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L'undecimo comandamento: Romanzo

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XIV

A che pensava frattanto il padre Anacleto, priore dei conventuali di San Bruno? Gli balenava alla mente il doloroso pensiero di avere fatti male i suoi conti, di avere tirato avanti, di operazione in operazione, un faticoso problema, non tenendo a calcolo un elemento essenziale, la cui presenza, inavvertita da prima, gli mandava a rotoli tutto il suo edifizio di numeri.

Ma perchè, poi, s'aveva a parlare di conti sbagliati? E non si dava forse troppa importanza ad un elemento, fastidioso sì, più fastidioso delle mosche in estate, ma non certamente essenziale nella vita? Un fiore non fa primavera; e una quistioncella tra frati non doveva credersi il finimondo. Di certo, quello screzio si sarebbe composto; non era possibile, non era credibile, che quattordici persone ragionevoli perdessero la tramontana per una donna entrata in convento.

Che sotto le spoglie del nepote di Prospero Gentili si nascondesse una donna, il padre Anacleto lo aveva sospettato fino dal primo giorno; poi ne aveva acquistata la certezza, ma senza curarsi più che tanto del fatto e delle conseguenze che potesse portare in famiglia. Con tutto il suo ingegno, il padre Anacleto era un grande innocente.

E non vi faccia meraviglia. La penetrazione dell'uomo non è il più delle volte che effetto di cattiveria naturale. Non s'indovina il peggio; accade di pensarlo, con la certezza, o con la speranza, di apporsi al vero. Così è l'uomo; pensa il male per abitudine, lo cerca per desiderio. C'è della gente che va a caccia di scorpioni, per farne quell'olio balsamico che sapete; e c'è della gente che va frucando qua e là, in busca di cattive interpretazioni, che debbono far onore alla sua perspicacia. Guardate che talentone! Come vedeva giusto! Prima ancora di osservare il baccello, ha gridato: c'è il tonchio.

Il padre Anacleto non era fatto così; anzi, per dirvela in tutta confidenza, era sempre stato un buon ragazzo. La vita ad un certo punto lo aveva seccato, ed egli si era tratto un poco da banda senza molta ira, o, per dire più esattamente, con un'ira generosa, assai presto sbollita. Per odiare gli mancava il tempo, e dedicava ai suoi nemici una profonda noncuranza; tanto profonda, che pareva qualcos'altro e lasciava credere che egli affogasse in una medesima broda l'umanità tutta quanta. Ma questo era tutt'altro che vero. Il padre Anacleto non disprezzava l'umanità; soltanto amava lasciarla tranquilla, non la molestava co' suoi cerotti filosofici e gradiva in ricambio di non esserne molestato.

– Mi sono annoiato del mondo; – soleva dire il priore, quando gli chiedevano il perchè della sua ritirata al deserto; – non ci avevo da far nulla di utile; ho fatte le valigie ed eccomi qua. Ancora giovane, voi dite. O che? avrei dovuto aspettare ad aprir gli occhi da vecchio? E non sarebbe meglio che l'esperienza venisse all'uomo dieci o vent'anni prima del termine usuale? —

L'idea di cercare la solitudine gli era venuta di schianto; ma le ragioni psicologiche erano assai più lontane. In tutti, del resto, è una propensione antica verso la società ristretta, e sono in ciò degni di nota i fanciulli che fanno con sedie e sgabelli un piccolo serraglio nell'angolo di una camera, come a dire una casa nella casa, per andarcisi a chiudere, quando la pioggia batte sui vetri. Neanche a star nella camera, al largo, si sarebbero bagnati; ma no, bisognava guarentirsi meglio, tapparsi in un cantuccio, e in una casa fatta con le proprie mani. Ogni uomo ha l'istinto di star chiuso. E chi vive in piazza, come chi pensa ad alta voce, o presto o tardi si pente.

