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La plebe, parte I

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– È dunque un signore?

– Certo! L'aria lo dice a prima vista, e poichè è venuto a ripararsi qui al castello ha già dato tre o quattro scudi di mancia.

– Come? Esclamò la contessa dirizzandosi della persona con aria corrucciata.

– Sì signora: uno al domestico che gli ha fatto una fiammata, per asciugarlo, nel camino della sala della caccia; un altro al guattero che gli ha portato una scodella di brodo; un altro al lacchè il quale gli prestò una vesta da camera del signor conte perchè si potesse toglier di dosso il soprabito immollato… Oh! si vede subito che gli è una persona come si deve.

– Ne parli con troppo entusiasmo… Ha dato uno scudo anche a te? La cameriera diventò rossa e fece a schermirsi dal rispondere.

– Non dir bugia; anche tu hai preso la mancia?

– Poichè la signora contessa vuole saperlo… Il signor Dottore lo seppe fare con tanta grazia, che il rifiutarlo mi parve una inutile scortesia.

– Signor Dottore! Come sai tu ch'egli sia dottore?

– Il valletto mi ha data la carta di visita da portare alla signora contessa…

– E tu l'hai letta?

– Senza volerlo… I miei occhi ci son caduti sopra…

– Va benissimo. Mi piacerebbe soltanto sapere con qual pretesto quel signor dottore potè darti lo scudo.

– Mi pregò di fargli compagnia; mi disse che a star solo s'annoiava, che la mia compagnia gli era amenissima.

– Davvero! E a te la sua?

– Oh! Egli è il più gentile fra quanti signori io abbia visto, e sa dire di certe cose!.. Di tutti quei giovani conti e cavalieri che fanno visita alla signora contessa non ce n'è uno che passando non si fermi alcun po' meco a barzellettare; ma le assicuro in verità che nessuno di essi può stare a petto di questo dottore.

La contessa prese un'aria sempre più severa:

– Mi dispiace che i miei famigli accettino così delle mancie dal primo venuto; e tanto più mi dispiace di voi che siete più specialmente addetta alla mia persona. Ne parlerò al maggiordomo perchè ci metta ordine, e ciò non accada mai più. Andate.

La cameriera si avviò a capo basso, ma quando fu per metter piede fuori della stanza, lanciò un'ultima domanda, come il Parto ritirandosi lanciava un'ultima frecciata.

– Se il dottore domanda ancora di presentarsi alla signora contessa, che cosa abbiamo da rispondere?

– Che non ricevo: disse asciuttamente la contessa, ma poi tosto correggendosi: cioè… alla campagna si può vedere senza tratto di conseguenza certe persone che non si riceverebbero in Torino… anche senza che sieno presentate. Se domanda ancora d'essere introdotto presso di me, mi verrete ad avvertire e lo riceverò.

La fante partì. La contessa stette aspettando con certa impazienza. Trascorse circa mezz'ora, che parve lunga assai alla curiosità di Candida; prese uno dei suoi volumi di romanzo in mano e ne lesse una pagina: si accorse che non capiva, che gli occhi avevano seguitato a scorrere materialmente di parola in parola, ma che lo spirito era altrove.

Si disse che erano gli scoppi di tuono sempre frequenti, a disturbarla. Nella sua testa si insinuavano le idee più bizzarre. Quel giovane che gettava via gli scudi con tanta larghezza era egli un medico secondo la comune? Mai più! Certo era un ricco che aveva voluto ornarsi di un inutile diploma. Era stato visto altre volte in quei dintorni. Che ci veniva egli a fare? Sarebb'ella stata un'assurdità il supporre che venisse per una donna? Quale? In quei dintorni ella non sapeva vi esistesse altra donna – eccetto che una di bizzarri costumi e di dubbia riputazione, che dicevasi un'antica artista da ippodromo. E perchè Candida sentiva ella ripugnanza cotanto a pensare che quello sconosciuto giovane venisse nel paese per quella donna? Che cosa gliene doveva importare? Aveva ella già visto altre volte il sedicente dottore? Si affaticava a consultare i suoi più segreti sovveniri per cercare se in qualche cantuccio della memoria non avesse trovato allogata quella virilmente leggiadra figura. Intanto guardava l'indice dell'orologio.

