Pioggia Di Sangue

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Capitolo 4

Angelica sgattaiolò nella sua camera da letto e chiuse subito la porta. Fece scorrere il chiavistello e appoggiò la fronte sul legno massiccio, desiderando che fosse qualcosa di più resistente... magari titanio.

Sospirando, si accigliò e si scostò dalla porta, fissando il chiavistello come se fosse la sua unica speranza. E, in un certo senso, lo era. Quella piccola serratura era l’unico ostacolo tra lei e l’ardente desiderio di vedere Syn adesso che lui non era lì a guardarla... a perseguitarla.

Si strofinò le tempie con movimenti circolari, cercando di schiarirsi le idee sul fatto di essere appena fuggita da quell’uomo e di sentire la sua mancanza al punto da provare dolore al petto.

«Io non ho bisogno di nessuno.» ricordò a se stessa, ma le sue dita si fermarono. Abbassò le mani, sentiva puzza di bugia nelle sue stesse parole. Considerando che sentiva i sintomi dell’astinenza, avrebbe potuto etichettare quell’uomo per ciò che era... una droga.

Allontanandosi ancora di più dalla porta, chiuse gli occhi e i suoi pensieri s’intensificarono. Non serviva uno scienziato per capire che Syn le stava incasinando il cervello e lei prevedeva già le proprie azioni. Era pericoloso superare quella linea perché, se avesse osato farlo, non sarebbe più tornata indietro.

Non sarebbero dovuti esistere i partner... perché Storm non aveva previsto tutto questo? In quel tunnel, Syn non aveva fatto altro che prendersi gioco di lei. Non gli serviva un partner, visto che tutto quello che doveva fare era alzare una maledetta barriera attorno alle uscite e basta.

Il ricordo tornò a perseguitarla come un incubo. Lì sotto aveva provato un forte senso di claustrofobia quando il soffitto era crollato all’improvviso. Era stato inquietante pensare di trovarsi nella propria tomba.

Proprio mentre dei grossi massi iniziavano a staccarsi e a cadere tutt’intorno, aveva visto parecchi demoni correre giù per le scale nascoste, nel tentativo di scappare... e lei si trovava direttamente sul loro cammino. Un’ondata di detriti aveva inghiottito alcuni demoni che non erano stati abbastanza veloci.

Lei, terrorizzata, era rimasta immobile finché non si era sentita afferrare da qualcuno e le scale avevano iniziato ad allontanarsi fino a svanire. Angelica rabbrividì di nuovo ricordando la sensazione del tunnel che crollava, ma la sua vera rovina era stata quello che era successo dopo.

Quando il paesaggio si era stabilizzato, si era resa conto di trovarsi sul tetto di un edificio. Sentendo ancora una leggera vibrazione sotto i piedi, si era girata appena in tempo per vedere il museo collassare sui tunnel sotterranei, dove lei si trovava pochi istanti prima.

Poi si era voltata per guardare il petto contro cui si sentiva schiacciata e si era accorta che stava stringendo la camicia di Syn per la paura e perché aveva bisogno di lui. In quel momento non aveva desiderato altro che abbandonarsi tra le sue braccia forti e restare lì... dove niente poteva farle del male.

Poi aveva commesso l’errore di alzare lo sguardo verso il viso di quel bellissimo uomo a cui era avvinghiata. Le punte dei suoi capelli svolazzavano per lo spostamento d’aria provocato dal crollo ma lui era irragionevolmente tranquillo... o almeno così le era sembrato finché non aveva visto quegli occhi color ametista che la fissavano con desiderio e potere incontrollato.

Quella scena le aveva ricordato la prima volta in cui aveva visto quella bellezza inquietante... nella caverna, la stessa notte in cui le era apparso il simbolo sul palmo della mano.

Aveva guardato le sue labbra sensuali e il respiro aveva iniziato ad accelerare. Rendendosi conto di desiderarlo, aveva fatto un passo indietro in segno di rifiuto. Syn aveva abbassato le braccia nello stesso istante... i suoi occhi erano diventati cupi e meditabondi, quasi pericolosi, e lei aveva represso un brivido.

