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La plebe, parte III

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– Aiuto! aiuto!.. Ci assassinano!



Non potè aggiungere altre parole chè Arom le arrivava sopra e ghermendola colla destra per quel poco di viluppo che le facevano sulla nuca le magre treccie delle sue chiome canute, la trasse violentemente entro la stanza, mentre coll'altra mano le tappava la bocca.



– Taci, mala femmina, o ch'io, com'è vera l'esistenza dell'Eterno, ti strozzo.



– Lasciate quella misera: disse Ester intromettendosi nuovamente: non la maltrattate ed ella tacerà; ve lo prometto io. Non è vero, Debora, che per far piacere a me tu tacerai?



La vecchia fante, ancorchè avesse voluto, non avrebbe potuto più continuare le sue grida. Ogni forza era assolutamente spentasi in lei. Jacob sentì che gli mancava sotto le mani, e poichè egli la lasciò andare, ella si accoccolò in terra non isvenuta, ma senza precisa e piena coscienza di sè e delle cose che avvenivano intorno a lei, quasi imbecillita.



Ester chiuse ella medesima la finestra: questa guardava in un altro cortiluccio interno del ghetto, diverso da quello in cui era l'uscio d'entrata; alcuni probabilmente dagli alloggi vicini avevano udito le grida di Debora, ma per quella fredda, nevosa notte d'inverno, nessuno aveva pensato bene di scomodarsi pur tanto da aprir la sua finestra a guardare donde partissero quelle grida e che cosa le cagionasse.



Abbandonata la fante, il padre di Ester si rivolse di nuovo alla figliuola; ma dal suo volto era scomparsa ogni traccia di men crudo sentimento e vi stava sola l'espressione dell'ira feroce.



– Tu lo confessi! ripetè digrignando i denti o, per meglio dire, le gengive. Tu sei colpevole?..



Ester sollevò nobilmente la testa, e con coraggiosa fermezza rispose:



– Amo!



Jacob abbassò la voce, ma l'accento era terribile:



– Tu se' madre?



La giovane curvò il capo.



– Maledizione! urlò il vecchio: e come hai tu potuto credere che io tollerassi una tanta infamia, una simil vergogna?.. Ed è questo il compenso al tanto amore che ti portavo?.. Pel Dio d'Abramo! La scelleraggine nasce adunque compagna alla donna e cova in lei seconda natura? La tua anima è un nido di vipere. Tu hai tradito tuo padre ingannandolo giorno per giorno, porgendo sfacciatamente al suo bacio una fronte infamata!.. Oh mi annienti il fuoco del cielo se tu non avrai da scontare con lagrime di sangue, con lagrime per tutta la vita l'orrenda colpa: tu e quella sciagurata là, più vile d'ogni vil cosa in questo mondo.



Ed accostatosi alla vecchia Debora sempre accosciata a quel modo per terra, la percosse con un calcio.



La misera mandò un gemito.



– Per carità! per carità! susurrò essa con quel poco fiato che le rimaneva.



Ma il vecchio furibondo, assalito in quella da un'altra idea, si slanciava di nuovo contro la figliuola.



– E il tuo complice? Oh oh su di lui avrà da piombare eziandio la mia giusta vendetta… Io sono un povero vecchio.. un ebreo… un nulla, a cui si può impunemente recare la più fiera offesa, un verme che si schiaccia, senza il menomo riguardo e senza il menomo rischio, passando… Quell'infame lo crede; e di certo ride di me, del debole padre ingannato e beffato… Miserabile! Il suo riso gli rimarrà nella strozza… Trema per lui, qualunque siasi, fosse pur anco un potente, trema per lui, donna perduta che tu sei, trema se tu l'ami!.. Io no, non sono il verme innocuo che si calpesta impunemente; sono un essere che striscia nel fango, sono un rettile; sia; ma un rettile velenoso che morde il piede incauto che gli si posa sopra ed uccide il suo calpestatore… Il tuo amante, il padre di quel frutto infame che tu porti nelle tue viscere, te lo dico io, morrà, di cruda, orribil morte, morrà… E tu pure morrai; e la tua creatura maledetta nel tuo seno morrà senza veder la luce del sole.



