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La plebe, parte I

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CAPITOLO VI

Dopo una brevissima pausa, Maurilio riprese:

– Ah! se alcuno mi avesse amato, ah! se alcuno mi amasse colà! Quando respiro quelle aure, io divento migliore. Anche colà, certo, sono e miserie e dolori, ma l'umanità vi è men trista e la fatalità meno crudele che non nei bassi fondi della cittadinanza, dove s'agglomera il marame della massa sociale; ma colà vi ha pure una specie di egloga in azione che la natura pietosa manda come una consolazione al diseredato della gleba. La campagna ha il sole, ha la primavera, ha le feste sane e moralizzatrici, del lavoro sotto la cappa del cielo, la fienatura, la messe, la vendemmia… Avessi potuto essere un coltivatore e maneggiare l'aratro! Presso la spica e presso il grappolo ad ogni modo si soffre meno. Qui in questa bolgia di fango, sotto una cappa di nebbia, la miseria è più crudele, senza pure il temperamento della dolce vista del paese… Io mi reco sempre al cimitero. Non ci ho nissuno di mio sangue che dorma là dentro; si consumano in quella terra le ossa di coloro che hanno tormentata la mia infanzia. Non un affetto che mi leghi alle ombre di quei morti. Eppure, io siedo con mesta e dolcissima tenerezza su quei tumuli e il vento che geme sommesso fra le alte erbe di quel campo solitario, mi canta in una grave armonia mille cose inesplicabili che mi scendono al cuore e mi accarezzano l'anima. Poscia vado alla chiesa parrocchiale, dove la mia voce di fanciullo suonava sotto la volta del coro nel canto degli inni sacri, dietro la guida della voce ancora robusta di don Venanzio. L'hai tu dimenticata la testa canuta e grave di quel buon vecchio, vero sacerdote del Vangelo? Ecco l'uomo che io ho amato di più nell'infanzia, che mi amò come amava tutti al mondo, ch'egli comprendeva sotto il nome di prossimo, che mi avrebbe forse amato anche di più, quasi come un figliuolo, se non avesse visto la mia ragione, forse il mio orgoglio ribellarsi a quella schiavitù ch'egli portava da tutto il tempo della sua vita e porta tuttora, ch'egli trovava dolce e che voleva impormi, la schiavitù della fede.

Gian-Luigi fece un sorriso di superba compassione.

– Quel povero vecchio! Diss'egli. Oh! se me lo ricordo. Fra tutti i bambini ch'egli pigliava ad istruire per carità, non aveva tardato ai accorgersi che noi due, tu ed io, avevamo nel cervello qualche cosa di più che gli altri. Si mise con più cura a svegliare in noi quell'ingegno che aveva travisto e voleva rivolgere a benefizio della Chiesa, a cui egli appartiene. Il buon uomo aveva sognato di fare di noi due difensori della fede; quando vide che quella non era la nostra strada, forse si pentì d'averci tolti all'ignoranza. Mi ricordo che l'ultima volta in cui lo vidi, mi disse con doloroso abbattimento: Credevo di guadagnarvi a Dio; aimè! vi ho guadagnato al Demonio.

– Io ho per lui la maggior gratitudine che possa avere anima d'uomo: ripigliò a dire Maurilio. Per lui ha incominciato a stenebrarsi la mia mente. Quando entro, come ti dissi, in quella chiesa, che da bambino mi pareva così vasta e solenne, ed ora trovo qual è, niente più che un'umile e piccola chiesuola di campagna, io vado a sedermi nel coro, sopra uno di quei banchi di legno rozzamente scolpito, dei quali un per uno ho contati e toccati ed accarezzati tante volte i fiorami nelle ore del catechismo e delle sacre funzioni, mi serro nelle mani la testa, e tutto il mio passato mi difila dinanzi, illuminato dal sorriso mesto e benigno di don Venanzio. E talvolta, alzando il capo, me lo vedo in faccia lui stesso, sempre colla sua aria serena, colla sua bella aureola di capelli bianchissimi, col mite e pietoso splendore de' suoi limpidi occhi azzurri, che nella silenziosa solitudine di quel povero tempio, mi appare come il buon genio del luogo. Ad ogni volta egli mi viene incontro con una speranza che gli rallegra il viso:

« – Ah! Siete voi Maurilio? Dic'egli. È la mano di Dio che qui vi ha scorto? È la grazia che vi ha tocco? Nei luoghi della vostra infanzia siete venuto a cercare ed avete trovato la fede?

