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La plebe, parte III

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CAPITOLO XIII

Andrea aveva finito l'empio lavoro di fabbricar le chiavi false, animato sempre dall'eccitamento dell'ira, dal desiderio della vendetta e dai vapori dell'ebrietà, sotto gli occhi di Graffigna, il quale lo era venuto via via lodando e incoraggiando nell'opera, anche mercè frequenti libazioni di quelle bottiglie ch'e' s'era fatto dar da Pelone; ma quando il compito fu terminato, i vapori del vino dal cervello e i bollori della collera dall'animo erano dati un po' giù, e la coscienza ebbe campo a ridestarsi alquanto e fargli sentire il rimbrotto della sua voce.

Graffigna nella premura di afferrare e posseder quelle chiavi, le prese con mano sollecita da quella di Andrea che le teneva quasi esitante, e le due destre in quell'atto si toccarono. Per tutte le membra dell'operaio pochi momenti prima scioperato, ma tuttavia onesto, ed ora colpevole, corse una scossa, una specie di brivido, di ripulsione al contatto di quella mano del galeotto evaso dalle galere. Gli parve che codesto tocco fosse come una spinta che lo cacciasse giù nella strada del male; ed egli trasse indietro vivamente non solo la sua destra, ma la persona, come chi si vede giunto improvviso all'orlo d'un abisso e si ricaccia indietro con ispavento per non precipitarvi. La voce della coscienza che s'era levata formolò il suo rimprovero colla semplice domanda seguente:

– Che direbbe Paolina, se sapesse codesto?

Guardò le chiavi che aveva nella sua mano callosa ed annerita dal lavoro, e l'idea gli nacque di gettarle su quel fuoco che ardeva tuttavia, al quale egli le aveva costrutte, per farle ridiventare un pezzo innocente di ferro.

– No, no, diss'egli a Graffigna che gli si era avvicinato di quanto egli erasi tratto in là e che tendeva di nuovo la destra per prenderle; no, codesta in fin fine è una scelleraggine ch'io non devo fare.

Graffigna lo interruppe colla sua voce in falsetto:

– Che è ciò? Che storie son queste? Non mi fate il ragazzo adesso, stupidaccio che siete, mio caro galantuomo da forca. Oh che vi vengono gli scrupoli sul migliore? Quel fior di birbante di Nariccia, mio buon amico, che sì che li ha avuti gli scrupoli per cacciar voi sulla strada e vostra moglie a crepar sulla neve!..

A queste parole che rincrudivano la piaga dell'anima sua Andrea ebbe un fremito in tutta la persona.

– Animo, via, soggiunse l'omiciattolo che s'accorse aver ottenuto l'effetto che voleva, lasciate che l'acqua vada alla sua china e Nariccia abbia il fatto suo, e perciò a me quei bravi e carini ordegni che avete così bene fabbricati.

E prese le chiavi di mano ad Andrea che lasciò fare.

– Benone, continuava Graffigna, ora vi rimettiamo in libertà, e potete tornarvene all'osteria di Pelone con Marcaccio che vi attende; e non vi mancheranno più denari da scialarla quanto vi pare e piace in quella caverna del mio buon amico, lo strozzino avvelenatore, degno della corda, il bravo Pelone… E siccome noi non ci contentiamo di dar parole, ma facciamo bravamente dei fatti, eccovi qui alcuni ritondini che vi aiuteranno a passare in buona allegria la sera.

Pose in mano d'Andrea un pizzico di monete. Il marito di Paolina che non aveva un centesimo più da sostentar la vita, nè mezzo alcuno per guadagnarsene, arrossì sino alla fronte, ma ritenne entro il cavo della mano quei danari che l'omiciattolo vi fece sgusciare.

– Ed ora, continuava quest'ultimo, conviene partirsi di qua collo stesso modo e per la medesima strada come siete venuto. Perciò abbiate pazienza di lasciarvi bendar di nuovo gli occhi e venire dietro me tratto dalla mia mano.

Andrea si dispose a fare a senno di Graffigna.

