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L'undecimo comandamento: Romanzo

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XVII

Il pranzo durò troppo per due persone, le quali avevano tante cose da dirsi. Cioè, mi spiego, l'una aveva da dirle e l'altra da sentirle; ma voi vorrete concedermi che quest'altra non si sarebbe contentata di stare a sentire e avrebbe detto anche del suo. Ora il padre Anacleto era tanto curioso di sapere che cosa gli avrebbe risposto il padrino, vedendosi scoperto, come il padrino era curioso di sapere che cosa gli avrebbe detto il priore, e con che tono, e con quali propositi.

Come Dio volle, si levarono tutti da tavola, e il padrino, uscito dei primi dal refettorio, andò a chiudersi nella sua cella. Voleva egli cansare i soliti accompagnatori, o più specialmente lo zio? Quest'ultimo, anche a volerlo per forza come terzo nella conversazione, non si sarebbe potuto ottenerlo. Aveva lavorato troppo e sentiva il bisogno di riposare un pochino; perciò era andato a finire in libreria, su quella tale poltrona, e il sonno aveva stese le ali sul suo capo innocente. Il padre Agapito, il padre Restituto, ed altri suoi cortigiani, che si erano accompagnati subito a lui, sperando di veder tornare il biondo nepote, dovettero assistere all'assopimento dello zio. Quando ritornarono all'aperto, videro il priore che si allontanava dall'altra parte del chiostro, col serafino a fianco. Il priore aveva incominciato un discorso di qualche importanza, e si fermava ad ogni tratto, come un uomo che vuol calcare sulle parole; il serafino andava o restava, secondo i movimenti del suo interlocutore, e dava segno di molta attenzione, chinando spesso la testa, in atto di assentimento. C'erano insomma tutti i caratteri d'un dialogo, che non voleva essere interrotto da compagni importuni.

– Amici, – disse il padre Restituto a tutti gli altri che erano rimasti come lui con un pugno di mosche, – non vorrei che il priore degnissimo, dopo che ha riconosciuta la donna, ne prendesse una cotta.

– Eh via! – esclamò il padre Marcellino, che passava di là per andare alla sua cella, e si era fermato, vedendo quel crocchio d'osservatori. – Vorreste voi che proprio il fondatore dell'ordine venisse meno alla sua stessa dottrina?

– Oh, non sarebbe il primo; – osservò il padre Ilarione. – C'è pure stato il Creatore, che si pentì d'aver fatto l'uomo.

– In verità, – soggiunse il padre Costanzo, – sarebbe grazioso che l'esempio della prevaricazione ci venisse da lui!

– Dal Creatore? – domandò argutamente il padre Marcellino.

– No, dico dal padre Anacleto, dall'inventore della seconda vocazione.

– Che, forse lo gradireste, l'esempio? —

La bottata era di quelle da levare il pelo; ma il padre Costanzo finse di non intendere.

– L'esempio! l'esempio! – borbottò egli. – È sempre una brutta cosa, l'esempio.

– Quando è brutto, sicuro. Ma chi vi dice, o signori, che il padre Anacleto voglia dare un brutto esempio alla comunità di San Bruno? È il priore che discorre con uno dei suoi frati, ed io non ci vedo altro.

– Dopo quello che si sa? – chiese il padre Restituto. – Dopo quello che ci ha detto egli stesso, prima di andare in refettorio?

– Eh, potrebbe darsi appunto che parlasse al biondo novizio di quella tal rivelazione che gli è stata fatta quest'oggi.

– Il fratello Marcellino ha ragione; – entrò a dire il padre Agapito, che era stato silenzioso fino allora. – Scommetto che il priore ne fa una delle sue.

– Che cosa? – gridarono ad una voce il padre Restituto, il padre Costanzo e il padre Ilarione.

– Sta persuadendo il padrino Adelindo ad andarsene via del convento.

– Oh, questo, poi!

– Vedrete che è così per l'appunto. Il nostro priore è lo spirito dell'opposizione. Quando glielo dicevamo noi, non voleva crederlo, non voleva far nulla. E adesso che noi ci siamo acquetati… Perchè noi ci siamo acquetati; – soggiunse il padre Agapito. – Voi stesso, fratello Restituto, glielo avete detto chiaro e tondo: ammettiamo anche il ridicolo. Il padrino Adelindo è un buon ragazzo; non dà molestia a nessuno; domanda soltanto di poter vivere con noi, in questa pacifica comunità. Anche lui, forse, avrà i suoi piccoli dispiaceri; vorrà anche lui dimenticare le noie del mondo; perchè vorremmo impedirglielo?