– Egli ha rinunciato a presentarmisi. Tanto meglio. Teme certo di non ottenere presso me il successo che gli valsero presso la cameriera alcune volgari frasi di complimento. Diffatti, che cosa avrebbe da dirmi, ed io da dire a lui? Il nostro sarebbe un colloquio di mutoli… E piove sempre della più bella!.. Eccomi condannata tutto il giorno a stare rinchiusa… Che noia!

Mancava forse un'ora al momento di andare a pranzo, quando la cameriera tornò nel salotto della signora contessa. Il dottor Quercia supplicava d'essere ricevuto.

– Venga: disse la contessa, e forse senza neppur badarci, prese un'attitudine sul suo sofà la più seducente ed avvenevole che si possa immaginare, e con una ratta occhiata consultò lo specchio sull'espressione della sua fisionomia. Lo specchio le rimandò la vista d'un volto giovanile, su cui una fiera tinta d'orgoglio aristocratico, ma bellissimo sotto ogni riguardo.

Luigi Quercia entrò coll'agevolezza rispettosa ed elegante di maniere, che può mostrare il più forbito gentiluomo e il più avvezzo alle usanze sociali.

I miei lettori conoscono già le esteriori apparenze di questo personaggio. L'hanno visto nella taverna di Pelone, vestito di abiti da popolano, conservare pur tuttavia sotto di essi una certa nativa distinzione ed un'elegante leggiadria che lo rivelava a primo aspetto superiore a quei suoi compagni ond'era circondato, e sui quali egli aveva un'incontrastata supremazia ed esercitava un impero che non trovava ribelli.

Ora, agli occhi della contessa, rivestito del suo soprabito rasciutto, e' si presentava nei panni alla moda del damerino cui mostrava saper portare come la vera divisa della propria condizione.

Aveva a quel tempo ventitre anni, e la sua florida giovinezza gli brillava in viso in una splendida avvenenza. I suoi occhi vivacissimi gettavano lampi; la bella sua fronte lisciamente rispianata, non aveva il solco di quella ruga fra le sopracciglia che abbiam visto dare a tutta la sua fisionomia un'espressione di ferocia; le sue labbra rosse di sì voluttuosa avvenenza sorridevano graziosamente; il suo contegno aveva la sicurezza non immodesta d'un uomo che conosce il suo merito.

Innanzi a quell'aspetto, l'orgoglio della contessa riconobbe un suo pari; e il cuore della donna sentì un principio d'interesse che potrebbe anche dirsi simpatia.

Candida staccò dalla spalliera del sofà la persona e chinò leggermente la testa per rispondere al riverente saluto che le faceva il visitatore.

– Il signor dottor Quercia? Disse la contessa guardandolo un momentino colle palpebre semichiuse, come farebbe chi avesse vista corta.

– Quel desso: rispose il compagno d'infanzia di Maurilio.

La contessa colla sua manina accuratamente inguantata gli accennò una poltroncina che si trovava a pochi passi dal sofà e gli disse, con accento che era più gentile di quello usato nel fargli la prima domanda:

– S'accomodi.

Gian-Luigi sedette, e un momentino stettero le due giovani e leggiadre creature guardandosi con tutta quella curiosità che la buona creanza poteva loro permettere. Quel primo esaminarsi aveva in sè quasi una diffidenza, si sarebbe potuto dire un'ombra di sospetto. Pareva che il caso avendoli posti a contatto, un segreto istinto ammonisse ambedue che le loro esistenze sarebbero state fatalmente intrecciate l'una nell'altra, e che quindi, prima di cominciare ogni relazione, volessero scrutarsi a vicenda. Il loro contegno avrebbe potuto paragonarsi a quello di due schermitori che innanzi d'incrociare il ferro si osservano l'un l'altro per indovinare l'abilità e il modo di tirare dell'avversario.

L'uomo avvisò che a lui toccava di rompere quel silenzio, il quale benchè non avesse durato che un mezzo minuto, era tuttavia già troppo lungo.

