Presidents

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Regina & Giuseppe De Facendis

Presidents

Titolo: Giuseppe De Facendis

Testo: Regina & Giuseppe De Facendis

© 2013 Regina & Giuseppe De FacendisTutti diritti riservatiE-ISBN 978-3-7375-3026-2

1

Mio padre, appena vedeva un politico in televisione, sbottava disgustato:

«Sono tutti bugiardi!»

Al che, o cambiava canale o spegneva la televisione.

Ora, per uno di quei fatti imponderabili della vita, sono entrato in politica e, sebbene lo sia da poco, di bugie non ne ho ancora dette, beh, insomma, tranne quelle innocue che fanno parte delle cosiddette relazioni sociali. Allora: se mio padre aveva ragione, dovrei essere anch’io un bugiardo, ma visto che non lo sono, aveva torto. Ne consegue quindi che non tutti i politici sono bugiardi! Questo ragionamento mi rassicurava, dal momento che ero in trepida attesa di un colloquio con il Presidente degli Stati Uniti, senza la pregiudiziale che fosse un sicuro bugiardo.

Mentre aspettavo di essere fatto accomodare nello studio ovale, mi lambiccavo il cervello per trovare una ragione per la quale ero stato convocato (sicuramente un grande onore), ma per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovarne alcuna. A trentatré anni, appena compiuti, ero uno dei più giovani deputati eletti, ma tutto finiva li. Inoltre, essendo a Washington da appena sette mesi, non avevo ancora avuto modo, nemmeno se lo avessi voluto, di allacciare relazioni politiche tali da giustificare l’interesse del Presidente nei miei riguardi. Comunque fosse, ora ero alla Casa Bianca in procinto di essere introdotto al cospetto della persona più potente del pianeta. Dopo minuti che mi parvero un’eternità, squillò un citofono, la segretaria rimase in ascolto alcuni istanti, quindi si alzò e, raggiuntomi, mi pregò gentilmente di seguirla: il Presidente desiderava vedermi!

Superata la pesante porta bianca, mi trovai d’innanzi al primo cittadino degli Stati Uniti!

Il Presidente, seduto alla scrivania, alzò lo sguardo verso di me facendomi cenno con la mano di accomodarmi. Era un omone… due metri e dieci per circa centocinquanta chili di peso, al suo confronto, nonostante il mio metro e ottantacinque e un fisico abbastanza atletico, mi sentivo un nanerottolo. Ma c’era una cosa che mi colpiva ancora di più, infatti, ogni volta che lo avevo visto, sia in TV sia a qualche convegno, mi ero sempre meravigliato per le dimensioni della sua testa che a me sembrava enorme e ora, che me lo trovavo davanti a non più di due metri, questa impressione era ancora più accentuata.

«Si accomodi, signor Endis! Un caffè?»

Il testone fu attraversato da una lunga fessura, immaginai l’equivalente di un sorriso, e per un attimo ebbi l’impressione di trovarmi di fronte ad uno di quei cagnoloni … (un terranova?) insomma, uno di quelli talmente simpatici che ti vien voglia di abbracciarlo per poi ritrovarti coperto di bava.

«Grazie…no, Signor Presidente...» declinai gentilmente l'invito, anche se per un attimo ebbi la tentazione di dire di sì solo per il piacere di essere servito dal Presidente in persona.

«... ma ho già assunto la mia razione giornaliera di caffeina, Signore!»

«Come desidera, signor Endis. Allora entriamo subito in merito alla questione per la quale l’ho voluta vedere.»

Così dicendo si alzò e, prima che potessi alzarmi a mia volta, poggiò le grosse natiche sul piano della scrivania dando così alla conversazione un tono più rilassato e quasi amichevole.

«Ecco...» mi dissi «… queste sono le cose che devi imparare!»

Infatti, con quel semplice gesto aveva tolto quasi ogni ufficialità alla situazione del momento mantenendo allo stesso tempo una posizione dominante. Provai un senso di sincera simpatia per quest’uomo e per il suo testone.

«Mi dica, Signor Presidente.»