Destandosi dai ricordi, Angelica si guardò il palmo della mano, non era cambiato niente dal loro primo incontro... il simbolo era ancora lì in ogni suo minimo dettaglio. Ce l’aveva da un po’, ormai. Sussultò tra sé quando si rese conto di non aver mai cercato di rimuoverlo davvero.

Syn aveva detto di averglielo dato per la sua protezione e, per qualche strana ragione, lei gli aveva creduto. Quand’è che aveva iniziato a fidarsi così ciecamente di lui?

In passato avrebbe dubitato di ogni movimento e di ogni motivazione di una creatura potente come lui. Tuttavia, nelle ultime due settimane, la sua natura sospettosa aveva ceduto il passo alla curiosità e al calore che Syn riusciva ad alimentare dentro di lei.

I membri del PIT la descrivevano come una tipa solitaria che non era interessata ad avere amici. Era così che voleva che la vedessero tutti... in questo modo avrebbero mantenuto le distanze. Da quando Syn era comparso nella sua vita, i suoi sentimenti erano rimasti esposti. Stava diventando ossessionata da lui tanto quanto lui sembrava ossessionato da lei, e voleva che la smettesse... o no? Al solo pensiero, il dolore al petto sembrò espandersi.

«Benvenuta nella terra della confusione, esemplare uno.» esclamò nel silenzio della stanza, poi fece una smorfia per quanto si sentiva patetica. Lei era più forte.

Guardò di nuovo il marchio, chiedendosi se non fosse la causa di quegli strani sentimenti che stava provando per Syn... più o meno come accadeva con l’incantesimo di un vampiro. Dopotutto... lui era il progenitore della loro razza, no? Doveva smetterla di sottovalutare quel piccolo dettaglio pericoloso. Syn aveva già ammesso che non gliene fregava niente della guerra con i demoni... quindi perché era venuto a distrarla? Perché aiutava soltanto lei?

«È iniziato tutto con te.» disse Angelica accusando il simbolo.

Vi mise sopra l’altra mano con l’intenzione di fare come faceva con tutti gli altri marchi demoniaci che aveva rimosso finora.

Lo sfiorò con l’indice, cercando un minimo accenno di malvagità da cui iniziare la sua ricerca. Non sentendo intenzioni malevole nascoste, si accigliò. Concentrandosi di più su quel simbolo complesso, si morse il labbro inferiore mentre iniziava a scendere in profondità, finché non riuscì a superare finalmente la potente barriera.

Rimase a bocca aperta e inspirò bruscamente per le sensazioni che la pervasero all’improvviso. Si sentì stordita per un attimo, poi sentì il sigillo tirare con forza quando fu toccato dal suo potere. L’azione la sorprese così tanto da mandarla nel panico e farle richiamare il suo potere, dopodiché Angelica sentì la magia del simbolo circondarla e sfiorarle la pelle prima di tornarsene da dov’era venuta.

Se non lo avesse saputo, avrebbe giurato che quel dannato marchio aveva voluto assaggiarla.

Syn apparve silenziosamente dietro di lei dopo averla sentita manomettere il legame che le permetteva di accedere al suo potere per protezione. Aveva pensato di lasciarla in pace per un po’, in modo da riacquisire la calma dopo il suo ennesimo rifiuto. Tuttavia Angelica, violando il sigillo sul proprio palmo, lo aveva chiamato inconsapevolmente per assistere all’inutile tentativo di spezzare il loro legame.

Ciò fece riemergere la sua rabbia... era ansiosa di liberarsi di lui solo per poter smettere di mentire a se stessa? Dopo averla cercata per millenni, e dopo averla finalmente trovata, non le avrebbe permesso di spezzare neanche il legame più sottile che era riuscito a ristabilire con lei.

«Vigliacca.» si disse Angelica per quella reazione, e aprì la mano per riprovarci. Fece un respiro profondo quando il sigillo iniziò a brillare all’istante con più energia.