– Devo chieder perdono alla signora contessa, diss'egli, se di complicità col tempo mi sono permesso d'entrare nel suo castello, come un bersagliere all'assalto.

La contessa ricordò il modo con cui quel giovane si era introdotto nel cortile e non potè a meno di sorridere.

Un sorriso ottenuto da una donna in un colloquio, è una barriera che si abbatte fra lei e l'interlocutore.

– Ella fece veramente da bersagliere, diss'ella. Vedendola saltare con tanta agilità, non mi sarei mai più immaginato che mi arrivava in casa un seguace d'Esculapio… Poichè ella fa bene il mestiere di medico?

Gian-Luigi s'inchinò con tutta gentilezza.

– Direi per servirla, rispose, se invece non fossi costretto ad augurarle che ella non debba mai aver bisogno di questa razza di gente. Quanto a me poi sono medico è vero, ma ci ho una circostanza attenuante, ed è che non esercito quella nobile professione che ho studiato.

Queste ultime parole egli le disse senz'affettazione, ma non senza pesare alcun poco su di esse per farle notare, nella stessa maniera che, se le avesse scritte, avrebbe tirato sotto di esse un frego.

Candida si morse le labbra; un momento fu per cedere ad un po' d'irritazione che gliene nacque e rispondere aspramente; ma poi tosto capì che era suo il torto, e che quell'espressione che ella aveva usato conteneva una gratuita impertinenza, di cui l'aveva fatta avvertita il giovine dottore nella guisa la più urbana.

– Veramente, soggiuns'ella con garbo, lei è troppo giovane per un medico.

– Ah! è questo un difetto di cui pur troppo mi correggo tutti i giorni.

– Ella è pratica di queste vicinanze?

– No signora. Il trovarmici è un azzardo. La mia è una piccola odissea… che può avere anche la sua Calipso.

La contessa fece un atto di scontento. Egli si affrettò a soggiungere:

– Venuto per trovare un amico, ho perso la strada e la tramontana sotto il crosciar del temporale. Un lampo mi ha illuminata la fronte severa di questo castello, ed io lo salutai come un rifugio.

 

– Se pure non è uno sbaglio, alcuno crede averla già vista altre volte in questi dintorni.

La fronte di Gian-Luigi s'annebbiò fugacemente, e i suoi sguardi, acuti come lame di spada, si piantarono negli occhi della contessa. Stette un momento così guardandola senza rispondere. Candida provò una suggezione nuova, strana, indefinita. A tutta prima le nacque volontà di riagire contro l'audacia di quello sguardo, ma poi sentì, come da una potenza a cui non valesse a resistere, avvilupparsi l'anima e dominare lo spirito. Rimase confusa, non isdegnata nè offesa; le parve che quelle sue parole fossero state una grande indiscrezione.

Gian-Luigi da canto suo pensava:

– Perchè mi dice ella codesto? Fu ella stessa a vedermi? Saprebb'ella mai dove mi reco? È impossibile… Per Dio quanto è bella! In quegli occhi c'è un ardore che domanda solamente un soffio per essere suscitato. È ricca a milioni. Non sarebbe forse la mia buona ventura che mi ha gettato qui? Se ne approfittassi?..

Tutto ciò passò in un lampo. Il giovane aveva già preso la sua determinazione, allorchè dopo un minuto secondo riprese a parlare.

– È vero, diss'egli. Non è la prima volta che mi aggiro in queste parti. Ma credevo che la mia presenza non avesse potuto essere notata da nessuno, ed era tale la mia intenzione. Venivo di soppiatto e partivo la notte, contento d'aver visto da lontano in mezzo alle masse degli alberi il comignolo d'un tetto.

– Quello dell'amico che mi disse poc'anzi: disse con un leggiadro sorriso la contessa.

– Quello che alberga la luce a cui mi chiama intorno un impulso superiore alla mia volontà…

– Come la luce delle candele chiama le farfalle a bruciarsi le ali: soggiunse Candida ridendo.

– E sia pure bruciarsi! Le farfalle sono felici. Ardere e consumarsi nell'oggetto del proprio desiderio, è la felicità maggiore che si possa sperare.