«Io crollo tristamente la testa; egli china con doloroso atto la sua, lascia cader la mano che mi tendeva, ed esclama: – Siate il benvenuto, nulla meno nella casa di Dio ed in quella del suo servo. Un giorno verrà, io spero, in cui l'anima vostra sarà riacquistata a quella divina, che lega la miseria della creatura alla grandezza del creatore; e mi conceda Iddio che in quel dì io sia ancora sulla terra e possa accogliervi nelle mie braccia.

– Eh! Fole! Esclamò Gian-Luigi sprezzosamente. Quel giorno saresti rimbambito al par di lui: e non è dei caratteri e degli ingegni come i nostri che si lasciano pigliare a ragne da femminette.

Maurilio aspettò un istante, e poi soggiunse:

– Ad ogni volta don Venanzio mi parla pure di te.

– Sì? Benone! Gli è desso dunque che mi accusa, ci scommetto. Che cosa ti dice?

– La sera, rispose Maurilio, quando le ombre invadono quella chiesa deserta, quando non un passo turba più il silenzio sepolcrale di quelle volte, quando non un bisbiglio di preghiera s'innalza più innanzi all'altare, una forma di donna che lentamente ed a fatica si strascina, viene a gettarsi ai piedi della statua della Vergine. Il debole lumicino che pende dall'arco della nicchia, colla sua fioca luce illumina il corpo curvo, affranto, miseramente vestito, d'una vecchia inferma. Tutto bianchi i capelli, tutto rughe la faccia il pallore del bisogno e della malattia sulle guancie, il rossore delle lagrime negli occhi mezzo ciechi, gli strappi della miseria intorno alla persona, i segni della fame nella magrezza dolorosa delle membra che tremano. Se tu fossi colà, udresti delle preci mormorate con quella passione che dinota il trasporto dell'anima, tutta tutta intesa in un pensiero, poi sospiri profondi, poi singulti di pianto che straziano l'anima.

« – Sai tu chi è quella infelice? Mi disse, con voce commossa don Venanzio, allorchè me l'ebbe mostrata fra le appena rotte tenebre della chiesa. È una povera derelitta cui Dio ha concesso le più fiere prove di purgatorio in questa vita terrena. Non ha che cinquant'anni, ma la sciagura glie ne dà sessanta: fu povera sempre, oggi è poverissima. Quando era giovane aveva le forze del suo corpo robusto per lottare colla miseria; ora attempata e malaticcia soffre il freddo, soffre la fame, soffre l'abbandono di tutti, e vive d'elemosina, e razzola nelle spazzature i rifiuti degli alimenti altrui. Odi la sua storia…»

Gian-Luigi si agitò sulla sua seggiola.

– Odila anche tu, soggiunse Maurilio con un accento di autorevolezza che parve imporne al suo compagno. «Era moglie d'un onesto taglialegna; campavano allegramente contentandosi di poco, procurandosi il tozzo di pane inferigno con un lavoro indefesso d'ogni giorno. Ella restò madre. Era un sopraccarico alla loro povertà; ma essi lo accolsero come una ventura, come un regalo di Dio. Però il suo figliuolo non visse e le più amare lagrime sparse la buona donna sul corpicino estinto di quella creatura che era venuta a farle conoscere le sublimi gioie della maternità, e poi erasi tostamente da lei dipartita. Alcuno consigliò al taglialegna di trar profitto della circostanza ed accrescere con qualche baliatico le loro misere fortune. Ma erano così poveri! Chi avrebbe consegnato suo figlio agli abitatori di quella capanna che pareva il soggiorno del bisogno? Non ne trovarono di genitori a cui bastasse la fama dell'onestà loro. «Dirigetevi all'ospizio dei trovatelli; loro disse ancora qualcheduno; colà troverete di sicuro uno di quei poveretti ad allevare.» Così fecero, e riuscirono. La buona donna ritornò alla sua casipola trionfante, stringendo amorosamente al suo seno il più bel fanciullo che possa veder occhio d'uomo. Le pareva che il cielo pietoso, commossosi alle sue lagrime, le avesse restituito suo figlio. Tutto l'amore che aveva sentito per quell'angioletto morto, lo raccolse sopra questo nuovo bambino mandatole dal cielo, a cui dava col suo latte la vita. Sì, ella sentiva di farlo suo ogni giorno più, ella sentiva un legame indissolubile, come quello del sangue, congiungere le intime sue fibre alla esistenza della creaturina che viveva, che cresceva, che ogni dì facevasi più bella per lei. Prima lavoravano indefessamente, i due poveri villani, solo per guadagnarsi il pane; ora si posero a lavorare con più accanimento per avere oltre il pane anche un po' di agio da circondarne la culla del bambino loro mandato dalla sorte.