Avanzava verso la figliuola il suo orribil viso di animale di rapina, acceso da una orribil fiamma di sdegno feroce. Ester incrociò le braccia al suo seno e disse fieramente ancor essa, con un lampo di superba audacia nei begli occhi neri:



– Credete voi che io non saprò difendere la vita di mio figlio? La mia poco m'importa; l'abbandonerei alla vostra vendetta; ma l'esistenza della mia creatura, oh per tutte le potenze del cielo e della terra, la difenderò anche contro di voi.



– Stolta! Povera stolta!.. Tu non conosci ancora tuo padre… La tua colpa ha cambiato in lui l'amore che aveva per te in odio profondo… Tu lo troverai implacabile!.. Esso te lo ha detto: quando tu cessassi di camminar nelle sue vie egli avrebbe scatenato su di te tutte le maledizioni ed avrebbe invocate anche quelle dell'Eterno. Jehova, il Dio terribile, il Dio della vendetta, conferma le maledizioni de' padri!.. Difendere la tua creatura! Come la potrai difendere contro la fame?



A questa orrenda parola che le rivelava l'avvenire minacciatole da suo padre, Ester non potè trattenere un grido e vacillò come se materialmente colpita da un urto.



– Ah padre! diss'ella giungendo le mani, non per me, ma per mio figlio, pietà! Esso è innocente.



– Pietà nessuna!



Ester tornò in un'espressione di riagente fierezza.



– 

Egli

, disse con una certa enfasi, saprà sottrarci, e me e suo figlio alle vostre mani.



Il parosismo della collera di Jacob che pur sembrava aver già toccato l'estremo suo limite, s'accrebbe ancora; le guancie gli diventarono color della cenere, mentre gli occhi avreste detto che in realtà schizzavan fiamme.



– Egli! Chi egli? Il tuo drudo, sgualdrina?.. Oh sentiamo un po' chi è costui!.. Ho gusto d'udirne pronunziato il nome dalle tue labbra… Su via: chi è? Parla.



Ester scosse il capo in modo negativo. Il padre le afferrò le braccia ai polsi e stringendole colla forza convulsa del suo furore, ripetè:



– Chi è? Voglio saperlo… Parla!



La giovane mandò un grido di dolore.



– Parlerai tu?



Ella si liberò con una violenta strappata da quella stretta che le lasciò un cerchio livido intorno le braccia e corse all'altro capo della stanza.



– Non ve lo dirò, non ve lo dirò mai: gridò essa con risolutezza disperata; e poichè vide suo padre accennare di accostarsele, soggiunse col medesimo accento: ah non tentate farmi violenza che io risponderei colla forza alla forza.



La sua attitudine la dimostrava pronta anche all'orribil lotta. Jacob si fermò: e padre e figlia si stettero guardando come sfidati nemici. Era un'orrenda scena!



– Che ho io bisogno tu mi dica il suo nome? riprese dopo un po' di silenzio il padre. La vostra imprudenza me lo ha rivelato; il mio istinto medesimo, anche senza di ciò, l'avrebbe saputo indovinare… Gli è un miserabile cristiano!.. Certo un così empio uomo, un vil seduttore di tal fatta non poteva che appartenere a quella razza di scellerati… Dio de' miei padri!.. Mia figlia in potere di un cristiano; mia figlia contaminata dai baci d'uno di quei persecutori d'Israele!.. Ma tu sciagurata non sai manco qual sia colui a cui ti sei prostituita! È un uomo che non ha nè fede nè legge; è un uomo a cui lo spergiuro e il delitto sono così facili come la parola ed il sorriso; è un uomo che ha le mani macchiate di sangue, che io potrei quando che sia far salir sul patibolo… E così farò, te lo giuro, e tu vivrai tanto solamente da vederlo per mano del boia appiccato, il tuo amante…



– Oh tacete! proruppe con esplosione d'orrore la giovane. Sperate voi ch'io creda queste assurde accuse?..