«Perché non provi a sfogare la tua frustrazione su chi te l’ha provocata?» le chiese Syn.

Angelica sussultò per la sua vicinanza e si voltò per lanciargli un’occhiataccia. Era difficile sostenere il suo sguardo quando lui sembrava più infuriato di lei.

Prima che Angelica si accorgesse delle sue intenzioni, Syn la afferrò per la vita e la strinse a sé. Lei gli premette il palmo sul petto per mantenere una parvenza di distanza. Davvero, se Syn stava cercando di farla impazzire c’era quasi riuscito.

«Hai ragione, dovrei prendermela con te.» gli disse apertamente, poi si scostò, sorpresa che lui la lasciasse andare così facilmente da farle quasi perdere l’equilibrio. Angelica strinse i denti, cercando di soffocare la strana delusione per quel gesto.

Stringendo la mano marchiata, disse la prima cosa che le venne in mente: «Che diavolo mi hai fatto?».

«Ti faccio paura?» le chiese Syn, appoggiandosi ad un palo del letto con le braccia incrociate sul petto.

Angelica fu presa alla sprovvista da quella domanda e si accigliò vedendo le sue braccia incrociate, poi alzò lo sguardo verso i suoi luminosi occhi color ametista. Brillavano di rabbia, poteva giurarci, eppure sembrava così calmo e sereno.

«Io non ho paura di te.» gli disse coraggiosamente, poi fece un passo indietro quando lui si scostò dal letto e le si avvicinò.

«Io non ti ho fatto niente di male.» si difese Syn con un ringhio soffocato a stento, sapendo che avevano già affrontato quella situazione. In passato, Angelica lo aveva combattuto fino allo sfinimento prima di ammettere la sconfitta, e lui non voleva che la storia si ripetesse. Sussultò mentalmente al ricordo di com’era finita quella storia. «Tu sei l’unica ragione per cui sono qui.».

Angelica scosse la testa, non voleva essere la ragione di nessuno, non voleva quella responsabilità. Aveva alzato così tanti muri attorno a sé che l’unica persona ad averli quasi sfondati era stata Zachary. O meglio, ad essere onesti, era stato il suo alter ego Zach. In quel momento si rattristò perché le mancavano i suoi consigli non richiesti e la sua amicizia.

 

Syn restrinse lo sguardo sentendola rimpiangere il rapporto che aveva con la Fenice. Era un peccato che Angelica avesse dimenticato che lui era un uomo possessivo e non la condivideva volentieri con gli altri. Aveva già ucciso altre volte per tenerla legata a sé e lo avrebbe fatto di nuovo senza esitare.

Tenne a freno il proprio potere che si era impennato a quel ricordo, e si rese conto che aveva raggiunto quasi il limite. Come aveva fatto a diventare così impaziente?

«Tu non sei venuto qui per me.» disse lei accigliata, facendogli notare ciò che le sembrava ovvio. «Sei venuto perché i tuoi figli sono qui, e potrei aggiungere che sembrano tuoi coetanei... più fratelli che figli. E poi sei rimasto per aiutare Storm a combattere i demoni.». La sua voce tentennò quando finì con la schiena al muro e lui la bloccò tra le proprie braccia... intrappolandola contro la parete dipinta del castello.

«È la mia compagna che sta aiutando Storm... non io.» ringhiò Syn. «Io sono qui soltanto per impedirle di farsi uccidere di nuovo!».

«Io non sono mai stata uccisa!» sbottò Angelica, poi sussultò quando il muro s’incrinò, provocando crepe frastagliate che s’insinuarono nella roccia all’altezza della sua testa e delle sue spalle.

«Basta.» gli sussurrò, respirando a malapena.

C’era qualcosa di sbagliato in lui ma, invece di spaventarla, le stava improvvisamente spezzando il cuore. Calmò il proprio respiro, voleva essere cauta perché sentiva che, altrimenti, il potente uomo che aveva davanti sarebbe esploso e quello sarebbe stato l’inizio della sua paura più grande.

