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L'undecimo comandamento: Romanzo

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Monachino! monachino! anche voi, scusate la libertà grande del vostro istoriografo, anche voi non avete un'oncia di senno. Perchè andarvi a ficcare là dentro? O non lo sapevate, che una donna si nasconde male, e che il miglior travestimento, anche dissimulando perfettamente la forma, non basta a sopprimere l'arcano quid, l'incognito indistinto, che la fa sentire presente? Dicono che, quando nacque Eva, la natura tutta si commosse dal profondo; molli tepori compenetrarono l'aria, le erbe crebbero più rigogliose, i fiori si dipinsero di più vaghi colori. La cosa sarà e non sarà; possiamo anche lasciare la malleveria della notizia ai poeti. Ma il fatto sta che appena balzò Eva dalle mani del Creatore, Adamo si svegliò dal suo sonno. E qui il testo biblico ha un senso riposto, di cui mi fecero intendere la grandezza i miei professori di ermeneutica. La presenza della donna si sente; sono in lei certe delicatezze che parlano una lingua arcana ai nostri sensi, e questa lingua i nostri sensi la intendono senza averla imparata; miracolo che non è ancora avvenuto pel latino e pel greco. Inoltre, la donna ha questo potere su noi, che a tutta prima ci rende più teneri, desiderosi di apparir buoni, cortesi, galanti, spiritosi e via discorrendo. In ciò somigliamo grandemente agli uccelli, che nella lieta stagione mettono fuori la cosidetta "livrea d'amore", per piacere alla futura compagna, che aiuteranno poi nella fabbricazione del nido. Ma in seguito? In seguito perdiamo le staffe, la rivalità ci guasta il sangue, non ci vediamo più lume; per la donna ci guardiamo in cagnesco, davanti a lei ci azzuffiamo, ci sbraniamo come leoni. Tanto è vero che in un uomo solo ci sono varie specie di bestie!

Nell'alzarsi in piedi, il serafino biondo aveva voltata la faccia verso l'ingresso della stamberga. La luce della navata, che giungeva fino a lui, gli rammentò che non aveva chiuso l'uscio dietro di sè, e che forse era prudente il farlo, per aver tempo a levarsi da terra, nel caso che qualcheduno fosse capitato lassù. La cosa non era probabile, poichè tutti i frati erano a capitolo e il converso e la gente di servizio stavano altrove; ma era tra le possibili, e il nostro monachino si mosse per andare a richiudere quell'uscio. In quel mentre, gli venne udito un rumore di passi, che lo fece tremare. La cosa possibile diventava probabile. Se lo avessero colto là dentro, come avrebbe potuto spiegare il negozio? Per fortuna, al rumore di passi tenne dietro un suono di voce, e il monachino riconobbe suo zio, che era entrato in chiesa, non avendo potuto penetrare nel capitolo.

Corse allora sul pianerottolo, si affacciò all'apertura e chiamò lo zio con quel sibilo sommesso che già sapete; indi con la mano gli fe' cenno che restasse, dovendo egli trattenersi per qualche cosa lassù. Ma il padre Prospero, o non avesse ben capita la mimica del serafino, o aspettasse qualche altro schiarimento, si era inoltrato fin sotto al cornicione. Allora il serafino curvò il busto sulla ringhiera e raccolte le palme intorno alle labbra, lanciò allo zio questo savio consiglio:

– Prendi un libro e aspettami leggendo; ti dirò tutto, quando avrò udito quello che non hanno permesso a te di sentire. —

Il serafino aveva abbassata la voce d'un tono, ma staccava le sillabe in guisa che il suo discorso giunse intiero all'orecchio dello zio.