– Assurde!.. Sono verità sacrosante; e lo vedrai. Ah! ci saranno eziandio altri occhi di donna oltre i tuoi che piangeranno sul supplizio disonorato di questo leggiadro rapitore di cuori… Arrossisci e confonditi nella tua vergogna, miserabile druda d'un ladro ed assassino. Nè anco il suo amore tu non lo possedesti mai, ed egli uscendo dalle tue braccia andava a recare altrove i suoi sozzi amori deridendo con altre la tua credulità e l'abbandono dei tuoi trasporti.



Ester fece un sobbalzo come se tocca da ferro affuocato.



– Voi mentite! gridò essa con forza indignata; io non credo nulla di queste scelleraggini… Ah se lo credessi!



– Ebbene che faresti?



Gli occhi della giovane balenarono fieramente.



– Vorrei anch'io, disse, e saprei anch'io vendicarmi.



Il vecchio fece un orrido sogghigno.



– Va bene! Vedo che qualche goccia di mio sangue c'è pure nelle tue vene… Vendicarti?.. Va là, che sarò io ad ottenerti la più compiuta vendetta… Ci vendicherò entrambi a misura di carbone…



La figliuola si accostò a Jacob e soggiunse con solenne accento:



– Giuratemi, padre, pel nostro Dio e per Israele, che quanto mi avete detto di quell'uomo è la verità.



Arom tese la scarna mano.



– Per Jehova e per Israele, per la memoria di tua madre e per la speranza del Messia ti giuro che tutto ciò che ti ho detto è vero.



E le raccontò gli amori di Luigi colla contessa di Staffarda, colla cortigiana Zoe, coll'abbietta Maddalena.



Ester divenne ancora più pallida di quel che fosse, strinse con forza convulsa le mani l'una nell'altra e disse con fiera pacatezza:



– Sta bene… Fate di me e di lui quello che volete, padre.



In quel momento ella non pensava manco più all'innocente creatura che portava nel suo seno.



Questa rassegnazione parve placare alquanto il vecchio furibondo.



– Farò, farò, diss'egli, e si rallegreranno dell'opera mia gli angeli delle tenebre.



Volse lo sguardo verso Debora, che giacendo sempre per terra, pareva un viluppo di sordidi panni.



– E prima di tutto a questa infame!..



Le venne presso e la riscosse col piede come si farebbe ad un cane tignoso.



– Su, strega, alzati e seguimi.



La vecchia allargò tanto d'occhi in faccia al padrone e disse con voce piagnuccolosa:



– Per carità, non mi fate male.



– Alzati, ripetè Jacob.



Debora si drizzò.



Arom prese l'unico lume che ardeva sulla tavola, ed accennando l'uscio che metteva nel primo scompartimento dei due in cui era divisa la stanza, le comandò:

 



– Va!



La fante, vacillando sulle sue gambe che tremavano, s'affrettò ad obbedire.



Jacob, sul punto di uscire ancor egli, disse alla figlia:



– Questa sarà la tua carcere – 

per ora!



Varcò la soglia e chiuse dietro di sè la porta a chiave. Ester immobile pareva non prestar più attenzione a nulla che le avvenisse dintorno. Udì incommossa le ultime parole di suo padre, udì chiuder l'uscio di quella stanza da cui non sapeva se ancora sarebbe andata fuori vivendo; rimase all'oscuro, sola, e continuò a star dritta a quel luogo in cui si trovava – gli occhi fissi innanzi a sè, ai quali apparivano chi sa che crudeli visioni!



Il fiero vecchio intanto trasse Debora più morta che viva fin nel sotterraneo ripostiglio dove sappiamo ch'egli teneva nascosta la maggior parte dei suoi tesori. Cacciò là dentro la povera fante tramortita e ve la chiuse senza pure una coperta a difendere le sue vecchie membra dal freddo umidiccio di quel luogo.



– Le non mi scappan più: diss'egli risalendo alla stanza del pian terreno, e così non possono avvisar di nulla il

medichino

… Ah ah! gli è con costui ora che bisogna avviare una difficil partita. Bisogna perderlo senza perder me. Egli è furbo, egli è potente, egli è audacissimo…



Sedette in quello stanzone in cui ora si trovava solo, e messo il capo fra le due mani stette lungo tempo a meditare, senza che una sola parola più gli uscisse dal labbro. Si riscosse finalmente, s'alzò, prese il suo frusto cappello, il suo frustissimo pastrano, e si dispose ad uscire.



