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La plebe, parte III

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Fece una piccola pausa, e poi soggiunse con accento più vibrato, con occhi che sfavillavano d'una ardente cupidigia:

– Allora a noi tutte le ricchezze terrene: a noi tutti i tesori e i piaceri della vita, tutto che suscita il desiderio, che può soddisfare ogni passione. Affonderemo fino alle spalle le nostre braccia nell'oro – anco nel sangue se vogliamo – c'inebrieremo d'ogni voluttà, anche di quella della vendetta contro chi ci ha tenuti finora sotto il suo tallone. Saremo noi i re della terra!

Il suo accento appassionato ed eloquente faceva correre un fremito nella maggior parte de' suoi ascoltatori. Dietro le sue lenti colorate gli occhi del direttore della casa di commissione brillavano ancor essi d'un ardore indicibile di cupidigia. Macobaro aveva nel suo sguardo affondato uno scintillio maligno e sulle sue labbra tirate un sogghigno più perverso ancora; i due di cui non si è detto il nome, mandarono un'esclamazione soffocata di avidità che direi quasi feroce, e tesero le mani innanzi a sè come se già volessero afferrare quell'oro e quei diletti di cui parlava il medichino: soli Stracciaferro e Graffigna non partecipavano al comune entusiasmo. Il primo stava coi gomiti appoggiati alla tavola e la testaccia chiusa nelle mani, indifferente a quel che si diceva, come se non udisse o non comprendesse: il secondo crollava il capo ed aveva sulla sua faccia furbesca un'aria di malcontento che era una manifesta benchè silenziosa opposizione.

Gian-Luigi osservò l'espressione di quell'aspetto e cambiando ad un tratto accento e contegno, disse bruscamente e con imperiosa brevità:

– Tu hai qualche cosa da dire, Graffigna!

Questi fece un gesto come per iscusarsi ed esimersi dal parlare.

– Parla, parla, disse il medichino con autorevole insistenza. Voglio udire le tue ragioni, e ti comando di esporle.

Graffigna fece un gesto di umile e rassegnata ubbidienza, e disse col suo tono più insinuante e colla sua voce più esile:

– Ecco qui… Io non la so ragionare tanto per le difficili… Parlo come vien viene, e se dico delle bestialità conviene perdonarmi, che sono un povero uomo che il diavolo mi porti… Or dunque, io dico, che la cocca si è formata e noi vi ci siamo ascritti ed abbiamo lavorato per essa per questo motivo; che cioè noi che la componiamo potessimo avere più sicuri e più forti mezzi da mandare innanzi i nostri piccoli affari, combinare ed eseguire in barba a quella bestiaccia della Polizia i più bei colpi e i più fruttuosi… Bene!.. Volerci far uscire di li, volerci mettere in imprese che noi non comprendiamo bene, che vanno più in là di quello che ci sia possibile, ho gran paura che non serva ad altro che a comprometterci. Di quelli che non appartengono alla cocca, miserabili o non miserabili che sieno, non m'importa a me l'anima d'un bottone, crepino o non crepino di fame quella brava gente che possano far conoscenza colle pantofole del boia… Dunque sor medichino parla certamente assai bene… che mi colga un accidente; ma mio avviso è che si lascii camminare il mondo come cammina, che non saremo noi che drizzeremo le gambe ai cani, e che continuiamo perciò senza tanti imbarazzi a sbrigar chetamente i nostri piccoli negozi.

La politica pedestre, ma positiva di Graffigna parve estinguere nei due birbanti innominati la fiamma dell'entusiasmo che le parole del medichino avevano suscitata; anche l'uomo dagli occhiali bleu sembrò recarsi su se stesso e riflettere: Stracciaferro conservava sempre la sua attitudine torbida ed astratta; Macobaro fu a combattere vivacemente la opinione di Graffigna.

– E come! diss'egli, dopo aver ottenuto da Gian-Luigi licenza di parlare: Graffigna, non capite tutta l'estensione e la efficacia del piano che il nostro egregio e benemerito capo ci ha adombrato? Voi non volete che quelle imprese le quali possono arrecare a noi un utile diretto, sicuro ed immediato; ma nissun'altra più di questa che ci viene proposta varrà mai a darci tanto vantaggio. È un colpo di rapina in grandi proporzioni, al quale ci facciam complici tutti i miserabili, e del quale noi profitteremo più di tutti. Riesca o non riesca la cosa, noi verremo sempre a capo di fare un bottino quale mai non fu fatto… Pensate che possiamo avere a nostra discrezione per giorni, per delle ore almanco tutti i forzieri dei ricchi…

Gli occhi dei degnissimi soci tornarono a sfavillare di cupidigia.