– Dove diamine avrà saputo che non mi hanno permesso di sentire? – pensò egli, ammirato. – Ah, ci sono, ci sono. Se ella può udire di lassù tutto quello che dicono, avrà anche sentito che non mi hanno voluto ricevere. —

E contento di quella scoperta, il padre Prospero s'inchinò con quell'aria di fiat voluntas tua, che soleva assumere ogni qual volta il serafino biondo mostrasse di voler qualche cosa per davvero. In prova d'obbedienza sollecita, si accostò allo scaffale più vicino, ne tolse il primo libro che gli venne alla mano, e andò a sprofondarsi nella lettura, ma non senza essersi sprofondato da prima in un seggiolone imbottito di bambagia, che era una delizia a sentirlo.

Il padrino Adelindo era tornato in quel mezzo al suo ascoltatorio.

XIII

I frati di San Bruno erano tutti seduti nei loro stalli di legno. Il priore doveva aver ridata allora allora al padre Restituto la facoltà di parlare, perchè questi incominciava in quel mentre.

– Fratelli, io mi sbrigherò in poche parole. A che scopo ci siamo raccolti a vivere in questo convento? Per star lontani dal mondo e dalle sue noie; non è così? Per conoscere certe afflizioni, bisogna averle provate; per desiderare di non provarle più, bisogna esserne stati offesi nel profondo. Orbene, signori miei, se massima tra le afflizioni umane è l'amore, e cagione di questo tormento è la donna, la conseguenza del ragionamento mi par questa: che noi dal convento di San Bruno abbiamo respinte implicitamente le donne.

– Non vogliamo donne! – gridarono ad una voce i padri Agapito, Costanzo e Ilarione.

Il priore sorrise di quel terzetto all'unissono.

– Continuate; – diss'egli.

– Ho quasi finito; – ripigliò il padre Restituto. – Non vogliamo donne e frattanto ne abbiamo una in convento. E quel che è peggio, non in forma di visitatrice, che potrebbe ancora tollerarsi per un giorno, ma in forma di tentatrice.

– Oh! – gridarono parecchi, dando un sobbalzo sui loro sedili di legno.

– Certo; – ribadì l'oratore; – il diavolo non si fece un giorno eremita?

– Quando diventò vecchio; – disse una voce.

– Eh, scusate; – ripigliò il padre Restituto; – vecchio oramai lo è tanto, che non lo sarà mai stato più di così. E noi lo abbiamo in casa, o signori; e sotto tonaca di frate. Il suo nome… volete saperlo, il suo nome?

– Bella scoperta! – esclamò il padre Anselmo, ridendo. – Amico Restituto, voi prendete il più giovane, il più biondo, il più avvenente di noi, e ne fate di schianto una donna. Badate, per altro; egli è assente, e degli assenti non si può dir male.

– Non ne ho detto male; – gridò il padre Restituto; – e voi m'avete inteso malissimo.

– Avete parlato del diavolo, sotto forma di tentatrice, e mi pare che basti. —

La disputa minacciava di farsi più grave. Perciò il priore stimò intromettersi.

– Fratelli, vi prego, lasciamo questa discussione del più e del meno. Voi, padre Anselmo, non interrompete l'oratore e consentite ch'egli dica tutto quello che pensa. Il padre Restituto, dal canto suo, non pensava punto di dare al vocabolo "tentatrice" un significato ingiurioso. Ci sono anche le tentazioni involontarie; – soggiunse con placida arguzia il padre Anacleto; – e qui saremmo proprio nel caso.

– Ringrazio il nostro degno priore di questa interpretazione, che risponde perfettamente al mio concetto; – disse il padre Restituto, inchinandosi. – E soggiungo che queste tentazioni, innocenti da una parte, non sono meno pericolose per l'altra. Noi veramente saremmo indegni di scusa, se, conosciuto il pericolo, non ci affrettassimo a provvedere. Io dunque domando al priore una cosa semplicissima; chiami egli il padrino Adelindo, gli faccia sapere quel che si pensa di lui, e lo rimandi a casa sua, con tutti quei riguardi che sono dovuti ad una donna.