– Andiamo all'importante convegno della

cocca

: disse fra sè. Conviene che nessuno sospetti di niente, e intanto da quello che si farà e si dirà stassera, avrò forse qualche elemento per saper di meglio come regolarmi.



Ed uscito di casa, dopo aver chiuso con ogni maggior cura la sua porta venne fuor del ghetto e si diresse verso quella parte della città in cui era la bottega del suo collega rigattiere, il

Baciccia

.



CAPITOLO X

Abbiamo visto come Don Venanzio e Giovanni Selva, mentre fra Maurilio e Gian-Luigi aveva luogo il colloquio che abbiamo riferito al capitolo VIII, si fossero recati da quella vecchia che era soprannominata la

Gattona

, e li vedemmo pure tornarsene presso il giovane loro amico, animati da una certa emozione, dicendogli che avevano qualche cosa di importante da dire.



Per meglio comprendere ciò che era avvenuto ai due amici di Maurilio, bisogna che ci rifacciamo alquanto indietro nella mattinata di quel giorno medesimo, quando nell'occasione dell'arresto del nostro protagonista,

Gognino

, il nipote della

Gattona

, aveva visto quel cotal bottone d'argento e meravigliatosi di trovarlo uguale ad uno cui possedeva eziandio la nonna. Già narrai come il ragazzo avesse contato codesto alla nonna che avea mostrato dare a tanto semplice fatto una certa importanza, ed erasi senza indugio recata al convento del Carmine a consultare il gesuita Padre Bonaventura

6

6


  Vedi Capit. XIII della Parte II.



; già vedemmo eziandio come quest'ultimo fosse andato, subito dopo il colloquio colla

Gattona

, in casa messer Nariccia, e dalle poche parole che abbiamo udito nell'atto in cui l'usuraio riconduceva il frate fino sul pianerottolo dove trovava Gian-Luigi che veniva da lui per impegnare i diamanti della contessa Candida, da quelle parole abbiamo potuto indovinare che Padre Bonaventura aveva ripetuto a Nariccia i discorsi che s'eran fatti fra lui e la nonna di

Gognino

, che il frate e la

Gattona

 avevano alcun sospetto sull'origine di quel giovane che possedeva il piccolo oggetto veduto dal ragazzo, che l'usuraio non ispartiva que' sospetti, ma intanto approvava il consiglio che Padre Bonaventura aveva dato alla vecchia mendicante, di tacere per ora e cercare di appurar meglio la verità

7

7


  Vedi Capit. XX della Parte II.



.



Le parole anzi di Nariccia furono tali che ci appresero aver egli non che alcun interesse in quell'affare misterioso, ma qualche rischio eziandio da correre; e ci è facile l'argomentare che se la

Gattona

 con tanta sollecitudine era corsa ad apprendere al frate la scoperta di

Gognino

 e consultarsene in proposito, e se il frate con pari sollecitudine erasi recato da Nariccia ad istruirlo di tutto, il vero dev'esser che quei tre personaggi hanno avuta una parte qualsiasi, ma certo importante, nel fatto che tolse alla sua famiglia, al suo grado, forse alle sue ricchezze un bambino e che ora dubitano, sia speranza o timore il loro non sappiamo, che questo bambino possa tornar loro innanzi nella persona di Maurilio.



E non molto più di questo avremmo potuto scoprire ancorchè avessimo trovato modo di udire i confidenziali colloquii che ebbero luogo in proposito fra la

Gattona

 e Padre Bonaventura, e fra costui e Nariccia. Essi parlavano di cosa della quale ogni incidente era loro ben noto, di cui non avevano da richiamare alla mente nè propria, nè dell'interlocutore alcuno dei precedenti, di cui pareva inoltre che niuno avesse molto gusto nel ricordare e ripetere i particolari: essi quindi si capivano a mezze parole e chi ignorava ciò che fosse avvenuto fra di loro, non avrebbe a niun costo potuto ricostrurre il complesso dei fatti dai tronconi che presentavano le loro frasi.