– Un momento però: disse questi ancora dando alla sua voce fessa e stridula un'intonazione minacciosa e più ingrata ancora del solito; prima di imbarcarci per la via del ritorno, mio caro collega, bisogna ancora che vi ricordi una volta il giuramento che avete fatto prima di entrare. Ricordatevi che di quanto vi è successo quest'oggi con me, dell'esser venuto qui, di quel che ci avete visto e di quel che ci avete fatto, voi non direte parola nessuna con anima viva, fosse pur anche il Papa che venisse ad interrogarvi, ci fosse pur anche lì il boia col capestro per farvi sfringuellare… Avete capito? Altrimenti vi ho già mostrato quel piccolo stromentino che sarebbe incaricato di mandarvi ad imparare la prudenza e la discrezione all'altro mondo.

Ad Andrea invece che paura, com'era accaduto prima, queste parole destarono ora una viva irritazione di sdegno: misurò con uno sguardo sprezzante le membra sottili di quell'omiciattolo, paragonandole alle sue robuste e muscolose; un subito impulso, una specie di tentazione gli venne di schiacciare senz'altro quel miserabile rettile velenoso che ardiva minacciarlo; fece un passo verso Graffigna con un'espressione di volto che rivelava il suo interno sentimento; l'omiciattolo con un guizzo fu all'altro capo dello stanzone, ponendo fra lui ed Andrea la tavola che stava in mezzo.

– Non le vi paian ciancie codeste, brav'uomo, che vi colga un accidente: soggiunse Graffigna. Questo piccol uomo che vedete in me, ne ha già fatto stare di parecchi, sapete, che erano più grandi e più grossi di voi della bella guisa… E se anche poteste scappare al vostro umilissimo servitore e buon amico Graffigna – cosa che credo un po' troppo impossibile per esser facile – di questi giocattoli qui (e trasse fuori il suo pugnale) con altre mani risolute al par della mia che li tengono, ne trovereste più d'uno, più di due, più di cento, ve lo dico io; ed uno di quelli che son pronti a maneggiare tal ordegno sulla vostra pelle, dove la sgarriate d'un punto, potete vederlo ora stesso, se vi date la pena di voltarvi, in quel bravo Stracciaferro, gloria della cocca, celebrità delle galere, mio degno compagno ed eccellente amico.

Andrea voltatosi vide nella penombra d'un angolo dello stanzone drizzarsi le forme madornali e la faccia imbestialita di quel gigantesco individuo, entrato poco prima chetamente, mentre il fabbro era tutto intento al suo lavoro. Capì che ogni velleità bellicosa era una follia, e chinò la testa in atto come di rassegnata sommissione.

Graffigna tornò ad accostarglisi con un sorriso trionfatore.

– Avete intesa l'antifona, e voglio sperare che non la dimentichiate: diss'egli. Bene!.. saremo amiconi allora, amiconi per questa tristaccia di pelle che non vale un botton frusto… Ma ora abbastanza chiacchere… filiamo, chè di qui conviene sgomberare.

L'operaio si lasciò bendare gli occhi senza più una parola, e colle medesime precauzioni usate nell'introdurlo in quel segreto covo, fu egli ricondotto nella retrobottega di Baciccia, dove, prima di levargli la fascia dagli occhi, fu fatto girare ancora in lungo ed in largo, di su e di giù, dandogli l'idea di aver percorso un lunghissimo tratto di cammino.

– Ora, gli disse poi Graffigna togliendogli la benda, potete andare alla bettola dove vi aspetta Marcaccio… E ricordatevi sempre il vostro giuramento e le mie parole.