– Pensate che insieme col guadagno, potremo anche avere quell'altra dolcissima soddisfazione che è quella della vendetta.

La sua curva persona si ridrizzò alquanto, e nella voce umile sempre e rimessamente trascinante, vibrò un'energia affatto nuova.

– Che? Non vi sorride, Graffigna, l'idea di poter tenere non fosse che un solo momento, sotto il vostro piede quegli scellerati che vi hanno schiacciato fin adesso, che vi schiacciano col loro tallone? Ah veder calpestati pur una volta chi ci calpesta, oppressi chi ci opprime, timorosi di noi chi ora ci fa paura, non è questo solo una benedizione di Dio?..

– Per me codesto poco importa, riprese Graffigna. Miglior modo di vendicarmi lo credo quello di farmene venire in tasca più che posso dei loro denari…

– E qui, con codesto, li prenderemo tutti i loro denari a quei birboni di nobili, di potenti e di ricchi: esclamò con forza di cui non avreste creduto capace la sua voce da vecchio, Macobaro le cui membra tremavano dalla profonda emozione: li prenderemo tutti i loro denari, le loro gioie, i loro argenti…

– Sì, se vincessimo, ma come sperarlo con tanta forza di arcieri, di carabinieri, di soldati che ci manderanno addosso. Sapete che arriverà? Che saremo schiacciati come rospi sotto una roccia, e tirando sopra la cocca tutto il furore dell'autorità, la metteremo al puntiglio di compiutamente distruggerla. Per me posso rassegnarmi benissimo ad andare a dar calci al vento nel circo dei pioppi a porta Susa11; ma mi sarebbe di soverchio dolore e rimorso vedere per nostra imprudenza rovinata quella cocca che, già impiantata da tanto tempo, ma scaduta e quasi dispersa, noi abbiamo avuto il merito di riavvivare, rafforzare, far prospera, e che vorrei trasmettessimo in ottime condizioni ai nostri successori.

Qui il medichino fe' cenno tacessero tutti ch'egli era a voler parlare. Gli fu prestata da quel fior di galantuomini una sollecita attenzione.

– Le parole di Graffigna, diss'egli, hanno il loro valore; ma credete voi che quelle osservazioni ed obiezioni io non me le sia fatte fin da prima che ho concepito questo mio disegno e che ho risoluto di metterlo in atto? Le ho meditate e discusse meco stesso, le ho pesate una per una; e se mi sono deciso dopo ciò a tentare la impresa – imperocchè sappiate che tutto oramai è disposto – gli è perchè ho trovato buone ragioni a combatterle, valevoli rimedii ad antivenire ed impedire quei danni. Questa nostra associazione, non lo dico per vantarmi, ma per amor della verità cui conviene qui accertare, se arrivò al grado di potenza e di prosperità al quale si trova, lo deve per la maggior parte a me: ora come potreste voi credere che io fossi tanto poco sollecito dell'opera mia da comprometterla con leggerezza ed esporla a facili sconfitte? No, compagni miei, non credetemi nè sì cieco, nè sì incauto, nè sì colpevole, perchè codesta sarebbe una vera colpa. Se io ho pensato di far della nostra cocca la molla principale della rivoluzione che voglio suscitare, la parte direttiva e quella perciò che ci avesse poscia il profitto migliore, ho pensato eziandio a cingerla ed avvalorarla della forza di molti altri complici che senza saperlo, credendo anzi muoversi per proprio interesse, lavorassero ad esclusivo di lei vantaggio, e in mezzo ai quali la cocca medesima sparisse nascosta, come la forza segreta che anima l'organismo vivente, cui nessuno può afferrare, per venire a galla soltanto allora che il trionfo le desse l'opportunità di saltar fuori ed afferrare la preda. Credete voi forse che questo sia un progetto sbocciato d'improvviso nel mio cervello, e voluto attuare colla foga del primo trasporto dell'immaginazione che non tien conto degli ostacoli? No; così non è. Questo progetto gli è da anni ed anni che io lo vo rivolgendo meco stesso nella mente; gli è da anni ed anni che s'è impadronito di tutto l'esser mio e che mi comparisce sotto ogni sua faccia e che mi s'impone colla sequela delle sue difficoltà per far travagliarsi il mio spirito a meditarle e sciorle l'una dopo l'altra: gli è fino dalla mia adolescenza, quando, affacciatomi appena alla soglia della vita, vidi così iniquamente distribuite le parti nel mondo, e in quel tirannico ordinamento non un posto per me… Quando le circostanze, i miei bisogni, le mie passioni mi gettarono in mezzo a voi, – ve lo confesso aperto – io mi vi diedi tutto, perchè all'anima mia era balenata di subito la speranza che questo sarebbe stato un saldo punto d'appoggio per quella leva ch'io voleva muovere a scuotere e rovesciare l'ingiusto assetto sociale presente: quando la mia audacia e la forza della mia volontà mi fecero vostro capo, giudicai che la sorte voleva darmi l'eccelsa contentezza di effettuare il mio sogno. Avevo già incominciato l'opera in umili e ristrette proporzioni; la continuai con più ardire, con più speranza, con più mezzi in un più vasto ambito, con più certi e più ampi successi.