– Lo domandate sul serio? – gridò il priore, in mezzo ai rumori che aveva destato la proposta del padre Restituto. – Io non farò mai una cosa simile. Darei piuttosto la mia rinunzia all'ufficio. Fratelli, siamo calmi e consideriamo attentamente il caso. Esso è grave, ma non è punto nuovo. Di donne travestite da uomo, vissute tranquillamente e decorosamente in mezzo agli uomini, ne è piena la storia. Potrei citarvi un venerabile esempio, ma non lo farò, perchè il fatto è ancora controverso e non è qui il luogo nè il tempo per intavolare una quistione di storia papale. Vi parlerò invece degli eserciti moderni, in cui non fu raro il caso di trovar donne, passate per uomini, che seppero acconciarsi a tutti i disagi e a tutti i pericoli della milizia, facendo egregiamente il debito loro e meritando anche di esser poste all'ordine del giorno, per qualche impresa notevole. A chi, sospettando dell'esser loro, sarebbe mai venuto in testa di scacciarle dal reggimento? Via, siamo giusti; è egli permesso a noi di scacciare dalla nostra milizia pacifica un fratello così quieto e gentile come il padrino Adelindo? Non è un padrino, lo capisco; potrebbe star meglio in un convento di monache. Anch'io lo pensavo, fin dai primi giorni ch'egli è venuto fra noi…

– Ah, lo sapevate? – interruppe il padre Restituto. – E come va, allora…

Il padre Anacleto lo interruppe a sua volta.

– Non lo sapevo; – diss'egli. – Il sospetto che quell'adolescente potesse essere una donna, mi si era affacciato alla mente; ma egli era accompagnato da un suo vecchio zio, che abbiamo accettato insieme con lui, e mi parve che quest'uomo, per tener mano ad un giuoco di tal fatta, avrebbe dovuto avere, o troppo ardimento, o…

– Troppa dabbenaggine, non è vero? – chiese il padre Restituto.

– Rispettiamo gli assenti, vi prego. Io volevo dire soltanto: o troppa fede nella nostra… bontà. Respinsi dunque il sospetto, e dissi tra me: facce di giovani che possono trarre in inganno ce ne sono di sicuro, specie nei biondi, e quando la comparsa dei peli vani sulle guance è un po' tarda a venire. Inoltre, era forse da credere che una ragazza si disponesse con tanta facilità a sacrificare una bella treccia di capelli d'oro, per la smania di entrare in un convento di frati, mettiamo anche di frati per burla? E a farci che? Intendo benissimo che questa domanda si potrebbe fare anche per un giovane. Ma infine, si può credere che qualche piccolo dispiacere, creduto eterno, e l'esempio di uno stretto parente, portino anche a questa estremità. Mosso da queste ragioni, sebbene credessi poco alla serietà della vocazione di quel giovinotto, ma rispettando la fermezza della sua volontà e cedendo all'ardore del suo desiderio, lo accettai, mettendo per altro, a tutela sua e nostra, la condizione del noviziato, e per lo zio e per lui. Così facendo, o signori, ho messi in salvo gli scrupoli miei, come la dignità del convento, ed ho creduto di far bene. —

 

Il padre Restituto non si diede per vinto.

– Voi parlate del primo giorno; – diss'egli; – e sta bene. Ma poi? Non vi è tornato il dubbio che l'adolescente fosse una donna?

– Anzi, è diventato certezza; – rispose il padre Anacleto. – Come e perchè, domanderete. Non saprei dirvelo con precisione. Forse mi ha guidato la considerazione d'un fatto fisiologico non avvertito da prima. Nell'uomo, prima che si mostrino i peli morbidi sul viso, abbiamo sempre un ragazzo, con la sua petulanza, se vogliamo, ma con altrettanta bambineria di atti e di pensieri. Ora, il padrino Adelindo, senza indizio di lanugine sulle guance, è già pieno di brio; ha una grazia ingenua, che non è più dei giovani alla sua età, ed una serietà che essi avranno solamente più tardi, ma rinfiancata di tristezza e di mal umore. No, non è un uomo, dissi allora tra me, il terzo giorno dopo la sua entrata nel convento.