«Ma un giorno fatale una orrenda disgrazia percosse quella povera famiglia. Il marito di quella donna sradicando un albero restò sotto al tronco di esso che precipitò troppo presto. Portarono alla sua casipola il misero taglialegna fatto cadavere. Non parliamo del dolore dell'infelice donna; essa era sola oramai al mondo per guadagnare il pane a sè ed alla creatura che aveva fatta sua; e quanto poco si paga il lavoro d'una donna nelle campagne! Dopo aver pianto tutte le sue lagrime, la buona Margherita non si smarrì di coraggio; affrontò fermamente le maggiori prove del suo nuovo stadio di vita. Il bambino era svezzato da tempo dal latte e l'ospizio non pagava più il baliatico.

« – Restituitelo alla pia casa: consigliarono i prudenti alla brava donna. Non ne avete abbastanza per mantenervi voi, e volete stracciarvi le cuoia a tirar su un figliuolo che in fin dei conti non vi è nulla di nulla?

« – Non mi è nulla? Esclamava essa quasi con isdegno. E' mi è tutto. Ho lui solo al mondo. E poichè l'amo tanto ed avrò tenuto cura della sua infanzia, egli mi amerà anche un poco, e consolerà la mia vecchiaia.

«Alcuno più previdente soggiungeva:

« – Eh! prima che quel bambino sia cresciuto di tanto da potervi rendere in alcun modo i sacrifizi che fate per lui, voi avete tempo a crepar di miseria; e ancora chi vi dice che non vi alleviate in seno la serpe d'un ingrato?..»

A questa parola Gian-Luigi si riscosse, ma non parlò, non interruppe nemmeno con una voce. Si curvò verso il fuoco, prese le molle e si pose a battere con esse sui tizzoni che ardevano.

 

Maurilio continuava:

« – Voi siete ancora di buona età. Margherita, le dicevano inoltre, e siete conosciuta da tutto il paese per una donna onestissima e la più tenace e forte al lavoro. Quel mezzaiuolo che vi sposasse farebbe un buon affare, e ne troverete di sicuro di quelli che vi cercheranno. Avrete una nuova famiglia e più agiate condizioni di prima; ma per ciò vi farà danno l'imbarazzo di quel figliuolo che non è vostro.

«La buona Margherita scrollava le spalle,

« – Ed io vi dico, soleva rispondere, che se c'è qualche galantuomo che mi voglia, avrà da prendermi col mio Giannino, o lasciarmi stare: ecco! Che io non cerco più altro, e se il far da padre a questo poveretto spaventa la gente, bene, tirino diritto, che io non ho bisogno di nessuno e il mio piccino mi basta.

«Coloro che facevano queste osservazioni alla donna ebbero ragione. Alcuni l'avrebbero sposata volentieri, ed ella stessa fra questi avrebbe trascelto uno volentieri assai: ma anche questo preferito non volle sopracaricarsi d'un trovatello, maggiore e non dovuto aggravio alla famiglia. Margherita non esitò neppure un momento. Sacrificò la sua propensione, mandò a spasso tutti i pretendenti; si tenne il ragazzo.