Andrea uscì dalla bottega del rigattiere senza idea nessuna nè di dove andare, nè di che cosa fare. Camminò per le strade dove era già notte chiusa, senza direzione, andando in balìa delle gambe come una mosca senza capo. Di tratto in tratto gli pareva sentire una voce misteriosa sotto la collottola del cranio gridargli: «hai commesso una cattiva azione». Si diceva anzi pian piano fra sè che quello si chiamava un delitto. Egli aveva dunque posto il piede su quella brutta strada. Lo avrebb'egli creduto un tempo? Non ci aveva fatto ancora che un primo passo; poteva ritrarsene; ma no, sentiva di non esserne più a tempo, di non volerlo più nemmanco. Gli pareva d'essere afferrato dalla morsa invincibile ed inesorabile d'una macchina potentissima; avrebbe avuto un bel dibattersi: era nelle branche d'un mostro che non lo avrebbe lasciato più. E poi desiderava egli stesso andare a capo dell'avventura che aveva incominciata. Nariccia gli aveva fatto tanto male; e il desiderio di vendicarsene non poteva sfumare così agevolmente dall'animo esulcerato dell'operaio disposto alle triste passioni dalla vita di vizi e di sciopero intrapresa da tanto tempo. Dell'agognata vendetta aveva egli appena gettate le basi, compito un primo atto, cominciato un preparativo; voleva seguitarne lo svolgimento, spingerla a fine egli stesso, godere della sua effettuazione. E poi perchè non ne avrebbe tratto vantaggio egli pure? Perchè non avrebbe sollevata la sua miseria, che quello scellerato avaro perseguitava ed accresceva, coi mal raccozzati tesori dell'avaro medesimo?

Il ritorno alla innocenza d'un tempo, alla virtù dall'onesto lavoratore egli lo credeva impossibile. Ci voleva una lotta di cui non si sentiva più la forza in sè stesso. Ah se avesse potuto rifar vivo il passato! Se avesse potuto levare dall'ospedale sua moglie e riaverla sana e lieta come un tempo nel modestissimo, pulito quartieretto! Allora sì che la forza glie ne sarebbe tornata, diceva egli a sè stesso; ma codesto era impossibile. Togliendogli la moglie, e forse per sempre pur troppo, il destino gli aveva tolto il suo buon angelo per lasciarlo del tutto in balìa del genio del male. Ancor egli, l'infelice, si ripeteva la folle scusa di tutti coloro che falliscono, che cioè era una fatalità, era decreto di una forza superiore al suo volere, era qualche cosa d'inevitabile che lo voleva precipitato in quell'abisso.

Assorto ne' suoi pensieri il misero Andrea non badava punto alla strada che percorreva. L'abitudine lo portò alla casa in cui fino a quel giorno aveva abitato colla famiglia, dove o più presto o più tardi, più o meno in sentore egli rientrava tutte le sere a trovarci la moglie e i figli suoi. Nel porre il piede sopra la soglia della porta da via, si riscosse, gli parve che una mano invisibile gli desse un urto nel petto per respingerlo di colà, tornò in sè come uomo che ad un tratto si desta, riconobbe il luogo dove si trovava ed ebbe presenti le sue condizioni. Non aveva più casa, non aveva più famiglia, e chi l'aveva ridotto a tal punto, ei si diceva, era quell'uomo che se ne stava tranquillo col suo oro in quella casa medesima. Un nuovo impeto d'odio contro Nariccia, che siffatto pensiero gli fece salire all'animo, concorse a scacciarne via ogni pentimento, ogni rincrescere di ciò che aveva fatto. Gli parve il suo il più natural atto del mondo, quasi l'esercizio d'un suo diritto.

 

Ma in presenza di quella casa più vivace erasi fatto in lui il pensiero della sua Paolina; senza rifletterci altrimenti prese la corsa e fu all'ospedale dov'ella era stata ricoverata. A quell'ora non c'era verso che alcun estraneo potesse introdursi nelle sale dell'ospizio: il portiere trattò da matto il povero operaio che insisteva per entrare, e senza voler neppure dar retta alle supplicazioni che Andrea gli faceva per avere almeno alcune notizie della sua donna, lo respinse fuori e gli chiuse la porta sul muso.

Che cosa aveva da fare quel disgraziato? Dove andare? Si aggirò un poco per le strade della città e finì per capitare alla solita bettola di Pelone, dove Marcaccio lo aspettava.

La bettola di Pelone presentava quella sera un aspetto ancora più animato di quello che aveva la sera precedente, quando vi ci siamo primamente introdotti dietro i passi di Maurilio che vi guidava Gognino a rifocillarsi.

A tutte le tavole si serrava intorno numerosa una frotta di bevitori, nè Andrea avrebbe potuto trovare a nessuna un posticino, se Marcaccio, vistolo entrare, non l'avesse chiamato e fattogli un po' di luogo al suo fianco alla tavola a cui sedeva in compagnia d'una dozzina di brutti ceffi, l'uno più scomunicato dell'altro.