«Ti tengo io finché non mi calmo.» la avvertì Syn mentre si chinava in avanti e la strinse a sé.

Quando lei non oppose resistenza, Syn sentì svanire una parte del proprio dolore travolgente. Forse Angelica non ricordava la sua morte, ma per lui era un ricordo che continuava a cercare di tenere sepolto in profondità... per la propria sanità mentale. Continuando a tenerla stretta, s’inginocchiò a terra portandola giù con sé. Le passò una mano tremante tra i capelli e le fece appoggiare il viso su una spalla, posandole le labbra su una tempia.

Angelica rimase sorpresa quando lo sentì tremare e respirarle affannosamente all’orecchio. Era come se stesse combattendo contro qualcosa che lei non poteva vedere. Vedendolo come un motivo per arrendersi momentaneamente, si rilassò e si lasciò abbracciare. Era sbalordita da quanto si sentisse improvvisamente al caldo e protetta tra le sue braccia. Syn era così grande e forte, eppure lei percepiva il suo controllo mentre la stringeva.

Trovando il coraggio di soddisfare la propria curiosità, iniziò a parlargli con voce pacata: «Io non capisco cosa ho fatto per attirare la tua attenzione.».

«Già... e non lo capiresti.» concordò Syn, poi le baciò i capelli prima di poggiarvi la guancia.

Una parte di sé non voleva ricordarle il loro brutto passato... non voleva vedere l’odio nei suoi occhi per ciò che aveva fatto. Non se non aveva intenzione di chiederle perdono. Avevano meritato di morire... tutti.

«Non sei di grande aiuto.» aggiunse Angelica, sentendosi leggermente esausta per tutta l’adrenalina che aveva provato nelle ultime ore.

Non gli aveva mentito... non aveva paura di lui, davvero. Lo aveva visto quasi morire per riportare in vita tanti bambini uccisi. Come poteva avere paura di lui se non poteva fare nient’altro per impedire a se stessa di cercarlo? Doveva trovare un modo per allontanarsi definitivamente da lui.

«Tu sei crudele con me, Angelica.» sussurrò Syn dopo aver ascoltato i suoi pensieri più profondi. «Se continui a tenere la tua anima sotto chiave... vedrai quanto mi hai reso crudele.».

Angelica sentì la paura aumentare a quelle parole e tentò invano di allontanarsi da lui. Aveva intenzione di prendere la sua anima come aveva fatto con tanti altri umani? Era quella la vera ragione per cui la stava perseguitando?

«Tu non hai alcun diritto sulla mia anima e non ne avrai mai.» insistette lei mentre l’istinto di fuggire o restare a combattere la assaliva, facendola dimenare.

«Ah no?» ringhiò Syn, sentendo che stava perdendo il controllo. «Devo distruggere un altro mondo per dimostrartelo?».

Angelica spalancò gli occhi e si fermò. Che cosa voleva dire con “distruggere un altro mondo”? Decise di non chiederglielo... andiamo, chi diavolo avrebbe voluto saperlo? Si sentì sopraffare da una paura indesiderata anche dopo aver ricacciato quelle domande scomode nel profondo della propria mente.

Syn sentì il suo respiro veloce che gli solleticava il collo e, sebbene avesse un effetto calmante, gli stava anche scaldando il sangue e non era una buona cosa per il suo autocontrollo. Questo mondo lo aveva tenuto lontano abbastanza a lungo. Strinse la presa su di lei e le fece da scudo quando le lampadine del bellissimo lampadario al centro della stanza scoppiarono, emanando diverse scintille prima di spegnersi.

Angelica fece per guardare verso il soffitto ma lui non le permise di muovere la testa, perciò rimase dov’era chiedendosi cosa fare. Era l’alba e la stanza era leggermente ombreggiata, invece che completamente buia.

«Stiamo litigando?» gli chiese sussurrando perché, in quel caso, sapeva già che avrebbe perso.