– E lasciavate correre?

– Lasciavo.

– Ma perchè, di grazia, perchè?

– Perchè, signori miei… Ma debbo io dirvi tutto, dall'a fino alla zeta?

– Dite, dite! – gridarono ad una tutte le voci del capitolo.

– Perchè, signori miei, – ripigliò il padre Anacleto, – si sarebbe detto che noi non siamo cavalieri, o che non eravamo troppo sicuri di noi. Credete che ciò non si sarebbe detto? Riconoscete almeno che si sarebbe potuto dire, e questo è più che bastante per determinare la via d'un gentiluomo. In verità, non saremmo stati cavalieri, se quella donna, entrata così fidente sotto la custodia dell'onor nostro, avesse potuto correre un pericolo; sicuri di noi avremmo dimostrato di non essere, se avessimo pensato, prima di accettarla, o di respingerla, che essa poteva farci perdere quel po' di cervello che ci avevano lasciato intatto le burrasche della vita. Uomini provati, davvero, questi frati di San Bruno, se avessero detto ad un biondo adolescente che domandava di entrare, accettando anche la condizione del noviziato: noi vi crediamo una donna, e, scusate, abbiamo paura di voi!

– È vero, è vero! – gridò il padre Anselmo.

– È verissimo! – ribadì il padre Bonaventura.

Un mormorio di approvazione salutò le parole del padre Anacleto e rincalzò le esclamazioni dei due lodatori.

Si capirà per altro, che i quattro oppositori non tenessero bordone a quelle prove di simpatia.

– Nobili sentimenti, espressi in nobilissima forma! – osservò il padre Restituto, che parlava per tutti i suoi compagni d'opposizione. – Ma infine, ciò che ha fatto il nostro degno priore, anche credendo di far bene, è contrario agli statuti dell'ordine.

– Statuti che non furono mai scritti, – osservò il padre Anselmo.

– E che nessuno è stato chiamato a votare; – soggiunse il padre Bonaventura.

– Avete ragione, o signori; – replicò il padre Restituto; – avete ragione, se non badate allo spirito, e vi attenete soltanto alla lettera. La lettera nel caso nostro non c'è; ma c'è lo spirito, il quale si è svelato nelle consuetudini nostre, e in quel medesimo principio che ha già raccolto sedici uomini nel convento di San Bruno.

– Ex ore tuo te judico!– gridò il padre Bonaventura. – Voi non volete nella comunità il padre Adelindo, e lo contate fra i presenti.

– Dio buono! Leviamolo pure dal conto e diciamo quindici. Facciamo anzi quattordici, levando anche lo zio, che mi pare un vero fuor d'opera. Resta sempre che quattordici uomini si sono raccolti qui per vivere in pace, lontani dalle tempeste del mondo. Siamo i savi di cui parla Lucrezio, che stanno sulla riva a guardare la brutta figura degli altri.

Suave mari magno, turbantibus aequora ventis E terra magnum alterius spectare laborem.

Vedete, padre Bonaventura, che anch'io so parlare latino, quando bisogna.

– La citazione è profondamente egoistica; – ribattè il padre Bonaventura.

– Bravo! E che cosa facciamo noi, se non un'opera d'egoismo? Egoismo intelligente, egoismo ragionevole, che non giunge fino al punto di godere della morte degli altri, ma che si ferma alla consolazione di ritrar noi dalla mischia, donde non si ha potere nè speranza di ritrarre anche gli altri. La solitudine sdegnosa, o il disprezzo benevolo, secondo gli umori, è tutto il meglio che ci resta a fare, in una società male ordinata. Così la intendo io; nè credo che voi l'abbiate intesa diversamente finora. E in questa solitudine, il cui primo disegno è titolo di merito insigne pel nostro venerato priore, in questa solitudine si stava benissimo; ci si potrebbe stare ugualmente in futuro, ma a patto di rimanere come eravamo in principio. Levate di qui gli elementi eterogenei, quegli elementi che abbiamo fuggiti per ottenere la pace. Una donna nel convento di San Bruno è argomento di discordia; è una tentazione, involontaria fin che vorrete, innocente quanto vi piacerà, ma sempre una tentazione. —