– Sicuramente! – gridò il padre Ilarione, sostenuto dall'approvazione dei colleghi. – Perchè vorremmo impedirglielo? Non sarebbe carità la nostra.

– E il priore avrebbe doppiamente torto a mandarlo via, senza consultare i suoi compagni; – aggiunse il padre Restituto. – Siamo tutti eguali qua dentro, e il suo priorato non è che una carica…

– D'ordine meramente amministrativo; – gridò il padre Costanzo. – Egli non può mettere la sua volontà, il suo capriccio, in luogo e vece della volontà di tutti.

– Si è sempre fatto ogni cosa d'accordo, non lo nego; – osservò il padre Marcellino. – Ma qui, forse, il caso è diverso. Le opinioni espresse l'altro giorno in capitolo potrebbero averlo persuaso a prendere una risoluzione da sè.

– No, niente risoluzione. Ogni cosa ha da farsi in capitolo.

– Bene, chiedetegli di convocare il capitolo, e fate la vostra domanda: vogliamo il padrino Adelindo; o Adelindo, o morte! – disse il padre Marcellino, ridendo.

– Andiamo, voi la mandate in burletta; – osservò il padre Costanzo, facendo il viso brusco.

– Noi non si dice che resti il padrino ad ogni costo; – aggiunse il padre Restituto. – Si dice soltanto, e si sosterrà, che ci vogliono certi riguardi.

– È questo, sì, è proprio questo! – gridarono ad una voce il padre Costanzo e il padre Ilarione.

Ma il padre Agapito, che quel giorno era il meno parolaio di tutti, diede sulla voce ai colleghi.

– Noi chiacchieriamo, – diss'egli, – e il priore decide.

– O che vorreste fare? – domandò il padre Marcellino.

– Andar laggiù, a disturbare il colloquio.

– Bravo! E non pensate ch'egli potrà dirvi…

– Che cosa potrà dirci? Sentiamo.

– Quello che gli direste voi, se foste ne' suoi panni, ed egli nei vostri. – "Padre Agapito, di grazia, un po' di pazienza; fra mezz'ora siamo da voi."

– È vero; – notò il padre Agapito, arrendendosi all'evidenza dell'argomento; – non si potrebbe mandar via un uomo più cortesemente di così. Ma vediamo se non c'è di meglio. Mi viene un'idea.

– Quale? – gridarono tutti.

– Mandare laggiù un tale a cui non si possa dire: "scusate, fra mezz'ora siamo da voi." Il padre Prospero, per esempio! Lo destiamo, lo armiamo in guerra e lo avventiamo come un brulotto nei fianchi del nemico. —

L'idea piacque, anzi fece furore tra gli astanti. S'intende che il padre Marcellino va messo in disparte; anzi, vi aggiungo che se ne andò pei fatti suoi, dopo aver salutata quella mattìa dei colleghi con un benevolo sorriso.

I tre congiurati rientrarono in chiesa. Il padre Prospero, fortunato lui, russava beatamente nella sua fida poltrona. Ed essi a fargli intorno un chiasso indiavolato, saltando, gridando, sventolandogli i fazzoletti sul viso. Ma il padre Prospero resisteva virilmente all'assalto. Lo presero allora per le mani, che teneva incrociate sul ventre, e gli gridarono all'orecchio un visibilio di sciocchezze.

– Fratello Prospero, svegliatevi; brucia il convento.

– Chi dorme non piglia pesci.

– Chi veglia alla luna e dorme al sole, non acquista roba, nè onore. – Il padre Prospero finalmente si scosse.

– Amici, – disse egli, aprendo gli occhi e richiudendoli subito, —ego dormio, sed cor meum vigilat.

– Ah sì, un bel vegliare che fa!

– Sicuro, fa il chilo; – rispose padre Prospero, tentando di rimettersi a dormire.

– Come? che avete detto? In voi, l'incaricato di questa delicatissima operazione sarebbe il cuore? O che fa intanto lo stomaco?

– Non ne so nulla, io; si tratta di affari interni, nei quali io non entro. Ci pensi chi deve. E voi lasciatemi dormire in pace.

– Bravo! Mentre la vostra bella nepote sta ascoltando la sua sentenza! – Quelle parole ebbero la virtù di farlo saltare sulla poltrona.

– Che sentenza? – gridò. – Che sapete voi della mia nepote?