– Ah! le farfalle sono l'emblema della incostanza.

– Ma della passione che si sacrifica, altresì.

Gli sguardi del giovane davano alle parole significazione ancora maggiore e più chiara.

Candida si sgomentò di quel marivaudage, che spingeva il discorso sopra una china assai sdrucciolevole. Prese la sua aria più severa e con tutto quell'orgoglio che permetteva la gentilezza, interruppe:

– Ma queste hanno tutta la sembianza di confidenze; e il poco tempo da che ci conosciamo, se pure possiam dire di conoscerci, non autorizza nè lei a farmene nè me ad ascoltarle.

– Il poco tempo che ci conosciamo! Esclamò con fuoco il sedicente dottore. E chi le assicura che noi non ci conosciamo invece da secoli? Chi sa che in una vita precedente noi non siamo stati intimissimi? Su questa terra s'incontrano persone che dopo anni in cui le frequentate vi sono ignote come prima; altre invece che al primo accontarsi vi penetrano nell'anima e vi lasciano penetrare nella loro. Io credo alla favola di Platone. Ogni anima umana, prima d'incarnarsi, ha rapporto strettissimo con parecchie anime omogenee. Di queste, nella vita terrena, alcune saranno suoi amici, una sarà l'oggetto dell'amor suo. Quando si trovano, sentono un misterioso legame che le attira l'una verso dell'altra e le avvince. Riconoscono, senza saperlo, il vincolo preesistente e la legge della predestinazione. Non si sono mai visti, ma non sono estranei. Non sanno le vicende l'un dell'altro, ma già si conoscono e si amano. Così mi avvenne quando vidi la prima volta quell'essere divino di cui le feci cenno poc'anzi. Sentii che la mia vita era sua, che il mio destino era tutto nelle bianche mani di quella splendida bellezza.

Il cuore di Candida palpitava. Perchè? Non lo sapeva dire; e non sapeva neppure se ciò le piacesse o rincrescesse. Avrebbe voluto imporre silenzio a quel giovane, e non osava: e parevale un affettato soverchio riserbo. Voleva parlare e temeva che la sua voce svelasse il suo turbamento che non riusciva a dominare.

Fece uno sforzo per prendere un'aria scherzosa e indifferente.

– Signor dottore, mi pare che la sua sia una buona e bella malattia di cui dovrebbe pensare a guarirsi.

– Mai più! Disse con sempre maggior fuoco Gian-Luigi. Perchè lo vuol ella chiamare un male? È un tormento sì, ma questo tormento mi è caro.

– E quell'essere divino, com'ella dice, trovasi in questa contrada?

Non aveva ancora pronunziato queste parole che già Candida n'era pentita ed avrebbe voluto ad ogni costo non averle dette; ma il giovane temerario non era tardo a coglier la palla al balzo.

– Trovasi qui, diss'egli con impareggiabile soavità d'accento; sola, nell'uggia di un vecchio castello, illuminando della sua beltà queste antiche sale, come il sole illumina le vecchie piante del parco.

– Signore… Disse Candida impacciata, sentendo venirle alla fronte un rossore che avrebbe fatto qualunque cosa per iscacciare.

Ma egli continuando con più ardore:

– Dal primo istante che l'ho veduta io rimasi tutto suo. Fu un abbagliamento dello spirito, fu una rivelazione del cuore. Non avevo ancora amato. Amai da quel punto.

Candida si levò in piedi.

– Che discorsi sono questi? La prego, signor dottore, a volersi ritirare.

Gian-Luigi invece d'ubbidire, con maggiore ancora l'ardimento le si accostò, pose un ginocchio in terra e prese una mano alla contessa, che nel suo turbamento non ebbe la forza nè pure il pensiero di ritirargli.

– Oh! mi lasci parlare: disse il giovane supplicando. Fra un'ora io sarò partito; e s'ella il comanda, mai più non mi presenterò innanzi agli occhi suoi. Non avrà difficoltà nessuna ad obbliare le mie parole – le parole d'un infelice, a cui ella avrà usato pietà, la pietà d'ascoltarlo. È così poca cosa codesta! E che danno ne avrà ella mai? Questo momento l'ho desiderato tanto, ed ora che Iddio me lo concede, non voglia ella levarmene il bene!