Fra non molto ci sarà dato di penetrare in questo mistero, intorno a cui gravita e s'aggira gran parte del nostro dramma; per ora contentiamoci di questo adombramento che ci mostra uniti nel passato da un certo legame, forse di complicità, i tre poco nobili e poco simpatici personaggi, del gesuita, dell'usuraio e della vecchia spigolistra, mezzana e peggio.



Costei, dopo il colloquio col frate, era stata ancora un poco alla soglia della chiesa del Carmine coi suoi candelotti, cui alla richiesta di questo o di quel divoto andava ad accendere ad uno od all'altro altare per la ricompensa di due soldi ciascuno; ma quella mattina la donna non aveva la mente rivolta a questo religioso e stupido commercio, sibbene stava fra sè ruminando ben diversi e più gravi pensieri ed a suo avviso ben più importanti per la sua sorte medesima.



Ecco press'a poco le cose che le frullavano per la testa:



– Se questo fosse proprio il ragazzo ch'io credo, qual conseguenza ne verrebbe per me? Buona o cattiva?.. Cattiva è impossibile… Non son io che ho deciso la sua scomparsa ed ho invece procurato fosse ancora possibile il rintracciarlo un giorno… E poi in più cattive acque di quelle dove affogo non ci posso cascare… Se invece la scoperta di codestui è presa pel buon verso, non è forse il caso ch'io mi debba aspettare qualche larga ricompensa?.. Se mi ricordo bene, il figliuolo del padrone non voleva la sparizione del bambino. È un uomo così onesto che se gli si conducesse davanti quel giovane e gli si provasse chiaro esser suo sangue, lo accoglierebbe a braccia aperte e lo vorrebbe risarcire del tempo trascorso; lo farebbe, non foss'altro che in memoria della morta… Impossibile che lasci nella miseria la persona che facesse questo miracolo!.. E il giovane balzato così ad un tratto in mezzo alla ricchezza, che riconoscenza non dovrebb'egli avere per me?



Sorrise colla sua bocca sdentata alla prospettiva delle ricompense che le avrebbe dato siffatta gratitudine.



– Padre Bonaventura, così continuava seco stessa, vuole ch'io non muova nè anco un dito, che lascii fare a lui… Già, perchè vuol tirar l'acqua al suo mulino, vantaggiarsene egli, ed a me levarmene ogni merito… E fors'anco che a lui ed a quel birbante di messer Nariccia conviene di più metter la cosa in tacere, che la continui ad andare come la è ita fin adesso, e chi ha avuto, ha avuto. Ma se la è così, non foss'altro che per far danno a quello scellerato d'un Nariccia che si avvoltola nell'oro e me lascia nella miseria, dovrei parlare… L'importante si è di saper bene su che terreno si mette il piede prima di fare un passo; bisogna conoscere anzi tutto se quel certo bottone è proprio quello, e inoltre investigare le disposizioni d'animo di colui dal quale tutto dipende… Se potessi vederlo!.. A comparirgli dinanzi mi ci perito… ma via ho abbastanza di coraggio da superare ogni simile esitazione… Il guaio si è che pare aver egli giurato di non ricevermi più: per quante volte mi sono presentata al suo palazzo, e' mi ha fatto dar l'elemosina ma non mi ammise mai al suo cospetto. Potrei scrivergli una brava lettera, in cui gli direi che bisogna assolutamente ch'io gli parli, che si tratta di cose che lo riguardano… Ma per far ciò bisognerebbe che avessi già dall'altra parte chiarito il vero intorno a quel giovinotto: ed ora per contrattempo egli è arrestato e chi sa fin quando non potrò parlargli!..



Affondò nelle palme delle mani la sua testa dalle chiome bianche, arruffate, mal coperte da uno sporco e lacero fazzoletto, e rimase alcuni minuti in una tensione di mente straordinaria. Nel suo cervello si urtavano delle frasi bell'e fatte di quella lettera cui erale venuto in pensiero di scrivere.