Marcaccio doveva aver parlato in buoni termini di Andrea a quella schiera di galantuomini, perchè lo accolsero fraternamente come uno dei loro, e gli posero innanzi senz'altro un bicchiere colmo di quel vino scuro dalla schiuma che pareva di sangue, cui cioncavano con delizia e con poca discrezione.

Le conversazioni erano animatissime, e il rumore che i varii parlari facevano saliva di quando in quando ad un tal fracasso che assordava; ma pure in mezzo al medesimo avreste potuto notare un susurrio sommesso di parole che si mormoravano all'orecchio da questo a quello, e insieme una specie di attesa, di emozione, di misterioso comune intendimento che correva da gruppo a gruppo, da persona a persona. Erano in gran parte colà i gregarii della famosa cocca, che sapevano i loro capi tener quella sera gravissimo consiglio per importantissime imprese, e loro esser radunati colà ad aspettarne, in conseguenza delle fatte risoluzioni, i cenni opportuni.

Piena di avventori eziandio, di guisa che un nuovo venuto non ci avrebbe trovato posto assolutamente, era la stanza dell'uscio a vetri; verso quest'uscio si volgevano tratto tratto curiosi e quasi impazienti gli occhi di molti e di molti.

Pelone, quella sera, aveva l'onesto animo invaso da una collera che per essere più contenuta non era meno intensa, e prometteva a sè stesso, bestemmiando come un turco, fra le sue gengive, di farla passar brulla a quel birbone di Meo, degno d'ogni peggior supplizio. Diffatti lo sciagurato, in tempo come quello, quando per la frequenza degli avventori c'era tanto bisogno di lui, mancava da un'ora, senz'avere pur domandato licenza al padrone di uscire, senza che nessuno sapesse dire dove si fosse andato a cacciare, e lasciava tutto il peso di servire tanta gente alla svogliatezza capricciosa di Maddalena ed all'infermiccia cascaggine del vecchio bettoliere.

– Figliuolo di mala femmina: borbottava Pelone fra un accesso e l'altro della sua tosse cresciutaglisi per la fatica che doveva fare ad andare di qua e di là recando piatti, vivande e mezzine. Non voglio aver più bene in questo mondo e nell'altro se non fo danzare un trescone a suon di legnate a quel malandrino: parola di Pelone!

E il malandrino su cui pendeva minaccioso lo sdegno del padrone, trovavasi fra gli artigli dell'astuto Barnaba, il quale con tutta la destrezza dell'arte sua sapeva spremerne fuori ciò che a lui importava e che Meo aveva pur giurato le molte volte di non dir mai a nessuno.

Se vi ricorda, l'agente di polizia aveva dato convegno al garzone dell'osteria per le ore otto sulla piazza del Palazzo di Città, e Meo, stimolato dal desiderio di nuocere a colui che era penetrato nel cuore di Maddalena, mentr'egli ne rimaneva escluso, non indifferente neppure alle promesse di buoni guadagni che Barnaba aveva fatto balenare alla sua cupidigia, s'era guardato bene dal mancare o dal tardare soltanto all'assegnato ritrovo, e pochi minuti prima che battessero le otto egli, in un momento che il padrone e Maddalena non lo potessero vedere, cheto cheto era sgusciato fuor della porta e corso al luogo fissato, per giungere al quale non aveva che poca strada da fare. Barnaba non si era fatto attendere di molto.

– Benissimo, diss'egli all'imbecille, accostandolo col suo felino sorriso; sei stato di parola e ne sarai contento. Ma qui non è luogo da poter discorrere di cose tanto importanti quanto son quelle che ti ho da dire; senza contare che ci fa un fresco da fare un sorbetto del nostro naso. Dunque vieni meco nella mia stanza, dove non ci avremo certamente una temperatura da stufa, ma almanco non correremo rischio di gelare e dove orecchio nessuno ci può sentire.