«La storia di costui non occorre dirla. Egli parve tale da dover compensare d'ogni cosa la madre adottiva. Lui bello, lui forte, lui primo a tutti in tutto. Il parroco prima lo istrusse; poi il vecchio medico del villaggio, innamorato dell'ingegno e della grazia nativa del trovatello, il prese con sè, lo fece studiare, lo mandò all'università; volle preparare in esso il suo successore. Ma questa sorte, che tutti dicevano fin troppo bella pel giovane senza nome, sembrò a lui meno degna ed inferiore ai suoi meriti, all'audacia de' suoi desiderii. Il medico morì ad un tratto prima che il giovane avesse finito i suoi studi professionali; e d'allora in poi questo giovane mai più non fu visto al villaggio. Qual vita fu la sua? Che fece? che fa? quali sono i suoi mezzi di sussistenza e i suoi guadagni? Questo è un mistero che io non voglio, nè posso penetrare; ma si buccinò che fosse visto in ricchi panni nelle case dei ricchi, che la sua vita corresse splendida nelle più splendide sfere della società torinese; ma lo vidi io stesso un tempo vestito da elegante far l'elemosina d'una raccomandazione alla mia povertà assoluta. Se egli trovò mezzo col suo onesto lavoro di riscattarsi dalla miseria, ben sia di lui; ma che dirà ogni uomo di cuore quando sappia quella povera donna che piange e prega la sera nel tempio, lasciata sola sulla terra, nella più dolorosa miseria cui non può vincere più il lavoro, quella povera donna essere la raccoglitrice, la benefattrice, la madre di questo giovane che ora vive colle apparenze della ricchezza?»

Gian-Luigi, che era sempre stato curvo sul fuoco a percuotere i tizzi, si drizzò della persona, gettò via le molle e proruppe con impeto:

– Dove le vedi, tu ora codeste apparenze? Guarda quali panni mi vestono! E che sai tu altro di me? Non ti dice questo povero abbigliamento che io forse mi guadagno con istentato lavoro la vita?

– Forse! esclamò Maurilio con una strana espressione nell'accento.

Gian-Luigi volse vivamente il capo verso il suo compagno, e i suoi occhi neri e brillanti si piantarono in quelli di Maurilio.

– Insomma, diss'egli, che conto debbo io renderti dei fatti miei?

– Nessuno: rispose freddamente Maurilio.

– E se qualcuno, e se tu stesso mi hai visto in mostre signorili, tu hai detto giusto, erano apparenze, apparenze e non altro. Dovresti ricordare quel che ti dissi un dì in casa l'usuraio Nariccia. Sotto i panni da ricco, nelle sale eleganti della società, tu non sai quanta miseria si possa molto volte nascondere! Tu non sai come chi piglia delicatamente coi guanti color di burro un pasticcino ed un sorbetto in una festa di danza possa avere lo stomaco incavato da due giorni di digiuno… Non ti dico neanche che questo sia il mio caso: soggiunse vivamente; ma pure che sai tu s'io possa o non possa mandar soccorsi a quella donna? forse tu pensi che io doveva tutto sacrificare l'avvenire della mia vita, a tutti rinunziare de' miei desiderii, delle mie aspirazioni, per morire a lento fuoco nel misero lezzo di quella capanna dov'essa mi aveva accolto? Lo poteva io? Lo doveva fors'anche? No, no, no. L'acqua può, deve cessar di scorrere alla china? La fiamma di innalzarsi al cielo? È un'assurda impossibilità. La mia natura mi chiamava, mi spingeva, mi voleva ad ogni costo in questo mondo: non potevo resistere, sarei morto, facendolo. E d'altronde quella donna è forse mio sangue?..

– E qualche cosa di più: proruppe con forza Maurilio; e disgraziato te, se non lo comprendi.

Gian-Luigi accennava voler rispondere alcun che: ma in quella entrò precipitosamente la Maddalena, la quale pronunciò sommessamente alcune parole all'orecchio del giovane. Questi mandò un'imprecazione e si levò sollecito.

– Addio Maurilio: disse in tutta fretta. Va di là, ti prego… Ma il nostro colloquio non è finito, e verrò io a cercare di te per parlare con più agio. Dammi il tuo indirizzo.

Maurilio trasse fuori una cartolina su cui era scritto il suo nome e il luogo della sua dimora, e glie la diede.

– Sta bene.. Non parlare di me, non dire che qui mi hai veduto, nè alcuna cosa mai con nessuno al mondo del mio passato, te ne prego… Se mi vedrai in altri luoghi sotto ben diverso aspetto, non riconoscermi neppure, se non son io a parlarti per primo… e non far troppo tristi giudizi di me. – Ora va.

