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Galatea

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–Non faccia caso;—risponde Pilade;-è il suo fare, e credo che non possa parlare altrimenti. Par sempre di sentire un rumor di tuono in lontananza, quando sembra che voglia far burrasca, e la burrasca non si decide. Quello è il signor conte Quarneri. Ma per carità, sor padrone, non mi tradisca; se no, il suo amico mi accarezza la schiena col bastone. Specie ora che gli ho insegnato a maneggiare quest'arma!

–Il conte Quarneri! il marito della contessa? Che cosa vuole egli da noi?

–Che ne so io? Dev'essere un altro che ha i nervi.

–È venuto altre volte?

–Sì, a cercare di Lei, e gli ha risposto il signor Filippo che Lei era ammalato, perciò volesse parlare con lui, che faceva lo stesso; tanto erano amici. Non gli è parso che fosse la medesima cosa, e se n'è andato borbottando. Oggi è tornato, ha borbottato dell'altro, e il signor Filippo lo ha condotto fuori facendo gli occhiacci. Se quell'altro ha delle idee, se le levi di testa, perchè non mi par uomo da stargli a petto, no davvero.—

Il conte Quarneri! Che cosa viene a borbottare da noi? che cosa voleva da me? E sopra tutto, perchè è capitato in Corsenna? Richiamo il servitore, che era già tornato alle sue faccende.

–Dimmi, Pilade; son venute signore al Giardinetto, dacchè ci siamo picchiati?

–Sì, sor padrone. La prima è stata la chioccia con tutta la sua covata; voglio dire la signora Berti, con le tre pollastrine e i due galletti. Poi le signore inglesi, come dicono, quantunque la mamma sia fiorentina, e la figliuola di non so dove, ma certamente italiana.

–Ah, c'era anche la figliuola? E com'era?… com'erano?… dolenti?

–Eh, si può figurare! dolentissime.—

Non ardisco domandare di più, intorno a questo argomento. Chi sa? forse sarà stata dolentissima…. per Filippo.

–Poi, ogni giorno,—continua Pilade,—hanno mandato a cercar notizie il ragazzo della villa, che viene in paese per la spesa. Naturalmente, io e l'Argia le abbiamo date sempre buonissime.

–E la contessa è venuta?

–Sì, due volte; la prima volta da sola, e pareva la statua dell'Addolorata; la seconda volta con quattro signori. A proposito, quei lì hanno lasciati i loro biglietti di visita. Vuole che vada a prenderli?

–Non occorre; Spazzòli, Dal Ciotto, Cerinelli, Martorana; li ho tutti in testa. Fa conto che io li abbia anche in tasca.—

Su queste notizie di Pilade incomincio ad almanaccare, ma senza riuscire a nulla che mi contenti. Perchè il marito della contessa in Corsenna? Perchè in casa mia? Che mi faccia l'onore di esser geloso di me? Ma in che modo gli è venuto il baco? Ah, se fosse com'io incomincio a sospettare…. No, no; è impossibile; una viltà come questa, non s'impresta neanche al peggior dei nemici. Frattanto passa un'ora, ne passano due, e Filippo non ritorna. Che diamine sarà avvenuto? L'impazienza mi prende, e scendo per uscire. Pilade vorrebbe almeno accompagnarmi. Ma è inutile; ecco Filippo che ritorna finalmente, franco, ardito, e, salvo il suo frinzello sulla guancia, fresco come una rosa.

–Bravo!—mi grida.—Fai la passeggiata di prova?

–Sì, come vedi, e volevo venirti incontro nel viale. Anzi, poichè ci sei, e Pilade dovrà andare ad apparecchiare la tavola, puoi vigilarmi un po' tu. Ed ora dimmi;—ripigliai, dopo che il servitore si fu allontanato,—che cosa vuole il conte Quarneri?

–Come sai? Pilade ti ha detto?…

–No, niente Pilade; l'ho veduto io, il conte; dalla finestra, quando usciva con te, brontolando.

–Come l'hai conosciuto, se viene per la prima volta in Corsenna?

–Oh, lo conosco benissimo; figurati…. che la contessa Adriana me lo ha fatto ammirare in effigie.—

È una bugia; ma m'è venuta bene, e Filippo si persuade.