«Nel mondo oltre i nostri, ci sono altri odii, altre ambizioni, altre passioni che imprecano alla società attuale e la vorrebbero modificata a loro profitto e ne minacciano alcuna parte. Non è solo qui da noi che ci sono poveri che soffrono, e ricchi che vivono empiamente del sudore del popolo; pensai che lo scoppio dell'ira dei pezzenti negli altri paesi potesse aiutarsi, eccitarsi, combinarsi per venire in soccorso e assicurare il trionfo del nostro. Avvisai che noi potevamo sfruttare eziandio e il maltalento e le invidie del ceto medio che altrove, mercè la ricchezza, è arrivato già alla cima della scala e qui è tenuto basso dai privilegi accordati dalla monarchia assoluta alla nobiltà, gli sdegni e le aspirazioni delle intelligenze ora soffocate, le ambizioni di coloro che si accorgono d'essere schiavi perchè non son essi a comandare, le generose follie di chi, volendo avere una patria, vorrebbe costituire dell'Italia una nazione indipendente dallo straniero. Tutto questo ho raggruppato insieme e dei varii, molteplici fili, tengo i capi nella mia mano.

 

«Domenica ventura – date ben retta – fra pochi giorni adunque, domenica, di sera, quando piene affatto le tenebre la gran lotta ha da incominciare. Giovani dalla fantasia accesa e dal cuore in cui batte un sangue concitato, studenti, artisti, commercianti, insorgeranno armati nel nome della patria e della libertà; noi da nostra parte lancieremo nelle strade le scure e torbide legioni della miseria che grideranno «abbiamo fame e vogliamo del pane e dell'oro.» Quelli assaliranno l'arsenale, le caserme, le dimore delle autorità, – anche della prima di tutte: questi – i nostri – si precipiteranno sulle case e sui forzieri dei ricchi. Le truppe saranno occupate dalla rivoluzione politica, noi avremo il campo libero, ed il saccheggio sicuro.»

Pronunciò queste due ultime parole con accento spiccato, con espressione tentatrice come l'iniquo soffio del demone, con isguardi lucenti di passione profonda. Tutti i suoi uditori si riscossero, fin anco Stracciaferro, che levò dalle palme delle sue manaccie il suo volto animalesco e mostrò un lampo d'intelligenza nelle sue pupille offuscate.

– Ah sì, il saccheggio: grugnì egli a suo modo colla voce rauca e avvinazzata: questo mi va.

– Il popolo avrà delle armi: i nostri che faranno da capi alle turbe saranno più armati degli altri. Abbiamo oltre alle armi materiali quella morale più potente di tutte, il danaro. Pagheremo se non tutti una gran parte degli operai perchè facciano causa comune con noi contro i loro padroni. Più ancora del danaro possono in essi le ragioni e le idee che da tempo ho procurato si spargessero fra di loro.

Qui il direttore della casa di commissioni fece un lieve cenno che pareva significare aver egli alcuna cosa da dire.

– Parlate pure, gli disse il medichino interrompendosi.

– Voglio dire, poichè Lei me lo permette, che da questo lato le cose camminano il meglio che si possa desiderare. Dietro suoi ordini e secondo le sue istruzioni, ho continuato ad agire e far agire sì direttamente che indirettamente sui principali operai di tutte le officine.

Qui Graffigna interruppe dimenticando per un momento il suo rispetto alla disciplina.