«No.» ringhiò lui, poi fissò lo specchio ovale della toeletta quando si ruppe con un forte schiocco.

«Allora che ne pensi di dirmi qual è il problema, prima di distruggermi di nuovo la stanza?» sbottò Angelica senza riuscire a trattenersi.

Syn si bloccò sentendola dire “di nuovo”. Finalmente iniziava a ricordare cose che non erano accadute in questa vita, o meglio, in questo mondo? La sua anima era abbastanza forte da far tremare la gabbia della sua prigione mortale? Strinse delicatamente le dita che teneva intrecciate tra i suoi capelli e si scostò, guardandola negli occhi in cerca della verità.

«Di nuovo?» le chiese, con una voce che risuonò tormentata anche alle sue stesse orecchie.

«Cosa?» chiese Angelica confusa. Accidenti... non riusciva a stargli dietro. Era davvero estenuante.

«Mi hai chiesto di dirti qual è il problema prima che io distrugga la tua stanza... di nuovo.» le disse, soffermandosi sulle ultime due parole.

«Ah sì?» mormorò Angelica, sentendo dei brividi gelidi lungo le braccia. Fece per negare ma aveva davvero detto “di nuovo” e non poteva rimangiarselo perché, all’improvviso, sentiva che quella era la verità.

Syn lasciò andare la frustrazione e sulle labbra gli affiorò un sorriso lento e perfido. Aveva distrutto la sua camera da letto più di una volta e, anche se non sapeva quale ricordo stesse cercando di farsi strada in lei, non gli importava più. Lo aspettava con ansia, buono o cattivo che fosse, insieme alla discussione che ne sarebbe scaturita.

L’anima di Angelica era il suo io interiore e lo aveva già perdonato... era tutto il resto a dover essere costretto alla resa.

Vedendolo sorridere per la sua confusione, Angelica si scostò da Syn, contenta che le avesse liberato i capelli prima che si facesse male.

«D’accordo, ti piace riarredare le camere da letto nel tempo libero... fai come vuoi. Ma se non te ne vai e mi lasci riposare, ti riarredo io.» gli disse, poi si accigliò quando Syn sparì all’istante, lasciando riecheggiasse una risata nella stanza.

Angelica rimase ad ascoltare finché la risata svanì. Non ricordava di averlo mai sentito ridere così... né di averlo mai visto sorridere davvero. E allora perché quel suono le faceva male al petto come se avesse ritrovato e perso contemporaneamente qualcosa che le stava a cuore?

Sentendosi esausta, si trascinò fino al letto e si arrampicò sul materasso, sforzandosi di ignorare la sensazione di cadere all’indietro. Colse di sfuggita il suo sorriso... lo stesso che aveva appena detto di non aver mai visto. Quella visione fugace la portò a desiderare di vedere altro.

Chiudendo gli occhi per la stanchezza, si arrese e si lasciò andare a ciò che la stava tormentando inesorabilmente.

Syn riapparve sul tetto del castello. Aveva notato un lieve accenno di ametista brillarle negli occhi e aveva deciso di non disturbare la sua ricerca interiore. L’aveva già vista cambiare il colore delle iridi altre volte, ma accadeva solo quando usava i suoi poteri. A quanto pare, quella era stata l’unica volta in cui lei era riuscita a sentire la potente anima che teneva imprigionata in profondità dentro di sé.

Syn capiva perché Angelica proteggeva inconsciamente la propria anima da un mondo in cui la vita e la morte si susseguivano in un batter d’occhio. Era puro istinto, ma quella paura non aveva più senso. Nell’istante in cui era stato evocato in quella grotta buia... le aveva inviato il proprio potere sotto forma di marchio sul suo palmo. In seguito aveva rinforzato quel potere infondendo in lei la propria forza vitale... anche se Angelica ignorava il significato di tale gesto.