–Poichè lo sai,—dice egli, stringendosi nelle spalle—eccoti il resto dell'avventura. Il signor conte è capitato in Corsenna, chiamato da una lettera cieca; la solita lettera cieca che vuol ridar la vista degli occhi a chi l'avesse perduta. È venuto a cercarti…. Perchè poi te, e non me, lo saprà chi ha scritto la lettera…. È venuto a cercarti tre giorni fa, e gli han detto che eri a letto ammalato; è ripassato ieri, e l'ho ricevuto io, dicendogli la medesima cosa; soggiungendogli per altro che poteva parlare con me, che ero un altro te stesso. Ho da parlare con lui; mi ha risposto. E allora aspetterà per un pezzo, gli ho ribattuto; l'amico mio è appena convalescente, e non può dare udienza a nessuno. Se n'è andato; credevo che si fosse persuaso; ma no; rieccolo quest'oggi, e quest'oggi si contenta di parlare con me, per guadagnar tempo, come s'è degnato di dirmi. E mi ha mostrata la lettera, in cui gli si dava l'avvertimento salutare, di guardar bene casa sua, di mettere al dovere certi cacciatori troppo invaghiti del Roccolo, eccetera, eccetera. Senta, gli ho detto, i cacciatori son parecchi; sono del bel numero anch'io. Il signor Morelli, contro cui Le hanno scritto, ci andava per insegnare certi versi, da recitare in un concerto di beneficenza; non c'era niente di male, e se non ci ho trovato niente di male io, che cosa vorrebbe trovarci Lei da ridire, Lei che non c'era?

–E lui? che ti ha risposto?

–Ah, se tu lo avessi veduto, che muso! Come? mi ha gridato, fermandosi sui due piedi. E chi è Lei, per darmi di queste lezioni? Sono, gli ho risposto, un gentiluomo che rende giustizia ai meriti della contessa, e Le confesserò candidamente di esser rimasto preso all'incanto delle sue grazie.—Lei scherza; ed io non son uomo da scherzi.—Nemmen io, sa? E non mi rompa la testa per una lettera cieca che ha ricevuta. Se avesse senno, prenderebbe per un orecchio, l'un dopo l'altro, tutti coloro che Le vengono per casa, e li metterebbe inesorabilmente fuori dell'uscio. Inoltre, poichè Le ha dato noia l'acqua tiepida, non dovrebbe aspettare la calda, e dovunque Le piacesse di andare a curar la salute, dovrebbe condurre la sua signora con sè. In coscienza, quando si ha nel giardino una vite moscadella come la sua, non si lasciano andare e venire comodamente le vespe.—Ella mi renderà conto della sua impertinenza.—Nossignore, nessun conto. Sappia che per ragion di donne non mi batto. Alle donne rispetto ed ossequio, non mai colpi di spada o di pistola per esse, col rischio certo di offendere la loro riputazione. Se queste cose non le capisce un marito, le capisco io, che morrò scapolo. Vuol leticare ad ogni costo con me? Mi passi accanto, mi pesti un piede, sperando che io ci abbia un callo….—Se lo facessi ora?—Ora o poi, vedrebbe…. Anzi no, sentirebbe che pedata; e da farla tornare in fretta a San Pellegrino. Son uomo da dargliela, sa? ed anche da stiacciarla con un pugno; non mi tenti, non mi stuzzichi, perchè son latino.—Ella abusa della forza fisica.—Ma sì, caro signore, e ringrazio il cielo di avermela data per levarmi di torno i noiosi. Del resto, non l'ho usata ancora con Lei, che chiama al soccorso prima del tempo. Ma badi, qualunque cosa Ella tenti di fare contro me o contro amici miei, La stronco, com'è vero Dio, La stronco con queste due mani. Le ha viste? Ora mi si levi da' piedi.

–Filippo! Filippo! Tu sei un eroe; ma ci hai pur troppo il difetto di tutti gli eroi.

–Quale?

–Di non veder che te stesso. E non hai pensato che c'ero io in ballo, e che non sono un vecchio, nè un fanciullo, nè altrimenti una povera creatura che debba esser protetta da nessun cavaliere errante. Ti ringrazio della generosa intenzione; ma non posso approfittare della tua cortesia. E poichè il conte Quarneri cercava me, avendola con me, andrò io a mettermi a sua disposizione.