Maurilio ubbidì. Sul passo dell'uscio a vetri, si imbattè in un uomo a faccia volpina che entrava.

Era vestito da povero operaio ancor esso, ma aveva alcun che di losco e di dissimulato nella fisionomia e nello sguardo. Il suo occhio scrutatore corse ratto per tutta la stanza in cui entrava.

– Che? Diss'egli. Non c'è nessuno. Credevo di trovar qui tutti i posti occupati.

Lo sguardo di quest'uomo esaminò per bene, ma in guisa coperta, Maurilio che usciva. Questi sentì una specie di freddo all'incontrare coi suoi gli occhi che sbirciavan di soppiatto del nuovo venuto. Nel partire Maurilio si volse indietro a guardare e fu tutto stupito vedendo che Gian-Luigi era scomparso, senza ch'egli potesse dire da che parte, non essendoci altro uscio visibile fuor quello per cui era entrato l'uomo dall'aspetto volpino.

Costui sedette ad un desco, e Maurilio l'udì che diceva alla fante:

– Dite a Meo di grazia di portarmi la mia solita porzione ed a Pelone di venirmi a parlare; da brava, Maddalenuccia bella.

Maurilio andò a raggiungere il ragazzo a cagione del quale soltanto egli era entrato in quella bettola.

CAPITOLO VII

Maddalena era appena uscita da quella stanza per andare ad eseguire i cenni del nuovo venuto, che colà entrava l'oste con una cert'aria da can che teme il bastone, che era la più ridevol cosa a vedersi.

– Ah sei qui galantuomo: gli disse l'avventore con ironia e con una famigliarità insolente. Vieni un po' qui che la discorriamo. C'è sempre da imparare, conversando con un uomo della tua fatta.

Mastro Pelone s'avvicinava lentamente all'interpellante, col suo passo riguardoso, sbirciandolo di sottecchi dal fondo delle sue occhiaie incavate, con molto sospetto e diffidenza.

– Uhm! Uhm! Rispos'egli tossendo, voi credete? La vostra opinione è molto lusinghiera per me, signor Barnaba, ma…

Era giunto presso al desco e, secondo suo costume, ci puntava le mani su, curvando il suo lungo corpo verso l'uomo seduto.

Questi levò sul volto dell'oste uno sguardo acuto che penetrava fin nelle midolle, e disse bruscamente:

– Siedi lì, vecchio peccatore, e parlami come devi parlare. Che cosa c'è di nuovo? Tu hai di sicuro qualche cosa d'interessante da raccontarmi.

Pelone aveva schivato lo sguardo di Barnaba; sedette e tossendo più disperatamente che mai, rispose:

– Di nuovo?.. Uhm!.. C'è proprio niente… Uhm! Uhm! Che cosa volete che ci sia?

– Tu non hai dunque proprio nulla da dirmi?

– Proprio nulla.

Barnaba allungò il braccio sopra la tavola ed impugnò colla mano il polso dell'oste.

– Ebbene, sta attento, che te ne dirò io di nuovo.

– Ah sì?.. Mi farete piacere… È vostro mestiere saper delle novità.

– Stanotte hanno scassinato la porta che mette negli uffizi del signor Bancone; sono entrati nella stanza della cassa, hanno potuto romper questa ed hanno portato via venti mila lire.

– Che bel colpo! sclamò Pelone i cui occhi in fondo alla loro cavità brillarono un momento e tornarono spegnersi di botto.

– Tu non lo sapevi? Domandò Barnaba colla ironia di prima.

– Sì… oh sì… L'ho udito a contare… Tutt'oggi non si è parlato d'altro che di questo furto a quel ricco banchiere.

– Il commissario, soggiunse Barnaba abbassando ancora la voce, pretende che tu non l'hai saputo solamente dopo… ma lo sapevi prima.

– Io? Esclamò Pelone elevando le braccia e gli occhi al cielo. Dio buono! Si può egli pensare una cosa simile?