«Allora… il suo nome mi è stato fatto presente dal senatore Henry. Sì, lo stesso che l’ha fatta eleggere deputato; sembra che lei sia un genio sia come analista sia come esperto di reti informatiche.»

Piccola pausa per permettermi di manifestare tutta la mia modestia. Ne approfittai subito.

«Ringrazio il senatore Henry per aver detto questo di me… ma ci sono molti altri, altrettanto, se non più bravi, Signor Presidente.»

Mi agitai leggermente a disagio sulla sedia. Devo ammettere che in quel momento ero abbastanza imbarazzato, non tanto per il genio, che condividevo, ma quanto per il fatto che dopo tante lodi viene, in genere, la fregatura.

«He he he... signor Endis ... apprezzo la sua modestia.» Occhiatina nella mia direzione come di approvazione.

«Intanto mi lasci dire cosa vorrei lei facesse per me. Poi, se lo ritiene opportuno, potrà sempre declinare l’incarico. Ok?»

«Ok, Signor Presidente.»

Con calma, come per riflettere bene sulle parole da usare, il Presidente si alzò dal piano della scrivania e tornò ad accomodarsi nella sua poltrona quindi mi fisso direttamente negli occhi. Il messaggio era chiaro: ritorno nella piena ufficialità!

Istintivamente irrigidii il busto come a mettermi sull’attenti pur restando seduto: messaggio ricevuto. Ancora una pausa, ancora occhi fissi nei miei, poi la fessura cominciò a muoversi.

«Allora… fra poco meno di un anno, come lei sicuramente saprà, ci sarà la festa della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America ed io, invece delle classiche e ormai scontate celebrazioni, avrei in mente un qualcosa di particolare, qualcosa di meno rituale e, se vogliamo, anche un po’ divertente.»

Altra occhiata scrutatrice.

«Prima che io continui però, deve giurarmi che, sia accetti o meno l’incarico che sto per offrirle, quello che le dirò resterà assolutamente riservato fino a quella data. D’accordo?» M’irrigidii ancora di più.

«Lo giuro, Signor Presidente. Può contare sul mio più assoluto riserbo.»

Il Presidente con un sorriso di approvazione si fece sprofondare nella comoda poltrona accavallando una gamba sull’altra. Poi, improvvisamente, con uno scatto, si alzò e cominciò a camminare su e giù per lo studio dopo avermi fatto cenno con la mano di rimanere seduto. Quindi girò il testone verso di me fissandomi con espressione da bambino birichino.

«Lo sa, signor Endis, io sono un gran burlone.»

«Scusi, Signor Presidente, forse non ho capito bene!»

Certo che il testone era una sorpresa continua… e mi era anche sempre più simpatico.

«Mi dica: sa quanti presidenti si sono succeduti nel corso dei duecentoventicinque anni della nostra storia?»

«Sì Signore… quarantacinque con lei.»

«Bravo! E ora riesce anche a nominarli? Lasciamo stare: sono sicuro di sì.»

Inutile dire che non capivo dove volesse andare a parare ed ero anche certo che lui si stesse divertendo un mondo per questo.

Qualche punto però lo aveva perso nella mia simpatia.

«E le facce? Sì, i volti… se li ricorda? Tutti?»

«Certo che no!» proseguì senza darmi il tempo di rispondere.

«Credo nessuno se li ricordi, tutti uguali, tutti immortalati, tranne qualcuno, in posizioni ufficiali come tanti manichini in una vetrina… e chi vuole si ricordi di un manichino!»

Mentre guardavo stupito il suo faccione sorridente proteso verso di me pensai che fosse impazzito. Chissà, forse con un morso di quella bocca enorme mi avrebbe staccato la testa di netto. M’immaginavo già i titoloni: giovane deputato dell’Ohio decapitato dal Presidente impazzito.

«Lo so cosa sta pensando… no, non sono impazzito, si rilassi. Voglio solo organizzare, per il giorno dell’indipendenza, una mostra fotografica che rappresenti tutti i quarantacinque presidenti degli Stati Uniti.»

Tirai un sospiro di sollievo … ora era tutto chiaro. Solo una cosa ancora mi sfuggiva: cosa c’entravo io con una mostra fotografica?