–Caro, non ti ho detto tutto;—riprese Filippo.—Io posso avere esagerato; è il mio costume, in un cert'ordine di cose. Ma comunque sia, il mio bravo conte è diventato un agnellino; s'è intenerito; ha preso a ragionare più pacatamente; si è persuaso della tua e perfino della mia innocenza; ha capito donde venisse il colpo della lettera cieca; non ti chiederà più nulla; non chiederà nulla a nessuno; metterà perfino i satelliti alla porta…. ma con una leggera variante al primitivo disegno che avevo osato sottoporgli, cioè chiudendo il Roccolo e portando la signora con sè. Sicuramente,—conchiuse Filippo,—voleva partire col treno delle quattro e venti. Sono ora le cinque; sicchè…. tira le somme.

–Ah! tu sei un gran prepotente;—esclamai.

–Ma che? volevi che per una scioccheria simile lasciassi andar te sul terreno?

–E ci saresti andato tu?

–Certamente; se non si fosse potuto farne di meno.

–Lasciando supporre Dio sa quali ragioni?…—ripigliai.—E che ne avrebbe detto Galatea?

–Che Galatea?

–Perdonami; ho ancora il cervello intronato da una delle tue bastonate.

–Ed io niente, assassino? Ma tu volevi dire….

–Volevo dire la signorina Wilson.—

Filippo Ferri trasse un profondo sospiro dall'ampio torace.

–Eh, caro mio,—mi rispose,—l'ho detto dianzi a quel conte, che io morrò scapolo. Credo bene che la gentile fanciulla pensi a me, come alla prima bambola a cui avrà rotta la testa. E se tu avessi tenuto con me un altro modo, scambio di scrivermi quella tua letteraccia, scambio di ostinarti, come hai fatto, a volermi morto se non m'inchinavo ai tuoi olimpici voleri, non ci saremmo rotte, da veri bamboccioni, le nostre.—

Ho abbracciato Filippo Ferri (era il meno che potessi fare) e pianto come una vite tagliata.

XIX
Cavalier bagnato

17 settembre 18…

Una grossa bega evitata; che fortuna! Per quanto gridassi di voler provvedere da me alle faccende mie, m'avrebbe seccato mortalmente un duello con questo conte Quarneri, degnissimo gentiluomo che non ho mai più visto nè conosciuto dal giorno che l'ho dato a balia. Filippo si è mostrato veramente savio, in questa occasione, ed io lo aggiungerò volentieri ottavo ai famosissimi sette dell'antica Grecia. Ed anche, come mi ha rimesso il fiato in corpo con una sua modesta confessione! Mi son sentito rinascere; ancor oggi mi par d'essere quel tale, che uscito fuori convalescente dagli ardori e dai delirii d'una febbre da cavalli, ricomincia a sentir l'allegrezza del vivere, poichè dalla finestra riaperta penetra una buona corrente d'aria fresca nell'afa e nel viscidume della sua stanza d'infermo.

 

Oggi sono andato fuori, la prima volta dopo tanti giorni, per far qualche visita; lento, a piccoli passi, col mio bastoncino di città, rinunziando alle mie mazze babilonesi di ridicola e dolorosa memoria, facendomi più debole di quello che veramente io non sia, e fermandomi volentieri ad ogni svolta della strada campestre. La prima stazione del mio viaggio di gratitudine, un po' per riguardo alle conoscenze più antiche, un po' per avvezzarmi all'ufficio e procedere per gradi, dal minore al maggiore, è stata dalle Berti. La voluminosa Giunone e le sue tre graziose figliuole m'hanno fatto una festa da non dirsi.

–Ma che idea è stata la loro, di far della scherma senza le maschere?—mi ha detto la buona signora, giungendo le palme.—Non sono, per caso, un po' matti? L'abbiamo già detto al signor Ferri, che è stato tanto sincero da convenirne. Così abbiamo avuto il dispiacere di perderli tutt'e due, per una quindicina di giorni. Ma anche lor signori, con questa assenza prolungata, hanno perduto molto. Corsenna, come Lei saprà, è rimasta deserta.

–Deserta? E ci son Loro?

–Questa, signor Morelli, è una galanteria. Ma il fatto sta che abbiamo perduta la contessa. Ha promesso di ritornare; ma, colla stagione inoltrata, ci sarà poco da sperarlo.

–Ebbene? Una signora di meno;—risposi.—Ma da quanto ho sentito dire, ne sono arrivate di nuove; la marchesa Valtorta, per esempio.