– Finchè ci ho l'idea, bisogna ch'io non la mi lascii scappare, diss'ella poi riscuotendosi; comincerò per metter giù la mia brava missiva, a patto di farla ricapitar poi quando convenga.



Diede una gomitata a

Gognino

 che, accoccolato presso di lei, tutto tremante e intirizzito dal freddo, sbadigliava a ganascie larghe.



– Animo, su, marmottone, drizzati, prendi il cestello dei candelotti e dei rosarii e vienmi dietro.



Il ragazzo non se lo fece dire due volte e passato il braccio nel manico della cesta seguitò la nonna co' suoi passetti stentati e zoppicanti per l'intirizzimento dei suoi poveri piedini indolenziti dai geloni.



Quando furono nella miserabile soffitta in cui la sera innanzi Maurilio s'era introdotto dietro la scorta di

Gognino

, per prima cosa la

Gattona

 prese dal braccio del fanciullo il suo cesto dei candelotti, dei rosarii e degli

agnusdei

, e vi sostituì un altro con dentrovi alcune dozzine di mazzi di fiammiferi.



– To', diss'ella come desiosa di presto liberarsi del piccino, va e guarda di fare ammodo e di non baloccarti secondo il solito. Se questa sera non mi porti i dieci soldi, sta pur sicuro che ballerai una bella

correnta

.



Gognino

 allargò tanto d'occhi e guardò con istupore profondo il cestello che gli era stato messo al braccio e la nonna.



– Ebbene? disse ruvidamente costei dando colla mano uno spintone al ragazzo; che cosa c'è da star lì incantato? Non hai capito, o sei sordo?



– Ma… balbettò

Gognino

.



– Ma, ma, ma, che ma vuoi tirar fuori adesso?



– Quel signore di ieri sera, disse timidamente il fanciullo, aveva detto che non mi mandaste più a vendere…



La nonna lo interruppe…



– Quel signore ha detto ciò che gli piaceva, ed io faccio quel che mi garba; va…



– E che vi dava dieci soldi per giorno: soggiunse

Gognino

 senza muoversi dal posto, ma contorcendosi della persona come usava fare quand'era preso dalla malavoglia di obbedire.



– Olà! Che cosa vogliono dire tante ragioni? disse la vecchia corrugando minacciosamente le sopracciglia.



Ma

Gognino

, che era in vena di coraggio, ardì ancora di soggiungere:



– E questa mattina i dieci soldi e' ve li ha dati.



La Gattona alzò la mano per misurare al piccino uno schiaffo.



– Ve' l'impertinente!.. Che sì che ti mostro io il modo di parlare, tristanzuolo che tu sei!.. Tira via subito senz'altre parole, o che ti levo io il ruzzo di capo: hai capito?



Il ragazzo fece greppo ma capì che il più conveniente per lui era l'obbedire.



– E da mangiare: diss'egli ancora colla voce fatta piagnolosa: quand'è che me ne date da mangiare?.. Ho fame.



– Santa Madonna del Carmine! esclamò la vecchia come scandolezzata da quella richiesta. Questo maladetto ragazzo è un abisso senza fondo; e' mangierebbe il reddito di sette parrocchie!



– Ho fame! ripetè

Gognino

 cominciando a piangere per davvero.



La nonna prese per colà un pezzo di pane inferigno e lo gettò nella cestina del ragazzo.



– Prendi e va che il diavolo ti porti.



Lo prese ad una spalla e messolo fuori chiuse l'uscio dietro di lui. Quando fu sola nella soffitta, la

Gattona

 tirò fuori da un suo ripostiglio un pezzo di carta che poteva ancora dirsi bianco ed un calamaio di maiolica sporca in un bucherello del quale piantata una penna d'oca dalle ispide barbe; pose il tutto sul tavolo zoppo che si reggeva contro la muraglia e sedutasi colà colla carta davanti e la penna in mano s'accinse a scrivere.

 



Non ebbe da aspettare pure un momento l'ispirazione, perchè, come ho detto, fin da quando era in chiesa le pullulavano nella testa le idee onde quella lettera doveva essere concepita; e di subito la si pose a scrivere con un'ortografia ed una lingua tutte sue particolari.