Come mi avesse letto nel pensiero, proseguì fissandomi con un sorriso strano.

«E qui viene fuori il mio carattere burlone. Non sarà una mostra convenzionale! Il suo compito, come analista, sarà quello di visionare tutte le fotografie di tutti i presidenti che abbiamo nei nostri archivi, ma, e dico ma, dovrà scegliere tutte quelle e solo quelle che sono fuori dal comune, irrituali, strane, anche imbarazzanti se vogliamo, ma che mostrino il lato umano dei presidenti che ha avuto la nostra grande nazione. Non delle statue di cera. Spero di essere stato abbastanza chiaro, signor Endis.»

Mi gratificò di un’altra occhiata inquisitrice quindi con passi decisi ritornò ad accomodarsi sulla poltrona, prese alcune carte dal piano della scrivania e cominciò a esaminarle attentamente come se non avesse fatto altro per tutto il tempo. Quindi, senza nemmeno degnarmi di un’occhiata, concluse:

«Sempre che decida di assumere l’incarico... ovviamente.» Quell’ovviamente pronunciato in tal modo, aveva un ovvio significato: se non avessi accettato, sarei stato un deputato politicamente morto! Non mi restava altro che dire quello che dissi e cioè:

«Certo che accetto, Signor Presidente. Spero solo di riuscire a fare tutto come lei desidera.»

La fessura sul testone riuscì questa volta a mostrare quasi tutti i denti presenti al suo interno, con gesto soddisfatto appoggiò le carte, si alzò e venne a stringermi la mano con enfasi.

Era evidente che ci teneva in modo particolare a questa cosa…mah!

«Non ne dubitavo, signor Endis. Anzi, mi dica, qual è il suo nome?»

Ero certo che conoscesse il mio nome, ma il chiedermelo era un modo per rendere la nostra conoscenza un po' più personale.

«John, Signor Presidente.»

«Perfetto, John. Allora, benvenuto a bordo, d’ora in poi lei farà parte del mio staff, ciò significa che dovrà rispondere solo a me del suo operato e a nessun altro. Chiaro?»

 

«Chiarissimo, Signor Presidente.»

«Bene… ah, un’altra cosa! Come esperto di reti deve installarne una, alla quale solo io possa accedere... e direttamente da qui. In questa rete memorizzerà tutte le fotografie che sceglierà. E si ricordi, tutte le più strane. E per strane intendo anche quelle che sembrano ancora più strane.» Altra occhiata birichina.

«Siamo d’accordo?»

Ora fu la mia volta di esibire un sorriso birichino.

«D’accordissimo, Signor Presidente!»

Beh… forse questa volta non c’era la fregatura e, chissà, magari sarebbe stato anche divertente, per non parlare del fatto che essere direttamente al servizio del Presidente mi conferiva una certa importanza. Sì… era proprio un simpaticone!

Intanto il Presidente mi aveva preso sottobraccio accompagnandomi verso la porta. Chiaro segno che il colloquio era terminato, e devo dire, sembrava con piena soddisfazione di entrambi.

Prima di aprirmi la porta l'omone guardandomi ancora una volta serio negli occhi ribadì nuovamente:

«E mi raccomando, la segretezza! Deve essere una sorpresa per tutti, nessuno escluso.»

«Stia tranquillo, Signor Presidente. Sarò una tomba!»

«Perfetto! Domani sarà messo in contatto con il generale Thomas. Il generale soddisferà tutte le sue richieste sia di materiale sia di organico per portare a termine il suo compito nel migliore dei modi. Se dovesse incontrare qualche difficoltà non esiti a rivolgersi a me direttamente, ma solo per questioni importanti. Intesi?»

«Intesi, Signor Presidente.»

«Bene, John, buon lavoro.»

«Arrivederci, Signor Presidente.»

E la pesante porta bianca si chiuse alle mie spalle.