–Ah sì, ne è giunta la notizia anche al Giardinetto? La marchesa Valtorta è una gran signora, che il caldo eccessivo della campagna pisana ha fatta fuggire in Corsenna. Ha condotto molta gente con sè; ma non mi pare che n'abbia abbastanza, poichè ci ha quasi rubato il nostro commendator Matteini. Ed è un guaio; perchè i cavalieri della nostra piccola società sono rimasti pochi, assai pochi.

–Che cosa mi racconta! E il Dal Ciotto?

–Partito.

–Ah! ed allora…. anche il Martorana?

–Sicuro, e poteva aggiungere il signor Cerinelli;—conchiuse la signora Berti, ridendo maliziosamente.—Si capisce; erano tre inseparabili amici.

–Gran perdita, ne convengo;—ripigliai. Ma infine, la marchesa —Valtorta non vorrà essere così egoista, e alla vecchia società di —Corsenna farà parte della nuova che ha portata con sè.

–Non c'è caso, signor Morelli. Per fonderci, dovremmo adattarci ad un altro genere di vita. Noi si ama prender aria e passeggiare: in casa Valtorta si sta chiusi e si giuoca. Sicuro; la marchesa è ancora una bella donna, che forse vede ancora i quaranta, e può lasciar credere che siano trentacinque o trentasei; e già si butta per disperata in braccio al peggiore dei diavoli, che è quello del giuoco. Carte, signor Morelli, carte a tutto spiano. E a che giuoco, poi! lo indovini.

–A tressetti? a briscola? a naso e primiera?

–Oh, peggio assai, a zecchinetto; e corrono un po' troppo i quattrini. Bisogna averci fortuna, come il nostro commendatore, per trovarci gusto. Dopo tutto, una signora gentilissima; e se vorrà esserle presentato….

–No, Dio guardi!—interruppi.—Ora vorrei rifarmi dell'ozio. L'aria è più fresca, e ne approfitterò per lavorare un pochino.—

Uscito dalle Berti, passai dalla signora sindachessa, per una visita da medico. Più lunga volevo farla dalle signore Wilson, dove andai a finire. Mi batteva il cuore, arrivando davanti alla palazzina; e più mi batteva entrando nel salottino, dove la signora Wilson madre era seduta secondo l'uso al suo telaio da ricamo. Non sola, per altro, come l'ultima volta ch'ero andato a visitarla; Galatea era con lei, reduce allora dalla solita passeggiata. Inutile il dire che combinai in casa anche Buci.

–Gliel'ho un po' sviato, il suo Buci!—mi disse la signorina Kathleen, dopo i convenevoli d'obbligo, che riuscirono del resto un po' magri e naturalmente impacciati.

–Ah, signorina, io glielo rinunzio, se vuole, anche per iscritto, e su carta bollata;—risposi.—Il signor Buci non vuol riconoscermi più, neanche per prossimo.

–Non ce l'offra, La prego;—gridò la signora Wilson madre, con un gesto di comico terrore.—Mia figlia sarebbe capace di accettarlo.

–Oh, mamma, mi credi dunque così egoista? Il signor Morelli si riprenderà il suo Buci, quando noi ce ne andremo da Corsenna, e sarà sempre stata una gran gentilezza da parte sua avercelo lasciato per questo po' di tempo. Non è vero, Buci, che ritornerete dal vostro padrone?—

Buci non la intende così; ma ride, per cortese abitudine; frattanto gliene importa di me come dell'ultimo collarino che ha smesso. E come no? ne ha uno nuovissimo, di fettuccia rossa, col nome ricamato d'oro dalle mani della sua bella padroncina pro tempore.

Per tenere un po' viva la conversazione colla signorina Kathleen, bisogna parlarle di Buci; ed io non mi lascio sfuggire l'appiglio.

–Buci avrà un pregio per me, quando se ne saranno andate;—rispondo;—quello di essere stato con Loro per tutta la stagione. Se mi permetteranno di venirle a riverire a Firenze, lo condurrò a farsi vedere…. Ma ad un'ora bruciata, s'intende.

–Perchè?

–Perchè, in verità, non è una bestia presentabile. In campagna, passi; ma in città….