Adesso lei aveva poteri che non sapeva neanche di avere e lui non l’aveva aiutata a scoprirli per ragioni puramente egoistiche. Era già fin troppo indipendente, per i suoi gusti. Anche se il tempo non era più suo nemico e la maggior parte delle ferite guariva in fretta, Angelica era ancora in pericolo per colpa dei potenti immortali che avevano dichiarato guerra a quella città.

C’era un’altra cosa che poteva fare per lei per pareggiare le probabilità, ma stava cercando di essere paziente, sapeva che lei non era ancora pronta ad affrontare gli effetti collaterali che sarebbero derivati dal mescolare il loro sangue. Lui aveva già commesso quell’errore. Non era come per i loro figli quando davano il proprio sangue alle loro anime gemelle.

Abbassò lo sguardo sul tetto, sentendo il silenzio che proveniva dalla stanza sottostante. E poi, se l’avesse morsa adesso, Angelica l’avrebbe vista come una prova di ciò che credeva che lui fosse in realtà... un mostro.

Essere gentile la stava mettendo in pericolo e non ci sarebbe voluto ancora molto per essere tentato a diventare il mostro di cui lei aveva bisogno. Dopotutto... aveva già interpretato quel ruolo.

Capitolo 5

Kriss se ne stava avanti all’enorme vetrata dell’attico, con una bottiglia di “Heat” in una mano e un grosso calice nell’altra. Voleva ubriacarsi ma il suo metabolismo fastidiosamente veloce non gli permetteva di sentirsi libero come voleva, se non per pochi istanti ogni volta.

Frustrato, strinse la bottiglia e la ruppe involontariamente mentre ricordava il viso di Vincent dopo innumerevoli anni dall’ultima volta. Certo, Vincent non avrebbe ricordato quell’incontro perché Storm aveva cambiato il corso del tempo... ma lui non avrebbe mai dimenticato quello sguardo di odio che l’uomo gli aveva rivolto.

Rifiutando quell’odio, ripensò ai ricordi della propria infanzia, quando Vincent provava l’esatto opposto per lui.

Non era arrivato in questo mondo da molto tempo quando Dean se n’era andato per fermare un’orda di demoni diretti verso di loro. Lo aveva aspettato da solo, nascosto tra le enormi rocce ai piedi di una scogliera, eseguendo il suo severo ordine di starsene buono e nascosto, perché quel posto era sicuro.

Dean aveva avuto ragione quasi su tutto. Per giorni Kriss non aveva visto né animali, né umani, né demoni. Era la prima volta in vita sua che rimaneva da solo. Il silenzio che lo circondava stava solo alimentando la sensazione di abbandono e paura mentre aspettava. Gli mancava l’amore ricevuto nel suo mondo natio... e il calore e la sicurezza che Dean gli aveva dato in quest’altro mondo.

Una notte aveva sentito il rumore di ciottoli che rotolavano giù lungo il pendio. Si era sporto fuori e aveva guardato verso la sommità della scogliera, che la luce della luna crescente illuminava a malapena... aveva visto le sagome di diversi demoni che strisciavano giù verso di lui.

La sua attenzione era stata catturata dai loro occhi rossi che brillavano mentre lo guardavano, e dai loro corpi quasi umani che si contorcevano in modo orribile mentre scendevano. Osservandoli meglio, aveva notato che la loro carne sembrava bruciata e dilaniata, come se fossero scampati ad un incendio invisibile. Si sentiva il tanfo della carne bruciata mentre si avvicinavano.

Kriss era talmente spaventato che, indietreggiando, era finito contro una grossa roccia ed era caduto dall’altra parte, atterrando su un mucchio di pietre appuntite che sporgevano dal terreno. Realizzando di essere stato trafitto in più punti, si era sforzato per alzarsi senza procurarsi ulteriori ferite.

 

Nel momento in cui l’odore del suo sangue si era sprigionato nell’aria, aveva iniziato a sentire gli artigli affilati dei demoni che graffiavano le rocce più in fretta in una discesa frenetica, poi aveva udito dei tonfi sordi, segno che alcuni di essi stavano saltando per fare prima.