Quando uscii dalla Casa Bianca, la mia euforia era alle stelle! Essere sotto il diretto controllo del Presidente, significava in pratica, essere quasi indipendente… Certo, il lavoro andava fatto alla perfezione, ma io mi fidavo delle mie capacità. Inoltre, il compito non mi sembrava particolarmente difficile da eseguire: di fotografie scattate per caso, oppure scartate perché non riuscite bene, ce ne saranno sicuramente a bizzeffe. Ne ero sicuro… avrei accontentato il Presidente! Non riuscii a trattenere un sorriso. Certo che l’idea era un po’ strampalata, ma del resto… non richiedeva grandi finanziamenti, solo alcuni computer, un numero di persone esiguo e… questo sì… molto molto tempo.

Rimasto solo, il Presidente, con passo svelto si avvicinò ad una parete della grande stanza. Fece un gesto lieve con la mano ed ecco che una paratia scorse rivelando quella che sembrava la cabina di un ascensore. L’uomo vi entrò e subito dopo la parete tornò a essere una semplice parete.

2

Era stata una settimana intensa. La stazione di lavoro era stata portata a termine sotto la mia guida e devo dire che i tecnici della Casa Bianca si erano mostrati molto competenti. Ormai restava da completare solo la parte software riguardante i codici di criptazione e si sarebbe potuto cominciare il lavoro. Guardai soddisfatto il terminale destinato alla sezione grafica, il monitor, tecnologia Oleg a tavolo e Multitouch, era quanto di meglio la ricerca militare, e non solo, potesse offrire. In commercio un aggeggino del genere lo avrebbero sicuramente visto fra qualche anno minimo, del resto, io stesso era la prima volta che ne potevo ammirare uno simile.

Sì… dovevo riconoscere che il Presidente aveva fatto le cose in grande a maggior dimostrazione di quanto ci tenesse a questo progetto.

Il progetto P, P per Presidents, così era stato denominato, occupava quello che durante la guerra fredda era stato il bunker antiatomico della Casa Bianca. Riadattato più e più volte nel corso degli anni offriva lo spazio necessario per i server di rete, la stazione grafica e in più, due grandi appartamenti dotati di tutti i comfort possibili e immaginabili. Volendo, avremmo potuto abitarci sia io sia il grafico fino a compimento del progetto, ovviamente l’accesso era precluso a chiunque, salvo mia previa autorizzazione. Il tutto era sotto la mia diretta responsabilità.

Le scansioni delle fotografie invece sarebbero state eseguite direttamente nell’archivio fotografico della Casa Bianca da uno staff di dieci persone munite di una batteria di scanner ultima generazione e rese immediatamente disponibili alla rete del progetto.

La rete era a se stante ed interfacciata solamente con lo studio ovale e protetta da un sistema di cripta tura da me compilato. Mancava ancora solo il grafico dato, che per motivi di sicurezza, il Presidente aveva deciso che si sarebbe trattata di una persona scelta da lui stesso all’ultimo momento. Pensando al grafico non riuscii a trattenere un sorriso, speravo solo che non fosse il solito rompiballe, tanti ne avevo conosciuti, con occhialoni all’Henry Potter e fumati tutto il giorno, poi mi venne in mente il testone del Presidente e scartai questa ipotesi: no, non era tipo da avvallare certi soggetti!

«Fantasticoooooo…»

O sì?! Non feci nemmeno in tempo a girarmi che una figura mi superò senza nemmeno degnarmi di uno sguardo per poi chinarsi davanti allo schermo… in adorazione. Solo una cosa potevo affermare con certezza: dal fondo schiena che esibiva, inguainato com’era in aderentissimi pantaloni di finta pelle rosa, non era certo un Henry Potter!

«Sei tu il capo?» non si era nemmeno girata a guardarmi.

«E non guardarmi il culo!» sempre senza girarsi!

«E non dirmi che non lo guardi, perché lo stai guardando!»

«Per forza che lo guardo… è l’unica cosa che posso vedere di te!»

Il mio tono era stizzito! Le sue mani smisero di accarezzare lo schermo e lentamente si rialzò girandosi verso di me. Forse sarebbe stato meglio che fosse rimasta sempre voltata di spalle, perché, se il fondo schiena era splendido, la parte anteriore era uno spettacolo: bionda, la pelle sembrava una cera lacca cinese, gli occhi di un azzurro intenso sembravano brillare di luce propria mentre la bocca era la perfezione in persona!