–Non ne faccia così poca stima;—mi ribatte Galatea;—altrimenti non Le vorrà più bene affatto.—

È tutto ciò che ho ottenuto dalla buona grazia di Galatea. Ma che cosa doveva poi fare? Saltarmi davanti, come il re David nel cospetto dell'Arca? Fu cortese e garbata; non poteva esser di più, rivedendomi per la prima volta, dopo una certa conversazione, che il mio cattivo umore aveva resa fin troppo penosa per lei. Quest'oggi, poi, nè essa nè la sua mamma gentile fecero allusioni alla mia testa rotta; neanche mi vennero sul tema della contessa Quarneri e della sua fuga da Corsenna. Sì, tutto bene; ma io ero andato colla speranza di rimanere un paio d'ore; e dopo mezz'ora, per la freddezza cerimoniosa del ricevimento, vidi la necessità di prender congedo. Per fortuna, quando mi alzai, la mamma gentile mi disse:

–Ci rivedremo, signor Morelli? Qui, se non Le spiace; perchè in piazza oramai si va poco. La società è quasi sciolta.

–Ho bene inteso;—risposi, dopo essermi inchinato profondamente alla cortesia dell'invito.—C'è un astro nuovo, sull'orizzonte di Corsenna, e dicono che ci abbia già rubato il nostro commendator Matteini.

–Oh, quello….—entrò a dire la signorina Kathleen, ridendo per la prima volta del suo bel riso protervo di Galatea;—quello, poi, ci sentiremmo di riafferrarlo alla prima occasione. Ma ce ne manca il desiderio; e del resto, chi non ci vuole non ci merita.

–Kitty!—esclamò la signora Wilson, con accento di dolce rimprovero.

–La lasci dire, signora;—gridai.—È una gran massima, e può consolare tutti coloro che non è destinata a colpire.—

Mi congedai presto, ho detto, perchè già ero in piedi; ma me ne andai molto più lieto, osando stringere coll'antica effusione fraterna la cara mano che Galatea non potè ricusarmi in quel punto.

A casa m'aspettava Filippo, con una notizia…. come dirò? sì, certamente spiacevole. Ha deciso di partire, e di partir domattina. S'intende che l'ho pregato, ed anche sinceramente, di rimanere, almeno due o tre giorni ancora. Ma egli è risoluto, e non si lascia smuovere.

–Senti;—mi ha detto,—ogni bel giuoco dura poco, e il mio è durato fin troppo. Tu non hai più bisogno di me, e puoi lasciarmi andare pei fatti miei. Piuttosto hai bisogno di far la tua strada. Non ti perdere in ragazzate, che n'hai fatte già molte, e possono bastare. Vai all'arma bianca, e conquista una mano che è degna di te.

–Ah, sì, per me non vorrei di meglio. Ma è così fredda, mio Dio! così ferma nel suo puntiglio!

–Ma che! avrebbe da far le pazzie, per dimostrarti quel che pensa di te? È una ragazza, non lo dimenticare. Quanto al puntiglio, è ancora e sempre una ragazza, che non ti può chiedere la spiegazione a cui ha diritto, e non può neanche aver l'aria di desiderarla. Animo, dunque, all'opera; "qui si parrà la tua nobilitate." Il tuo Don Giovanni, così pratico dei cuori femminili, come m'immagino che debba essere, vorrà avere qualche idea in proposito. Fattela suggerire da lui.—

Filippo è un amico eccellente. Se ne va, togliendomi d'impiccio, e mi lascia un buon consiglio, che io seguirò certamente.

18 settembre 18…

Corsenna è deserta, dicono. Ma che deserta! è libera! Io sono stato oggi un po' triste, accompagnando Filippo alla stazione. Poveraccio! egli meritava questo tacito omaggio del cuore alle sue nobilissime doti ed ai suoi utilissimi servigi. Ma io, ritornando al Giardinetto, mi sentivo più padrone di me, che non fossi stato mai. Avevo due ore libere, prima di desinare, e le ho subito messe a profitto correndo al fiume, al pancone, al viale dei pioppi, alla gran prateria, alle carpinelle, e al mio sacro rivolo dell'Acqua Ascosa. Non per ritrovarci Galatea, che non era quello il momento, se pure avesse l'usanza di andarci ancora, ma per pensare a lei liberamente. Sia pure Don Giovanni il consigliere; ma sia un Don Giovanni che abbia affogata la sua malizia in un mar di latte. Così dicevo a me stesso, arrivando al mio dolce rifugio.