Il poliziotto appigionava una camera ammobiliata non molto di lì lontano; e ci furono in pochi minuti. Meo introdotto in quel povero locale, fra quei poveri arredi, si guardava intorno quasi sgomentito, attorcigliava il suo berrettaccio fra le mani impacciate, e se mai si fosse potuto dire che i suoi occhi di vetro esprimessero qualche cosa, in quel momento questo qualche cosa non sarebbe stato altro che un gran malessere di trovarsi colà ed una gran voglia di fuggirsene se avesse saputo come fare.

Barnaba, che non amava perder tempo, andò dritto al cuore dell'argomento e decise far tosto vibrare quella corda che unica poteva dar suono nella natura grossa e melensa del giovinastro.

– Dunque, cominciò egli, noi diciamo che la Maddalena è pure il gran bel tôcco di ragazza.

Le labbra di Meo si schiusero ad uno stupido sorriso della più stupida compiacenza.

– E tu la sposeresti volentieri, Meo?

Lo sciocco si mise a torcere il suo berretto, come se fosse bagnato e volesse farne uscir l'acqua.

– Magari! rispose colla faccia illuminata l'imbecille.

– Tu l'ami molto, bravo Meo, eh?

Il giovine alzò al soffitto le pallottole vitree dei suoi occhi grigi.

– Come un assassino: diss'egli con tutta l'energia ond'era capace la sua voce senza vibrazione.

– Buono!.. Ma il diavolo vuole che quella birbona sia intabaccata d'un altro, e si rida di te nella più scellerata maniera del mondo.

Meo divenne rosso rosso, e fece una smorfia come se gli avessero dato un pizzicotto con tenaglie di ferro.

– Quelle benedette ragazze! continuava Barnaba con tono di paterna compassione: sono proprio le più bizzarre creature che si possa immaginare, ed anco le più cattive… Sicuro cattive, e la Maddalena è più trista di tutte.

– Oh sì! sospirò con un grosso trar di fiato il povero scemo.

– Perchè infine ella sa che tu l'ami…

– Già che lo sa!

– E tu sei tale che ogni donna dovrebbe tenersene.

Sulle labbra di Meo tornò ad apparire, ma più leggiero e fugace, come un pallido raggio di sole in mezzo alle nubi, il sorriso di compiacenza di poc'anzi.

– Che cos'è che ti manca a te?

– Niente, glie l'assicuro.

– Sei giovane, sei bello…

– Sì signore.

– E sei onesto.

– Oh sì signore.

– Ma sei povero.

– Pur troppo!

– Se tu avessi il borsellino guernito di bei marenghini…

– Come ha sempre quell'altro: si lasciò scappar detto Meo con accento di stizza e d'invidia.

– Ah sì, neh?.. Ebbene se tu fossi come quell'altro, e più ancora fornito di denaro, niun dubbio che saresti tu il preferito.

Meo ricominciò ad abbozzar quel tal sorriso; ma di subito lo cancellò dalla sua fisionomia, che ritornò in tutta la sua abbattuta tristezza.

– No pur troppo, diss'egli crollando il capo scoraggiatamente: la Maddalena va proprio così pazza di quel demonio d'un…

S'arrestò: la parola che stava per uscirne, parve gelarglisi sulle labbra.

– D'un medichino: suggerì l'agente di polizia col tono il più naturale del mondo.

Questo nome risuonando in quella stanza, sembrò destare in Meo un alto e subito terrore, sentimento che di subito superò ogni altro. Il giovinastro si trasse indietro come esterrefatto e la sua faccia melensa espresse più che mai il vivissimo desiderio di essere lontano da quel luogo le mille miglia.

– Medichino! esclamò egli: io non so nulla del medichino… non l'ho nominato, io… io non so manco se egli esista.

Barnaba comprese che per giungere a scovar fuori da costui tutto ciò che importava, conveniva calmare alquanto quello spavento così tosto e sì violentemente inalberatosi. Colla riserva poi anche, se altri mezzi non avessero giovato, di vincere quello con uno spavento maggiore. Non insistendo dunque niente affatto su quel punto, riprese tornando il discorso all'indirizzo di prima.

– Io credo che tu hai torto a disperarti così; dove Maddalena ti vedesse ricco, tosto tosto sarebbe tutta per te. Or bene, di guadagnare dei bei rotoli di denari io posso dartene l'occasione.