Credo che me ne innamorai subito, anche se non me ne resi conto. Riuscii a farfugliare.

«Immagino tu sia il grafico… ops… scusa la grafica?»

Piegò la testa da un lato guardandomi divertita, ma non cattiva.

«Scusa, hai ragione! Mi sarei dovuta presentare, ma quando vedo certe cose… » indicò con un gesto lieve della mano la stazione grafica «… beh… mi lascio prendere dall’entusiasmo! Comunque sì, sono io la grafica!» Poi tendendomi la mano aggiunse civettuola «Annie, Annie Windors, piacere.»

«Endis… » replicai stringendogliela deciso.

«John Endis... »

Quindi, cercando di assumere un’espressione il più possibile neutra ma allo stesso tempo simpatica… con una leggera vena d’ironia, il che non guasta mai, condita con uno sguardo di sexy intelligenza… aggiunsi con tono magnanimo:

«… e lasciamo stare il capo. Chiamami solo John!»

Invece di cadere fulminata ai miei piedi, si limito a emettere una breve risatina, quindi indicandosi il petto, e che petto, recitò:

«Io Annie e tu John, he he he.»

Ripensandoci, è stata una fortuna che nessuno ci abbia visto, avrebbe concluso che eravamo entrambi dei perfetti idioti! Un’idea improvvisa mi balenò nel cervello, guardai l’orologio.

«Senti Annie, sono le sette e mi è venuta una fame boia.

Conosco un posticino, nelle vicinanze, dove fanno una pizza fantastica. Che ne dici? Tanto per conoscerci meglio visto che nei prossimi mesi dovremo lavorare gomito a gomito.»

Non riuscii a decifrare la sua espressione ma dopo un attimo di riflessione corrucciò le labbra e strofinando il suo gomito contro il mio con espressione complice annunciò:

«Ok! Vada per il gomito a gomito!»

«Perfetto. Andiamo con la mia macchina poi ti riporto a prendere la tua.»

«No, non ce n’è bisogno… mi ha accompagnata un’amica. Devi solo portarmi a casa, se vuoi, altrimenti prenderò un taxi.»

Giunti al parcheggio fece proprio quello che speravo facesse:

rimase estasiata di fronte alla Ferrari Testarossa.

«È tua?» chiese, evidentemente sorpresa.

«Beh… poiché ho appena azionato il telecomando, direi proprio di sì.»

«Non ti facevo un tipo da Ferrari, voglio dire, sei solo un giovane deputato almeno così mi è stato detto.»

«Se è per questo, non l’ho certo pagata grazie allo stipendio da deputato!» precisai salendo in macchina. Lei fece altrettanto accompagnando il gesto con una breve risatina.

«Allora hai rapinato una banca? Dimmi di sì, ti prego!!! Non ho mai conosciuto un rapinatore di banche!»

Con una sgommata partii. Non so perché ma avevo la strana sensazione di essere preso un po’ in giro.

Con tono di larvata sufficienza chiesi.

«Cripta tura… sai cos’è?»

Altra risatina.

«Certo che lo so! Sono i geroglifici egizi. No… NON MI DIRE…! Hai trovato un tesoro traducendo delle vecchie pergamene? Fantastico!»

Ora avevo un dubbio, o mi prendeva in giro o era proprio cretina! Lasciamo stare mi dissi e rimasi in silenzio a guidare mentre lei non fece altro per tutto il tragitto che ammirare, entusiasta, ogni particolare degli interni della macchina. Il ristorante italiano era tutto tranne che un ristorante italiano, almeno così lo avrebbe giudicato un italiano!

Spaghetti scotti conditi con salse impossibili, che solo un americano avrebbe potuto ingurgitare apprezzandoli per di più, le pizze erano un’accozzaglia di ingredienti, tipo ananas, mango, banane ecc. Roba che in Italia, al solo presentarle, il cameriere avrebbe rischiato la vita… ma… era… alla… moda! Del resto era frequentato da americani non da italiani!