Candida si appoggiò tremante alla spalliera di una seggiola che si trovò vicina; il giovane con appassionato accento, sempre in quella positura, continuò il suo discorso.

– Ella me non vide pur mai. Se la mia temerità, se il caso benigno non m'avessero pôrto quest'occasione a venirle innanzi, ella avrebbe ignorato pur sempre perfino la mia esistenza: ma io da lungo tempo, nascosto, perduto nella folla, seguo con incessante adorazione lo splendore della sua bellezza nel mondo, come il povero pastore segue la stella del mattino nel suo corso del cielo. Se il pastore volge le braccia alla stella e le manifesta i suoi aneliti, la sua adorazione, la stella non s'offende, e continua a brillar mite e benigna, consolandolo de' suoi raggi pietosi. Perchè sarebbe ella più crudele con me? Io non domando di più. Un amore ardente come il mio, nel mondo, non è facil cosa, glie lo giuro; e nella sua ardenza esso è il più modesto e rassegnato. Che fastidio deve recare a lei che io l'ami? E forse non sarà senza alcuna dolcezza neppure per lei il pensiero che un uomo è là, celato, umile, noncurato, il quale l'adora ed è pronto a dare tutto il suo sangue per lei. Venga un giorno in cui ella abbia bisogno della vita d'un uomo; la non avrà che una parola da dire, che un cenno da fare, e quest'uomo accorrerà lietamente, pronto al sacrifizio.

Il temporale pareva raddoppiare di furore. Le nubi erano così dense e basse che oscurato ne rimaneva il giorno. I lampi frequenti saettavano su tutti gli oggetti una luce livida, fugace, che dava strani aspetti alle cose. I nervi fremevano per l'elettricità ond'era satura l'atmosfera. Candida, sempre appoggiata alla spalliera della seggiola, aveva un tumulto nell'anima che non le lasciava facoltà d'avviso. Le più fiere risoluzioni s'avvicendavano rattamente nell'animo suo colle più cedevoli tentazioni: voleva suonare il campanello, fare scacciar dalla sua presenza quel temerario; poi tosto si compiaceva stranamente di abbandonarsi alla dolcezza che le insinuavano nel cuore quelle parole più soavi d'una musica, quelle parole che aveva udito nelle sue fantasticaggini mormorare da un essere immaginario e che ora le suonavano con irresistibile malìa d'accento dalla bocca d'un giovane onde ogni donna avrebbe tenuto a pregio l'essere amata. Volse ella uno sguardo a quello spirito tentatore; nello scuriccio di quel momento la fronte bianca di Gian-Luigi spiccava come un'aureola, i suoi occhi brillavano come due diamanti che riflettano la luce di mille fiamme. Egli era supremamente bello. Il sogno delle sue ore di solitudine s'era dunque incarnato; ed essa viveva in realtà in quell'ambiente di passione vagheggiato cotanto! Non le sembrava vero e pur si diceva con palpito concitato di gioia che era così. Tutto l'ardore del suo sangue si destava nelle sue vene e vivaci fiamme le salivano al volto nel suo turbamento più leggiadro ancora. L'orgoglio del suo titolo ispiratole dall'educazione, la virtù e la dignità di donna lottavano debolmente contro l'invadere della passione – di quella passione ond'ella con fatale imprudenza aveva rammentati in sè gli elementi e che ora ad un tratto divampavano. Il capo le tenzonava: i battiti del cuore erano frequenti e convulsi, come se timore e speranza, la gioia e l'affanno, tutti i più vivi sentimenti umani l'assalissero in una.

Il seduttore vide quello sguardo e seppe tutta interpretarne la significanza.

– Oh! t'amo: susurrò egli con voce che pareva un sospiro ed era dolce come la flebil nota notturna dell'usignuolo.

E premette le sue labbra ardenti sulla mano che ella, obliosa, conturbata com'era, non aveva pensato a togliere dalle sue.