– Sappiamo, fratello Prospero, – disse il padre Restituto, – sappiamo quello che ci ha detto il priore, dopo il suo colloquio col sottoprefetto di Castelnuovo. Non vi confondete per così poco, e veniamo all'essenziale. Ora il priore è andato in giardino, col padrino Adelindo… Mi capite? La visita del sottoprefetto e le sue rivelazioni stanno per avere un effetto.

– Ah! – disse il padre Prospero, come un uomo che avesse capito, od anche come un uomo che sbadigliasse.

E ricadde sulla poltrona, assai più disposto a riprender sonno, che a proseguire la conversazione.

– Come? – gridò il padre Restituto. – Non vi commovete?

– E perchè dovrei commuovermi, per un discorso del priore al… mio nepote? Il priore è una degnissima persona, che non vorrà mica dirgli una impertinenza.

– Sì, ma se egli frattanto gli dicesse pulitamente di andar via?

– Me ne andrei; il… mio nepote se ne andrebbe; noi due ce n'andremmo.

– Con questa flemma?

– Eh, proprio con questa. O che volete? Che si resti in paradiso a dispetto dei santi?

– Ma qui non ci siete, a dispetto di nessuno; – replicò il padre Restituto. – Qui tutti vi amano.

– Siete il più prezioso tra gli amici; – soggiunse il padre Costanzo.

– Un vero fratello per tutti noi; – ribadì il padre Ilarione.

– Il più simpatico tra gli uomini; – rincalzò il padre Agapito.

– Grazie, grazie! – esclamò il padre Prospero ridendo. – Dite anche il più amabile tra gli zii. Che vi pare? – soggiunse, mostrando di accettare allegramente la sua condizione e di non voler sembrare troppo ridicolo. – Uno zio come me non si trova mica tutti i giorni. Forse un po' debole, che si è lasciato menare per il naso, e come zio, e come tutore. Ma che farci? Avrei voluto veder voi nei miei panni. L'ho tenuta a battesimo, quella cara fanciulla. Piccina così, mi capite? Non c'era che quella, in casa, e per lei non c'ero che io. Figuratevi che, quando vedeva me, non volesse stare neanche più con la balia, e vi farete un'idea del bene che ho dovuto volergli. Cara figliuola! E che testolina, buon Dio, che testolina! Perchè, signori miei, non è solamente la sua bellezza che fa senso…

 

– È un angelo! – mormorò il padre Agapito.

– … Ma anche la sua dottrina; – proseguì il padre Prospero.

– Oh, per questo, è un san Tommaso redivivo; – interruppe il padre Costanzo.

– Di che san Tommaso parlate? – chiese il padre Restituto.

– Di quello d'Aquino, per bacco!

– Ah! credevo di quello del dito. Infatti, la sua venuta quassù, che agli sciocchi potrebbe parere audacia, a me sembra amore di verità, sete di cognizioni…

– Oh, dite benissimo, sete di cognizioni: – ripigliò il padre Prospero. – Figuratevi che un giorno voleva andare al polo Artico. Se la sarebbe cavata, la sete, in quelle latitudini! E poi, voleva andare all'Equatore, per dissetarsi alle sorgenti del Nilo. Ed io che dovevo seguirla! Sarei guarito della polisarcia; non vi pare? Fortunatamente per le mie povere gambe, la malinconia gli è girata verso il convento dei matti… Oh, scusate! Ripeto quel che si dice comunemente a Castelnuovo. Sebbene, tutto sommato… via! siamo giusti… un fil di pazzia ce lo avete. Dev'essere l'aria di San Bruno. Tanto è vero, che questo filo mi sembra di avercelo anch'io. —

Una schietta risata accolse l'ingenua confessione del padre Prospero.

– Dunque, dicevamo, – proseguì lo zio del padrino Adelindo, – eccoci qui tutt'e due. Voi non m'avete in conto di così sciocco, che non dovessi vedere il pericolo della nostra venuta.

– Un pericolo! – gridò il padre Restituto. – E quale?

– Ma sì, il pericolo di passare agli occhi del mondo per teste leggiere. Oramai, il male è fatto, e il giudizio è stato dato, poichè a Castelnuovo si chiacchiera alle nostre spese. Ma io me ne impipo, scusate il vocabolo. E se la mia signora nepote vorrà darmi retta, non ritorneremo a Castelnuovo.

– Ah, bravo! – gridarono tutti in coro.

– Grazie! – rispose il padre Prospero, inchinandosi. – Non ritorneremo laggiù; ce ne andremo a Torino, a Milano, a Venezia, a Vienna, a Parigi… tutti paesi che hanno una eccellente cucina. Io sono eclettico, in materia di cucina. Mi basta che sia eccellente. —

L'allegria dei tre ascoltatori era prontamente svanita.