Però, però aveva un vantaggio: se eri conosciuto dal cuoco e ti piaceva la vera cucina italiana allora… beh… allora mangiavi da Dio!!!

Ed io avevo entrambi i requisiti! Fummo condotti da un cameriere estremamente ossequioso che si esprimeva in una lingua sconosciuta: un misto tra dialetto siciliano e slang, del resto nessuno si preoccupava di capirlo, a un tavolino appartato illuminato dalla fioca luce di una candela. Ma la cosa che più m’impressionò fu l’avanzata trionfale di Annie tra i tavoli! Non so quanti rischiarono di strozzarsi e quanti ricevettero calci negli stinchi dalle rispettive compagne non potendo trattenersi dall’ammirare a bocca aperta quella meraviglia della natura muovere con tanta disinvoltura e altrettanta grazia quegli improponibili pantaloni rosa.

Mi sentii, stupidamente, fiero… come fosse stata una cosa mia!

Un inno al testone per la scelta… grafica!

«Sei conosciuto qui, immagino.» chiese Annie una volta accomodati.

Con i gomiti sul tavolo, il mento appoggiato delicatamente sulle nocche delle dita e illuminata dalla tenue luce della candela, Annie era la bellezza fatta terrena!

«Ci vengo di tanto in tanto… diciamo!» confermai con espressione leggera «Vuoi impressionarmi, vero? » sembrava una domanda ma era una affermazione! Per un attimo mi sentii nudo come un verme.

Beh… forse così cretina non lo era!

«No, farti mangiar bene!» mentii spudoratamente. Che stessi diventando davvero un politico?! Poi, cercando di darmi un contegno, non so con quanto successo, aggiunsi:

«Ma ora parliamo di lavoro. Come mai sei stata scelta tu? Sì… lo so, è una domanda impertinente, ma non saprei in che altro modo formularla. Scusami.»

«Semplice, John. Sono la nipote del Presidente!»

«La nipote del testone?»

Ero così sorpreso che non prestai caso alle parole.

«Ha... ha... ha... »

La sua risata cristallina riecheggiò per tutto il locale, facendo vibrare bicchieri e cuori.

«Lascia stare, lo chiamiamo anche noi così… a casa.»

Evidentemente aveva capito la mia perplessità cosi, con un sorriso tutto dedicato a me, aggiunse:

«Non ti preoccupare. Mi sono laureata in grafica computerizzata con il massimo dei voti! Saprò fare il mio lavoro!»

Poi, guardandosi attorno, tutta vispa aggiunse:

«Beh… si mangia o no?»

Come per magia il cameriere si materializzò accanto a noi porgendoci la carta. Con un gesto della mano lo fermai quindi rivolgendomi ad Annie con aria da intenditore, chiesi:

«Desideri una pizza o mangiar bene?» Risatina di lei.

«Dovrei anche rispondere a una simile domanda? Una pizza naturalmente!»

 

Improvvisamente, con un gesto che mi sorprese, allungò il braccio attraverso il tavolo, poggiò il palmo della sua mano sul mio polso, leggera, quindi, guardandomi con una certa dolcezza negli occhi, sospirò:

«Dai, che scherzo. Scegli tu il menù: mi fido ciecamente!»

Lo scelsi… e sembra anche che fu l’unica cosa che indovinai in tutta la serata.

La guardai compiaciuto gustarsi gli spaghetti al sugo di battibatti, divorarsi mezza spigola al cartoccio e infine assaporare con piacere il dessert di panna cotta… il tutto accompagnato da un ottimo e fresco bianco delle Cinque Terre.

«Eccellente, davvero eccellente. Mai mangiato così bene!» Con gesto leggero posò il tovagliolo, con il quale si era nettata le labbra, sul grembo e per la prima volta mi guardò come fossi un essere umano e non solo una comparsa nel suo personalissimo show.

«Sei sposato?»

«Ehm…no.» Questa domanda, devo ammetterlo, m’imbarazzava sempre.

«Amichetta?» continuò ammiccante.

«No… nemmeno!»