Quanto è bello, fresco, ridente, quest'angolo di mondo ignorato! e quanto sarebbe più bello, più fresco, più ridente, se fosse qui Galatea, lieta, fiduciosa, serena come una volta, prima di quella tal passeggiata che le sarà parsa una profanazione, ma in cui non ebbi colpa veruna! Ecco dei fiorellini nuovi, autunnali, che dovrebbero piacerle. Ma ci viene ella più, da queste parti? Vorrei domandarne a quei cardellini, che saltellano, svolazzano e si rincorrono sull'orlo di quella ripa: ma essi non intendono il mio linguaggio, ed io non intendo il loro. Quest'erba tenera, che forse ella ha calpestata, è muta, e conserva gelosamente il segreto. Ah, non tanto gelosamente! Ecco qua, tra un ciuffo di sermolino e un cesto di terracrepolo, biancheggia qualche cosa. Un tesoro, niente di meno, un tesoro. A tutta prima l'ho creduto un temperino; ma no, è più minuscolo ancora d'un temperino. Vediamo; è un ninnolo, un amore di stecchettina d'avorio, di quelle che adoperano le signore per tagliar le carte dei libri, in viaggio, colla piccola presa a taglio vivo da un lato, per usarne come segno quando hanno smesso di leggere.

Ed è sua, la stecchettina minuscola, è sua; vedo il nome di Kitty inciso sulla costola, in bei caratterini italici, di colore azzurro carico. Ah, Galatea, siete tradita! ed io vi potrei convincere d'esser venuta all'Acqua Ascosa stamane, o alla più lunga ieri mattina. Ma non lo farò; non mi preme di convincervi, non mi piace di restituirvi il fatto vostro. Questa cara stecchettina è mia; roba trovata è più che comprata.

Contento della mia piccola fortuna, non amo guastarla andando la sera a cercare la nostra antica colonia villeggiante, o quel tanto che n'è rimasto in Corsenna, e che la marchesa Valtorta non ne ha tirato al suo zecchinetto. Temo che le signore Wilson, o le Berti, credano necessario di parlarmi di Filippo Ferri; cosa che sarebbe pure naturalissima, nel giorno istesso ch'egli è partito. Voglio bene a Filippo, ma non amo sentirmelo ricordare davanti a Galatea. Domattina, domattina la vedrò, quella cara puntigliosa, se si risolverà di uscire a passeggio.

19 settembre 18…

Stamane, infatti, mi sono rimesso in caccia un po' prima dell'ora in cui ella suole andar fuori. Al rivolo dell'Acqua Ascosa non c'era; ed io, lesto ai casali di Santa Giustina. Ecco la Nunziata, la buona vecchierella che attende alle sue occupazioni domestiche. Mi fermo a chiacchierare con lei; assisto al pasto delle sue galline; accarezzo il collo della sua mucca, le parlo di cento cose, e trovo anche il modo di farle un regaluccio, in compenso del bicchier di latte che ella mi offre, ancor caldo e spumoso. Trepidante, girando largo, conduco il discorso sulla signorina Wilson. Che buona e bella figliuola, niente superba, tutta amorosa colla povera gente, non è vero? E viene sempre a trovarvi? Sì, sempre, ma non tutti i giorni, perchè ci ha qualche cosa da fare in casa, specie nell'ultimo mese del suo soggiorno in Corsenna. Come vola il tempo! E par ieri, che la signorina è venuta in campagna. Ma ella ha promesso di ritornare un altr'anno. Si è trovata così bene, la sua mamma, tra queste montagne! Ed anche lei, quantunque non ci sia venuta per salute, come la sua mamma cara. È stata ieri a Santa Giustina, non è vero? Sì, ieri, una mezz'ora appena; ma oggi, chi sa?

Non ho più niente da dire, e saluto la buona vecchia, promettendo di ritornar qualche volta a bere il latte della sua mucca. L'ho pur detto; Don Giovanni affogherà la sua malizia in un mar di latte. E preso il sentiero del bosco, scendo verso il mulino, andando a fermarmi più in là, sulla strada che mette al paese. È il luogo dove ho incontrata per mia disdetta la signora Adriana; non mi piace, e vado ad appostarmi cinquanta passi più oltre, seduto sul lembo estremo del bosco, sopra un tappeto di eriche nane, e mezzo nascosto tra il fogliame di alcune ceppaie di castagno, che han rimessi i polloni. Specola eccellente, donde io posso dominare l'incontro di tutti i sentieri dai quali ella potrebbe passare, andando o ritornando; ma non mi serve, perchè stamane ella non si lascia vedere.