Il silenzio era svanito, ormai... le loro grida inquietanti riecheggiavano tra le rocce, facendoli sembrare più numerosi di quanti fossero davvero.

Scivolando tra le rocce per scappare, aveva finito per strapparsi i vestiti e ferirsi prima di poter toccare terra e mettersi in piedi.

Girando su se stesso, si era reso conto che era troppo tardi per fuggire o nascondersi... era circondato da demoni molto più grandi di lui, che era soltanto un bambino.

Era rimasto immobile mentre lunghi artigli erano spuntati da dietro e lo avevano afferrato per il viso. Si sentiva graffiare il naso e le guance mentre veniva trascinato via, per poi essere sollevato in aria all’improvviso come se il demone volesse mostrarlo agli altri.

Non aveva mai dovuto combattere nel suo mondo e Dean non gli aveva mai permesso di farlo qui. Per un attimo si era chiesto se farsi divorare non sarebbe stato meglio che rimanere da solo in quel posto spaventoso. Quel pensiero era svanito subito nell’istante in cui il dolore lo aveva destato dallo shock, risvegliando il suo istinto di sopravvivenza.

Con le lacrime che gli offuscavano la vista, Kriss aveva vinto per un soffio la sua prima battaglia contro la morte. Il silenzio era tornato e lui aveva guardato quello che aveva in mano, appena in tempo per vedere la Spada dei Caduti svanire nel proprio palmo insanguinato.

Sentendo qualcosa di pesante nell’altra mano, si era girato lentamente e aveva visto un paio di occhi demoniaci che fissavano il vuoto. La mano era infilata nella bocca di quell’essere e gli stringeva la mascella... chissà dov’era finito il resto del corpo. Si era graffiato accidentalmente le nocche contro quei denti aguzzi mentre estraeva subito la mano e lasciava cadere la testa a terra.

Kriss non aveva provato nulla nel vederla rotolare via e bloccarsi contro una roccia che aveva perforato un occhio. Gli era sembrato di sentire una risata ma poi aveva concluso che doveva averla immaginata perché era circondato soltanto dalla morte.

Incapace di sopportare il tanfo di putrefazione e la vista di quei corpi mutilati, si era voltato e si era incamminato verso le strie di luce che stavano spuntando dalle colline in lontananza.

Kriss non sapeva per quanto tempo avesse camminato né quanti giorni fossero passati, prima di sentire uno strano rumore ritmico davanti a lui. Era rimasto lì barcollando e cercando di non piangere, in attesa di vedere se avrebbe dovuto combattere di nuovo. Sangue demoniaco... poteva sentirne l’odore.

Poco dopo, aveva visto un uomo che cavalcava un animale e si dirigeva verso di lui. Alcune parti del suo corpo erano coperte da una specie di metallo intrecciato e Kriss aveva notato la lunga spada che aveva dietro la schiena... con l’elsa a portata di mano. Non vedendolo sanguinare, si rese conto di essere lui stesso ad avere addosso l’odore del sangue demoniaco... fin dall’inizio.

Quello era stato il suo primo incontro con Vincent. Si erano guardati a vicenda mentre lui gli si avvicinava e Kriss si era allontanato quando lo aveva visto scendere dal dorso del grosso animale. Il suo sguardo spaventato si era posato su quella spada dall’aria pericolosa.

“Non fidarti di nessun altro tranne me.” il ricordo della voce di Dean gli riecheggiava nella testa come un avvertimento, facendolo voltare per fuggire.

«Aspetta... non andartene.» aveva gridato Vincent.

Il tono della sua voce gli aveva ricordato Dean, mandandolo in confusione su ciò che avrebbe dovuto fare. Era stanco di cercare di capire tutto. Si era voltato per assicurarsi che l’uomo non avesse estratto la spada mentre lui era distratto.