– Che tu, continuava Barnaba, conosci gli autori di questo «bel colpo» come tu lo chiami…

– Io ho detto così… così per dire… ma voglio che il corno del diavolo mi colga se…

– Che, inoltre, questo «bel colpo» è stato combinato nella tua osteria, qui stesso, in questa camera, forse a questo medesimo desco a cui siamo seduti tu ed io.

Mastro Pelone mandò un oh d'indignazione che si convertì in uno sbruffo di tosse.

– Il signor commissario mi fa torto, diss'egli poi, un gran torto, un grandissimo torto. A quest'ora dovrebbe già conoscermi, e dopo i servigi che gli ho resi, e che non domando meglio che di rendergli ancora…

– Gli è appunto perchè ti conosce che la pensa di questo modo sul conto tuo.

L'oste protestò con un'altra esclamazione e con una pantomima analoga.

– Or ben, vediamo. Ai fatti, signor mio. Sai tu dirmi qualche cosa del furto di questa notte?

Pelone pose la sua scarna e grossa mano destra sul petto incavato e rispose con enfasi:

– Parola da Pelone!.. Non so nulla.

Barnaba lo guardò un istante con espressione che significava chiaramente qual poca fiducia avesse nella parola dell'oste; poi fece un sorriso e riprese scrollando le spalle:

– Bene! Non parliamone più. Guarda soltanto, vecchia gatta maliziosa, di non lasciarti cogliere lo zampino nel graffiare il lardo. Passiamo ad altro… Chi era quel cotale che usciva di qua allorchè io ci entrai?

– Non so affatto, affatto, e voi, messer Barnaba, credo possiate saperlo più presto e meglio di me. Vi fu un momento che l'ho creduto uno dei vostri.

– Era egli solo qui dentro?

– Credo bene… Ah! C'era Maddalena che lo serviva.

Pelone teneva gli occhi a terra per evitare quelli di Barnaba, che non cessavano di fissarlo con iscrutatrice insistenza.

Barnaba crollò la testa.

– No, diss'egli, Maddalena non c'era. Tu sai che al mio occhio non isfugge nulla. Entrando nel tuo sucido antro ho visto di là Maddalena, la quale, appena m'ebbe scorto, si slanciò in questa stanza ratta come il baleno.

– Quell'avventore l'avrà chiamata: susurrò con voce insinuante Pelone.

– Non vorrei che fosse venuta ad avvertire qualcheduno del mio arrivo.

– E chi mai, buon Dio?.. Che il diavolo mi porti!

– Quella ragazza sarebbe mai per caso istrutta del vero esser mio?

– Oh! Che cosa dite?.. Uhm! Uhm!.. Manco per sogno!

– Meglio per voi mille volte, che non sia; sapete?

– Se lo so!.. Diavolo!..

– Da alcun tempo mi pare che qui, questi galantuomini mi accolgono con una diffidenza che non avevan prima.

– Vi assicuro, esclamò vivamente Pelone, che se mai per caso hanno dei sospetti, io non ci entro per nulla.

– Ma li hanno questi sospetti?

– Non credo… Anzi no di sicuro.

Barnaba tacque un istante.

– Caro mastro Pelone, riprese egli di poi, fra i frequentatori della tua osteria c'è un personaggio di cui tu non mi hai ancora parlato mai, e che, per una combinazione veramente strana, non mi è ancora mai avvenuto di vedere.

– Ci siamo! Pensò l'oste cercando di prendere il meglio possibile un'aria da nesci. Qui conviene stare in gamba.

– Chi è che volete dire? Domandò egli. Ce ne vien tanta della gente alla mia povera osteria, con l'aiuto di Dio… Che il diavolo mi porti!

– Intendo dire colui che chiamano col soprannome di medichino.

Pelone tossì per cinque minuti prima di rispondere.

– Ah sì, disse poi, l'ho udito nominare ancor io… Forse è venuto qualche volta egli pure qui dentro, ma non l'ho osservato, o non me l'hanno additato, o non me lo ricordo… Del resto, che uomo è egli costui?.. È forse tale che possa interessarvi?.. Volete che guardi d'informarmene?.. Sapete che non ci ha il mio pari in codesto; e se vi piace, saprò dirvi chi egli è, che cosa fa ed altro ancora…

 

Barnaba fece un gesto di minaccia verso Pelone col dito indice della mano destra.