«Ecelensa



Sonno io sotoscrita Modestina Luponi la cuale sonno statta bon

8

8


  Voleva scrivere

bonne

.



 in chasa suva, la cuale con cuesta mia…»



La era a questo punto della sua produzione letteraria, quando si picchiò all'uscio della soffitta.



– Chi va là? disse con accento malgrazioso la

Gattona

 scontenta d'essere disturbata.



– Amici, rispose una voce franca e simpatica, che vi abbiamo da parlare di cose molto rilevanti.



La

Gattona

, benchè di mala voglia, pur tuttavia s'alzò e venne ad aprire. Entrarono Don Venanzio e Giovanni Selva.



– Siete voi, cominciò Selva senz'altro, quella donna cui chiamano la

Gattona

?



– Son io: rispose la vecchia facendo una riverenza a Don Venanzio la cui bella figura e l'abito pretesco sopratutto glie ne imposero di botto: Modestina Luponi è il mio vero nome, e son qui per servirli.



– Noi veniamo a parlarvi di cosa molto delicata e che può avere gravi conseguenze…



– Santa Madonna! esclamò la nonna di

Gognino

 alquanto sgomentata da tali parole e dalla faccia seria ed anzi severa con cui le parlava quel giovane ch'ella non ricordava d'aver visto ancora mai. Che cosa può essere? Che cosa posso aver io, povera donna, di comune con lor signori che non conosco?.. Io sono una buona vecchia che non faccio male a nessuno, e spero che non si tratterà nemmeno di far del male a me…



– Tutt'altro! rispose Giovanni. Si tratta invece che molto probabilmente voi siete in grado di fare assai bene a qualcheduno… e quindi anco a voi, perchè questo qualcheduno vi sarebbe di molto riconoscente.



La

Gattona

 cominciò ad aprir le orecchie e prestare più volenterosa attenzione.



– Ah sì? diss'ella. Ma s'avanzino, li prego, s'accomodino.



E tirò innanzi verso i due visitatori due scanni. Don Venanzio, a cui l'età rendeva faticoso il salir delle scale, e che perciò dopo i cento e cinquanta scalini montati per venire fin colassù sentivasi assai lasso, sedette sur una di quelle seggiole, mentre il suo fido

Moretto

, entrato ancor egli dietro i calcagni del padrone, veniva a sdraiarglisi in mezzo alle gambe; Giovanni Selva, precisamente come aveva fatto la sera innanzi Maurilio, andava ad appoggiarsi alla tavola zoppa, a cui stava scrivendo la vecchia, quando i due visitatori erano venuti a picchiare.



– Mia buona donna: disse allora colla sua voce cotanto buona e affatto corrispondente alla soavità delle sembianze il canuto parroco; non è per nostro conto che noi veniamo a parlarvi, ma gli è per una persona che molto molto ci interessa, e cui, se siamo bene informati, voi per una ventura che è forse l'effettuazione d'un decreto della Provvidenza, avete conosciuto ieri sera.



La vecchia raddoppiò la sua attenzione e non cercò nemmeno di dissimulare la viva curiosità e il vivissimo interesse che in lei destavano siffatte parole.



– La vorrebbe dire per caso mai quel cotal signore che ier sera mi venne in casa accompagnato da

Gognino

?.. che mi lasciò qui la polizza col suo nome scritto… Dove mai la si è cacciata?.. Tò; eccola qui… Maurilio Nella… Gli è quello?



– È quello precisamente.



La

Gattona

 si meravigliò seco stessa di quella combinazione della sorte, per cui nel punto ch'ella stava occupandosi di quel cotale e pensando al modo di averne informazioni, le venivano innanzi di tali con un proposito forse uguale, con fine probabilmente identico ed era facile che le recassero quelle nozioni appunto ch'ella desiderava.



Ma ne lo stesso mentre che seco stessa si rallegrava di questo incidente, la sua naturale furberia le suggerì più conveniente partito esser quello di rinserrarsi in un cauteloso riserbo per cui la potesse riuscire ad apprender essa ciò che voleva, senza svelare, da parte sua, agli altri nulla che la potesse compromettere.