Vincent aveva sospirato di sollievo quando il bambino si era fermato e si era voltato a guardarlo con un misto di curiosità e diffidenza. Gli ultimi due villaggi in cui era stato erano un lago di sangue, non aveva trovato alcun sopravvissuto. Anche se sporco e coperto di sangue, il bambino sembrava stare bene ed era molto spaventato; ciò lo aveva portato a credere che fosse davvero un sopravvissuto.

«Dove sono i tuoi genitori?» gli aveva chiesto preoccupato, nella speranza di conquistare la sua fiducia.

Dov’erano i suoi genitori... quella domanda lo aveva rattristato profondamente. Suo padre non viveva neanche in questa dimensione e, probabilmente, lo aveva dimenticato ormai... e Dean se n’era andato senza tornare. Kriss sentiva il calore delle lacrime sulle guance. L’unica risposta che era riuscito a dargli era stato un lento cenno con la testa mentre si voltava verso di lui.

«Sei ferito?» gli aveva chiesto Vincent inginocchiandosi davanti a lui, per non intimidirlo con la propria statura... quel bambino non doveva avere più di nove o dieci anni. Aveva allungato lentamente una mano e gli aveva sfiorato una guancia impolverata, strofinando il pollice per asciugargli le lacrime.

Kriss aveva immaginato cosa stesse pensando quell’umano nel vederlo coperto di sangue e con indosso abiti ridotti a brandelli. Poiché quasi tutte le ferite erano già guarite, e sapendo che era meglio non rivelare a un umano cos’era successo realmente, aveva risposto con l’unica altra cosa vera: «Sono da solo, adesso.». Poi aveva iniziato a piangere per davvero; le sue grida miste a singhiozzi avevano portato Vincent a prenderlo tra le braccia... sussurrandogli che adesso andava tutto bene e che lo avrebbe protetto lui. E Vincent lo aveva protetto davvero... fino a sacrificare la propria vita.

Il dolore del vetro conficcato nel palmo riportò Kriss al presente. Aprì il pugno e vide un frammento che sporgeva.

Era quella la scena che Dean si trovò davanti quando uscì dal bagno dopo la doccia. Si accigliò vedendo Kriss che si estraeva un frammento di vetro dalla mano. Sbattendo la porta, lo fece sussultare e i loro sguardi s’incrociarono attraverso il riflesso della finestra. Non era dell’umore adatto per vedere il suo compagno che piangeva di nuovo per una cotta infantile. Una volta era stata più che sufficiente.

Kriss fece un respiro profondo, cercando di alleviare il dolore al petto. «Non avrei mai pensato di rivederlo, Dean. Una parte di me sperava davvero che, a quest’ora, mi avesse perdonato ormai. Io volevo solo salvargli la vita.».

«Era un mortale, Kriss. Tu hai fatto ben altro che salvargli la vita e lo sai.» ribatté Dean freddamente. «Per colpa tua rivive il dolore della morte e resuscita per lamentarsene, in eterno. La mente degli umani non può sopportare così tanto. Ecco perché la loro vita è fatta per essere breve.».

«Lo so.» ringhiò Kriss, «Non fai altro che ricordarmelo. Ho preso una decisione egoistica ma ero da solo in un mondo in cui i demoni vagavano in libertà, e pensavo che tu non saresti più tornato. Eri sparito da troppo tempo, temevo che i demoni ti avessero ucciso... non volevo perdere anche lui.».

Dean sospirò e cercò di tenere la rabbia sotto controllo. «Se mi fosse successo qualcosa, lo avresti capito all’istante, perciò la tua paura era infondata.».

«Ero solo un bambino, Dean.» ribatté Kriss. «Volevo soltanto che qualcuno si prendesse cura di me e mi permettesse di ricambiare.».

«Che anima fragile.» lo schernì Dean, ben consapevole che il suo principe adolescente si era innamorato del Cavaliere mentre lui era via. Quella questione era stata una pillola difficile da mandare giù, dopo averlo visto piangere per la perdita del suo amore. Serrò le mascelle, chiedendosi se Kriss sarebbe andato di nuovo in fissa con la sua cotta infantile.

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