– Questo è vero. Nella fabbrica Benda che è una delle primissime, so io di sicuro che non si starebbe guari ad avere dalla nostra buona mano di quei lavoratori. Marcaccio insusurrato da me va gonfiando le orecchie a certo Tanasio che ha molta influenza sui suoi compagni, e per suo mezzo quel caro uomo degno della galera ha messo assai bene il baco fra quegli operai… Non basta; testè quel Marcaccio medesimo – bravo capitale d'un assassino va! – ci ha fatto acquistare una preziosa recluta che ci sarà utilissima in molte occasioni, essendo che gli è un eccellente fabbro-ferraio, e che ci potrà aiutare assai bene anche in questa, perchè fu già negli opifizi del signor Benda, ne fu scacciato, ed oggi stesso, avendo mandato la moglie a supplicare d'esservi riammesso, si ebbe un bel no, di che sentì un'ira maledetta e giurò l'avrebbe fatta pagare al suo antico principale.

– Benone! esclamò l'agente d'affari. Quella è delle fabbriche più importanti e che abbiano maggior numero d'operai.

– Senza contare che il padrone di essa è uno dei più ricchi di Torino e che c'è da fare un leva ejus ne' suoi scrigni proprio co' fiocchi.

– È vero: esclamarono con avidità di desiderio gli altri, meno il medichino e Stracciaferro sempre assorto nel suo torpore.

– Ma il guaio si è, soggiunse finemente Graffigna, che sor medichino non vuole che alla famiglia Benda si tocchi.

Tutti si volsero a Gian-Luigi come aspettandone una spiegazione.

– Gli avevo suggerito questa mattina medesima un simil colpo, continuò Graffigna, ed egli me ne rimbrottò come un cane.

Il medichino stette un momento in silenzio reggendo colla sua mano bianca e sottile la bella fronte; poi scuotendo la testa, come per gettarne via alcun molesto pensiero, disse sorridendo d'uno strano sorriso:

– Sì, è vero… Questa mattina ho parlato così: ma ero allora sotto l'impressione di certi sentimenti… che gli è inutile spiegarvi… Adesso quell'impressione è superata, e ragiono diversamente. Come tutte le altre, anche la fabbrica del signor Benda sarà sconvolta dalla sommossa.

– Così va bene: esclamò Graffigna. – E conto d'esserci io colà al momento buono: soggiunse fra i denti.

Gian-Luigi rimase di nuovo un istante riflessivo, poi riprese coll'accento di prima:

– Tutte le officine adunque insorgeranno. Noi sceglieremo accuratamente fra i nostri uomini quelli che per ciascuna dovranno ficcarsi in mezzo agli operai ad istigarli prima, a capitanarli nel momento dell'azione. Quando una massa di popolo trasmoda in tumulto, chi è più esagerato in parole, più audace nei fatti agevolmente se ne impadronisce, e nelle vie della violenza la volge a suo senno. I nostri uomini, cui un per uno voi comunicherete le istruzioni che vi darò testè io stesso, parleranno ed agiranno da imporsi come capi alla sommossa. Ciascuno di essi riceverà prima del fatto una somma; del bottino poi, obbligato a renderne conto a noi e recare in comune, avrà promessa solenne di ottenere considerevolissima porzione. Le varie parti del disegno, le fasi della rivolta, i modi e l'ora degli assalti diviseremo accuratamente capo per capo, e ciascuno di voi sarà incaricato di provvedere all'esecuzione di ciò che a lui sarà stato assegnato, concertandosi cogli uomini che da lui dipenderanno. Ai principali di questi agenti subalterni parlerò ancor io medesimo. Essi però non dovranno conoscere il piano generale e riceveranno poscia man mano, quando impegnata l'azione, gli ulteriori ordini ed istruzioni. La massa comune degli affigliati alla cocca non saprà nulla di nulla e si caccerà nella riotta come a profittare d'una buona occasione di rapina che si presenti, senza avere il menomo sospetto che quest'occasione noi abbiamo lavorato a farla venire. I capi-squadra poi, trascelti per avere comunicazione di quella parte del disegno che occorra loro far nota affinchè possano utilmente servirci, ripeteranno il solito giuramento di morire piuttosto che rivelar nulla, se mai cadono negli artigli della polizia. – Ed ora, compagni, procediamo, senza ritardo alla scelta importantissima di questi individui.

Il direttore dell'agenzia d'affari trasse fuori un elenco di quei fiori di galantuomo, e lo scellerato sinedrio si pose con infinita attenzione a pesare nome per nome affine di sceverare dal mazzo i più degni dell'alto ed onorevole ufficio.