«Allora amichetti!»

Ora il suo tono era da confessionale, anche se mi guardava divertita. Mi mossi imbarazzato sulla sedia, non avevo mai pensato di poter essere preso per un gay.

«Nooo… mio Dio! No… niente contro i gay, ma preferisco la normalità!»

«Meno male…» con gesto elegante prese tra le dita il calice con il vino portandolo delicatamente alle labbra, un breve sorso, poi guardandomi seria negli occhi continuò «… che tu non abbia niente contro i gay, poiché io lo sono!»

«Sei cosaaa?»

Ora ero un po’ arrabbiato! Mi sporsi verso di lei.

«Senti, Annie, è tutta la sera che ti diverti a prendermi in giro, sì… molto elegantemente e discretamente, ma sempre in giro. Pensi davvero che possa credere a una cosa del genere?»

Ora era lei a essere stizzita.

«È perché no?»

«Perché… perché… ma ti sei vista? Sei la più bella ragazza che abbia mai conosciuto, la femminilità fatta persona e vorresti ora farmi credere che sei invece un maschietto! Ma dai… per favore!»

«Per favore cosa …?» un lieve rossore le colorava ora le guance «e poi non sono un maschietto!» precisò protendendosi a sua volta verso di me sempre più accalorata.

«Sono una donna, solo che invece di preferire voi, veri maschi, sempre pronti a tirar fuori il vostro strumento per infilarlo nella prima apertura disponibile, preferisco… ma che strano… le carezze di un’altra donna, magari lei sì, un po’ mascolina ma infinitamente più dolce e sensibile di voi! » continuò pungente. «E se te l’ho detto ora, è solamente perché, prima che s’inizi a lavorare come dici tu… gomito a gomito, le cose tra di noi siano chiare, punto e basta! Se poi la cosa ti crea un problema, chiederò a mio zio di trovarti un altro grafico… magari più normale.»

Le ultime parole erano avvolte di un lieve sarcasmo.

Ora la rabbia mi era sbollita. Con un sorriso che voleva essere rappacificatore, dissi:

«Senti…Annie, una cena così per essere perfetta non può che terminare con un caffè espresso e un bicchierino di grappa invecchiata in fusti di rovere. Che ne dici?»

«Facciamoci la vecchia allora, anche se non so cosa sia!» Anche lei ora sorrideva. Pace fatta, almeno per il momento! La serata in pratica terminò qui! Dopo averla accompagnata a casa, tornai nel mio appartamento.

Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a non riandare con la mente agli ultimi avvenimenti e ad Annie in particolare. Mi diressi al piccolo bar e mi versai un generoso bicchiere di Chianti, quindi, aperte le tende e spente le luci, mi accomodai sul divano davanti alla grande vetrata a contemplare le luci della città. n genere, questo piccolo rituale riusciva a mettermi in pace con il mondo intero. Assaporai con gusto l’ottimo vino e, cosa molto rara, presi dal tavolino adiacente una sigaretta e l’accesi. Niente non funzionava! Le scene della serata continuavano a girarmi in testa come spezzoni di un film… in particolare le parole di Annie sugli uomini e sul loro… come aveva detto? Strumento?

Mi sembrava quasi un’accusa diretta verso di me e non mi pareva giusto! Sarò tutto, ma non sono di certo mai stato uno che salta addosso alla prima gonnella che incontra, e non mi sono nemmeno, almeno che io mi ricordi, mai comportato come un trapanatore assatanato. Anche le poche relazioni avute si erano svolte nel massimo rispetto reciproco e quando erano finite, per un motivo o per l’altro, era stato sempre amichevolmente tant’è vero che con alcune si era poi stabilito un rapporto di sincera amicizia. E poi, non mi conosceva che da cinque ore!

Tutto questo continuavo a ripetermelo mentalmente… ma una cosa era certa, anche se non volevo ammetterla: quella strana ragazza aveva cambiato qualcosa in me! Finito il terzo, abbondante, bicchiere di Chianti mi decisi ad andare a letto. Nonostante l’aiuto dell’alcool, sul quale confidavo, non riuscii a dormire molto bene.