Il futuro padre Anacleto aveva dunque veduto un grande vantaggio nella casa fatta da sè, nella famiglia artificiale, di cui gli aveva dato un esempio la milizia, e di cui ne vedeva un altro nelle fraterie. Di quella e di queste aveva fatto un miscuglio, come i cavalieri di Rodi, e lo aveva trovato gustoso. E in quella stessa guisa che un giorno, nel grande sfacelo del mondo romano, alcune anime accorte si erano ridotte a salvezza nella vita monastica, così pareva al futuro padre Anacleto che potessero raccogliersi in pace, lontani dal mondo pazzo, i naufraghi della vita moderna, o per espiarvi la loro parte di follie, o per non commetterne altre. Il monachismo si aboliva, come istituto sociale; ma era proprio il caso d'inventarlo da capo, come istituto personale. Vivere in disparte, astenersi dallo assassinare il prossimo, come molti usano, sotto pretesto di fargli del bene, studiare, nutrire la mente di cose belle, poteva essere ancora un savio consiglio, e non tanto egoistico come a prima giunta sembrava. A buon conto, meglio amare sè stessi che non amare nessuno, vi pare? È meglio una vita contemplativa, che giri al dolce far niente, che una vita operativa, la quale vi conduca al far male. Del resto, che obblighi si hanno con la società? Il futuro padre Anacleto ci aveva studiato su, e non era giunto a persuadersi che ce ne fossero di positivi. Perciò considerava la società come una corrente che attrae e costringe ad andare con lei quanti si trovano nella sua via; ma non costringe e non attrae chi è riuscito a cavarsene fuori.

Sopprimere le attrazioni, le lusinghe sociali; questo era il punto. A lui parve che la cosa potesse ottenersi a quel periodo della vita in cui le due lusinghe più forti ci hanno fatto soffrire di più. Naufraghi dell'ambizione e naufraghi dell'amore, gli uomini intelligenti potevano riconoscersi a vicenda, vivere insieme, guarire insieme, trovare in terra quella pace che le anime afflitte sperano in cielo.

La prima società era nata quasi ad un tempo con l'idea, tra pochi amici, che usavano da gran pezza ricambiarsi i loro pensieri. Ma presto la voce era corsa, ed altri compagni si erano offerti. Il concetto era buono; la regola nuova, a cui il caso aveva dato il nome di San Bruno, attecchiva; e il padre Anacleto, non più futuro, ma presente, ed eletto a voti unanimi priore, mirava già a nuovi trionfi dell'ordine.

E qui, non era forse la natura che operava dentro di lui? La natura, questa virtù misteriosa che si lascia qualche volta strappare un segreto, qualche altra imporre una legge, ma che a lungo andare governa sempre lei e manda in aria tutti gli artifizi degli uomini?

La voglia d'ingrandire l'ordine nuovo di San Bruno poteva giustificarsi col numero dei frati, che erano già troppi nel convento; ma non c'entrava anche un pochettino di quello spirito di propaganda, che è la vanità o l'ambizione di tutti gli uomini e di tutte le sètte? E il padre Anacleto, prendendo il suo mandato sul serio, innamorandosi dell'opera sua fino al punto di fondare una dottrina e una regola di vita su ciò che poteva intendersi ancora e permettersi come capriccio personale, non lavorava forse a ricomperarsi una parte di quelle noie, per cui gli era venuto in uggia il mondo, da cui era fuggito con tanta sollecitudine?

Per intanto, ne aveva già avuto un saggio dalla radunanza del capitolo. Che matti, i suoi frati! Anch'essi avevano preso il loro stato sul serio. Ma allora, perchè non aggradire un pizzico di tentazione? Perchè non cogliere con giubilo l'occasione di un trionfo, che li avrebbe mostrati davvero uomini superiori? Così pensava, e giustamente, il buon padre Anacleto. E poi, gli sfuggivano delle frasi come queste: – Tanto chiasso per una ragazza! Se tutti la vedessero con gli occhi miei! —

A proposito, con che occhi la vedeva lui? Non vorrei che il sor priore degnissimo si vantasse un pochino. Vediamo dunque, scrutiamo corda et renes. Il serafino biondo gli piaceva; non c'è che dire, gli piaceva, ed egli non se lo dissimulava neanche: segno che il suo peccato era di quelli che si confessano liberamente a sè medesimi, perchè non si credono destinati a portar conseguenze. Il serafino gli piaceva, come piace un bel quadro, mettiamo la Trasfigurazione di Raffaello, o la Comunione di San Gerolamo del Domenichino. Si ammira, si rimane estatici a contemplare, magari ad adorare, ma il sentimento del bello è così puro in noi, che non si forma neanche il desiderio di possedere quel quadro; salvo nel caso che si sia principi della finanza, o rigattieri; due tipi che qualche volta si trovano fusi in una sola persona. Ma fate che per un caso straordinario quel quadro ammirabile vi appartenga; e lo stesso sentimento del bello, così profondo e così puro dentro di voi, farà sì che non vi saprete risolvere per nessun patto a cedere il quadro. Questa è dunque la passione intelligente e schietta dell'uomo per la bellezza, in ogni sua manifestazione. E certo, lo ammetto anch'io, sarà più difficile sentirla così schietta, quando la bellezza si incarni in una donna viva. Ma infine, dato un carattere nobile, e uno stadio iniziale (poichè l'amore stesso ha il suo primo gradino nell'ammirazione) anche una cosa tanto difficile potrà sembrarvi possibile. E non vi parrà più così strano il mio padre Anacleto.

