:

– Io sono contenta della mia condizione, e non desidero cambiarla.

Barnaba dalla maraviglia fece un sobbalzo sulla panca su cui era seduto, e guardò la ragazza come si guarda un fenomeno mai più visto, la cui stranezza lo fa parere soprannaturale. Non fu tanto ingenuo da credere che fosse la virtù a difendere così bene contro la seduzione quel fragile cuore di cortigiana. Gli era dunque l'amore ch'essa aveva pel medichino, che esercitava su di lei così potente influenza? A questa conclusione ch'egli ne trasse, il poliziotto ebbe un'ispirazione, che fu un vero tratto di genio. Le medesime cause producono sempre i medesimi effetti. Un amore simile in donna come quella, doveva essere geloso e furibondo quanto e più non fosse quello di Meo per Maddalena. La gelosia aveva conferito massimamente a dar vinto all'arte del poliziotto il giovinastro imbecille, chi sa che la gelosia pure non lo servisse ad impaniare quell'accorta, ma ardentemente appassionata fanciulla?