Così parlò, con aria di convinzione profonda, il padre Restituto. Ma il priore, che attingeva dalla sua olimpica serenità più elevate ragioni, così prontamente rispose:

– E lasciatela stare, questa tentazione; lasciate che faccia le sue prove tra noi. La tentazione, saputa vincere, ha fatto onori ai santi; è stata anzi la ragione del loro innalzamento ai seggi celesti. Rammentate, amico Restituto, rammentate Antonio nella Tebaide. Il bravo eremita se ne stava nella sua grotta, contemplando le invenzioni sempre nuove dello spirito maligno, e non c'era caso che il sangue gli si rimescolasse nelle vene e gli dèsse una battuta più forte dell'altra. Sant'Antonio era un uomo! Per lui la bellezza non aveva lusinghe, le grandezze umane non avevano attrattive. Più grande di sant'Uberto, che amava le cacce e i bei cani levrieri, sant'Antonio pose l'affetto suo in un… come chiamarlo decentemente? Diciamo, o fratelli, in un cinghiale domestico. Sant'Antonio aveva la vocazione di tutte le più alte rinunzie. Lasciamo stare il cinghiale domestico, che veramente è un po' troppo; ma imitiamo sant'Antonio nella serena baldanza delle sue vittorie morali. La vocazione del deserto non si prova che nel pericolo. Ringraziamo la sorte, che ci ha recata l'occasione d'un pericolo, perchè noi possiamo trionfarne. In verità sarebbe curiosa che noi, uomini provati al fuoco delle passioni, facessimo oggi una sconcia caduta! Sarebbe curiosa, o signori, che a noi la seconda vocazione non bastasse, e che fosse per noi dimostrata la necessità della terza! —

Un grido di ammirazione accolse la chiusa del discorso. Un bel discorso, o lettori, che io vi ho abbreviato, disperando di poterne ritrarre la sarcastica energia.

– Stupendo! – gridò il padre Anselmo.

– Divino! – soggiunse il padre Bonaventura.

– Immenso! – ribadì il padre Atanasio.

Il padre Restituto, fulminato da quel ragionamento del priore, oppresso da quelle grida entusiastiche dell'uditorio, non sapeva più da qual parte rifarsi.

Il padre Anacleto approfittò del silenzio del suo avversario, per fare una diversione sul gusto di quella che rese celebre nei fasti oratorii Scipione Africano.

– Parliamo d'altro; – diss'egli, dopo un istante di pausa. – Come vanno le memorie scientifiche destinate al nuovo giornale? Voi, padre Bonaventura, dovevate finire il vostro studio sulle stelle cadenti. A che punto siete? La teorica dello Schiaparelli vi par sempre così giusta come prima?

– Ahimè! – esclamò ingenuamente il padre Bonaventura. – Dopo che sull'orizzonte di San Bruno è comparso quel bòlide, non capisco più nulla.

– Male! – osservò il priore, non sapendo bene se dovesse andare in collera, o ridere. – Voi, almeno, padre Atanasio, avrete data l'ultima mano ai vostri appunti di fisica?

– Dio buono! – rispose il padre Atanasio, tentennando malinconicamente il capo. – Come fare, con tanta elettricità per aria?

Il priore cominciava a rabbruscarsi. Che frutto avrebbe egli ottenuto dal suo discorso, se i partigiani suoi più fedeli mostravano di cedere così debolmente alla tentazione?

– Capisco, – diss'egli, – capisco che il giornale non si farà più.

– È nato morto; – soggiunse il padre Restituto.