 

La vedo questa sera, a passeggio, con la mamma e con le Berti. È cortese, ma fredda, e, più che fredda, occupata a discorrere con l'una o con l'altra delle sue giovani amiche. Poi c'è Terenzio Spazzòli, a cui si fanno complimenti della sua poca passione per lo zecchinetto. Egli ci si gonfia un pochino, ed io mi annoio altrettanto.

Ah, c'è uno strappo nelle mie relazioni con Galatea! uno strappo che bisogna rammendare ad ogni costo. Ma tu ci passerai, bambina, laggiù dalla parte del mulino; ci passerai, una mattina o l'altra, e dovrai pagare il pedaggio.

20 settembre 18…

"Roma è nostra", mi ha detto stamane il signor sindaco, incontrandomi sul ponte, avviato verso la strada del mulino. "Viva Roma in eterno", ho risposto con pari ardore, al patrio ricordo del primo magistrato di Corsenna. Era di buon augurio la data: Roma è nostra; e Galatea è mia, posso soggiunger qui, senza aspettar complimenti ed evviva. Giorno fortunato davvero, quantunque non senza pericolo; ma il pericolo fa preziosa la vittoria, e più caro il trionfo. O Buci, o cane impagabile, io troverò bene uno scultore che voglia farti il ritratto e gittarmelo in bronzo, affinchè io possa mettere il tuo simulacro a decorazione della piazza grande, ed unica, della nobil Corsenna.

Erano le nove e sette minuti, quando la signorina Wilson mi apparì tra gli alberi della strada campestre. Come mi batteva il cuore, come mi batteva, intravvedendo nel verde la sua marinara bianca dalle risvolte turchine! Ella veniva innanzi a passi lenti, leggendo; Buci la precedeva, da buon battistrada. Al lieve rumore, che io feci, alzandomi dal mio nascondiglio sul ciglione del bosco, il buon cane si fermò di botto sulle quattro zampe, abbaiando. Allora mi lasciai vedere, e saltai sulla strada.

–Oh, Lei!—esclamò la signorina.—Credevo che Buci avesse visto un serpe.

–Povero serpe intirizzito, se mai! E dove se ne va, signorina!

–Quassù, dalla mia buona Nunziata.

–Ah, bene. Ci sono andato ancor io, ieri mattina, a bere un bicchier di latte della sua mucca. E volevo ritornarci anche oggi, ma poi….

–Ma poi, che cosa?

–Ho deciso di aspettarla qui, signorina, perchè volevo…. desideravo parlarle.

–Era dunque in agguato? Male. Ma noi non abbiamo paura, e possiamo dire al malandrino: ci accompagni pure, e beva il suo latte.

–Volentieri lo farò, signorina. Ma sarei tanto felice, se Ella mi concedesse un quarticello d'ora, qui, proprio qui….—

La signorina Kathleen rimase un po' sconcertata, guardandomi.

–In questo punto;—ripigliai, incalzando.—Soffra che io Le faccia una rispettosa domanda: Che cosa Le ho fatto io, perchè Ella sia tanto severa con me?

–Io?—diss'ella, sforzandosi di ridere.—Lei vede sempre, signor Morelli, tutto quel che non è. Non Le ho detto or ora di accompagnarmi fino a Santa Giustina?

–Or ora, sì;—risposi.—Ma tutti questi giorni passati…. povero a me! non mi pareva di meritarmi tanta sua crudeltà.

–Crudeltà! che sarebbe? Ella vuol farmi ancora dei discorsi che io non posso sentire?

–No, no; si cheti; potrà sentir tutto, glielo giuro. E si fermi, La supplico.

–Fermiamoci;—diss'ella, crollando il capo come persona rassegnata.—Vede? mi siedo per giunta. E parliamo. Ma, se permette, incomincio io, che sono più tranquilla di Lei. Dica su, come si trova contento di Corsenna?—

La signorina Kitty voleva darmi la baia, con quel vano discorso. Ma io lo girai destramente ai miei fini.

–Moltissimo,—risposi,—perchè finalmente c'è quiete. La campagna dovrebb'esser sempre così.