Al quale, dopo tutto, quel serafino biondo appariva quasi un raggio di sole nel cielo grigio ed uniforme di San Bruno. Quel monachino roseo ci aveva anche del paggio; e al padre Anacleto sembrava che egli facesse in convento il medesimo contrapposto felice che un bel paggio elegante ed amoroso doveva fare in una di quelle corti medievali, sempre minacciose e sempre minacciate, che stringono il cuore al solo pensarci.

E poi, e poi, gli pareva da gentiluomo non avvedersi di nulla, non cercare nelle sue sensazioni più oltre di quello che esse lasciavano scorgere. C'era del poeta, nel padre Anacleto; e forse per questo aveva meritato di esser priore in un convento di matti.

Finita la radunanza del capitolo in quel modo che sapete, il nostro priore sperò che i suoi degni colleghi non sarebbero andati più avanti con le loro ingiuste antipatie, e con le loro sciocche paure. Il padrino si sarebbe annoiato di quella vita rinchiusa e avrebbe accomodato lui ogni cosa, abbandonando il convento? Sì e no. Del resto, l'idea di una fuga del serafino biondo non veniva molto chiara alla mente del priore. Non vengono mai chiare e spiccate alla mente che le cose vagheggiate un po' a lungo o più profondamente desiderate. Infatti, vedete, gli veniva chiarissima l'idea che i suoi compagni si sarebbero chetati. Che diamine! Mandar via un novizio che non faceva male a nessuno! Chi avrebbe avuto mai un così triste coraggio, poichè non voleva averlo lui? lui, più equanime, più freddo, e più tranquillo di tutti?

 

E frattanto, notava un fatto curioso. I suoi vecchi amici, padre Anselmo e padre Bonaventura, suoi partigiani dichiarati in capitolo e difensori del serafino, incominciavano a girargli nel manico; erano di giorno in giorno meno teneri pel loro protetto; quel latte e miele che scorreva dalle loro labbra quando parlavano di lui, incominciava a saper d'agro. Per contro, padrineggiavano, serafineggiavano gli oppositori. Padre Agapito e padre Restituto, in ispecie, erano diventati col serafino d'una cortesia, d'una dolcezza, che sarebbe stato impossibile desiderarne di più. A buon conto, il priore ne avrebbe desiderato di meno. Perchè? Forse perchè nella sua qualità di priore doveva amare le parti giuste per tutti; forse perchè nella sua qualità di osservatore, notava un cangiamento troppo rapido di sentimenti e di modi; forse perchè… Oh insomma, trovatelo un po' voi, il perchè.

Tra questi giuochi d'altalena, e osservazioni e malinconie psicologiche, capitò al priore la visita del sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia. E accompagnata da circostanze eroicomiche, che io vi racconterò senza farmi pregare. Il signor sottoprefetto era venuto a cavallo, con una coppia di carabinieri per iscorta. D'onore, o di sicurezza? Il fratello Giocondo, che non lo conosceva e che stava fermo alla consegna, non aveva voluto lasciarlo salire al convento, come egli mostrava desiderio di fare.

– O scusi; – gli aveva detto, con un tono agrodolce, come faceva quando incominciava a scappargli la pazienza. – Se viene a cercare il priore per arrestarlo, mi mostri il mandato di cattura e passi. Se viene per fargli visita, dica il suo nome ed aspetti, come fanno tutti gli altri. —

Il signor sottoprefetto l'aveva masticata male e aveva risposto: – aspetterò. —

Così dicendo, il nostro personaggio porgeva al converso la sua carta di visita, con un gesto che voleva dire: – A voi, ecco chi fate aspettare; andatelo a riferire al vostro principale, che vi darà una strapazzata coi fiocchi. —

Ma il converso non pose gli occhi sul cartoncino di Bristol, o non volle dare al visitatore burbanzoso la consolazione di farlo in sua presenza. Del resto, lo conosceva già, per averlo veduto alcuni giorni addietro, quando era stato al parlatorio chiedendo del padre Prospero e annunziandosi modestamente "il suo amico Tiraquelli". Tira quelli, o quelli altri, era tutt'uno pel fratello Giocondo, che uscì con la carta di visita in mano, per andare ad avvertire il priore.