A quel bacio – a quel caldo bacio che conteneva tutte le aspirazioni di voluttà d'un uomo desioso – a quel primo bacio appassionato di cui sentisse l'ardenza la sua epidermide, Candida fu scossa da un brivido, e come una vampa le corse per le vene e pei nervi. In quella un baleno più vivace illuminò del suo biancolastro chiarore la stanza, e il volto di quel giovane i cui sguardi gettavano fiamme negli occhi di lei, e la sua pallida figura, che Candida vide nello specchio drizzarsi come uno spettro. Gettò ella un gridolino soffocato e vacillò sotto l'èmpito delle varie emozioni. Gian-Luigi fu ratto a sorgere e l'accolse nelle sue braccia.

Si svincolò essa; si allontanò d'alcuni passi; ma non c'era sdegno nel suo aspetto, nè entro i suoi sguardi. Ell'era tutto tremante. L'audacia, la risoluzione, la forza di quel giovane avevano fatto in lei troppa impressione. Gian-Luigi venuto nel momento il più opportuno che si potesse per la seduzione di quella donna abbandonata e infastidita, si giovò di tutto l'interno lavorìo che aveva già fatto in essa la immaginazione malaticcia e sregolata; raccolse il frutto delle letture malsane, degli esempi perniciosi, del tumulto insoddisfatto dei sensi ond'era turbata la giovinezza di Candida. Le tante seducenti attrattive onde natura aveva fornito il compagno di Maurilio furono agli occhi della contessa ancora addoppiate dalla propria immaginativa che gli aveva preparato il terreno, che lo circondava di tutte le qualità del vagheggiato eroe.

Gian-Luigi – alla contessa conosciuto soltanto col nome di Luigi – tornò altre volte pur troppo in quel castello, mentre la giovine donna lo stava aspettando col cuor palpitante. L'Eden amoroso dietro cui ella aveva nella sua solitudine anelato cotanto, fu aperto all'incauta donna dalla mano di quel temerario che le appariva fornito d'ogni bellezza, d'ogni valore, di quella inesprimibile malia di forza e di affetto, onde l'uomo domina l'indole, l'anima e il cuore della donna.

Essa lo amò con tutta la potenza dell'anima sua, la quale dell'amore, sin dapprima, s'era fatto un bisogno, un idolo, un dovere, e non aspettava altro più che la venuta di quell'essere che di tanto tesoro sapesse impadronirsi. Luigi era venuto come un trionfatore e l'aveva di botto conquisa: era sua; le sembrava che avrebbe dovuto essere così ad ogni modo, che con ciò ella non faceva che acconciarsi agli obblighi del suo destino. Il suo orgoglio era tutto una umiltà in cospetto dell'amante. Quella superba figura da regina che nel mondo tutti accusavano di soverchia alterigia, nel solo a sola col suo diletto si cambiava nella devota natura di una schiava innamorata, pronta ad ogni cenno del suo possessore. Quella bellezza da tanti ammirata e desiderata, cui tutti avevano creduta inaccessibile: quella bellezza si concedeva con lieto e voglioso abbandono agli ardori d'uomo che compariva ricco e ben educato in società, ma cui pure nessuno sapeva chi fosse.

Il medichino a sua volta era stato sovraccolto dalla beltà di Candida; trovandosi con essa, quella prima volta, aveva ceduto alla subita ispirazione, allo ardore della gioventù, ed aveva mentito un amore che non esisteva ancora; poscia la sua tanta ventura, per quanto superbo egli fosse di sè, gli aveva prodotto una specie d'ebbrezza che diede ai suoi rapporti con lei tutte le sembianze d'un vero amore infuocato. La giovane donna ebbe dalla sua adultera passione momenti di trasporto ineffabili, gioie pur nella colpa sovrumane, delirii di paradiso.

 

Ah! infelice, con quante lagrime doveva ella scontare quegli istanti fugaci di un bene colpevole!