E qui, sapendo, anche senz'aver letto Orazio, che assai più fanno impressione nell'animo le cose vedute coi proprii occhi, Barnaba aprì un suo stipetto che aveva per colà e ne trasse un mucchietto di monete d'oro che ci stavan riposte.

– Guarda! soggiunse venendo a far suonare le monete in mano, agitandole sotto il naso di Meo: questi bei marenghini sono per te.

Lo scemo tese avidamente la destra per ghermirli; ma Barnaba ritrasse la sua.

– Un momento: soggiunse. Sono per te, ma col patto che tu faccia quello che io voglio.

– Che cosa debbo fare?

– E non solamente questi, ma ne avrai di molti e di molti altri.

– Che cosa debbo fare? ripetè con ardore il giovinastro.

Oh strano potere dell'oro! Ecco un miseruccio di imbecille che ha un'anima torpida in corpo di torpidi sensi; cui la condizione della nascita, dell'esistenza, dell'intelletto non consente che pochi ed umili desiderii; il debolissimo spirito del quale è occupato da una paura tremenda che gli hanno fatta le minaccie di morte per costringerlo al silenzio intorno a quelle cose che di necessità a lui si dovettero lasciare scorgere e che a lui piuttosto che a un altro si permise fossero note, credendo appunto una guarentigia il suo timore e la sua melensaggine; ebbene quest'imbecille, al suono di poche monete che gli si fanno luccicare dinanzi, dimentica per un istante ogni altro sentimento, per non aver più che quello di potere far suo quell'oro.

– Che cos'hai da fare? disse Barnaba chiudendo in pugno i marenghini: rispondere la verità, tutta la verità alle domande che sto per farti.

– Signor sì, disse lo scemo, risponderò.

– Ieri sera, quando sono entrato da Pelone, nel gabinetto c'era il medichino: non è vero?

Meo si diede a grattarsi in testa con tanto furore che pareva volersi strappare la lana grossolana e mal cardata de' suoi capelli.

Barnaba allargò la mano, e gli fece luccicare dinanzi agli occhi, e suonare all'orecchio, agitandoli di nuovo, i marenghini che teneva in pugno.

– Rispondi, e rispondi giusto, o di questi non ne vedrai più nemmen l'ombra.

Un crudele e feroce combattimento avveniva nell'anima sciocca del giovinastro fra la cupidigia e la paura. E' si grattava più forte in testa e si contorceva della persona come se fosse stato colto da mal di ventre.

– Era colà il medichino, ripetè a voce bassa ma vibrata il poliziotto: era colà il damo di Maddalena?

La cupidigia e la paura tenevano in Meo la bilancia del parlare e del tacere così equilibrata che mal si sarebbe potuto indovinare da qual lato avrebbe traboccato; ma l'arte di Barnaba, aggiungendo alla prima il peso della passione della gelosia, saputa eccitare a tempo, la fece precipitare dalla parte del parlare. Meo divenne rosso rosso e pronunziò con voce soffocata un monosillabo che pareva stentare ad uscirgli della gola.

– Sì.

Barnaba mandò un sospiro di soddisfazione, e fece scivolare un marenghino dalla sua nella mano dell'imbecille. Era egli vivamente soddisfatto, l'agente poliziesco, perchè finalmente aveva così certificata l'esistenza di quel misterioso personaggio di cui ogni malfattore che avessero arrestato fino allora, con una pertinacia indefettibile aveva sempre negata la reale personalità, parte per non conoscerla diffatti e per essere essi stessi persuasi che la era un mito, parte per fedeltà al prestato terribilissimo giuramento di tacerne, anzi di negarla ad ogni costo. Era soddisfatto altresì, perchè ben sapeva l'esperto poliziotto, che una volta superato quel riserbo e quel timore che tengono un uomo in silenzio, le parole poi, come fiume per infranto serraglio, precipitano in compiute rivelazioni.