Il signor cavaliere e sottoprefetto misurò una ventina di volte la lunghezza del parlatorio, che era di otto metri e qualche centimetro, e non domandava tante fatiche per essere accertata. Indi uscì sul piazzale a contemplare la valle e sentir mormorare il torrente; poi tornò in parlatorio a guardare il brutto muso di Mastino II della Scala; battè le labbra e crollò il capo più volte in segno d'impazienza; finalmente trasse una rifiatata, perchè si udiva un passo abbastanza frettoloso sul battuto del piazzale, certo indizio della venuta del priore.

Era infatti il padre Anacleto, e il sottoprefetto lo vide tosto apparire nel vano dell'uscio.

Il sottoprefetto aveva udito parlare più volte della gioventù e della bellezza del priore; ma aveva sempre data la tara alle chiacchiere della gente, pensando che si esagerano sempre le qualità degli uomini misteriosi, quando per l'appunto queste qualità paiono in contraddizione col genere di vita, a cui questi uomini si sono consacrati. Perciò, dovette stupirsi al vedere quell'uomo, più giovane e più bello di ciò che egli si degnava di credere, e punto ridicolo nella sua veste di frate. Il padre Anacleto portava la tonaca con quella medesima disinvoltura, con quella medesima coscienza di fare il comodo suo, che si riscontra negli artisti, pittori e scultori, quando vi compariscono dinanzi con certe zimarre, farsetti, e berrette di velluto, che paiono spiccati da un quadro del Cinquecento.

Il padre Anacleto, per dirvi tutto con una frase vecchia e francese, aveva una bella testa italiana. Perciò voi dovete immaginarvi subito i grandi occhi profondi, dalle pupille nere, circonfuse da una luce azzurrina, le ciglia lunghe, la pelle fine, i lineamenti grandiosi, saviamente accompagnati da una bella barba e da una bella capigliatura ondata e lucente. Il suo volto esprimeva l'onesta alterezza dell'uomo giovane e forte; gli occhi, la nobiltà del pensiero che sa elevarsi per virtù propria e non ama prender nessuno a compagno.

Tutte queste minuzie, che io vi descrivo, non istette ad osservarle partitamente il sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia; le colse come a dire in un fascio, e, senza pure volerlo, paragonò quel tipo di maschia bellezza con la faccia dilavata e sciocca del duca di Francavilla. Anche quello era un bel giovane (chi dice di no?); ma bisognava vederlo senza confronti.

Poco, anzi nulla contento del suo esame, il signor sottoprefetto si disponeva a rispondere con un inchino alle prime parole del padre Anacleto.

Il priore era entrato con la carta di visita tra le dita, e le aveva data un'ultima occhiata, prima di attaccare la frase:

– Signor… commendatore… —

Il vocabolo dava la giustificazione dell'occhiata. Sul pezzo di cartoncino Bristol, che il visitatore aveva consegnato al fratello Giocondo, c'era scritto per l'appunto così: "C. avv. Eudossio Tiraquelli, sottoprefetto di Castelnuovo Bedonia." Ma quel C, che diavolo significava? Cavaliere, o commendatore? Una persona bene educata non poteva mica fermarsi lì, a domandare: scusi, che grado ha lei nella gerarchia delle umane grandezze? E quella medesima persona, trovandosi ad un bivio di quella fatta, non poteva mica fidarsi di dire: "signor cavaliere"; doveva dire senz'altro: "signor commendatore", anche pensando che se l'interlocutore lo fosse stato davvero, non si sarebbe contentato di lasciarlo argomentare da una semplice iniziale.

Il signor sottoprefetto fece l'inchino che vi avevo annunziato; un inchino che pareva una tacita accettazione del titolo, o un atto di ringraziamento per l'augurio, pensato o involontario che fosse.

– Signor… commendatore… – diceva il padre Anacleto; – a che cosa posso attribuir l'onore di una sua visita?