– Che bravo signore! esclamò essa: che bell'anima!.. Senza conoscermi, egli mi parlò come un vero benefattore, e si volle assumere verso di me e del mio povero nipotino un'opera di carità fiorita… Io non posso nulla per lui da mostrargli la mia riconoscenza; e se potessi, la Madonna mi legge nel cuore con quanta volontà, con quanto piacere farei qualunque cosa! Non posso che pregare il signore Iddio e i miei Santi protettori che lo ricompensino loro; e l'ho fatto… questa mattina ho sentito una messa di più a sua intenzione, ed ho detto la terza parte del Rosario per lui… E sì che ho appreso poi da mio nipote che una brutta disgrazia gli è piombata addosso questa stessa mattina. Egli fu arrestato…



– Ora è già rimesso in libertà: disse Don Venanzio che sperava poter tagliare le ciancie della donna e venir egli a dire ciò che importava.



Ma la chiaccherona non si lasciò mica sconcertare per così poco.



– Davvero! riprese ella colla foga della sua parlantina, ne ho veramente piacere. Santo cuor di Gesù e di Maria! Non poteva essere altrimenti… E chi sa che anco le mie preghiere… le povere preghiere d'una peccatrice sono qualche volta accolte dalla clemenza della Beata Vergine… e chi sa che anco le mie preghiere non abbiano giovato qualche poco…



Selva che era impaziente assai di tutte queste chiacchere della vecchia, interruppe con meno garbo certo di quello che avrebbe usato il buon Don Venanzio:



– Meglio che colle preghiere, poichè dite di voler giovare al nostro amico, voi lo potete fare col rispondere francamente e compiutamente alle domande che siamo venuti a farvi.



La

Gattona

 si tacque e parve recarsi un istante sopra se stessa a riflettere.



– Queste domande sono venuti a farmele a nome di quel signore?



– Appunto.



– E come va?.. Scusino la mia domanda, ma io sono una povera donna che non conosco le cose del mondo… Come va, dico, che poichè quel signore ora è libero, non è venuto egli stesso a farmi quelle domande che lor signori mi dicono importanti e la cui risposta può giovargli?



Don Venanzio, temendo qualche meno paziente risposta del suo giovane compagno, s'affrettò a risponder egli.



– La vostra osservazione è giustissima; però conviene che sappiate la cosa essere di tal natura, che un estraneo può trattarla colla ponderazione che ci vuole molto più di chi vi è principalmente interessato; inoltre, che ardendo di vivissimo desiderio d'essere chiarito il più presto possibile intorno alle cose che siam qui per domandarvi, e non potendo tosto venire egli stesso perchè trattenuto da alcuna bisogna, Maurilio medesimo ci ha pregati di recarci qui in sua vece; e perchè abbia pregato noi piuttosto che altri, capirete agevolmente, quando saprete che costui – l'avvocato Giovanni Selva – è uno de' più intimi suoi amici, ed io sono un povero prete di campagna che l'ho conosciuto fin dai suoi primi anni, e l'ho educato ed amato sempre quasi come se del mio sangue.



La

Gattona

 fece un atto d'acquiescenza, come per significare che quelle spiegazioni la soddisfacevano per l'affatto; poi dopo un poco di silenzio in cui si vedeva ch'ella aveva studiato con molta prudenza il modo di governarsi e le parole da pronunziare, ella disse:



– Favoriscano allora di farmele codeste domande ch'io risponderò schiettamente come son usa sempre di fare, e nulla desidero di meglio se non che le mie risposte possano giovare, come loro dicono, a quel signore.



Nè Don Venanzio, nè Giovanni, erano molto destri in quell'arte di simulazione e di accortezza che costituisce il pregio d'un buon diplomatico, e il miglior mezzo per arrivare un fine pensavano che fosse, e non sapevano usarne altro, quello di camminare schiettamente, a testa levata verso di esso. Per ciò Giovanni volendo risparmiare al vecchio sacerdote la fatica e il fastidio delle interrogazioni, cominciò egli a