A quella osservazione agrodolce, scattò come una molla il padre Tranquillo.

– E perchè, di grazia? Aspettate che sia venuto alla luce, per fare la vostra registrazione necroscopica. Io frattanto ho l'onore di avvertirvi che c'è modo di farlo nascer vitale.

– Ah, sia lode al cielo! – esclamò il priore. – Voi, padre Tranquillo, ci rassicurate intorno al buon avviamento della vostra memoria, sulla circolazione del sangue.

– Questa l'ho finita da un pezzo; – rispose il padre Tranquillo. – Ma qui non intendo parlare dell'opera mia. Dico invece che il sangue potrà scorrere liberamente nelle arterie del neonato, se noi sapremo introdurvi in tempo qualche nuovo elemento.

– Spiegatevi.

– Mi spiego subito. Nel nuovo giornale ci ha da entrare anche la parte amena; un po' di letteratura, per esempio, sotto forma di novella, o di componimento poetico.

– Già! per piacere al padrino! – entrò a dire con accento sarcastico il padre Agapito, sorretto da una benevola occhiata del padre Restituto.

– Padrino o no, un giornale ha da essere un giornale; – replicò il padre Tranquillo. – Non vogliamo mica fare un'arida rassegna, sul gusto degli Atti di questa o di quella società scientifica! Quella è davvero il genere condannato, e parecchie società l'hanno inteso così bene, che già mirano a recare nelle loro pubblicazioni un pochettino di varietà. Guardate, ad esempio, il Journal Asiatique. È tutta filologia orientale; ma in ogni fascicolo vi passa sott'occhio un mondo di cose, algebra indiana, demonologia babilonese, medicina araba, poesia assira, apologo persiano e via discorrendo. Anche un giornale archeologico può e deve esser fatto in modo da non riescire noioso. A voi piacciono le citazioni latine, padre Restituto? Eccone una di Orazio: Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci. Infine, un giornale ha da essere, o no, uno specchio della vita?

– Della nostra, sicuro, – osservò il priore. – E se la nostra è una vita studiosa, basterà che il nostro sia un giornale di studi. —

Il padre Tranquillo, vedendosi così abbandonato dal priore a cui credeva di essere andato in aiuto, non rispose più altro. Ma entrò a parlare per lui il padre Natale.

– Un giornale, – diss'egli, – deve servire a qualche cosa. Essere un giornale, o non essere, ecco il punto. In altri termini, un giornale dev'essere come l'uomo; o servire come lui a qualche ufficio, o non essere.

– Come l'uomo! – esclamò il priore, inarcando le ciglia. – Padre Natale, voi volete dire di più che non appaia dalle vostre parole. Se credete che l'uomo abbia l'obbligo di fare qualche cosa per gli altri, sapete come se n'esce. Tornate al secolo! —

Il padre Natale borbottò qualche cosa tra i denti, ma non credette opportuno di farne parte ai colleghi.

– Quella birichina ci ha tutti stregati; – pensò il padre Anacleto.

Indi, rivolto ai colleghi, proseguì:

– Signori, fratelli miei, vedo pur troppo che gli umori sono discordi. Non mi pare che ci sia nulla da mettere ai voti, perchè voi medesimi mostrate di non sapere abbastanza che cosa vogliate. Vi farò in quella vece una proposta, che mi gira per la mente fin dal principio di questa discussione. Eleggetevi un altro priore. Egli potrà dar fuori una nuova regola; più stretta, come la vuole il padre Restituto; più larga, come la vuole il padre Natale. Farete quel che vi piacerà meglio, e per me sarà tutt'uno, purchè io me ne lavi le mani. —

Un vocìo confuso accolse quella scappata del priore.

– Che umiltà! – gridò il padre Restituto.

– Che degnazione! – gridò il padre Natale.

– Egli ha ragione; voi siete esorbitanti nelle vostre pretese.

– Non l'ha; ci sono gli statuti.