 

Meo, al tocco di quel metallo coniato che perdette tante virtù, tante onestà, tante innocenze di uomini e di donne, sentì sminuire ancora più e quasi dileguarsi i suoi scrupoli e i suoi terrori; alla vista del luciore di quella moneta nella palma della sua mano, che mai sino allora non ne aveva stretta una di tanto valore come sua, dimenticò del tutto le ripetute minaccie del suo padrone e si diede compiutamente in preda alle due passioni che Barnaba aveva saputo eccitare in lui: il desiderio di vendicarsi del suo fortunato rivale e l'avidità di far suo quell'oro.

– Va bene: ripigliava Barnaba. Appena mi vide entrare, Maddalena… quella birba di Maddalena che si getterebbe nel fuoco, che darebbe la pelle per colui, tanto ne va pazza… non è vero?

– Sì pur troppo! rispose il giovinastro coi denti stretti.

– Maddalena andò ad avvertirlo della mia venuta, ed egli, per non lasciarsi vedere, sparì tosto, come se fosse profondato sotto terra.

– Sì, e' fa sempre così: disse Meo, il quale, come Barnaba avea preveduto, ora ci andava di proprie gambe nel propalare le segrete cose ch'ei sapeva: ad ogni volta che il medichino comparisca nell'osteria, e ciò avviene di rado, ed è Maddalena che tutti i giorni… che cosa dico?.. due o tre volte al giorno, tutti i momenti, quasi, la sparisce anco lei per andarlo a trovare nel segreto ridotto…

Barnaba lo interruppe con tutta pacatezza.

– Ah ah! c'è un segreto ridotto? Domandò egli freddamente, lentamente, guardando ben fisso il giovane entro gli occhi.

Meo, che s'era lasciata scappare quasi inavvertita quella parola, a sentirla sulle labbra dell'altro si spaventò di nuovo come cavallo che inalbera.

– Non ho detto: soggiuns'egli volendosi tirare indietro.

Il poliziotto lasciò scorrere un'altra moneta nella mano di Meo.

– L'hai detto, e non c'è più da disdirsi. Tanto e tanto l'esistenza di quel segreto ridotto io la conosceva già!

– Sì? domandò tutto stupito il melenso allargando tanto d'occhi.

– Or bene, ascolta: gli è in questo segreto luogo ch'io voglio sapere il modo di penetrare. Se tu me lo insegni, non solamente tutto quest'oro sarà tuo, ma ne avrai il doppio, il triplo, quanto ne potrai desiderare.

Una grande agitazione s'impadronì di Meo. Barnaba, a crescerne ancora l'attenzione e fargli penetrar meglio l'efficacia delle sue parole, gli prese un braccio e glie lo strinse con forza:

– E ti vendicherai di quello scellerato che ti ha tolto l'amore di Maddalena, che mentre tu sospiri invano, da povero ciuco qual sei, se la gode tranquillamente con essa, sghignazzando insieme della tua grullaggine.

L'agitazione di Meo s'accrebbe forte: i suoi parevano gli occhi di quelle certe figure sopra gli orologi a contrappesi, che coll'andare e venire di qua e di là delle pupille segnano il movimento del pendolo.

Barnaba pensò che ad ottenere più compiuto il fine ch'egli si era proposto, non sarebbe stato inopportuno di aggiungere a quelli già messi in giuoco anche l'effetto della paura; soggiunse adunque facendo cupa la voce, e dando al suo accento tutta la minacciosa imponenza ond'era capace:

– Codesto otterrai tu parlando; ma se non parli, sai tu quale oramai sarà la tua sorte?.. Tu sei irremissibilmente perduto. Questa sera medesima io ti faccio arrestare, e non vedrai mai più la luce del sole.

Meo si mise a tremare.