– Oste mio, ho paura che tu faccia male i tuoi conti. Sai che a me non la si dà così facilmente ad intendere.

– Vi assicuro…

– Che tu tieni il piede in due staffe, gli è un pezzo che lo sappiamo, e siamo disposti a perdonarti fino ad un certo punto, quando tu ci compensi del nostro chiuder gli occhi sui tuoi malestri con importanti effetti d'altra parte; ma se invece tu credi poterti servire delle attinenze che hai con noi per aiutare i birboni e favorire le opere loro, alla croce di Dio che sapremo fartene pentire e mettere al passo anche te.

– Credete, messer Barnaba… Vi giuro…

– Basta! Pensa ai casi tuoi e fa senno. Persisti intanto a non aver nulla da dirmi intorno al furto Bancone ed al medichino?

– Non posso che ripetervi le stesse parole: nulla affatto.

– Ancora una cosa. Bada che questa è la più importante e intorno a questa non ti si vorrebbe tollerare neppur l'ombra d'uno scarto.

– Che cosa mai? Domandò Pelone con interesse.

Barnaba si curvò verso il suo interlocutore, abbassò ancora di più la voce, e disse:

– I nemici della società non sono solamente quelli che attentano alla proprietà ed alla vita degl'individui; ve ne hanno di più pericolosi e di più scellerati, e son quelli che cercano sovvertire le basi stesse su cui si pianta la fabbrica sociale, lo altare ed il trono, la monarchia e la religione. Sappiamo che in questi brutti tempi la perfida razza di costoro s'è accresciuta grandemente; sappiamo che essi si agitano e non si peritano innanzi a nessun eccesso per potere arrivare ai loro empi fini. L'iniqua setta va diffondendo le sue scellerate dottrine e la sua influenza per mezzo di società segrete che serpeggiano negli strati inferiori della società come la gramigna nei campi. Anche nella infima plebaglia ha gettate ora le sue radici e tenta abbarbicarvisi giovandosi dell'ignoranza di quella misera gente. Conviene vegliare più che mai e colpire più ratto e più severamente che sia possibile… Pelone, rispondete la verità, perchè si tratta proprio della vostra sorte. Nella vostra osteria avete voi udito che dai componenti della cocca si tenessero discorsi contro il Re ed il suo Governo, contro la religione e i suoi ministri? o che qualcheduno forse d'una classe superiore, qualche apostolo della borghesia s'insinuasse fra di loro a fare di cotali parlate?

La faccia di Pelone esprimeva la meraviglia e l'orrore che possano essere maggiori.

– E che? Esclamò egli con profonda indignazione. Voi potete pensare che io avrei sentito non fosse pure che una mezza parola di cotante scelleraggini, senza dirvi di subito qual fosse e chi l'avesse detta perchè ne ottenesse il premio che si meriterebbe?

– Dunque contro S. M. niente?

Pelone si levò di capo il berretto unto e bisunto e in un profondo inchino fece lucicchiare al lume della lampada il suo cranio pelato, giallo come l'avorio antico.

– Niente contro la sacra persona di S. M., ve lo giuro.

– E contro le LL. EE. i ministri?

L'oste aveva rimesso la berretta in capo, fece un inchino meno profondo, senza più levarsela, e rispose:

– Niente.

– Contro la polizia?

L'inchino di Pelone fu rivolto specialmente all'interrogatore.

– Niente affatto.

– Contro i preti? E sopratutto contro i Gesuiti?

– Meno che mai.

– Va bene. Ma state in guardia. Il marcio vi è, ne siamo sicuri, e conviene vegliare attentamente per apportarci subito il rimedio colà dove si manifesti.

– Per le corna del diavolo!.. Ferro e fuoco senza tardare… Oh state tranquillo che non son io che in queste cose andrei rimessamente… Per un povero diavolo che graffia via una borsa o che dà una coltellata perchè ha un bicchiere di vino nella testa, peuh! chiuderei qualche volta anche un occhio; ma per chi volesse dir male del nostro amatissimo sovrano… uhm! uhm!.. per la testa di S. Giovanni decollato!.. o per chi sparlasse delle autorità o dei buoni padri del Carmine… sarei senza misericordia, che il diavolo mi porti!