– Andarvene! Piantarci qui! – esclamò il padre Restituto. – Ma è possibile, fratello Prospero, che vi prenda una simile malinconia? E perchè, poi? Perchè al sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia è venuto in mente di portare quassù i pettegolezzi del suo capoluogo! Ma io per l'appunto vorrei star qui, in barba a tutti i sottoprefetti e a tutti i capiluoghi del mondo. Il priore parlerà come il sottoprefetto? Si sa; – notò ironicamente l'oratore; – le autorità si sostengono sempre tra loro. Ma noi, se occorre, abbatteremo le autorità.

– No, non vi scomodate; – rispose tranquillamente il padre Prospero. – Vorreste fare di me un pomo di discordia. A qual pro?

Tanto, per essere offerto a Venere, sarei troppo peso. —

L'arguzia non fu molto gustata dal padre Restituto, che, secondo le parole del padre Prospero, avrebbe dovuto far le veci di Paride.

– Ho capito; – diss'egli, crollando malinconicamente la testa. – Siete voi, proprio voi, che volete lasciarci, ed ogni pretesto vi accomoda.

– Scusate, caro amico; – rispose il padre Prospero, che quel giorno prendeva ardimento dalle scoperte de' suoi interlocutori; – io non voglio nascondervi nulla. L'idea di partire non è mia; voi stessi vedete che tutta questa crise è venuta dalla visita del sottoprefetto. Ma è certo che questa crise mi fa comodo; oh sì, mi fa comodo. Ancora l'altro dì, io lo dicevo alla mia nepote: che pesci si pigliano? Non ti basta questo mesetto di noviziato? vuoi proprio aspettar la tonsura?

– Confessione preziosa! – gridò il padre Costanzo. – Eravate proprio voi, il tentatore.

– Ma almeno non vorrete lasciarci qui su due piedi; – entrò a dire il padre Ilarione. – Siate umano, fratello Prospero!

– Stiamo a vedere che sarò un barbaro, se vorrò togliermi da questa condizione curiosa!

– Curiosa fin che volete. Ma sono veramente i punti curiosi che piacciono nella vita, come piacciono in teatro.

– Dite bene, in teatro. Ci siamo, in teatro. E ci siamo venuti in maschera. Vedete, padre Ilarione? Io non ho mai respirato così bene come ora, che la maschera ci è caduta dal viso e che non c'è più bisogno di cambiar tono di voce.

– Avete fatto una mascherata graziosissima; – osservò il padre Restituto. – Dovreste continuarla per qualche settimana ancora. Via, mettiamo per qualche giorno, se le settimane vi spiacciono. Del resto, non eravate voi soli, in maschera. E noi, che cosa siamo, se non laici in maschera di frati?

– Che gusto ci abbiate, non so; – disse il padre Prospero; – ma credo, col proverbio, che ogni bel giuoco debba durar poco.

– Baie! – ribattè il padre Agapito. – Lasciate che duri quanto può.

D'altra parte, il termine non vi risguarda. Voi dovete obbedire.

– E a chi se è lecito?

– Alla vostra nepote, che vorrà rimanere.

– Rimanere! Che ne sapete voi, padre Agapito?

– Eh, mi riferisco alle sue stesse parole. Ancora questa mattina, al romitorio delle Querci, voi presente in carne ed ossa, se non per avventura in ispirito, ella diceva: sono tanto felice di trovarmi qui! La pace è una gran cosa, e non capisco come tanta gente a questo mondo si faccia in quattro per avere la guerra, come non capisco che si vada in capo al mondo per ammirare un effetto di sole, o di luna, che si ha sotto la mano, in casa propria. —

Il padre Prospero fece un sorrisetto, da cui traspariva tutto il suo amor proprio di zio.

– Cara fanciulla! – diss'egli, come parlando a sè stesso. – E non me le voleva mica far buone, a me, queste ragioni, quando le era saltato il ticchio di andare al polo Artico, o all'Equatore!

– Ella è contenta di star qui; – incalzò il padre Agapito. – E proprio ora, voi vorreste condurla via, perchè le riprendesse il capriccio dell'Equatore?

– State zitto! Non ci mancherebbe altro. Ma come volete che restiamo, se il priore ci scaccia?

– A questo ci penseremo noi. Egli, in una memorabile seduta del nostro capitolo, voleva tenere il padrino. Perchè oggi muta d'avviso? Gliene faremo questione.