Quando codesta delicata operazione, che durò lungo tempo, ebbe termine, Gian-Luigi accennò di sciogliere l'adunanza ordinando ai sei accoliti di passare nella taverna di Pelone per cominciare ad impartire a chi si doveva le informazioni ed i comandi opportuni; ma Graffigna colla sua voce di falsetto domandò che lo si ascoltasse ancora un momento.

– Tutto questo va benissimo, diss'egli: quello del nostro medichino è un piano grandioso, che mi venga un accidente, degno di quel testone tanto fatto che ciascuno deve riconoscergli, un piano che con una sola retata ci può dare in mano più di quanto un centinaio di bei colpetti non possa fare. Non dico mica diverso, miei cari compagni ed amici: io non l'avrei saputa pensare una cosa simile: se dessi retta soltanto al mio piccolo comprendonio, direi che ci cacciamo in uno spineto da lasciarci non soltanto i brandelli dei calzoni, ma benanco della nostra p… d'una pelle che non vale un botton frusto, siamo d'accordo, ma che pure ci è cara a tutti quanti, o che il diavolo mi porti.

Gian-Luigi fece un atto d'impazienza, l'omicciattolo s'affrettò a soggiungere:

– Non dico questo per oppormi in nessun modo all'affare. Le parole del medichino hanno trasportato anche me. Facciamo pure a suo senno: mi ci metterò di buona voglia, e quella frotta che avrà la mia compagnia, state pur sicuri che vorrà far per benino la sua bisogna…

– Insomma, lo interruppe Gian-Luigi impaziente: a qual conclusione vuoi tu venirne?

– A questa: il gran colpo esploderà domenica. Bene; ma da oggi a quell'ora ci abbiamo un quaternario di giorni in cui pare a me si potrebbe pur compiere qualche altro buon colpettino ammodo che ci aiutasse sempre meglio ad ugnere le carrucole. Io ce ne ho due belli e preparati, che sono come frutti maturi, i quali non si ha che da allungar la mano per coglierli…

– Sentiamoli, sentiamoli: dissero in coro gli altri.

– Eccoli qua, mia cara brava gente di galeotti. L'uno sarebbe pel marchese di Baldissero, nella cui casa è affare di poca difficoltà l'introdursi una notte in parecchi bravi amici, e di cui la Gattona saprà spiegarci per bene com'è diviso l'appartamento perchè vi ci possiamo cavare i piedi.

Al nome della Gattona Stracciaferro volse uno sguardo quasi intelligente al suo compagno di delitti e d'infamia.

– La Gattona! diss'egli: lasciala stare quella sciagurata di mia sorella. Ella è più trista di tutti noi.

– Giusto appunto! La ci può servir benissimo. L'altro colpo sarebbe verso quel birbone matricolato, senza fede nè legge, mio buon amico, l'avaro usuraio, strozzino scellerato di Nariccia. Qui la cosa è ancor più semplice. Il miserabile alloggio in cui quel vecchio esoso sta colla sua vecchia sudicia di fante, io lo conosco come il fondo della mia tasca: sor medichino lo conosce al pari di me: e per introdurci colà ci abbiamo le chiavi fatte a meraviglia dall'uomo procuratoci da Marcaccio e che apriranno benissimo, chete come olio.

Gian-Luigi interruppe vivamente:

– Ah! quelle chiavi ci sono?

– Sor sì: eccole qua.

– Bene! Mi fa piacere lo averle.

– E dunque: soggiunse col suo solito accento insinuante la voce squarrata di Graffigna: il colpo si fa?

– No… per adesso: rispose fermamente il medichino: nè questo nè un altro. Per questa settimana tutti ci conviene raccogliere i nostri spiriti e i mezzi nostri a preparare la grandissima lotta – forse finale – e non bisogna disperdere le nostre forze, nè chiamare di soverchio l'attenzione della Polizia sui fatti nostri. Se nella lotta di domenica riusciremo, non occorrerà più ricorrere a questi parziali delitti: se non vinceremo, allora, di poi, si potrà riprendere la nostra opera tenebrosa… Or basti. Andate da Pelone e comunicate ai capisquadra le cose convenute.

Due minuti dopo Gian-Luigi era solo in quel misterioso ridotto. Egli aprì l'uscio del gabinetto a lui riserbato esclusivamente, accese il lume che era colà e lasciandosi cader seduto nella poltroncina che stava innanzi alla scrivania, appoggiò i gomiti al piano di questa, resse nelle mani la fronte e parve immerso di subito in profondi pensieri.

11In codesto luogo avvenivano in quei tempi le esecuzioni capitali dei malfattori.