L'amore la dominava senza sua possibil difesa. Tutto il resto del mondo aveva essa obliato, o, per dir meglio, tutto concentrato in codesto. Luigi colla sua bellezza, colla sua ardenza, colla temerità della sua passione, rispondeva all'ideale che la sviata fantasia della contessa s'era formato d'un amante, rispondeva ai bisogni della sua indole, alla stranezza medesima dei sogni onde aveva cullato la sua noia precedente ed occupata la vacuità del suo spirito e del suo cuore.

Candida non aveva più cercato di saper nulla del suo amante. Si contentava di quel poco che egli avevale detto de' fatti suoi, – ed era invero sì poco! Le bastava conoscerlo quale a lei si presentava. Nell'espansione de' trasporti onde le inebriava l'anima, in quel fuoco di voluttà che le gettava nelle vene, la innamorata donna vedeva ogni ragione di essergli soggetta, di darglisi tutta, d'esser cosa di lui. Chi fosse, che contasse nel mondo, quali le sue attinenze, che cosa importava a lei?

Frequenti erano i segreti loro convegni. Il conte passava la maggior parte del suo tempo in città; per lettera ella avvisava Luigi quando potesse venire, ed egli accorreva. La cameriera di necessità erasi dovuta far complice, e la padrona ne comprava il silenzio con regali e con meno dignitosa compiacenza. Che palpiti di cuore, che sussulti di nervi, che orgasmi dell'anima eran quelli onde la contessa era travagliata nelle ore lente e fugaci che precedevano il momento in cui il suo amante l'avrebbe stretta fra le braccia! La notte, appoggiata al verone, sporta all'infuori la sua bella persona, stava, l'occhio teso per penetrar quelle tenebre e vedere da più lontano l'ombra del suo diletto. Tratto tratto si staccava di là e correva nell'elegante boudoir illuminato, dove si guardava nello specchio con occhio diffidente della sua bellezza; ed ora aggiungeva un fiore alle chiome, ora una collana al niveo collo, ora un gioiello al seno, e si domandava palpitante: – Sono io abbastanza bella per lui? Gli piaccio come voglio?

Il cristallo che le rifletteva lo splendore di sì giovanile beltà, la rassicurava; si salutava con un sorriso pieno di fiducia e di malìa e correva di nuovo al verone. Erano ore tormentose insieme e piene d'un acre diletto.

Nessun'ombra era venuta ancora ad oscurare quella luce elisiaca di amore, nessuna nube ancora era passata su quel sereno in cui nuotava l'anima sua. Candida si sentiva e nel suo cuore con infinita gioia si proclamava felice. Non un sospetto la amareggiava, non l'accenno neppure d'un rimorso. Amava ed era amata: tutto il mondo era lì.

La prima spina che le si fece sentire fra quei fiori inebbrianti fu quella della gelosia. La non ci aveva neppur pensato ancora mai. Luigi era così ardentemente amoroso! Non poteva in niun modo entrarle in mente pur l'idea che potesse volgere un istante d'attenzione non che un desiderio ad altra donna. Una sera, aspettandolo secondo l'usato al suo castello, e vistolo a comparire sotto i raggi della luna filtrati fra le frondi delle piante, Candida si ritrasse dal verone ove era stata tanto tempo aguzzando gli sguardi, e suo primo impulso fu correre giù delle scale all'incontro dell'amante, per introdurlo essa stessa dalla segreta porticina che soleva schiudergli il passo, per gettargli due minuti prima le braccia al collo e sentire la voluttà per lei immensa di essere stretta al seno di lui; ma un sentimento di dignità, ultimo sforzo del suo orgoglio aristocratico soggiogato, pur la trattenne. Incaricata di aprire chetamente la porticina a Luigi era la cameriera. La contessa stette sulla soglia della prima stanza del suo appartamento aspettando che il suo diletto, fatta di corsa la scaletta riposta, comparisse tosto a prenderla, come soleva, fra le sue braccia in un amplesso pieno di forza e di passione: e il suo cuore di donna innamorata le balzava nel petto. Ma parecchi minuti erano trascorsi, e Luigi non veniva. Che poteva far egli colaggiù? Un ratto sospetto corse come un lampo nell'anima della donna; un sospetto affatto incerto e indefinito, ma che pur valse a tutta conturbarla. Come sotto l'impulso d'un sentimento irrefrenabile, aprì essa l'uscio e si slanciò fuori sul ripiano a guardare giù della scala. In fondo a questa Luigi sorridente ciarlava colla cameriera, la quale moineggiava con civetteria imitata in mal modo dalle grazie e dagli attucci della padrona. La fante aveva in mano un lume che rischiarava la scena, e la troppo chiara espressione del viso di lui, e la simulata renitenza della giovane, traverso alla vita della quale Luigi aveva passato il suo braccio. Candida in un attimo vide tutto, e l'amplesso, e il riso rivelatore, e il bacio che egli osò mettere sulle guancie fresche e rotonde della fanticella. Tutto il sangue della contessa si rimescolò; un subito bollore le infiammò le vene e si precipitò al cervello quasi offuscandole e la vista e la intelligenza. Per primo impeto volle correre abbasso a schiaffeggiar quella pettegola a scacciar di casa sua quello sciagurato sì vilmente offenditore di lei e dell'amor suo; ma si trattenne. Ritirossi sollecita nella sua camera col sangue che le pulsava dolorosamente nelle tempia. I più fieri propositi passarono con turbinosa rapidità nella sua mente eccitata. Mai più vederlo, piantargli un pugnale nel cuore, gettargli sulla faccia il disprezzo degno di tanta viltà, farlo scacciare come un ladrone dai domestici: mille pazzie in mezzo ad un fremito di furore.