– Non ci sono statuti, ma consuetudini.

– Si osservino dunque le consuetudini.

– Che consuetudini d'Egitto! L'assemblea è sovrana.

– Oh, insomma, sapete che cosa v'ho a dire? – tuonò il priore, dominando per un istante quello schiamazzo infernale. – Che siamo una gabbia di matti.

– La voce ne è corsa da un pezzo; – osservò il padre Marcellino, che non aveva aperto bocca fino a quel punto.

I congregati ruppero in una sonora risata. Non era una bella cosa, ne convengo; ma infine, che ci posso far io, se l'osservazione del padre Marcellino ruppe le parole in bocca ai contendenti e fece smascellar dalle risa quella grave assemblea? Non è solamente contagioso lo sbadiglio; anche il riso, quando prorompe a tempo, muove il fegato più indurito del mondo. Figuratevi! Non seppe tenersi dal ridere neanche il padre Anacleto, con tutti i gravi pensieri che gli giravano in testa.

 

Come si fu chetato quello scoppio d'ilarità, il padre Atanasio così prese a parlare:

– Abbiate pazienza, priore, e compatite le nostre follìe. C'è molta elettricità per aria, ve lo dicevo ben io! Si scaricherà, come e quando potrà. Intanto, se volessimo rimandare ogni decisione… Che ve ne sembra?

– Rimandiamo! – gridò il padre Anselmo.

– Sì, sì, rimandiamo! – gridò il padre Bonaventura, mentre gli altri, in maggioranza facevano eco.

– E sia. Quantunque il rimandare la decisione lasci il vostro priore in una condizione difficile, rimandiamo pure; – disse il padre Anacleto. – Ma badate, o signori, metto una condizione. Siamo cavalieri! Fa bene alla salute, dopo tutto; ed è una consolazione morale, in un tempo come questo, che il mondo gira al mal animo e alla cattiva educazione. Siamo cavalieri, o signori, e i nostri novizi, uomini o donne che siano, non abbiano fumo dei nostri sospetti.

– È un dovere; – rispose il padre Agapito, in nome dei dissidenti.

Il serafino biondo non istette a sentir altro. Appena veduto il movimento che si faceva da alcuni stalli, sollevò la testa, balzò in piedi e fuggì con passo leggiero verso la scala. Un minuto dopo, era in chiesa.

Lo zio Prospero dormiva saporitamente sulla sua poltrona, con un libro aperto sulle ginocchia. Il serafino biondo non si fermò neanche a guardare che libro fosse, ed uscì, volgendo i suoi passi fuori del convento. Ma non ne fece molti, all'aperto; come fu al principio del sentiero dei frassini, che incominciava appunto dove finiva il piazzale, tornò indietro, in atto di persona stanca, che abbia fatta una lunga passeggiata. Così avvenne che alcuni frati, usciti a prender aria sotto l'atrio del convento, lo vedessero sbucare dal verde.

– Caussa mali tanti!– mormorò il padre Tranquillo all'orecchio del padre Restituto.

– Ah, voi dunque ammettete che sia una donna; – disse di rimando il padre Restituto. – Il pentametro vuole infatti la chiusa: foemina sola fuit.

– Scusate, – replicò il padre Tranquillo, – ne ho citato appena quel tanto che faceva al caso mio. Nelle citazioni avviene sempre così. Del resto, io non credo che sia una donna. È la mia opinione.

– Non dev'essere quella del priore; – ribattè il padre Restituto. – Guardatelo lì, che si muove per uscire dall'atrio. Vedrete che va incontro al padrino… per fargli un pochettino la corte. —

Il priore non fece nulla di ciò che prevedeva il padre Restituto. Era uscito dall'atrio, come per far posto agli altri cinque o sei frati che venivano dietro a lui. Forse allora, guardando verso il bosco, vide il padrino Adelindo e pensò di evitarne l'incontro, poichè, scambio di andar oltre, voltò a sinistra, lungo il muro della chiesa, donde si riesciva ad un bastione, che piombava sulla sponda del torrente, di cui si udiva il gorgoglio nello stretto fondo della valle. Giunto colà, si sedette sul parapetto, volgendo le spalle al convento, come uomo che volesse star solo coi suoi pensieri, senza occuparsi di ciò che facessero o dicessero i compagni.