– Senta, signor Barnaba, diss'egli, io sono un povero diavolo che tutti maltrattano, a cominciare da Maddalena. Il padrone mi tien peggio d'un cane e so io quanta conoscenza hanno i miei calzoni qui di dietro con quella scarpaccia grossa del suo lungo piede destro… Le voglio contar questa: un giorno entro nel gabinetto che il medichino vi era solo con Maddalena. Quel prepotente, perchè gli è un prepotente sa! mi si volta a guardarmi con certi occhi che parevano quelli d'un basilisco. «Che cosa vieni a far tu qui? scimunito» mi dice con una faccia da Caifasso; io che avevo una rabbia maledetta perchè vedevo Maddalena seduta sulle ginocchia di lui, con un braccio passatogli intorno al collo, gli ho risposto non so più che parole, che egli trovò insolenti. «Ah ah gli è così che rispondi a me!» disse il medichino con quel suo tono che farebbe paura ad un tamburo maggiore, «ti vo' insegnar io la creanza.» Si tolse Maddalena dalle ginocchia e si alzò venendo tranquillamente verso di me. Se non ci fosse stata lì Maddalena, sarei scappato, ma in sua presenza ebbi vergogna e volli fare il bravo. « – Non mi tocchi, gridai, o ch'io le perdo il rispetto.» E' non parve aver udito nemmanco; mi appoggiò le sue mani sulle spalle e premette di guisa che, volere o volare, dovetti chinarmi giù e non arrestarmi finchè non fui in ginocchio a lui dinanzi; allora mi prese le due orecchie e me le tirò da farmi far sangue dicendo: «Ecco di che modo si puniscono i ragazzacci riottosi. Tu, Meo, adesso mi domanderai perdono e mi prometterai di star sempre buonino e rispettoso per l'avvenire.» Dovetti domandare e promettere ciò che volle; e intanto Maddalena si sganasciava dalle risa per le mie smorfie; diceva essa che erano ridevolissime, per la mia figura, per la mia umiliazione. Quando n'ebbe abbastanza di questo mio tormento, il medichino mi fece drizzare e mi congedò con un saluto a uso Pelone che mi fece saltar fuori della porta. Udii dietro di me le risa di Maddalena raddoppiare…

– E tu, stupidaccio, interruppe Barnaba con forza, esiteresti a vendicarti di quell'uomo?.. Ma che cosa hai dunque tu nelle vene invece di sangue?

– Ah! ci ho pensato ben bene e delle belle volte a vendicarmi: disse Meo con un sospiro e con una specie di fremito. Ma come poterlo? Non me ne veniva in mente nessun mezzo. Siccome queste venute del medichino si volevano tener segrete, ed a me s'era proibito di nominarlo perfino, quell'uomo, capivo bene che, se avessi parlato, avrei fatto a tutti loro una bella rabbia; ma mi hanno minacciato tante volte che alla prima parola che mi fuggisse di bocca io sarei un uomo morto, che non ho mai osato… Ella dunque vede la mia condizione… Se parlo, zaffete, quattro dita di lama nella coratella.

– Dallo in mio potere quell'uomo, ed egli non ti potrà nuocere mai più.

– Egli, va bene… ma ce ne ha tanti d'amici e servitori… cominciando da Pelone.

– Preso lui, saranno presi anche gli altri…

– Ma prima che li prendano…

– Ebbene, ti salverò io senza fallo dai loro coltelli…

– Oh come? oh come?

– Tu lascierai la bettola e verrai meco. Ti terrò nascosto fino a che ogni pericolo per te non sia dileguato.

Meo tornò a grattarsi in testa con quel suo modo furibondo.

– Abbandonare l'osteria!.. Ma gli è che così non potrò più vedere la Maddalena… So bene che la mi disprezza, vedo che sempre più mi maltratta; ma che cosa vuole? a me mi fa piacere il vederla.

– Scimunito! Non capisci che facendo a mio modo tu ti privi per alcuni giorni della vista di lei, ma arrivi poi a possederla per sempre?

– Davvero?

– Te lo guarentisco.

– Dunque io sono il suo uomo… Faccia di me quello che vuole.

– Voglio che tu mi riveli per dove e come si entra in quel segreto ridotto.

– Ah! codesto io non lo so…

– Bada Meo!..

Questi si pose una mano sul petto,

– In fede di galantuomo, diss'egli, non lo so davvero.

Barnaba stette un momento raccolto in sè.

– L'ingresso è di certo nel camerino dell'osteria, poichè ieri sera alla mia venuta il medichino non è venuto fuori per l'uscio a vetri, e quando io entrai colà non c'era più. Sei tu capace di scoprire dov'è questo nascosto passaggio, se nella parete o nel pavimento, e di che guisa si apre?