– Ma… – ribattè il padre Prospero, che, tant'è, non se la sentiva di morire a San Bruno, – se le mie informazioni sono esatte, eravate voi che non volevate il padrino in convento. Perchè oggi mutate d'avviso? Io ve ne faccio questione.

– Fratello Prospero, volete saperlo? Volete proprio saperlo? – disse allora il padre Agapito.

– Sì, perbacco; quantunque mi sembri d'averlo già indovinato, il vostro segreto, ho una gran voglia di vedere come farete a spifferarmelo in tre.

– V'ingannate, se credete che ciò sia difficile. È un segreto che ve lo potremmo dire anche in sedici, quanti siamo a San Bruno. Infatti, – soggiunse il padre Agapito, col sorriso dello schermitore che è giunto in tempo ad una parata difficile, – non si tratta del nostro segreto, ma di quello del padre Anacleto. Il nostro degno priore non voleva saperne di congedare il padrino, fino a tanto si sentiva il cuore tranquillo. E non lo avrebbe voluto neanche adesso, se non gli fosse venuto il sospetto che qualcheduno mirava a vogargli sul remo. Ora, fratello Prospero, badate bene a ciò che ho l'onore di dirvi. Tutto dipende da questo colloquio che voi non volete andare ad interrompere. Se il priore si accorge di poter essere il preferito (la qual cosa è possibilissima, poichè con le donne non c'è da fidarsi mai), egli non dirà nulla, nel senso desiderato dal sottoprefetto di Castelnuovo. E voi, fratello Prospero, voi rimarrete qui, se non fino alla consumazione dei secoli, almeno almeno fino a quella dei capricci gentili della vostra bella nepote.

– Ah, per… esempio, questa passerebbe ogni misura; – gridò il padre Prospero, niente rallegrato da quella prospettiva. – Capisco anch'io che sarà meglio andare un pochettino laggiù. —

E balzato in piedi, uscì con passo risoluto dalla biblioteca.

– Ce n'è voluto, per farlo muovere! – esclamò il padre Agapito.

– Lo spediente m'è parso arrischiato; – osservò il padre Restituto. – Si potrebbe anche ritorcere contro di noi.

– Ho bruciate le navi; – disse il padre Agapito, stendendo le palme e allungando il collo in atto di rassegnazione. – Tanto, badate a me, il padrino Adelindo non rimane più a San Bruno. Il priore non lo metterà alla porta; può darsi. Ma gli offrirà il braccio per condurlo fuori.

– È un vostro sospetto? – domandò il padre Restituto.

– Sì, per ciò che risguarda il priore. Ma ho qualche ragione per credere che il padrino si lascerà fare la corte. E voi sapete che quando una donna è disposta a lasciarsi fare la corte da un uomo, quell'uomo, se non è uno sciocco, se ne avvede; e quando quell'uomo se ne avvede… Ma che cos'è? Ritorna il padre Prospero? —

Infatti, il padre Prospero ricompariva sull'uscio della biblioteca. Era andato con molta buona volontà verso il giardino. Restare a San Bruno gli piaceva poco. La cucina, veramente, si era migliorata, non senza merito del priore, che aveva interpretati i gusti gastronomici del suo preziosissimo ospite. Ma la bontà della cucina era troppo poco, messa a riscontro con la mancanza d'ogni svago. Il padre Prospero era un uomo amante del quieto vivere, non già della solitudine, fatta solamente per le anime che sanno bastare a sè medesime. E quel pericolo, poi!.. Ma in fondo in fondo, era davvero un pericolo? Neanche il sottoprefetto di Castelnuovo, col suo Francavilla in pectore, aveva potuto dir male del padre Anacleto. Non era ricchissimo, da stare a petto con la sua nepote; ma a questo ci avrebbe dovuto pensar lei. Infine, se si volevano bene… Se si volevano bene e se lo confessavano, era da credere che il priorato del padre Anacleto fosse per finire, e la vita claustrale con esso.

Questa luminosa conclusione fece sì che il padre Prospero, scambio di tirare innanzi verso il giardino, dèsse una pronta voltata e ritornasse in biblioteca.

– Come? Che vuol dir ciò? Perchè non siete andato? – chiesero, l'uno dopo l'altro, i suoi compagni importuni.

– Signori, ho pensato meglio. Quel che farà il priore sarà ben fatto; e quel che piacerà alla mia nepote piacerà anche a me. Ho detto, e me ne vado a dormire. Almeno… se potrò riprender sonno, dopo le vostre interruzioni. —

E il padre Prospero fece proprio così come aveva detto. Andò a sdraiarsi nella sua poltrona, e non volle più sentir altro.