– Non mi pare che voglia darvi ragione; – mormorò il padre Tranquillo all'orecchio del padre Restituto.

– Diplomazia! diplomazia! – rispose il padre Restituto, crollando la testa, in atto di uomo che la sa lunga. – Queste arti son note. Del resto, se non è andato il priore incontro al padrino, il padrino può ancora andarci lui, incontro al priore. —

Neanche qui il fatto diede ragione al padre Restituto. Il padrino Adelindo se ne veniva verso l'atrio, col suo visetto d'angelo, con un grazioso incarnatino sulle guance, indizio di una camminata frettolosa all'aperto, e col sorriso sulle labbra, testimonianza del suo adorabile candore.

Giunto sotto l'atrio, senza avere neanche rivolta un'occhiata dalla parte del bastione, salutò con un leggiadro cenno del capo e il padre Restituto e il padre Tranquillo, e andò a fermarsi davanti al padre Agapito, che stava alquanto più indietro.

– Fratello, – gli disse, – vorreste farmi un favore?

– Due, se posso, – rispose il padre Agapito, facendo a suo malgrado un inchino.

– Amerei sapere dov'è andato mio zio. L'ho cercato per tutto il bosco, senza trovarlo.

– Sarà nella sua cella, m'immagino.

– No, non c'era, e appunto per ciò sono andato a cercarlo fuori.

– Avete guardato in biblioteca?

– Ah sì, davvero, – gridò il serafino, ridendo, – l'unico luogo dove non sono andato! Ma egli è così poco amante della lettura, che in verità non mi passò neanche per la mente di cercarlo là dentro. E così, – soggiunse, per tirar bellamente il padre Agapito ad accompagnarsi con lui, – avete fatta la vostra radunanza?

– Sì; – disse il padre Agapito.

Il serafino trasse un sospiro tanto fatto.

– Che peccato esser novizio! – esclamò. – Mi sarebbe tanto piaciuto di entrare in capitolo!

– Non ci sarebbe mancato altro; – pensò padre Agapito.

– E dite; – ripigliò il serafino, col suo solito candore; – non per desiderio di sapere i vostri segreti, ma per amore dell'ordine, siete venuti ad una risoluzione?

– Sì e no; – rispose il padre Agapito, che era sulle spine. – Si è discusso intorno al giornale.

– Ah, il cuore me lo diceva! – gridò il serafino. – Dunque è minacciato, quel povero giornale? I miei disegni saranno inutili?

– No, non temete, il giornale si farà; soltanto… ve lo dico in confidenza… —

Il candido monachino si mise una mano sul petto e diede al padre Agapito un'occhiata, che gli passò il cuore senz'altro.

– Soltanto, – proseguì il padre Agapito, – si vuol dargli un po' di garbo, un po' di gusto letterario, farlo più ameno, mettendoci che so io, dei romanzi, dei versi…

– Ah sì, bene, dei versi! – gridò il serafino, battendo le palme. – Li amo tanto! Siete poeta, voi, padre Agapito? La vostra aria pensosa mi dice di sì.

– Eh, una volta… nei tempi andati… – balbettò il padre Agapito. – Siete troppo buono.

– Almeno ne rammenterete qualcheduno. Me li reciterete, non è vero? —

Il padre Agapito non rispose più nulla, confuso com'era. Ma chinò la fronte, in atto di assentimento.

Quel giorno, trovandosi solo nella sua cella, il padre Agapito si guardò nello specchio.

– È vero; – diss'egli tra sè; – ci ho l'aria pensosa. È osservatore, il padrino! —