– Siamo dunque intesi?

– Intesissimi.

– E bada a farti onore.

– Vedrete, messer Barnaba.

– E va bene. Vedremo… Intanto guarda un po' che cosa fa questo Meo che non comparisce colla porzione che ho domandato.

– Subito: disse Pelone, levandosi con una vivacità che poteva dimostrare o la premura che metteva nel servire quell'avventore, oppure la gran voglia che aveva di terminare quel colloquio; e in due passi delle sue lunghe gambe fu fuori della stanza.

Eravi in realtà un gran bisogno che mastro Pelone intervenisse perchè quell'avventore fosse servito, mentrecchè una contesa era nata nella cucina sotterranea fra Meo e Maddalena, per la quale il giovinastro stava là piantato col piatto della vivanda in una mano e un fiasco di vino nell'altra a sopportare le bordate di parole e di improperii che gli gettava contro lo scilinguagnolo troppo svelto di Maddalena, eccitando imprudentemente tratto tratto la bile e il fuoco delle ciarle della ragazza con qualche atto del capo che dimostravano la non vinta ed invincibile ostinazione della mulaggine del bravo Meo, imbecille ma testardo sino alla perfezione.

Ecco di che modo era nata la lite.

Maddalena era corsa giù a trasmettere al garzone gli ordini di Barnaba, e Meo, con aspetto torvo che pareva accrescere ancora la sua melensaggine, aveva accolto quegli ordini con un brontolio che pareva un grugnito, ma senza pronunziare una parola, e si era posto con tutta lentezza ad eseguirli.

– Un po' più lesto, marmotta: aveva detto Maddalena vedendolo muoversi così di malavoglia.

Meo aveva volto i suoi occhi grigi e a fior di pelle verso la ragazza, nei quali, se avessero potuto manifestar lo stato della sua anima, ci sarebbe dovuto essere collera e rimprovero, e che invece non avevano altra apparenza fuor quella di due pallottole di vetro incassate in una zucca; aveva sospirato, soffiato, grugnito, ma non aveva risposto. E tutto sarebbe rimasto lì se la Maddalena, per un eccesso di prudenza, non avesse commesso un fallo imprudentissimo.

Senza conoscerne bene la ragione, ella sapeva, perchè Gian-Luigi medesimo glie l'aveva detto, e il padrone pure della bettola le aveva fatte a questo riguardo le più calde raccomandazioni, ella sapeva essere cosa sommamente importante che quel cotal messer Barnaba non venisse mai a scoprire che fra i misteriosi frequentatori della riposta camera eravi il medichino, e tanto meno poi che vedesse costui; quindi, secondo l'usato, visto appena spuntare la faccia arguta e maliziosa di Barnaba, ella s'era precipitata ad avvertirne il medichino, al quale, come avete potuto accorgervi, la Maddalena portava il più vivo ed il maggior interesse del mondo; mentre alcuni di quelli che erano compagni a Gian-Luigi in quella stanza dall'uscio a vetri, prima che ne uscissero chiamati dal rumore della contesa fra Maurilio e Marcaccio, fosse caso od intenzione dietro ricevute istruzioni, arrestavano Barnaba nel cammino e lo tenevano un istante in novelle, fatto che giovava ad accrescere i sospetti di questo agente segreto e importante della polizia.

Ora, dovendo Meo presentarsi innanzi a Barnaba colla vivanda e col vino, Maddalena temette che quell'imbecille di garzone, benchè severissimamente proibito ancor egli di far motto alcuno di Gian-Luigi, dalle accorte domande di Barnaba si lasciasse mettere in mezzo e alcuna cosa dicesse di quanto non si doveva dir mai.

Il miglior partito a prendersi sarebbe stato quello di incaricarsi essa stessa di servire il sig. Barnaba; ma codesto non venne neppure in mente alla Maddalena, come quello che per nulla s'accordava colla sua gran voglia di fare il meno possibile. Laonde, pur conoscendo l'impero che le sue attrattive avevano sulla grossa natura di quel giovane soro, e sicura che una sua parola bastasse a farne quanto ella volesse, Maddalena, quando già aveva messo il piede sul primo scalino per risalire nell'osteria, si volse indietro verso Meo e gli disse: