Sanctuary – Serie ”Legami Di Sangue” – Volume 9

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Capitolo 2

Chad entrò nel vialetto di Trevor e parcheggiò accanto a Evey. Spense il motore e, per un momento, si fermò a pensare a tutto quello che era successo nelle ultime due settimane. Tra lui e sua sorella, non sapeva chi fosse più incasinato, adesso... beh, d’accordo, forse avrebbe vinto Envy. Tuttavia, neanche lui se l’era passata bene.

Il pensiero di essere stato ucciso e poi riportato in vita da Kriss e Dean lo tormentava. Gli dava i brividi pensare che avrebbe dovuto essere sepolto da qualche parte in un cimitero... lo spaventava a morte. A peggiorare le cose era che nessuno dei due caduti sembrava sapere quali sarebbero state le conseguenze delle loro azioni.

Era tornato al quartier generale del PIT per prendere la sua roba e, per fortuna, Ren era da solo nel suo ufficio. Aveva colto l’occasione per chiedergli di nuovo se c’era qualcosa che doveva sapere. Purtroppo l’onnisciente non sapeva niente più di Kriss e Dean e la cosa urtò i nervi di Chad.

Di questo passo, probabilmente avrebbe passato le prossime settimane a camminare con gli occhi aperti, per assicurarsi che non accadesse nient’altro... tuttavia, con il suo lavoro, quella non era mai una garanzia. Alla fine Chad ignorò la cosa, era umano come lo era sempre stato e al diavolo i misteri. La decisione gli aveva effettivamente tolto un peso dalle spalle.

“Ciao Chad.” si udì la voce suadente di Evey.

Lui guardò fuori dal finestrino del passeggero e sorrise “Ciao, Evey.” Scese dalla sua auto e si diresse verso il lato del guidatore di Evey. Quando lei abbassò il finestrino, lui si chinò come per parlare davvero con qualcuno, sebbene il suo sguardo fosse focalizzato sul cruscotto illuminato. “Come stai?”.

“Quando tu sei così bello, è difficile non stare bene.” rispose Evey, facendo sorridere Chad.

“Non posso oppormi al tuo ragionamento.” rispose lui, passandole una mano sul tettuccio.

“Trevor ha lasciato le chiavi di casa nel cruscotto.” disse lei mentre apriva lo sportello del passeggero. “Sono tutte tue.”.

Chad fece un passo indietro quando lo sportello si aprì, poi scivolò sul sedile anteriore per aprire il vano portaoggetti. “Come sta Trevor?”.

Evey sospirò “Temo che non sia qui... ha detto qualcosa a proposito di sbollire la rabbia prendendo a calci qualche brutto ceffo.”.

Chad aggrottò la fronte, era tipico di Trevor ma... perché non guidare Evey?

“Perché non sei con lui?” le chiese con tono curioso.

“Ha detto che aveva bisogno di stare da solo per un po’.” rispose lei. “È arrabbiato perché ha paura che il conflitto tra lui e Devon sconvolgerà Envy e le farà perdere il bambino.”.

Chad scosse la testa “Non penso che si arriverà a quel punto. Entrambi sono testardi ma non le hanno mai fatto del male.”.

“Lui la ama.” disse Evey, quasi con tono triste.

Chad annuì “Sì, lo so.”.

“Quindi, invece di pensare a Devon, è andato a cercare qualcos’altro con cui sfogarsi?” Evey aveva bisogno di chiarimenti sul mistero della natura umana. Più imparava, più diventava curiosa.

“Perché non l’hai seguito?” le chiese Chad, eludendo la sua domanda. Aveva l’impressione di sapere per chi tifava Evey, quando si trattava di quei due.

“I miei scanner possono rintracciarlo solo quando è in forma umana. Trevor lo sa e ha voluto seminarmi. Prima di andarsene si è trasformato in gufo ed è volato via.” spiegò Evey.

Chad prese le chiavi di casa dal cruscotto e tornò alla sua auto per prendere il borsone. Appoggiandosi guardò Evey, le piaceva sempre di più ogni volta che entrava in contatto con lei. “Allora non c’è molto che possiamo fare, vero?”.

Evey sospirò “Immagino di no.”.

Chad rimase lì per un momento, notò l’aspetto polveroso dell’auto e sorrise. “Che ne pensi di un bel bagno e una passata di cera?”.

Evey iniziò a rumoreggiare e Chad annuì “Bagno in arrivo... vado a cambiarmi.”.

“Chad.” esclamò Evey mentre lui si avvicinava alla porta.

Lui la guardò da sopra la spalla “Cosa c’è?”.

“Non mettere la maglietta.” Evey fece le fusa.

“Ah, vuoi un Chad sexy, eh?” Finse di pensarci su poi le fece l’occhiolino “Si può fare.”.

L’auto continuò a fargli le fusa.

*****

Envy entrò nell’appartamento di Kriss e si sedette subito sul divano. Devon le mancava già... anche Chad... e ogni volta che iniziava a pensare a Trevor le veniva da piangere. L’unica ragione per cui non lo faceva era il bambino... aveva un effetto calmante su di lei. Mescolando il tutto stava iniziando a sentirsi un po’ intorpidita, onestamente.

Dean lanciò un’occhiata interrogativa a Kriss, che scosse la testa facendogli cenno che gli avrebbe spiegato più tardi.

“È un casino di prima categoria.” disse Envy a bassa voce e afferrò uno dei cuscini per abbracciarlo.

Kriss sospirò “Tutto quello che è successo non è colpa tua. Devon deve solo far entrare nella sua testa dura che non può attaccare il padre del tuo bambino.”.

Envy affondò il mento sul cuscino, stringendolo un po’ più forte “Lui... lui aveva promesso che non avrebbe attaccato Trevor.”.

“Quando?” le chiese Kriss, incuriosito dal perché le avrebbe fatto una promessa del genere.

“Al ritorno dalla vacanza con te e Tabby... hanno litigato davanti casa di Chad. Dopodiché gli feci promettere di non fare niente contro Trevor perché non volevo vedere ferito nessuno dei due.”. Si morse il labbro inferiore, sentendosi un peso sul petto. Non si erano feriti a vicenda ma Envy era sicura di averli feriti lei abbastanza, in cambio.

Dean si accigliò “Forse dovresti ricordare al tuo gattino di quella promessa...”.

“Dean...” disse Kriss in tono di avvertimento.

“Che c’è?” chiese l’altro. “Se Santos la ama dovrebbe dimostrarlo mantenendo la sua parola.”.

Envy espirò rumorosamente “Dean ha ragione, Kriss.”.

“Ragione o no, io non penso che questo sia il momento giusto per farlo.” si lamentò Kriss.

“E quando allora? Io devo iniziare a pensare al piccolo.” disse Envy tranquillamente. “Non credo che il club sarebbe il posto ideale in cui far crescere un bambino. Voglio dire, è andato bene per Devon e la sua famiglia ma... io non voglio crescere mio figlio in un night club.”.

“Certo che no.” concordò Kriss “Ma cosa vuoi fare, tornare a casa di Chad?”.

Envy scosse la testa “Oh cielo, no. Chad ha già i suoi problemi. L’ultima cosa di cui ha bisogno è affrontare anche i miei. E poi... si è trasferito dal padre del bambino... No, finché non si sistemerà tutto credo che fingerò di essere una madre single.”.

“Che ne dici di un altro appartamento?” propose Dean, prima che Kriss fosse così stupido da suggerirle di stare con loro... in modo permanente.

Envy strinse le spalle “È un’idea, ho sempre sperato di avere una casa quando avrei deciso di avere dei figli.”.

L’espressione di Kriss si rianimò immediatamente “Si va a caccia di case!”.

La sua esclamazione fece sobbalzare Envy, che alzò la testa di scatto e lo guardò attonita. “A caccia di case?”.

“Certo.” disse Kriss. “Non vuoi stare al club quando nascerà il bambino, giusto? Trovare una casa e riempirla di mobili e oggetti per lui sarebbe una distrazione perfetta.”.

“Ma dove li prendo i soldi per una casa nuova?” gli chiese Envy. “Guadagno bene lavorando al Moon Dance... ma non fino a questo punto.”.

Kriss sorrise in modo rassicurante e le prese la mano “Tesoro... questo è l’ultimo dei problemi. Ti aiuterò a trovare la casa dei tuoi sogni, se è quello che vuoi... e non ti azzardare a farmi la predica. Stiamo parlando del mio figlioccio.” disse, indicando di nuovo il suo basso ventre. Envy sorrise ma scosse la testa “Non posso permettertelo, Kriss... tu non hai tutti quei soldi. Voglio dire... io faccio la barista e tu lo spogliarellista part-time.”.

“L’unico motivo per cui faccio spogliarelli è perché mi diverte. Ho un conto in banca, titoli, obbligazioni e altre cose di cui non so neanche il nome.” rispose Kriss, sembrando quasi impertinente. “Non so perché ma il tizio della banca continua a chiamarmi ‘il suo miliardario preferito’.”.

“Sei un deficiente.” disse Envy con una risatina e gli lanciò un cuscino.

“Ahia.” disse lui impassibile quando il cuscino lo colpì in pieno viso.

Dean nascose il suo sorrisetto, sapendo che quello era esattamente ciò di cui Kriss aveva bisogno... qualcuno di cui occuparsi, anche se solo per poco. A quanto pare, entrambi attiravano casi umani.

Ignorò il giocoso litigio dei due e osservò la città impietosa dall’enorme finestra dell’attico. Era ovvio che Kriss sarebbe stato impegnato per un po’ e, alla fine, Envy avrebbe avuto la sicurezza di cui lei e il bambino avevano bisogno. Era l’occasione perfetta per rincorrere di nuovo il caduto ibrido che era stato intrappolato da Misery.

Dean lo aveva trovato per caso e, da allora, lo aveva silenziosamente tenuto d’occhio da lontano. Dopo alcuni giorni di osservazione, aveva iniziato a lasciargli vestiti puliti, coperte e qualcosa da mangiare. Non mangiava spesso ma, d’altra parte, il cibo umano non era una necessità. La sua razza poteva anche vivere senza. Gli abiti e le coperte, invece, sparivano ogni volta.

Finora l’ibrido non aveva mostrato tendenze malvagie ed evitava i demoni come la peste. Era un segno positivo del suo stato mentale... ma le cose tendevano a cambiare se tali creature venivano lasciate sole per troppo tempo.

Da ciò che aveva osservato Dean, l’ibrido era più un caduto che un demone e avrebbe scommesso i suoi miliardi che sarebbe riuscito a convincerlo a fidarsi di lui, se avesse avuto un po’ più di tempo. Se ciò fosse accaduto forse avrebbe potuto salvarlo dalla stranezza di questo mondo, in cui era stato improvvisamente catapultato.

 

Chiuse gli occhi, ricordando le lacrime dell’uomo mentre schizzava fuori dalla parete della caverna e fuggiva nella notte. Quello era stato il fattore determinante... i demoni non piangono.

“Esco un attimo.” disse Dean all’improvviso, e si diresse verso la porta.

“Prendi lo sciroppo di cioccolato, già che ci sei.” urlò Kriss prima che lui arrivasse alla porta.

Dean si fermò e si girò a guardarlo “Sciroppo di cioccolato? A che cavolo ti serve?”.

“Latte al cioccolato.” risposero Kriss ed Envy all’unisono.

Dean scosse la testa sorridendo e uscì dall’attico, chiudendo la porta divertito.

Envy guardò Kriss “Non ho portato niente con me e inizio ad avere sonno. È stata una giornata lunga... Hai qualcosa che posso mettermi?”.

Kriss annuì “Nella seconda camera da letto.” Indicò una porta chiusa, poi le fece l’occhiolino “È lì che dormo quando sono incazzato con Dean. Nell’armadio ci sono alcune magliette larghe e qualche paio di boxer, serviti pure.”.

“Litigate spesso?” disse Envy preoccupata, non volendo privare Kriss del suo rifugio.

“Solo quando si comporta da coglione.” Kriss sorrise, poi indicò un’altra porta chiusa. “Quella sarà la sua stanza, se lo caccio.”.

Envy non poté fare a meno di ridere “Sei proprio matto... lo sai?”.

“È la mia ambizione nella vita.” Kriss sospirò scherzosamente, poi si avviò verso la cucina. Doveva fare una nuova lista della spesa, prima che iniziassero le sue voglie e quelle di Envy. Si fermò a metà strada e si voltò verso l’ingresso. Al diavolo la lista... aveva voglia di sottaceti, adesso. “Vado a svuotare il supermercato... non aspettarmi alzata.”.

Envy aspettò fin quando non se ne fu andato, prima di alzarsi lentamente dal divano per dare un’occhiata alla sua stanza. Chiudendo la porta dietro di sé, aprì l’armadio e sorrise vedendo le magliette. Alcune erano simpatiche, con piccoli pupazzetti, altre avevano frasi divertenti e altre ancora erano a tinta unita. Scegliendo una semplice maglietta nera e un paio di boxer di Sponge Bob, li mise sul letto e si spogliò.

La propria immagine riflessa allo specchio attirò la sua attenzione e lei si accarezzò la pelle morbida e liscia della pancia. Piegò la testa di lato, cercando di immaginare la pancia cresciuta, e si mise di profilo per esaminarla.

“Chissà come sarai.” disse rivolta al piccolo. “Sarai come me, selvaggio e testardo, o come lui, intelligente e... testardo? Spero di essere una buona madre e... so che Trevor sarà un bravo papà.”.

Envy sorrise al proprio riflesso, immaginando la piccola anima dentro di lei. “Sei già fortunato, lo sai? Avrai tanti zii e padrini che ti proteggeranno, scommetto che non ti taglierai neanche con un foglio di carta.”.

Vide un movimento dietro di sé, nel riflesso dello specchio, e si voltò per vedere cosa fosse. Avvicinandosi al balcone, scostò la tenda e sussultò per il bellissimo gufo bianco poggiato sulla ringhiera, che la osservava con occhi neri e profondi.

L’animale piegò la testa come se la stesse esaminando, prima di girarsi dall’altro lato. Envy non ne aveva mai visto uno così da vicino e temeva che, distogliendo lo sguardo, sarebbe sparito.

Il gufo girò di nuovo la testa verso di lei, prima di voltarsi e volare via. Spiegò le ali nel vento e volò sulla città, verso la Foresta Nazionale.

Envy ricordò di aver letto da qualche parte che i gufi erano simbolo di saggezza e sperò che fosse un segno che stava facendo la cosa giusta.

*****

Aurora strinse più forte la sua piccola spada e guardò l’edificio, cercando una traccia di Samuel. Non riusciva a credere di essere stata così negligente da permettergli di avvicinarsi di soppiatto in quel modo. Era stato un incredibile colpo di fortuna l’essersi allontanata dal tetto del grattacielo tutta intera.

Mentre cadeva giù si era rassegnata al dolore che avrebbe sentito, ma un insolito salvatore l’aveva aiutata. Su quel grattacielo c’erano statue di falchi che, per fortuna, erano sporgenti. Lei era riuscita ad afferrarne una e ad appendersi essa, nascondendosi da Samuel quando lui guardò giù.

Le sembrò di aver resistito per un tempo infinito, quando la presenza della sua aura iniziò finalmente a svanire. Quando fu sicura che Samuel se n’era andato, si tirò su e riuscì a strisciare sulla testa del falco.

Stanca e senza fiato, si appoggiò al muro dell’edificio per riposare un attimo. Le ci volle qualche minuto per riprendersi, ogni pausa lontano dall’ossessione di Samuel era più che benvenuta. Dentro di sé sapeva perché lui continuava ad inseguirla... lussuria, nient’altro.

Non negava che Samuel fosse attraente ma quello era il fascino dei demoni più potenti. Erano belli finché non si vedeva cosa si celava sotto il loro aspetto. Samuel era più bello della maggior parte dei demoni ma, sotto molti aspetti, era anche molto più oscuro di loro.

Lo stava evitando come poteva e sembrava che, alla fine, lo aveva seminato di nuovo... almeno per ora. Stargli accanto le aveva lasciato una sensazione nauseante nello stomaco e non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto combatterlo, prima di arrendersi a ciò cui era abituata.

Lo odiava ma, allo stesso tempo, quasi desiderava ciò che lui le offriva... ciò che lei aveva accettato dopo tanto tempo. Stare da sola era eccitante ma anche spaventoso.

Provava qualcosa per Samuel... aveva goduto del suo corpo e, per un breve periodo, anche della sua compagnia. Nell’altra dimensione gli era sfuggita innumerevoli volte, solo per essere messa all’angolo da demoni che non facevano parte del suo esercito. Era stata quasi uccisa e una piccola parte di sé aveva bramato l’idea di libertà... in qualsiasi modo.

Samuel era sempre arrivato appena in tempo per salvarla... aveva recitato la parte dell’eroe diverse volte, ma lei non era una stupida. Non la salvava perché la amava, anzi, la puniva sempre in modo brutale per essere scappata. Era una sua proprietà... gli serviva per sfogare la propria crudeltà e per fare l’amore. Adesso che aveva di nuovo la sua spada forse aveva una possibilità per separarsi completamente da lui.

Guardando l’arma nella sua mano, Aurora sospirò profondamente. L’aveva scoperta quando era piccola. Era orfana e per molto tempo aveva creduto che il suo nome fosse “Topo di Fogna”. Era stato un demone a chiamarla con il suo vero nome... poco prima che tentasse di ucciderla. Mentre si difendeva aveva sentito la lama comparire nella sua mano e aveva vinto.

Non seppe mai come faceva il demone a conoscere il suo nome ma, alla fine, non le importava davvero. Di sicuro era molto meglio di ‘Topo di Fogna’.

Da allora la spada l’aveva protetta fin quando non finì nella crepa. Aveva passato gli ultimi mille anni in un regno controllato da demoni e sotto il dominio di Samuel. L’arma non era mai apparsa per salvarla lì, a prescindere da quali guai affrontasse. Sospirò, desiderando avere qualcuno con cui parlarne e a cui porre domande che necessitavano di una risposta.

La lama brillò improvvisamente quando svanì di nuovo nel suo corpo. Riteneva che lei fosse al sicuro, quindi probabilmente era così. Aurora sentì i propri muscoli tesi rilassarsi e decise che era ora di scendere da quell’edificio, prima che qualcuno la vedesse.

Guardò giù oltre la statua del falco e inspirò mentre il vento soffiava verso l’alto, spettinandole i capelli sul viso. Era ancora troppo in alto e non si sarebbe lanciata per due motivi. Primo, probabilmente si sarebbe fatta male; secondo, il motivo principale, non voleva che nessuno la vedesse.

Aveva pensato di morire quando era nella crepa, mentre ora aveva una possibilità di libertà... non voleva più morire, quindi non si sarebbe lanciata da un grattacielo.

Arrampicandosi sull’ala del falco, vide un balcone diversi piani più sotto e ne calcolò la distanza. Si tenne al bordo dell’ala e si lanciò verso il balcone, godendo della sensazione della caduta libera. Atterrando accovacciata in silenzio, guardò oltre la finestra e si bloccò.

Percepì un movimento attraverso le tende e si avvicinò per vedere meglio. Rimase sorpresa quando vide una donna in camicia da notte, che sorrideva timidamente ad un uomo seduto sul divano dall’altra parte della stanza. La donna si scostò le spalline di seta, lasciandole cadere lungo le braccia e scoprendo la biancheria succinta.

Aurora spostò lo sguardo sull’uomo, vedendo i suoi occhi pieni di passione. Lui si alzò e si tolse la camicia, gettandola dietro di sé prima di avanzare verso la donna come un gatto che si avvicina lentamente alla sua preda. Lei sorrise di nuovo e lasciò cadere la camicia a terra... scoprendo tutto ciò che aveva da offrire.

L’uomo le si avvicinò e la prese tra le braccia. Si diedero un bacio appassionato prima che l’uomo si abbassasse per prenderla in braccio. Le lunghe gambe di lei gli si avvolsero attorno alla vita e, quando lui la scostò leggermente, la donna piegò la testa all’indietro esponendo la propria gola.

Il respiro di Aurora accelerò quando le labbra dell’uomo sfiorarono la pelle della donna, facendola rabbrividire. Lui si voltò e si diresse in un’altra stanza, chiudendo la porta e impedendo ad Aurora di vedere altro. Un lieve sorriso triste le sfiorò le labbra e, per un momento, desiderò essere umana.

Si girò e si appoggiò all’edificio, scivolando lentamente lungo il muro finché non fu seduta con le ginocchia piegate davanti a sé.

Aveva passato la sua infanzia a nascondere ciò che era, cercando di fingersi un essere umano. Il suo unico desiderio era sempre stato quello di essere come gli umani. Se lo fosse stata, non avrebbe scoperto l’inferno di Samuel e sarebbe stata libera di amare chiunque avesse scelto.

Era stato un suo coetaneo ad informarla di ciò che era veramente. Il suo nome era Skye. Per gli umani, lui aveva solo sette anni ma lei sapeva la verità. Era stato il suo migliore amico per molto tempo e l’unico compagno di cui potesse fidarsi.

Sorridevano quando gli umani li scambiavano per fratelli, avevano quasi gli stessi colori e, secondo i canoni di questo mondo, erano bellissimi.

Skye le aveva raccontato le storie sui caduti e sui demoni che essi avevano inavvertitamente generato. Lui lo sapeva, era una di quelle creature, ma ciò non lo preoccupava. Una volta le disse che gli piaceva somigliare ad un caduto, perché era meglio essere un angelo che un demone. L’aveva anche avvertita che gli umani avevano paura e, se avessero mai scoperto cos’era veramente, avrebbero cercato di ucciderla.

Per anni lei e Skye erano stati insieme, spostandosi periodicamente da un luogo all’altro prima che gli umani si accorgessero che non crescevano come i bambini normali.

Ricordava ancora l’ultima volta che aveva visto Skye. Le aveva sorriso prima di addentrarsi nella foresta con alcuni uomini del villaggio, per una perlustrazione.

Quello fu il giorno in cui arrivarono i demoni... erano in tanti ed eliminavano tutto ciò che li ostacolava. La terra tremò e si squarciò, sprofondando prima che una grande spaccatura fendesse la piazza centrale del villaggio.

Aurora non poté fare altro che assistere terrorizzata a ciò che stava accadendo. Inciampò all’indietro quando un demone corse ruggendo verso di lei, proprio mentre tre uomini si precipitavano per fermarlo. Gridò per lo spavento quando, invece di cadere a terra, sentì il terreno sollevarsi.

Un guerriero del villaggio si lanciò dietro di lei ma fu afferrato a mezz’aria da un demone... quella fu l’ultima volta che lo vide. Anche altri uomini stavano sprofondando e, all’improvviso, si rese conto di essere finita proprio nell’enorme crepa. Le sue ali apparvero come un’ombra e lei cercò di tornare in superficie, ma una forza inspiegabile continuava a trascinarla giù... lontano dalla casa che aveva scelto con Skye.

Prima che le grida svanissero, l’intero villaggio era già sprofondato nella crepa... intrappolando umani e demoni allo stesso modo. Aurora chiuse gli occhi per cancellare dalla mente ciò che era successo e rivolse i propri pensieri a Skye, contenta che lui non fosse lì ad assistere alla distruzione. Ancora adesso, l’unica speranza a cui si aggrappava era che fosse ancora vivo e felice.

 

Tornando al presente, Aurora si avvicinò al vetro per sbirciare, la coppia umana non era tornata dall’altra stanza. Allungò una mano e sospirò quando il balcone si aprì facilmente. Sgattaiolò all’interno e si diresse silenziosamente verso la porta d’ingresso, uscendo nell’atrio del palazzo.

Arrivata in strada, si assicurò di camminare nelle zone ben illuminate, nel caso in cui Samuel fosse riapparso per un altro round... non si sentiva più così sicura di poter vincere. Non sapeva dove stesse andando né da quanto tempo stesse camminando... tutto quello che voleva era riposare per una notte.

Quand’era stata l’ultima volta che aveva dormito davvero, senza temere di essere attaccata? Era successo prima di cadere nella crepa e, da quando si era liberata, l’unico attimo di felicità l’aveva vissuto con quell’uomo nel tunnel della metropolitana.

Allungò la mano per toccarsi la collana, si sentiva combattuta tra la malinconia e l’eccitazione per quegli attimi di felicità rubata. Quell’oggetto era un ricordo di lui... sapeva che non lo avrebbe mai più rivisto.

Aurora distolse lo sguardo dalla recinzione accanto a lei e si guardò intorno, nascondendo la collana nella camicia. Per la prima volta, da quando era uscita dalla crepa, non sentiva demoni nelle vicinanze. La recinzione metallica circondava un edificio enorme e, avvicinandosi, osservò il parcheggio.

Non sapeva leggere l’insegna rossa illuminata e, non essendoci demoni nei paraggi, ribattezzò l’edificio con ‘santuario’, dopodiché si arrampicò sulla recinzione e raggiunse il tetto del palazzo.

Muovendosi silenziosamente come al solito, si rannicchiò accanto all’unica porta che conduceva all’interno. C’era una piccola tettoia che le avrebbe impedito di essere svegliata troppo presto dalla luce del sole. Si sentì al sicuro e sorrise... finalmente un posto dove poter riposare.

Rimase distesa con gli occhi chiusi e acuì i propri sensi, percependo tutte le barriere che circondavano quel luogo. Non sapeva né come né perché ma si sentiva come su un’isola in un mare di demoni, che non potevano uscire dall’acqua per prenderla. Aprendo gli occhi, inspirò profondamente quando sentì l’energia demoniaca attorno al perimetro della barriera.

Percepiva la rabbia e la frustrazione dei demoni che cercavano di entrare e non poté fare a meno di sorridere... quella notte non sarebbero riusciti a prenderla.