– Al desiderio, al piacere di conoscerla. Non si meravigli, la prego; – rispose con grande volubilità di parole il sottoprefetto di Castelnuovo; – noi, poveri ufficiali preposti alla amministrazione delle provincie, dobbiamo conoscere il paese, per formarci un giusto concetto dei suoi bisogni; e dobbiamo per conseguenza conoscer tutti i nostri amministrati… anche quelli che non hanno bisogno di noi. —

Il priore fece un inchino e additò un seggiolone al suo ospite. Ma il sottoprefetto fece le viste di non essersi accorto di quell'invito.

– Sono in volta per visitare tutti i comunelli del circondario; – proseguì egli. – È la nostra Via crucis. Perciò spero non vorrà trovar nulla a ridire sull'accompagnamento di due carabinieri. L'autorità – soggiunse il sottoprefetto, atteggiando le labbra ad un sorriso, come faceva ogni qual volta stava per dire qualche cosa di profondo o di grazioso, – l'autorità è amicizia, quasi fratellanza, che è come a dire confidenza, per gli uomini di vaglia; ma pel volgo, che non la intende senza una certa solennità d'apparato, dev'essere ravvolta nella nube, accompagnata da lampi e tuoni, come il Dio degli eserciti. —

Il priore s'inchinò da capo, ma non aggiunse nulla del suo a quel saggio d'eloquenza sublime.

– Ella vedrà nella mia visita anche un pochino di curiosità; – riprese il sottoprefetto, lasciando i lampi e i tuoni in disparte e degnandosi di uscir dalla nube. – Non voglio negarlo; anzi le confesso sinceramente che avevo da gran tempo un desiderio vivissimo di conoscer Lei, persona tanto ed universalmente stimata, e di dare una sbirciatina al suo convento laico. —

Il priore, che l'aveva capito fin da principio, e che non voleva parere uno di quelli che bevono grosso, accettò la dichiarazione e ci appose il suo visto.

– Sarà sempre un onore per noi di appagare la sua curiosità. Del resto, non si potrebbe neanche rifiutarglielo, – soggiunse il priore, temperando con un sorriso l'asprezza del colpo, – come si è fatto con tutti i signori di Castelnuovo.

– Ah, se non ci hanno piacere… – balbettò il sottoprefetto; – se non amano le visite… non vorrei essere importuno.

– No, la prego, non si dia pensiero di ciò; – rispose il priore. – La sua curiosità, signor commendatore, non è offensiva per noi, dacchè il suo ufficio la rende quasi obbligatoria. Lei deve sapere ogni cosa; gli altri non hanno nessun diritto di metter gli occhi nelle nostre faccende. Frati, nel senso religioso, non siamo; non diciamo messa, non confessiamo, non distilliamo acqua di melissa, non fabbrichiamo cerotti. No, nessun rimedio, nè per le anime travagliate, nè pei corpi infermi. Attendiamo invece a medicare noi medesimi, nel silenzio e nella pace d'un chiostro; e ci pare che si faccia già molto. A che volerci vedere? Siamo fatti come tutti gli altri, e viviamo qui come essi vivrebbero in villa, godendo il fresco e facendo qualche cosa d'inutile, tanto per ammazzare il tempo. Ma basti dei signori di Castelnuovo. Mi permetta, signor commendatore; dò un ordine e sono da Lei. —

Il commendatore in votis fece un inchino, che voleva dire: s'accomodi. E il padre Anacleto, uscito dal parlatorio, andò a cercare il converso che aspettava i comandi.

– Fratel Giocondo, – gli disse sotto voce, – avvertite di questa visita i colleghi. Capisco che il sottoprefetto si fermerà a colazione. Chi vorrà venire in refettorio mi farà piacere; chi vorrà essere ammalato sarà servito in camera. —

Fratel Giocondo rispose col cenno del capo di chi ha inteso tutto e non ha bisogno d'altro; indi si mosse per andare al convento. Ma il padre Anacleto lo trattenne ancora.

– Prendetevi cura dei carabinieri, che non abbiano a mancar di nulla, nè essi, nè le loro cavalcature. I carabinieri sono ottima gente; trattateli bene. Ma mi raccomando, che non vi facciano cantare!

– Non c'è pericolo; – rispose il fratel Giocondo. – Lei sa, priore, che stono maledettamente.

– Bene; vi permetto di stonare… nel senso di non rispondere a tono; – ripigliò il padre Anacleto. – Non abbiamo niente da nascondere, è vero; ma non tutto ciò che si può dire va detto. —

Dopo questo breve colloquio, il priore tornò nel parlatorio.

– Eccomi a Lei, commendatore; – diss'egli. – Se vuol favorire… —