–Se l'abbian per detto le persone che ci hanno lasciati a goderne, non è vero?

–Sì, se l'abbian per detto; quantunque…. della partenza di una mi duole un pochino.

–Ah! e quale?

–Filippo Ferri.

–Dopo essersi battuto con lui…. veramente….

–Che vuole, signorina? Dopo ciò che mi aveva detto Lei, lassù, alla discesa di Santa Giustina!…

–Ah! ed è per quel discorso che Lei ha messo mano alle armi?

–Sì, per quello; e non ne avevo forse ragione? Le assicuro, ero fuori di me dalla rabbia.

–Che uomini!—esclamò.—Vuol dire che se avesse potuto battersi con me….

–Quel giorno, sì, l'avrei fatto;—risposi.

–Mi piace la sincerità. Ma è sempre così sincero, Lei?

–Sempre.

–Allora mi dica un'altra cosa;—diss'ella, dopo aver balenato un'istante.

–Domandi, domandi pure.

–Ma Lei giuri….

–Di esser sincero? Non ne dubiti nè ora nè mai! Voglio ad ogni costo meritar la sua stima; almeno quella!…—soggiunsi, lasciandole intendere il resto.

Si fece un po' rossa; ma voleva padroneggiarsi, e ne venne a capo. Del resto, si capiva ch'ella aveva accettato battaglia, e che, avendola accettata, voleva anche attaccarla a suo modo.

–Ottimamente;—diss'ella.—Or dunque, alla prova, e in una cosa da nulla; badi, proprio da nulla, salvo la difficoltà dell'indovinare di chi parlo, perchè io non l'aiuterò punto punto. Dove l'aveva incontrata? Perchè c'era, non è così?

–Sì, c'era;—risposi.—Anzi, c'eravamo, e avevamo presa la fuga. Essa non voleva, rendiamole giustizia; son io che ho voluto ad ogni costo, e posso dirgliene il perchè.

–Lasci che la interroghi io;—replicò la mia giudichessa.—Ella deve rispondere ancora alla mia prima domanda. Dove l'aveva incontrata?

–Là, a cinquanta passi da noi, dove Ella vede appunto quel rigagnolo che attraversa la strada.

–A caso? Non l'aspettava, come aspettava oggi?

–Sull'onor mio, e per il conto che io faccio della sua stima, non l'aspettavo. Scendevo dal bottaccio, mi avviavo da questa parte, quando improvvisamente l'ho veduta. Giuro inoltre che se fossi stato in tempo di cansarmi, l'avrei fatto; e con che gusto, se lo può figurare.

–Io, veramente, non mi posso figurar nulla. E poi? dove sono andati?

–Vuole che rifacciamo la strada, signorina? A passo a passo le racconterò ogni cosa, come l'ho scritta nel mio memoriale, ch'Ella non ha voluto leggere.

–Lasciamo stare il suo memoriale; ne parleremo poi. E andiamo rifacendo la strada, che tanto è la mia per salire a Santa Giustina.

–Non tutta;—risposi.—Bisognerebbe salirci dall'altra parte, se mai, passato l'argine dell'Acqua Ascosa.

–E così faremo;—conchiuse ella, che aveva rotto il ghiaccio oramai, e appariva risolutissima.—Prima di tutto, saltiamo questo rigagnolo, come avrà fatto quell'altra…. Immagino che non avrà voluto immollarsi la punta degli scarpini.

–Non so, non ho badato. Le ho già detto ch'ero molto seccato dell'incontro, e per conseguenza confuso. Ed ecco, proprio qui, imbattendosi in me, mi chiese dove fosse l'Acqua Ascosa. Che cosa avrebbe fatto Lei ne' miei panni?

–L'avrei accompagnata, ci s'intende.

–Così feci, risalendo con lei questo po' di sentiero, di fianco alla ruota del mulino; e di là, poi, conducendola sul ponticello che cavalca la caduta dell'acqua.

–Ed ecco, ci sono anch'io;—disse ridendo la signorina Wilson.

–Ma Lei ora mi precede, e soffrirà che io passi avanti per rifarle questo importante episodio. La signora aveva paura, molta paura, ed io dovetti prenderla per mano.

–Così?

–Per l'appunto;—diss'io, fremendo al contatto della mano di Galatea.

–E tremava, dunque?