Non aveva ella ancora preso determinazione di sorta, quando l'uscio s'aprì chetamente, e Luigi le venne in istanza con sulla faccia quel medesimo sorriso che aveva poc'anzi abbracciando la cameriera.

E' s'inoltrò colle braccia aperte per darle il solito amplesso. Candida indietrò come inorridita. Un vivo rossore la colorò sino alla fronte, poi tosto diede luogo ad una pallidezza di cadavere. In mezzo a quel pallore i suoi occhi neri lucevano come due carboni accesi. Volle parlare, ma le labbra le tremavano e non valse a pronunziar parola.

– Che è ciò? Disse Luigi arrestandosi stupito. Che cos'hai?

La contessa voleva tacere la ragione del suo sdegno. L'umiliazione che l'uomo da essa amato le recasse sulla bocca le labbra calde ancora del bacio della sua cameriera le pareva troppo e troppo vergognosa per esprimerla, per lasciare pur supporre ch'essa la sentisse. In quel tumulto in cui si trovava la sua mente, s'era detto, vedendo entrare l'amante, di umiliarlo a sua volta col suo disprezzo, di troncare violentemente con esso quel nodo di amore che pure fino a quel punto le era stato così dolce, di bandirlo dalla sua presenza per sempre, senza pur dirgliene una ragione. Sentisse, egli che la sapeva, la sua colpa, ella non si abbasserebbe ad accuse nè a rimbrotti.

Ma la misera donna amava con tutta la forza dell'animo suo, e se codesto fiero modo sia possibile a donna che ami, lo lascio dire a voi, mie gentili lettrici.

Luigi domandò spiegazioni pressantemente, colla voce che pareva tremante di dolore, colla eloquenza della passione, colla malìa che ha su cuore di donna la voce dell'uomo amato. Alla resistenza di lei, all'asciutta fierezza delle risposte, all'orgoglio onde essa respingeva le sue supplicazioni, i suoi atti di amore, Luigi si disperò, parlò di morire, passò a sua volta ai rimbrotti.

L'orgoglio della debol donna non era più che una mostra. Ella cedette, disse tutto, e dalla maggior fierezza passando al più umile abbattimento, pianse. Che disse, che fece Luigi? Difficile il ripeterlo. Ben lo sanno gli amanti che si trovarono in tale situazione. Parlò con enfasi, giurò e spergiurò, la strinse fra le sue braccia con ardore irrefrenato, bevve le sue lagrime, la coprì di baci, la stordì con parole e con atti di amore; breve, all'alba si partì lasciandola persuasa che quella non era stata che una facezia, che il meglio era di farne caso nessuno e di non parlarne più.